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Autore: Yana    03/09/2011    0 recensioni
"E' passata una settimana da quando tutto questo è accaduto, da quando ho rincorso la tua auto nella strada che porta alla nostra casa, scongiurandoti di tornare da me, di perdonarmi, di ricominciare da capo, mentre tutti i vicini dall'impeccabilità dei loro giardini mi guardavano con occhi di incredulità e fastidio. Ed è da quel maledetto giorno che ogni ora, ogni minuto, ogni secondo quel nastro bloccato ripete la sua cantilena incessante, torturatrice."
Ispirata alla trilogia di canzoni dei The Killers, la storia della follia di un uomo che l'ha spinto ad uccidere la donna che amava.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Leave the Bourbon on the shelf
The Murder Trilogy, Chapter #01

Tutto è straordinariamente calmo, ora.
Sono steso sul divano, il volto quasi soffocato dai cuscini. Alle mie orecchie giunge solo l'indefinito brusio di voci che provengono dalla televisione ancora accesa a pochi metri da me, la mia unica compagnia da giorni, ormai. Sento che le mie dita sono strette attorno ad un freddo bicchiere di cristallo, sento l'alcol che ancora mi brucia in gola.
"Sto bene", ripeto a me stesso, come se questo servisse a rendere le mie parole reali.
Nella mia mente, come un nastro inceppato per il troppo uso, continua a tornare vivida la tua immagine, mentre prepari la valigia, gridandomi che una volta per tutte la nostra storia è finita, che non esiste più niente fra noi. Hai cercato di fare la vittima, accusandomi di essere geloso e possessivo, cercando di darmi la colpa di ogni cosa. Stronzate, Jennifer. Io ti ho sempre detto che ti amo, ho sempre cercato di cambiare per te. E anche quella sera ho ripetuto queste parole, scongiurandoti di darmi un'altra opportunità, dicendoti di aver bisogno di altro tempo, ma di non essere in grado di cambiare senza te al mio fianco. Ogni mia preghiera, ogni mia parola ti è scivolata addosso, senza produrre alcuna espressione sul tuo volto se non il disgusto: io non meritavo la tua fredda crudeltà quando non hai esitato a rispondere che fra noi non c'era mai stato nulla di importante. Avrei accettato qualsiasi insulto rivolto a me, ma non ero disposto ad accettare il fatto che tu avessi, anche solo per un istante, messo in discussione i miei sentimenti. Ti ho colpito al volto con uno schiaffo, mosso dalla rabbia scatenata dalle tue parole, pentendomi non appena ritirata la mano dalla tua guancia, non appena visto il tuo volto mutare d'espressione. Hai urlato che ero un pazzo e che era meglio per te allontanarti il più possibile da me, dalla mia follia. Implorare il tuo perdono, a questo punto, era stato del tutto inutile: prima che io potessi ancora rivolgerti la parola, sei uscita sbattendoti con forza la porta alle spalle.
E' passata una settimana da quando tutto questo è accaduto, da quando ho rincorso la tua auto nella strada che porta alla nostra casa, scongiurandoti di tornare da me, di perdonarmi, di ricominciare da capo, mentre tutti i vicini dall'impeccabilità dei loro giardini mi guardavano con occhi di incredulità e fastidio. Ed è da quel maledetto giorno che ogni ora, ogni minuto, ogni secondo quel nastro bloccato ripete la sua cantilena incessante, torturatrice.
Ti amavo davvero, Jennifer, e ti amo ancora, anche nel momento in cui formulo questo pensiero, sdraiato sul divano come se non avessi più alcuna forza per risollevarmi. Eppure non ti sei mai resa conto di quanto questa semplice e profonda verità fosse sincera.
"Devi uscirne", mi aveva detto Samuel, l'unico vicino di casa con il quale avevo un rapporto che si potrebbe definire di "amicizia". Ricordo ancora il suo giovane volto accigliato e il suo sguardo di compatimento nei miei confronti. "Stai impazzendo, possibile che tu non riesca a rendertene conto? Devi assolutamente uscirne. Esci, paga una puttana se vuoi, ma smettila di stare qui e andare avanti a forza di alcol!"
"Lasciami in pace", avevo ribattuto, debole e mezzo ubriaco. "L'ho schiaffeggiata, capisci? Lei non tornerà!"
E la profonda disperazione di quel ricordo si rinnova nel mio petto e improvvisamente mi ritrovo a implorare che quel nastro si riavvii per scontare la mia pena, per condurmi ad una meritata autodistruzione, ma alle mie orecchie giunge solo un basso e prolungato mugolio provenire dalla parte più profonda della mia gola. Sento che il mio alito puzza così tanto di alcol che arrivo ad essere disgustato da me stesso, sento le mie tempie pulsare al ritmo accelerato del mio cuore.
Pulsano, pulsano, pulsano, pulsano.
Dio, darei qualsiasi cosa in questo momento perché questo dolore finisca immediatamente.
Il basso brusio della televisione diventa d'improvviso un rumore quasi insopportabile. Cerco alla cieca il telecomando sul pavimento, senza mai sollevare il capo dai cuscini, alzo il braccio con stanchezza e dopo vari tentativi la televisione si fa d'un tratto muta. Uno strano sorriso compare sul mio volto: nel silenzio, ora, la testa sembra farmi meno male.
Mi hai lasciato, Jennifer, nonostante sapessi che stavo mettendo tutto me stesso nello sforzo di cambiare. Per te. Ti amo e continuerò ad amarti per sempre.
