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Autore: Univerd    03/09/2011    0 recensioni
Elisabeth, poco più che ventenne finisce in carcere per salvare un'amica. Li si scontrerà con un mondo nuovo che la farà cambiare, ma anche con una persona speciale che tenterà di salvare a qualsiasi costo.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Finireste in carcere per un'amica? Rovinereste la vostra vita per un'amica? Rinuncereste a tutto per un'amica? Forse si.                  

E per un'amica che vi ha offese e tradite? Lo fareste? Io si. L'ho fatto.

Mi sbatterono in cella subito dopo il processo. Una cella buia e stretta. Due letti, un tavolo e un paio di sedie erano tutto il suo arredamento. Ero stata condannata a dieci anni per omicidio colposo, reato che avevo confessato. E che non avevo commesso.

Ero sempre stata negata a mentire. Non che non ci avessi mai provato, semplicemente mi costava uno sforzo sovrumano così evitavo di farlo. Questa volta invece avevo impiegato ogni fibra di me per essere credibile, per finire in galera. Anche se sarebbe più corretto dire che l'ho fatto per salvare un'amica. La mia cara amica. Non riuscivo a capire perchè avessi preso quella decisione, perchè avessi risposto a quella chiamata d'aiuto, perchè avessi preso io tutta la colpa. Ma soprattutto perchè per lei. Mi aveva pugnalata alle spalle quando avevo più bisogno di lei. Aveva tradito la mia fiducia e mi aveva lasciata sola. Eppure io ero corsa subito da lei quando aveva avuto bisogno di me. Che stupida.

"Ti prego vieni da me.. ho combinato un casino" mi aveva detto tra le lacrime. Aveva ucciso Tania, una sua amica, durante un litigio. Certo, non lo aveva fatto apposta, l'aveva solo spinta e lei cadendo aveva battuto la testa sullo spigolo del tavolo, ma era comunque omicidio. Mi piace pensare che mi addossai l'assassinio per via di suo figlio. Con il padre che si ritrovava aveva bisogno di una madre. Anche se Envy non sembrava più la stessa, quell'amica con cui avevo condiviso tutto, per anni. In ogni caso decisi di darle una seconda possibilità, sia come madre, che come amica.

Così mi ritrovai in quel carcere, in quella stanza e su quel letto a ripensare a tutto questo.

Faceva freddo, poichè nonostante fosse pieno inverno non c'era il riscaldamento. Quella notte faceva anche più freddo del solito, e non avendo una compagna di stanza la camera non si scaldava a sufficienza nemmeno per concedermi qualche ora di sonno.

La mattina in genere avevo il turno in lavanderia, insieme ad altre quattro ragazze, sorvegliate da due guardie. Poi pranzo e ora di libertà. Il pomeriggio potevamo rimanere in biblioteca a studiare o nelle nostre stanze. Qualcun altro si riuniva nella mensa per giocare a carte. Però chi, come me, praticava sport, il pomeriggio aveva gli allenamenti. In quel carcere, nonostante fosse femminile, si faceva calcio. Ero piuttosto brava, giocavo in attacco e tiravo delle cannonate spaventose. Grazie a questo avevo acquistato rispetto tra le detenute e la maggior parte delle volte mi lasciavano in pace. Quella mattina di gelo segnava il mio anniversario di detenzione, era passato un anno. Solo un anno, mi sembrava impossibile. Era incredibile come vivere tra le mura di quell'edificio potessero cambiare le persone, almeno esternamente. Infatti ero sempre stata un'ingenua e brava ragazza. Purtroppo per gli altri, in me dell'ingenuità non era rimasto niente. Purtroppo per me, ero ancora buona, e nonostante non lo dessi più a vedere, avevo ancora il cuore tenero. Però il mio fisico non era più quello di una ventiduenne magra e apparentemente fragile. Ora era quello di una ventiquattrenne con spalle larghe, braccia e gambe atletiche e un addome quasi scolpito. Finalmente avevo trovato del tempo per trasformare il mio corpo in quello che avevo sempre voluto. Il corpo di una guerriera. Era così che mi chiamava Envy quando veniva a trovarmi, cosa che accadeva più o meno quattro volte alla settimana. Era strano come il nostro rapporto si fosse trasformato. Ora che delle sbarre ci dividevano eravamo tornate unite. Forse più di prima, forse in modo diverso.

Quando vennero a dare la sveglia, fui felice di essere già pronta per andare a far colazione. Arrivando prima della maggior parte delle altre riuscii addirittura ad appropriarmi di un vasetto di marmellata. Dopo aver guastato il panino creato con tanto amore, si sedettero di fianco a me le mie compagne di squadra. Jessy, la centrocampista-assassina. Noemi, la portiera-borseggiatrice. Francesca, la difensiera -assassina. Pooline, la centrocampista-spacciatrice. Non potevo dire che fossero proprio delle amiche, però le trovavo delle tipe interessanti e, in mancanza di qualcosa di meglio da fare, era abbastanza piacevole stare in loro compagnia. 

"Ti sei finita la marmellata?" mi chiese Fra con gli occhi socchiusi, sapendo benissimo che quello sguardo avrebbe terrorizzato metà delle ragazze in quella mensa. 

"Se ti degnassi di aprire il barattolo scopriresti che ce n'è almeno per un altro panino" dissi noncurante. Lei sbuffò e aprì il barattolo, poi sorridendo sotto i baffi spalmò il contenuto sul pane.

