Dopo aver ravvivato il fuoco
e sfamato quell’insaziabile bovino Mabari, si sedette vicino al focolare per
scaldarsi dal freddo pungente che iniziava a farsi strada tra le sue ossa. Oh,
ma quella sarebbe stata l’ultima volta; era veramente stufo di quell’insulso e
imbarazzante giochetto dello schiavo elfo e la padrona eroina.
- Zevran, potresti lucidarmi l’armatura? - - Zevran, il mio segugio mi ha
lasciato un altro regalino davanti alla tenda… - - Zevran, mi fa male la
schiena, puoi farmi un massaggio? -
Era abituato ad assecondare i
capricci di una donna, più per lavoro che per piacere. Tuttavia, ciò che lo
mandava veramente in bestia,
era la sua totale mancanza di tatto nel chiedergli di rimanere a sorvegliare
l’accampamento in compagnia del suo puzzolente amico a quattro zampe.
- Magari già che ci sei fagli un
bagno, ok? -
Certo, e perché non un massaggino
shiatsu? Quel maledetto Mabari si dimenava peggio di un halla posseduto ed in
balia di convulsioni spastiche, e avrebbe giurato che avere i suoi canini
conficcati nella carne non fosse esattamente piacevole, viste le grida di
dolore lanciate dai nemici che si imbattevano nella sua furia.
Ah, per non parlare
dell’impensabile dettaglio del pugnale: - Zevran, puoi prestarmi il tuo pugnale
dei Corvi per la spedizione nelle Vie Profonde? – che alle sue orecchie
appuntite suonava più come un “Zevran, dammi il tuo pugnale dei Corvi per
andare a sgozzare con enfasi qualche prole oscura mentre tu resterai qui a
scaldarmi il letto e spulciare il mio bel cagnolone.”
- Come desideri – rispondeva
sempre, sorridendo. Del resto, come poteva rifiutare? Aveva giurato. E tutti
quei discorsi sull’onore e il rispetto non potevano certo essere mandati a quel
paese per colpa di un Custode Grigio perennemente mestruato e pieno di sé: i
Corvi di Antiva erano forgiati da questo, anni e anni di allenamento e
disciplina, pronti a colpire nell’ombra e a sacrificare la vita pur di
preservare la loro integrità d’animo.
Sospirò. A che serviva lamentarsi?
Si alzò, entrò nella tenda alle
sue spalle, si tolse gli spallacci e i rigidi stivali di cuoio e si coricò sul
suo spinoso e scricchiolante giaciglio. Chiuse gli occhi e si assopì appena,
prestando attenzione al minimo rumore proveniente dall’esterno. Dopo l’ultima
imboscata tesa dai prole oscura proprio nel loro accampamento, non si fidava
per nulla di quel maledetto Mabari ritardato.
Avvertì dei passi avvicinarsi, ma
non appena ebbe riconosciuto la tipica delicatezza da elefante di Oghren nello
spostarsi, si tranquillizzò. Erano tornati.
- Zevran? –
Ignorala.
- Zevran, dove sei? Oh sì, ciao
bel cucciolone.. – sentì il Mabari abbaiare felice. Stupido cane, come se lui
avesse fatto qualcosa per meritarsi tutte quelle coccole.
- Zev... oh – L’aveva trovato,
ovviamente. – non dirmi che stai dormendo, non ci credo! –
Ignorala.
- Avanti, finiscila –
Ignorala ignorala ignorala.
La avvertì sbuffare lievemente,
dopodiché la ragazza si affacciò dalla tenda ed augurò la buona notte ai
compagni d’avventure.
- Va bene, peggio per te – ribadì
lei, tornando a prestargli attenzione. Non poteva vederla girato com’era di
spalle, ma capì perfettamente che si stava spogliando dal rumore metallico
dell’armatura che veniva riposta con decisamente poca grazia nell’angolo della
tenda. Il profumo della sua pelle, liberato dalla prigione di quelle scaglie in
ferro, giunse fino a lui. Rabbrividì.
- Buona notte allora – gli
sussurrò, sdraiandosi accanto a lui e cingendolo discretamente con un braccio.
Zevran spostò lentamente lo
sguardo dal telo sudicio davanti a lui alla mano di lei appoggiata sul suo
ventre.
Oh, beh. Così non valeva però. La
strinse appena intrecciando le loro dita ed avvertì contro il collo
l’incresparsi delle sue labbra in un sorriso. La verità era che quell’insulso e
imbarazzante giochetto dello schiavo elfo e la padrona eroina incominciava a
piacergli.