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Autore: biaele18    03/09/2011    0 recensioni
Fan fiction scritta a quattro mani. Sono passati cinque anni dalla fine del liceo e le strade di Rachel e Finn si sono separate. Lui è rimasto in Ohio, lei è andata a seguire i suoi sogni a New York. Il destino però non si è ancora arreso...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Finn Hudson, Rachel Berry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6
 
I DREAMED A DREAM
 
Il sole di primavera si faceva spazio timidamente tra i folti rami degli alberi di central park mentre Rachel li superava velocemente, attenta a non far cadere i bicchieri che portava tra le braccia. Sapeva di allungare la strada, ed ogni mattina si riprometteva che sarebbe stata l’ultima volta, ma la magia di quel posto la attirava sempre come una calamita. A quell’ora della giornata il parco appariva più vuoto e più immenso che mai, e se ci si allontanava abbastanza dalla strada, i suoni della città quasi scomparivano tra i canti di quei pochi uccellini temerari che solo di mattina, proprio come lei, si aggiravano tra quei prati, e proprio come lei sembravano cercare un’ultima illusione di tranquillità prima di affrontare la frenesia di un’altra giornata. Rachel non potè evitare di rallentare il passo fino a fermarsi davanti al Bow Bridge. 
Alzò il capo e fu costretta a strizzare gli occhi, nonostante i raggi del sole fossero mitigati da un velo di nuvole, e quando abbassò lo sguardo sul fiume vide le acque scintillarle davanti. Sorrise per qualche secondo prima di scuotere la testa e riprendere la sua marcia verso il teatro.
Trovò la porta del retro aperta, e riuscì in qualche modo ad entrare pur non potendo usare le mani; tirando un sospiro di sollievo posò icaffè ancora fumanti sul tavolino più vicino. Solo quando la porta dietro di lei si chiuse con un botto, facendola trasalire, si accorse di non essere sola. 
“Spero di non aver causato io una tale reazione!”, disse l’anziana signora che sedeva di fronte a lei dandole le spalle, e le sorrideva gentilmente guardandola attraverso  lo specchio che aveva davanti. Dopo essersi ripresa, Rachel rispose al sorriso. 
“Mi scusi, Mrs Watson, temevo.. temevo di essere in ritardo”, disse esitante, cercando di evitare lo sguardo della donna, che invece la cercava attraverso il riflesso. Non era mai rimasta da sola con lei, e pur avendo lavorato nello stesso teatro per quasi un anno, essere alla sua presenza la metteva ancora in soggezione. La sua storia l’aveva ispirata sin dalla prima volta che le era stata raccontata: nata da una famiglia povera in Inghilterra, costretta a lavorare sin da giovane per mantenere i fratelli minori dopo la morte del padre, fu scoperta da un famoso direttore americano mentre si esibiva in un piccolo bar londinese. In pochissimo tempo divenne famosa in tutta Inghilterra, e trasferitasi a New York per esibirsi a Broadway, aveva sposato il direttore e non era più tornata indietro. Non aveva smesso di mandare soldi alla sua famiglia, seppur ormai tutti i suoi fratelli fossero cresciuti. Dopo pochi anni di successo, aveva abbandonato la vita dell’artista per ritirarsi nel Queens con il marito; ma dalla morte di quest’ultimo era tornata sul palcoscenico, ed era divenuta l’interprete di Madame Thénardier. Nonostante il ruolo non fosse da protagonista, molti degli spettatori rimanevano incantati dalla sua voce e tornavano solo per sentirla cantare.
