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Autore: _Frame_    03/09/2011    2 recensioni
Mio padre morì il 28 gennaio 2010. Era un poliziotto. Mia madre il 14 febbraio 2011. Lei era un'ex attrice e modella. Entrambi erano seppelliti nel cimitero a due passi da casa. Questo era tutto ciò che sapevo dei miei genitori all'età di cinque anni. Anzi, questo era tutto quello che volevano farmi sapere.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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12. SFINIMENTO (MISA)

 
Mi sentivo stanca.
Distrutta.
Frantumata.
A pezzi.
In tanti, tanti piccoli pezzi che sembravano rimanere fragilmente attaccati tra di loro solo per un miracolo.
Era incredibile che fosse passato già un anno dalla sua morte, eppure, il suo fantasma continuava a perseguitarmi attraverso Ryuzaki.
Nei momenti peggiori, me ne vergogno, sono arrivata persino ad odiare quel povero bambino.
Quel bambino, che era l’unica cosa che mi teneva ancora incollata alla mia inutile e rassegnata esistenza.
Gli accarezzai la testolina, appoggiata sul cuscino del divano.
-Non è colpa tua, piccolo.
Mi sdraiai di fianco a lui, stringendolo tra le braccia, affondando il mio viso sul suo morbido petto.
Profumava.
Un delicato e dolce profumo che mi faceva dimenticare, per quei pochi attimi, solo il semplice fatto di essere viva.
Quando eravamo insieme, io non esistevo.
E neanche Ryuzaki, esisteva.
Esistevamo solo noi due.
Io, l’ho davvero amato, mio figlio.
E non solo per il semplice fatto che il suo aspetto mi riportasse alla memoria la figura di Light.
Anzi, forse quello era l’unico motivo che mi spingeva, nei momenti peggiori, a volermi allontanare da lui e dalla sua presenza.
Io l’ho amato, perché lui ha amato me.
Forse può sembrare un motivo troppo semplice, addirittura banale.
Ma è quello vero.
Vero, come il suo amore, che lui continuava imperterrito a sprecare, trasmettendolo a questa povera creatura dimenticata da Dio.
Un suo sorriso, anche il più piccolo dei gesti, era come una piccola scarica elettrica, che bastava a tenermi in vita molto di più , rispetto alle continue, riciclate, seppur sincere, parole che mi sorbivo ogni giorno da qualsiasi altro essere umano.
Appoggiai l’orecchio sul suo piccolo corpicino.
Sentivo il suo cuore.
Batteva.
Batteva forte.
Lui voleva vivere, non come il mio.
Anche se, dentro al mio torace rimbombava debolmente il suono del muscolo cardiaco, per me, quello non era altro che l’eco di una voce ormai morta e non resuscitabile.
 
Mi addormentai, credo.
Non molto.
Una o due ore.
E, quando mi svegliai, Ryuzaki era intento a giocherellare con una ciocca dei miei capelli.
Dalla finestra, i fiochi raggi solari andavano a riflettersi sulla sua folta chioma castana, che gli copriva, in parte, i riflessi color nocciola, che mi scrutavano attentamente, come se avessero vegliato su di me durante tutto il mio sonno.
-Ben svegliato, amore.
Balbettò un saluto, ed esibì il suo smagliante sorriso a quattro denti.
Mi massaggiai la testa, mettendomi a sedere, tentando di risvegliarmi completamente dal mio sonno.
-Lo zio ha ragione, sai? Non dobbiamo abbatterci così.
Mi infilai in un nanosecondo scarpe e cappotto, feci indossare una berretta di lana a Ryuzaki e poi lo presi in braccio, dirigendomi a passo deciso verso la porta.
 
Il vento, fuori, si era decisamente placato, e un timido solo veniva ogni tanto nascosto da qualche nuvola.
Nel tempo in cui rimaneva scoperto, scaldava debolmente l’aria fredda e pesante che stringeva il mio fragile fisico in una morsa di ferro.
Dopo mezz’ora di cammino, raggiunsi le porte del vecchio cimitero, che si espandeva sulle curve di una piccola collina.
Rimasi immobile, davanti al vecchio cancello arrugginito, mentre Ryuzaki puntava il dito, eccitato, verso la cima dell’altopiano.
-Pa…pa!
Gli presi la mano e gli risposi dolcemente.
-Si, amore…papà.
Ci incamminammo lentamente verso il silenzio di quel luogo sacro.
Un silenzio interrotto solo dallo scricchiolio della ghiaia che gemeva sotto le nostre scarpe.
I fiori sulla sua tomba erano appassiti, e mi venne spontaneo immedesimarmi in loro.
Svuotai il vaso, e solo in quel momento realizzai che non avevo portato neanche un piccolo rametto per sostituire il vecchio bouquet.
-Perdonami…
Ripulii anche la tomba di suo padre, che si trovava a pochi passi dalla sua sinistra.
Mi inginocchiai davanti alla lapide di Light, a capo chino, e con la mano sfiorai i caratteri incisi sulla fredda pietra.
Le lacrime sgorgarono nuovamente, gocciolando sulla nuda terra.
Non penso che i bambini così piccoli siano in grado di capire il significato della sofferenza, ma Ryuzaki doveva essersi accorto del mio dolore, in qualche maniera, perché subito mi ritrovai le sue braccia intorno alla mia vita.
Gli schioccai un bacio sulle guancie paffute e mi alzai, ripulendomi le ginocchia impolverate.
Il sole rosso stava lentamente scomparendo dietro le montagne all’orizzonte.
La sua luce opaca non dava dolore agli occhi, ed io rimasi ad osservare la maestosa palla infuocata, chiedendomi se Light avesse avuto modo di godersi il suo calore così intensamente, prima di esalare l’ultimo respiro.
Un anno prima, all’ospedale, la scena era identica.
“Chissà se lo stavi fissando anche tu, insieme a me.”
Lasciai il cimitero, promettendo a me stessa di tornarci il prima possibile.

Certo, ci sarei tornata di sicuro.

   
 
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