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Autore: Eastre    04/09/2011    4 recensioni
Per Sybil non fu difficile ritenersi sorpresi quando Hassan chiese il suo aiuto. Di solito i suoi clienti erano altri: persone senza scrupoli che per i loro affari erano pronti a richiedere i suoi servigi, parenti superisterici o mogliettine depresse. No, Sybil non era la classica principessa delle favole, bella quanto cattiva non si era mai immedesimata in quel ruolo. Ma purtroppo, si ritrovò a scoprire che la parte dell’eroina non era poi così male….bhe, si ritrovò a scoprire anche che risuscitare cadaveri per sfida o per soldi era molto più facile che portarsi dietro una mocciosa che prevede ogni tuo movimento, una ragazza superpignola che può ascoltare tutti i tuoi pensieri, un uomo che, a suo malgrado, ci sa fare con le armi, una rossa morta venti anni fa ed un idiota arrogante che ha intenzione di rovinare i tuoi piani (ri)ammazzando i morti che con tanto impegno eri riuscita a far riemergere dal fango e dai vermi.
Certo, si rischia più volte l’esaurimento nervoso (capitava spesso quando qualche mogliettina tornava dicendo che suo marito si era sgretolato la mano così diventando un mucchietto di polvere) ma alla fine ne varrà la pena....o no?
Genere: Guerra, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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prologo
in cui qualcuno è nei guai





I cavalli sbuffavano battendo nervosamente i piedi sul terreno arido e provocando nuvole di polvere giallastra.
Il cielo grigio era teso come l’atmosfera statica che regnava nella piazza.
Dalla moltitudine di persone raccolte a cerchio intorno a quello che in un tempo remoto era stato un palchetto per le decapitazioni fuoriusciva un brusio basso e perenne, come uno sciame di mosche nascoste che cercano di non farsi sentire.
Una vecchia raggrinzita sussurrava nell’orecchio di una giovane donna paffuta: << ho sentito dire che la situazione è piuttosto seria, servirà l’aiuto di…>>
Le sue parole morirono nell’aria, interrotte dal rumore grandi passi secchi che salivano le scale del patibolo con la stessa intensità del ticchettare di un orologio a pendolo. Si girò rossa in viso per l’imbarazzo, lisciando con foga le pieghe della gonna e posando le mani secche e rugose in grembo in un disperato tentativo di riacquistare la sua compostezza.
Nella piazza regnava un silenzio rigoroso, carico di ansia e rispetto. Si riusciva ad udire appena le delicate mani dell’uomo sul patibolo che sfogliavano sul leggio in marmo un vecchio pomo ingiallito, dalla copertina rossa.
Qualcuno nella folla tossì. Un neonato prese a piangere, i suoi lamenti infantili risuonavano come un eco laconico in quel silenzio carico di tensione.
Le iridi chiare dell’uomo scrutarono la folla radunata ai suoi piedi in un religioso silenzio, gli occhi verdi di un anziano lo supplicarono di dare una risposta a quel popolo in attesa.
<< signori >> iniziò chiudendo il pomo con un gesto secco, le pagine ingiallite sbuffarono polvere grigia.
<< cose brutte stanno accadendo in questi anni bui >>
Nella folla si levò un mormorio d’assenso,  tra le file vecchie raggrinzite annuirono serie, giovani forti e muscolosi fecero lo stesso con più decisione e bambini che stringevano le mani dei genitori presero a saettare la testa su e giù in un gesto euforico e continuo.
<< ombra e luce stanno morendo! >> esclamò con più foga aprendo le braccia muscolose << il libro di Helnwarta ammuffisce! La regina sta male! >> le mani si posarono bruscamente sul leggio ed il corpo si sporse in avanti << noi dobbiamo fare qualcosa! Dobbiamo salvare il nostro popolo dalla distruzione! >>
<< parole sante! >> urlò una donna dalla folla
<< interveniamo! >> l’appoggiò con veemenza una voce maschile.
<< l’unico modo per intervenire…>> l’uomo si ritrasse riprendendo la sua naturale compostezza, la sua voce era seria e grave, nel momento di recitare l’ultima speranza di quella gente << è cercare Sybil >>
Silenzio
Non era un silenzio d’assenso. Era un silenzio carico di indecisione e tensione, gli abitanti tra le file rimanevano col fiato sospeso, una donna recitava in silenzio il padre nostro mentre la figlia le tirava la gonna grigia sussurrando “mamma…chi è Sybil?...mamma!”
<< e che Dio ci aiuti >> finì l’uomo chiudendo gli occhi ed abbassando il capo
<< amen >> assentirono in un coro laconico i presenti.
 