L’anziana signora continuava a sorridere. “Non credere che non mi sia mai accorta di te”. A quelle parole la ragazza alzò gli occhi nervosa e leggermente allarmata. “Sei la prima ad arrivare e l’ultima ad andartene, ogni giorno.” Rachel abbassò nuovamente lo sguardo, non sapendo cosa rispondere. Mrs Watson posò il fard che si stava sistemato sul viso e si voltò per guardare la ragazza dritto negli occhi. “Non permetterle di vincere. Non permetterle di toglierti quello che di più prezioso hai al mondo: la tua passione. Molti pensano che basti il talento per riuscire, ma si sbagliano; Miss Page si finge uno di questi, ma in fondo sa che il talento è indubbiamente necessario, ma è la passione quella che ti porta al successo. Per questo è gelosa di te. Ha visto nei tuoi occhi quella passione che non ha mai avuto nei propri, e sta facendo di tutto per cancellarla anche dai tuoi. Non permetterle di vincere.” 
Rachel guardò la gentile signora sapendo che mille emozioni contrastanti erano perfettamente leggibili sul suo volto, ma quando stava perrisponderle la porta dietro di lei si spalancò di colpo e una piccola donna in tailleur entrò di fretta con un block-notes in una mano e una penna nell’altra, seguita da un gruppo di attori, costumisti e truccatori. 
“Non è assolutamente possibile – no. Non è assolutamente accettabile! Richiamala immediatamente!”, Miss Page urlò nell’auricolare che portava costantemente nell’orecchio. Frenò la sua avanzata per meno di mezzo secondo per sfiorare Rachel con lo sguardo. “Dov’è il mio caffè?”, disse facendole segno con la mano di portarglielo, senza guardarla in faccia e continuando a camminare verso il suo ufficio, ticchettando sul parquet. 
La ragazza, ancora ferma con la bocca spalancata davanti a Mrs Watson, che all’entrata teatrale della direttrice aveva alzato gli occhi ed aveva ripreso a prepararsi, scosse la testa e prese velocemente uno dei caffè che aveva posato lì vicino quand’era arrivata. Corse nell’ufficio di Miss Page porgendole il bicchiere di Starbucks. La donna stava ancora urlando dentro all’auricolare, in piedi dietro alla propria scrivania. Alzò gli occhi quando vide una mano poggiarle il caffè davanti. Si allontanò leggermente la cuffia dall’orecchio per dire qualcosa, ma Rachel la precedette “americano lungo”. La donna non sembrò soddisfatta, ma ancora una volta fu anticipata “decaffeinato, niente zucchero.” Miss Page non parve trovare niente da ribattere, si risistemò l’apparecchio e prese in mano il caffè mentre osservava la ragazza uscire dal suo studio. 
Rachel tirò un sospirò di sollievo e cercò con lo sguardo Mrs Watson, che però stava per entrare in scena, quando sentì la voce stridula della direttrice chiamarla indietro. “Tu”, la donna stava puntando l’indice nella sua direzione quando la ragazza varcò una seconda volta la soglia dell’ufficio, leggermente intimorita. “Chiudi la porta”, le ordinò Miss Page tenendole puntati addosso i piccoli occhi neri che la giudicavano costantemente da dietro le lenti di quei minuscoli occhiali che portava appoggiati al naso. La direttrice si sedette senza invitarla a fare altrettanto e dopo averla scrutata ancora per qualche secondo disse: “Tu canti.” Rachel non capì se fosse una domanda o un’affermazione e rimase in silenzio, sperando che la direttrice ricevesse una telefonata urgente e la lasciasse andare. “Conosci Lucille, Lucille Verne?”, la ragazza annuì. “La signorina Verne non può presentarsi oggi, e ha giustamente aspettato fino a due minuti prima dello spettacolo per avvisarmi. Tu prenderai il suo posto.” Rachel fissò la direttrice allibita, e quando aprì bocca non riuscì a replicare altro che “Cosette?”. Miss Page la guardò impaziente “Certo, Cosette, hai mai visto Miss Verne interpretare un altro ruolo? Ora vattene, stai sprecando il mio tempo. Lou ti preparerà per lo spettacolo e ti aiuterà con i costumi. Hai venti minuti.” Rachel rimase lì in piedi a guardarla ancora qualche secondo prima di affrettarsi fuori dalla porta per evitare che la direttrice cambiasse idea. 
 