E' passata una settimana, solo una settimana. E l'unica cosa che mi hai lasciato è questa bottiglia, sul ripiano della cucina. Ora bevo in tuo nome, Jenny, nella speranza che i tuoi ricordi mi abbandonino e rimuovano questo senso di soffocamento che da giorni sto provando all'altezza del petto. Non oso odiarti, Jenny, perché non riesco a trovare un motivo valido per farlo.
Alzo finalmente il capo dai cuscini, la secca luce del lampadario quasi mi acceca. Sollevo la mano per terminare il contenuto del bicchiere, quando quest'ultimo scivola dalle mie mani e crolla a terra, distruggendosi in decine e decine di frammenti che si spargono incoerentemente sul terreno. Rimango a lungo a guardarlo, come stordito, senza rendermi conto di quanto sia successo. L'odore pungente dell'alcol versato raggiunge le mie narici e mi provoca un conato di vomito. Ogni altro pensiero di colpo cessa, mi ritrovo a chiedermi che cosa diamine io stia facendo. Forse Sam ha ragione, forse ho davvero bisogno di uscirne.
Mi rizzo faticosamente a sedere, la stanza intorno a me comincia a ruotare, come se fossi all'interno di una stupida e insensata giostra. Cazzo, Jennifer, io devo assolutamente rivederti, parlarti. Ti amo troppo per rinunciare a te, ti amo troppo per lasciarti andare. Sarei disposto a fare qualsiasi cosa affinché tu mi perdoni e mi conceda un'altra possibilità, stanotte stessa.
Barcollando, cerco di evitare i pezzi del bicchiere che sono ancora sparsi sul pavimento e, cercando di vincere le vertigini, raggiungo l'attaccapanni e mi infilo di corsa un giubbotto. Fatico a camminare in un modo che non sia sconnesso e claudicante, raggiungo lo sportello dell'auto parcheggiata nel viale e cerco a lungo di inserire le chiavi per aprire la macchina, senza riuscire ad inquadrare la posizione esatta della serratura visto che le mie mani tremano. Salgo, richiudo lo sportello. L'auto emette strani suoni elettronici, poi nell'abitacolo scende ancora il silenzio. Appoggio la fronte sul volante, lascio che la mia mente recuperi un po' di lucidità.
Mi rendo conto di non essere nelle condizioni più adatte per guidare, ma non posso aspettare. Devo parlarti, Jennifer, devo assolutamente parlarti. Non può essere finita in questo modo, non visto quello che c'è stato fra di noi.
Cerco con la punta delle dita il quadrante, infilo le chiavi  e l'auto si mette in moto con un rombo sommesso del cofano. Ricordo ancora dove si trova l'appartamento in cui abitavi prima che ti trasferissi da me e sono sicuro che tu sia ancora in quel posto, non così lontano dalla nostra casa. Controllo l'orologio. E' notte inoltrata e fortunatamente nessun'altra auto si vede per le strade, la mia macchina continua a sbandare, non riesco a stare nella mia corsia. Fatico a tenere gli occhi aperti, fatico a mettere a fuoco l'ambiente circostante. La prima sbornia della mia vita nel momento meno opportuno, immagino.
Fermo l'auto sul ciglio della strada, per poco non investo uno dei cestini della spazzatura. Dall'altra parte della strada, l'appartamento in cui vivi, al terzo piano. Chiudo gli occhi. Ti immagino intenta nel tuo lavoro, oppure con lo sguardo fisso sulla televisione, seduta sul divano. E d'improvviso sento più di prima la tua mancanza, le mie braccia cominciano a tremare nel desiderio di abbracciarti. Riapro gli occhi, faccio per aprire lo sportello, quando vedo due figure avvicinarsi all'entrata dell'appartamento.
Mi passo una mano sugli occhi, li stringo per cercare di vedere meglio. E ti riconosco, Jennifer. I tuoi lunghi capelli biondi sono sciolti sulle tue spalle, il tuo esile corpo è avvolto da un cappotto blu. Indossi una minigonna che lascia scoperte le tue gambe snelle. In questo momento ho il desiderio di toccarti, il solo vederti sembra darmi le forze che l'alcol mi ha tolto.
Ma mi rendo conto che c'è un altro ragazzo, con te.
I vostri sguardi si incontrano, lui si china su di te per baciarti.
Rimango come allibito, fissandoti mentre gli sorridi e gli rivolgi un tacito invito a salire.
Solo quando entrambi sparite all'interno dell'edificio, mi rendo conto di quanto è appena successo.
Mi hai ingannato, Jennifer.
Una sola settimana da quando hai fatto la tua valigia e sei uscita dalla nostra casa sbattendoti la porta alle spalle, ti vedo mano nella mano con un altro uomo. Sei solo una puttana, le parole che sono uscite dalla tua bocca erano soltanto delle luride bugie: la colpa della fine del nostro rapporto non è mia, ma tua! Tua, nel desiderio lussurioso di gettarti fra le braccia di un altro, tua nelle menzogne che mi hai detto e allo stesso tempo nella straordinaria veridicità delle tue parole quando mi hai detto che non c'era mai stato nulla d'importante fra noi.
Le mie braccia, tuttavia, continuano a fremere: ma non nel desiderio di abbracciarti, ma di stringere il tuo collo così forte da ucciderti. Un desiderio atroce di rabbia e vendetta esplode all'interno del mio petto, riempie in un attimo la voragine che hai lasciato. La mia vista si appanna, urlo, prendo a pugni il volante. Non serve a nulla, lo so, ma non ho altro modo per sfogarmi, ora.
Puttana, puttana, puttana! Sento l'amaro e bruciante gusto della bile salirmi in gola, misto al fetore dell'alcol. Sei una puttana. La rabbia accecante che era esplosa all'improvviso, altrettanto improvvisamente si dirada. D'un tratto una strana lucidità si impadronisce del mio corpo, dei miei pensieri.
So cosa fare ora, Jennifer.

Before you say goodbye
Leave the Bourbon on the shelf
I'll drink it by myself

  
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