 
 
 
 
La bambina guardò nella tazzina di ceramica che aveva fra le mani, poi alzò lo sguardo dorato sulla donna davanti a sé. Sembrava nervosa: si mordeva il labbro inferiore, le mani intrecciate sul tavolo venivano ripetutamente tormentate, le pupille vagavano nella piccola stanzetta come frecce scagliate in mille direzioni che non riuscivano a stare ferme.
<< allora? >> le dita della donna picchiettarono nervosamente sul legno del tavolo
Alice rigettò lo sguardo nella tazzina, la alzò portandosela davanti agli occhi, studiandola con attenzione. La riposò sul tavolo con un rumore secco.
Le iridi chiare della donna erano come lampi impazziti, le dita presero a tamburellare con più furia, quasi violentemente, producendo un rumore continuo e martellante, simile al ticchettare della pioggia sul vetro della finestra.
<< mhm…>> mormorò la bambina rifondando la nuca scura e riccioluta nella tazza, chiuse un occhio portandola ad un centimetro dal naso.
Silenzio.
Appoggiò violentemente la tazzina sul tavolo. La signora sobbalzò per quel rumore secco ed improvviso.
<< che c’è? >> chiese tremante
Alice scosse il capo desolata << non va bene >>
La donna trattenne il respiro portando una mano tremante alla bocca << vuol dire che….>>
Alice gli riservò un occhiata eloquente.
Silenzio.
La bionda fiondò le mani su quelle della ragazzina sporgendosi in aventi più che poteva << mi dica Madame >> sussurrò lentamente << morirò? >>
Alice scosse la testa. La donna si lasciò scappare un sospirò di sollievo rigettandosi sullo schienale della sedia, le mani si ritrassero lentamente. Palmi. Dita ed infine lasciarono la lieve prese sui polpastrelli per scivolare penzolanti ai lati della poltrona dov’era seduta.
<< allora cos’è? >> chiese in un misto d’esasperazione ed isteria.
<< mia cara Camille >> si rigirò la tazza fra le mani << nel suo futuro vedo una brutta delusione d’amore >>
La bionda si raddrizzò sullo schienale istintivamente guardandola con gli occhi spalancati, aprì la bocca scarlatta come per dire qualcosa ma l’unico rumore che si udì fu’ l’aprirsi di una porta ed un urlo adirato.
Avril era entrata nella stanza come un uragano, camminando in cerchio con le gote arrossate, gesticolando come una pazza mentre urlava: << di nuovo?! Di nuovo?! >>
La bionda e la bambina fissarono inebetite la giovane donna che farfugliava parole senza senso ed aveva preso a girare intorno al tavolo in cui erano sedute.
<< oh…>> Alice roteò le iridi dorate e si risistemò davanti alla donna << la ignori, continuiamo la nostra seduta >> sorrise << allora…dicevo che…>>
 
 
 
 
Là fuori c’era l’inferno.
Lo scrosciare della pioggia invadeva l’aria.
Le gocce picchiettavano impazzite sui ciottoli della strada. Rimbalzava sulle pietre arrotondate come un milioni di minuscole pulci.
Poi, qualcosa ruppe quel rumore continuo e ticchettante: il suono di zoccoli di un cavallo al trotto.
 
La figura incappucciata scese dall’equino color biscotto. I piedi atterrarono con un suono secco sulla strada, il lungo mantello scuro aderì sulle pietre, bagnandosi, subito colpito dalla pioggia.
In cavallo sbuffò sonoramente battendo gli zoccoli sui ciottoli bagnati.
Il proprietario si limitò ad alzare leggermente il capo sotto il cappuccio nero, che ricadeva con una morbida curva sulla testa.
Le labbra vermiglie si tirarono in un sorriso soddisfatto. Aveva fatto bene a non comprare uno di quei ridicoli mantelli con il cappuccio a punta.
Prese le redini umide dell’animale iniziando ad incamminarsi per il vialetto acciottolato della grande osteria di fronte a se.
Un boato intenso precedette la luce azzurrastra di un tuono alle sue spalle. Il cavallo si dimenò nitrendo e scuotendo il capo marrone avvolto dalle redini nere.
<< sarà una dura notte, amico mio >> sussurrò la figura lanciandogli un occhiata nascosta dall’oscurità creata dal cappuccio.
 