“Berry!”, si voltò, ancora sotto shock. “Ciao, io sono Lou, non abbiamo tempo!”, un giovane ragazzo di colore con maglietta e pantaloni neri molto attillati la prese per le spalle e la spinse dietro a una tenda lì vicino. “Mrs Green ti aiuterà con il costume. Il corsetto potrebbe darti fastidio, ma respirare è completamente sopravvalutato”, la ragazza quasi non capiva cosa stesse succedendo mentre Mrs Green, una signora di mezza età ben piazzata, la aiutava a svestirsi ed infilarsi nei panni stracciati di Cosette e l’ombra impaziente di Lou urlava da dietro la tenda “sbrigati!”. Come era stata lanciata nel camerino ne fu spinta fuori, nuovamente da Lou che sta volta la fece sedere davanti a uno specchio illuminato dove una ragazza asiatica le mise in faccia tanta cipria da farla starnutire. 
“Per l’amor del cielo non starnutire! Non abbiamo tempo!”. Quando fu finalmente pronta, Rachel si alzò lentamente e si guardò allo specchio. Era nel backstage di un teatro di Broadway e stava per salire su un palco di Broadway ad interpretare uno dei musical più importanti del secolo scorso. A Broadway. Sorrise al proprio riflesso. “Ho sempre pensato che avresti debuttato con Ephonie, ma anche Cosette  ti dona, devo ammetterlo”. Rachel si voltò e sorrise a Kevin, appena sceso dal palcoscenico. “E io ho sempre pensato che avremmo debuttato insieme come giovani Sweeney Todd e Mrs Lovett, ma qualcuno non ha voluto aspettarmi”. Kevin rise, “Sai che debutto! Sono sul palco sì e no dieci minuti in tutti e faccio solo due scene, una in cui sono il ‘carcerato numero 5’ in fondo a destra e l’altra in cui mi uccidono dopo due minuti e resto steso a terra per il resto del tempo” “Almeno sei sul palco!” ribattè Rachel, e i due risero insieme, ma furono interrotti dal rumore della porta, che si spalancò all’improvviso. 
“Ci sono, ci sono, ci sono!” gridò una giovane donna correndo dentro, per poi fermarsi di colpo davanti a lei. “Cosa ci fa questa nel mio costume?!” Rachel era troppo sconvolta per rispondere, e in ogni caso la domanda non era rivolta a nessuno in particolare. Lou cercò di calmare Lucille e spiegarle la situazione mentre Rachel veniva riportata nel camerino su ordine di Miss Page, che era comparsa dal nulla in mezzo a quella confusione. Mrs Green la svestì in fretta, restituendole i suoi abiti. Quando uscì dal camerino vide la direttrice urlare contro Lucille che, rientrata nel suo costume di scena, veniva truccata e gridava a sua volta, mentre truccatori e costumisti si facevano strada per la stanza per preparare tutti gli attori e i ballerini. 
Rachel osservò la scena ma tutto quello che sentiva erano i propri sogni scivolarle dalle mani ancora una volta. Andò a sedersi a bordo del palco, come aveva fatto spesso, poco dietro alla tenda tirata così che il pubblico non potesse vederla. Claire, l’interprete di Fantine, era al centro del palcoscenico. La musica iniziò e con essa le lacrime iniziarono a scendere sulle guance di Rachel.
La ragazza si girò quando sentì dei passi alle sue spalle. “Ultimamente non hai un gran bel rapporto con i teatri, eh? Ogni volta che ci entri piangi”. Rachel continuò a guardare l’esibizione senza far caso alle parole di Kevin. Il ragazzo le si sedette accanto e le cinse le spalle con il braccio. “Un giorno ci sarai tu su quel palco. Forse non oggi. Forse non questa settimana. Ma verrà il tuo momento. Brillerai.” Rachel pianse ancora più forte ed appoggiò la testa sul petto dell’amico, che continuò ad abbracciarla spostandole con la mano i capelli che le cadevano sugli occhi. “Ti sto bagnando tutto il costume” disse lei tra un singhiozzo e l’altro, e sentì la risata di Kevin rimbombare dove lei appoggiava la testa.
L’amico non rispose e la strinse più forte.
 
There was a time when men were kind
When their voices were soft
And their words inviting
There was a time when love was blind
And the world was a song
And the song was exciting
There was a time
Then it all went wrong
 
I dreamed a dream in time gone by
When hope was high
And life worth living
I dreamed that love would never die
I dreamed that God would be forgiving
Then I was young and unafraid
And dreams were made and used and wasted
There was no ransom to be paid
No song unsung, no wine untasted
 
But the tigers come at night
With their voices soft as thunder
As they tear your hope apart
As they turn your dream to shame
 
And still I dream he'll come to me
That we will live the years together
But there are dreams that cannot be
And there are storms we cannot weather
 
I had a dream my life would be
So different from this hell I'm living
So different now from what it seemed
Now life has killed the dream I dreamed.
  
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