"Sei in forma Stone? Dobbiamo vincerla la partita di oggi, verranno anche i miei a vederci, dobbiamo fare bella figura." mi disse Pooline. Sorrisi malefica, non vedevo l'ora di schiacciare quelle altezzose teste di cazzo delle detenute del Fly. "Tranquilla, non vedo l'ora di scaricare i nervi su di loro. Tu piazzami dei bei passaggi, al resto penso io." risposi sicura di me. Anche questa sicurezza era apparsa durante l'anno di prigionia, serviva anche questo per sopravvivere li dentro. Le altre risero di gusto assaporando già la vittoria.

"Al turno in lavanderia: Jessica Christi, Pooline James, Bith Fendy, Roberta Doome e Elisabeth Raffh...." sentendo il mio nome mi alzai e seguii le altre verso le scale che portavano alla lavanderia. La quale assomigliava più a dei sotterranei. Il freddo era insopportabile, ma piano piano, lavando i panni nell'acqua calda, mi scaldai e iniziai a viaggiare con la mente come facevo sempre quando un'azione che dovevo fare diventava meccanica e non aveva bisogno della mia continua supervisione. Molto spesso fantasticavo su come evadere e su cosa questo avrebbe comportato. Se fosse andata a buon fine mi sarei potuta rifare una vita in un altro paese sotto un altro nome, magari facendomi chiamare veramente "Stone", il soprannome che mi avevano affibbiato. Però se fossi stata catturata la mia buona condotta sarebbe andata a farsi friggere, e così anche la possibile riduzione della pena.

Il mio avvocato d'ufficio mi aveva detto che con un'ottima condotta, continuando gli studi, eccellendo nello sport e lavorando con impegno e magari più di quanto mi era chiesto sarei riuscita a farmi accorciare gli anni di carcere addirittura di cinque anni. Non ci credevo molto, ma comunque mi veniva naturale fare tutte e quattro le cose. Non mi facevo coinvolgere in risse, stavo conseguendo una laurea, ero la migliore in campo e in lavanderia facevo il doppio del lavoro richiesto, senza lamentarmi e senza chiedere nulla in cambio. Un'assassina modello insomma. La mattina volò in fretta, e anche l'orribile pranzo. La partita sarebbe iniziata alle tre, giocavamo in casa. Rimasi in camera sdraiata sul letto a riposare fino all'una, e poi dritta sul campo terroso per il riscaldamento. Eravamo venti giocatrici, ma erano sempre le solite undici a giocare perchè le altre erano nella squadra solo per tenersi in forma e di calcio sapevano ben poco. Mentre stiravo i muscoli e poi provavo un paio di tiri in porta a Noemi, l'ansia e l'eccitazione iniziarono a pulsarmi alle tempie. Era una bellissima sensazione, l'adrenalina che mi pervadeva e mi sviluppava i sensi. L'adoravo.

Come capitano della squadra dovevo fare il discorso di incitamento, poichè la nostra allenatrice non amava questo genere di cose.

"Ragazze, sappiamo tutte che queste sono delle vere toste. Che sono più grosse di noi, che non gli importa niente di fare falli e che si divertono a rompere le gambe agli avversari. Ma sappiamo anche che la nostra compagna per colpa loro non può più giocare, per colpa loro è costretta a stare a letto con dei ferri nella gamba, e che nonostante tutto non la vogliono tirar fuori di prigione. Quindi non possiamo perdere. Siamo più brave e più veloci. Non facciamogliela neanche vedere la palla, che si mangino la nostra polvere!" terminai con un urlo di circostanza e subito mi seguirono nel gesto più eccitate che mai. Per mia fortuna bastava poco per coinvolgerle. Cariche al massimo e motivate più che mai ci schierammo in campo come un battaglione.

L'arbitro aveva ogni sorta di protezione addosso, le avversarie avevano decisamente una pessima fama. Il fischio d'inizio fu come un gong nel mio cervello. Subito scattai, e controllai di testa l'immediato e preciso passaggio di Pool. Portai la palla il più avanti possibile, il numero 12 tentò di entrare in scivolata tra le mie gambe, ma fui più rapida a saltare con il pallone e a passarlo ad una mia compagna. Questa si apprestò a segnare, ma il numero 6 la placcò di lato scaraventandola a terra e facendole mancare il pallone.

L'arbitrò fischiò, interrompendo il gioco e assegnando un rigore. Cosa piuttosto insolita. Doveva essere uno tosto anche l'arbitro, in genere facevano finta di niente per la paura. Mi proposi per tirare, e così, dopo soli due minuti di partita, eravamo già in vantaggio.

Il resto dell'incontro fu totalmente dominato da noi, nessuna delle mie compagne aveva più paura di loro, avevano capito che potevano contare sulla velocità e sulla tecnica, dovevano solo stare attente ai loro spostamenti e restare in continuo movimento diventando imprevedibili e inafferrabili. La partita si concluse a 7 a 2 per noi. Le ragazze mi saltarono tutte addosso facendomi perdere l'equilibrio, eravamo tutte al settimo cielo, finalmente una giornata decente in quel posto orribile. La sera ci permisero di bere un bicchiere di vino a testa per l'ottima figura che avevamo fatto fare all'istituto.

Per quella sera inoltre non c'erano stati contrasti tra le varie detenute, tutte si sentivano unite dalla vittoria contro un "nemico" comune. Intonavano inni in nostro onore e ci chiamavano le" spacca montagne". Niente male come anniversario del primo anno.

  
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