L’osteria era vuota. Un gracile uomo sulla cinquantina, seduto dietro la cassa in legno, ronfava con il capo buttato all’indietro, gli occhiali che stavano per cadergli sulla fronte e la bocca aperta da cui pendeva un rivolo di bava.
Le labbra vermiglie della figura di tirarono in una smorfia disgustata. I passi rieccheggiarono secchi e grandi nel silenzio della dimora, il mantello aderiva alle tegole in legno, come lo strascico di un vestito da sposa, umido come la bava che una lumaca è costretta a portarsi dietro.
Osservò l’ometto addormentato di fronte a se. Risucchiò con rumori nasali (e disgustosi) il rivolo di bava che minacciava di cadergli sui pantaloni scuri.
Il pugno del cliente batté leggermente sul tavolo, cercando di richiamare in modo educato l’attenzione dell’oste.
Niente.
L’uomo continuò beatamente a ronfare.
<< dannazione! >> imprecò, la voce un misto di ira ed esasperazione. Gli serviva una camera. Adesso.
Batté il pugno con tanta forza da far roteare il calice di vino posato all’estremità del tavolo.
L’uomo sobbalzò improvvisamente, mettendosi eretto sulla sedia.
Strizzò gli occhi verdi tentando di mettere a fuoco la figura sfocata di fronte a se. Socchiuse e chiuse la bocca, cercando di eliminare il sapore impastato che si era ammuffito sulla lingua. Le dita sottili rasparono sulla testa semicalva. Sbatté le palpebre lentamente, quasi come un bambino che cerca di ottenere un giocattolo con un irresistibile battito di ciglia, ma gli occhi dell’uomo non erano adorabili, bensì stanchi e socchiusi, come se non avesse dormito per giorni e si aggirasse per l’osteria come uno zombie.
<< gli occhiali >> sbottò esasperata la voce del cliente.
<< oh! >> gli occhi dell’ometto si spalancarono, la mano smise di raspare la testa e scivolò sulla fronte, rimettendosi con foga a posto gli occhialetti. La figura riacquistò la sua nitidezza, diventando un ombra avvolta in un mantello, con il viso celato dall’oscurità da cui trasparivano solo il mento latteo e le carnose labbra scarlatte.
<< vorrei una camera >> tagliò corto gettando bruscamente due monete d’oro sul mogano della cassa.
<< non c’è posto >> la liquidò l’uomo, tornando a stravaccarsi sulla sedia, pronto a dormire.
<< ho detto che voglio una camera >> ribadì sporgendosi verso l’oste con fare minaccioso.
<< mi dispiace, ma dovrà andare da un'altra parte >> farfugliò laconico, prendendo a grattarsi pigramente la testa calva.
Il cliente si ritrasse, alzò lentamente il volto, l’ombra che gli nascondeva il viso prese a ritirarsi con l’alzarsi del cappuccio, come un eclissi che a poco a poco svanisce liberando la luce della luna.  
Il volto dell’uomo divenne una maschera d’orrore e shock. La bocca fina e disidratata si aprì biascicando parole senza senso, che dovevano sembrare delle scuse. Degluttì sonoramente fermando i tremiti che gli invadevano il corpo, si aggiustò gli occhialetti e stentò un sorriso nervoso.
<< certo, una camera >> annuì con scatti convulsi << certo, certo,certo >> si chinò istericamente frugando in una cassa di legno e riemergendone con una chiave dorata. La consegnò con mano tremante in quelle del cliente
<< grazie >> sorrise quest’ultimo << non se ne pentirà >> 




ho deciso di spostare la storia nella sezione Sovrannaturale, perché, diciamocela tutta, non andava molto bene nel Fantasy XD
  
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