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Autore: foxfeina    03/09/2011    3 recensioni
“Oh, lei…” Aveva iniziato, spostando un po’ a fatica gli occhi sulla donna. “…si chiama Lily.” Poi li aveva riportati sulla bambina tra le sue braccia e le aveva sorriso di nuovo, sentendosi quasi sul punto di piangere. “Lily. La mia Lily.”
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Prologo

 

 

“Robert, fa’ presto!” L’urlo della donna echeggiò con forza tra le mura di casa, raggiungendo il marito al piano superiore. L’uomo, che proprio in quel momento stava tentando di allacciarsi la scarpa sinistra, decise che non era poi una cosa così importante da fare. Lasciò che i lacci un po’ scoloriti ricadessero ai lati del suo piede, e si rialzò frettolosamente. “Sto arrivando, tesoro, sta’ calma!” Rispose, il respiro affannoso. Tentando di non perdere troppo tempo uscì dalla camera da letto e si diresse in quella della bambina. La piccola dormiva, beata, nel lettino. Robert si chiese come potesse, con le urla che Rose stava lanciando da almeno un’ora. Si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano, poi si chinò sulla bimba. “Principessa…?” Chiamò, con tutta la delicatezza di cui era capace. Sentì la moglie gemere, al piano di sotto. “ROBERT!”

Seppur a malincuore, l’uomo si protese in avanti e prese la bambina tra le braccia senza troppe cerimonie. Lei aprì gli occhi assonnati, un po’ spaventata e un po’ imbronciata. Nel giro di due secondi aveva già iniziato a lamentarsi. “Su, tesoro, dobbiamo andare…”

Robert cercava di consolare la figlia, mentre correva giù per le scale. La moglie era davanti la porta, la mano destra appoggiata allo stipite e la sinistra sul ventre prominente. Sul volto si leggevano dolore e disappunto.

“Possiamo andare, maledizione?” Chiese, a denti stretti, ignorando i piagnistei della figlia. “Non vorrai fare nascere la tua secondogenita in una macchina sporca e scassata, Robert Evans.”

L’uomo aprì la bocca per difendere la sua utilitaria ancora perfettamente funzionante, ma sembrò rendersi conto che non sarebbe stata una buona idea. Si limitò quindi ad una smorfia poco convincente e si diresse verso la porta d’ingresso, già aperta da Rose chissà quanto tempo prima. Con un gemito pensò alle spiegazioni che avrebbero dovuto dare ai vicini, per quella sveglia alle cinque del mattino: era davvero un’illusione sperare che non si fossero svegliati; sua moglie sapeva farsi sentire, quando ne aveva bisogno.

Petunia, tra le sue braccia, si dimenava e strillava a pieni polmoni. “Non possiamo lasciarla a qualcuno?”

Chiese, seppur con poche speranze, mentre percorreva insieme alla moglie il vialetto fino all’automobile blu. “A chi vuoi lasciarla, Robert?” Rispose, sarcastica, aprendo lo sportello del passeggero e prendendo posto con una smorfia di dolore. Una nuova contrazione la raggiunse e le fece stringere i denti, provocando un altro istante di panico nel marito, che si affrettò a sistemare bene la bambina recalcitrante sul seggiolino. Salì quindi in macchina e mise in moto. Nei suoi peggiori incubi (anche abbastanza frequenti e realistici), l’automobile non voleva saperne di partire, la chiave continuava a girare a vuoto. Ma le sue preghiere, evidentemente, erano servite a qualcosa: il rombo del motore quasi lo fece sospirare di sollievo. Un paio di vicini curiosi e assonnati, affacciati alle finestre, videro partire a tutta velocità la Lotus scolorita. Immaginavano benissimo dove fosse diretta.

 

*°*°*°*°*

 

I nervi di Robert Evans erano completamente a pezzi. Dopo la gravidanza complicata di Rose, avrebbe dovuto aspettarsi un’emergenza del genere, con quasi due mesi di anticipo? E’ la vita, si ripeteva. Senza il brivido, dove sta il divertimento? Ma, solo dopo due ore essere scappati di casa, iniziava a pensare che quella mattina fosse eccessivamente difficile da sopportare, brivido o meno.Appena arrivati in clinica, erano stati dottori ed infermieri ad occuparsi di Rose e della piccola che portava in grembo. Lui era rimasto con Petunia, in sala d’aspetto, a guardare l’orologio ad intervalli troppo brevi. La piccola si era stancata molto in fretta di quel noioso far niente; Robert era stato costretto a telefonare ad un amico di famiglia e chiedergli il favore di tenerla a casa sua, per quel giorno.

Erano ancora passate poche ore rispetto alle nove che erano trascorse in attesa della nascita di Petunia, ma l’uomo era trenta volte più stanco. Forse perché era consapevole, questa volta, di quello a cui andava incontro, forse perché la preoccupazione iniziava a farsi sentire. Desiderava solo che tutto finisse, e che potessero tornare a casa. Per un paio di istanti si era addirittura pentito di aver chiesto così tante volte a Rose un secondo figlio…

 

 

*°*°*°*°*

 

Le interminabili sette ore e mezza d’attesa e tutto ciò che seguì rimasero impresse nella mente di Robert in modo confuso, sfocato. Ricordava di aver bevuto almeno quattro caffè, di aver percorso praticamente ogni corridoio dell’ospedale tentando di scaricare l’ansia, di essere stato tranquillizzato da un infermiere divertito. Ricordava la voce di un’altra infermiera, poi, che gli si era avvicinata quasi senza che lui se ne rendesse conto: “signor Evans?” Si era girato verso di lei, e poi… che altro c’era da ricordare? Era rimasto immobile, la bocca semiaperta, a guardare lo scricciolo tra le braccia della donna. C’era voluto un minuto buono prima che trovasse la forza di prenderla tra le braccia; l’aveva guardata, la sua bambina, aveva osservato ogni dettaglio di lei: la pelle ancora un po’ arrossata, quelle manine così piccole, tante buffe rughe sulla pelle e un ciuffo ribelle di capelli rosso fuoco sul capo. Aveva sorriso come un idiota, ne era sicuro. Anche l’infermiera aveva sorriso. “Congratulazioni, è bellissima.” Robert aveva annuito, senza staccare gli occhi dalla bimba. “Come si chiama?” La domanda dell’infermiera l’aveva lasciato spiazzato. Conosceva benissimo il nome che lui e Rose avevano scelto, certo, ma gli ci volle qualche secondo per richiamarlo alla mente. “Oh, lei…” Aveva iniziato, spostando un po’ a fatica gli occhi sulla donna. “…si chiama Lily.” Poi li aveva riportati sulla bambina tra le sue braccia e le aveva sorriso di nuovo, sentendosi quasi sul punto di piangere. “Lily. La mia Lily.”

Che non ricordasse nulla di tutto il resto della giornata, be’, non era poi una cosa così strana.

 

   
 
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