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Autore: Ella_Sella_Lella    05/09/2011    2 recensioni
Perchè non possiamo sempre parlare solo dei buoni.
Le cose brutte nella vita accadono, anche quelle belle, ma scommetteteci tutto quello che avete in tasca, che siano spiccioli, gomme da masticare o l’anello di fidanzamento più costoso del mondo, ai mezzosangue capitano sempre e solamente cose brutte. Prima di tutte e bene che spieghi alle vostre menti, di fragili, ingenui e ciechi, sopratutto ciechi, mortali cosa siano i mezzosangue, sono semplicemente una razza di creature, una spanna più alta degli uomini, una spanna più bassa degli dei, sono il frutto dell’amore proibito tra questi, dei e umani, simili in vizi e pregi, diversi in potere. I mezzosangue sono gli eroi della mitologia Greca, o Romana o Tuscia, alla fine qualunque religione politeista arcaica studierai, comprenderai che esistevano questi fantomatici Eroi, a cui i fumettisti si sono ispirati per descrivere quei divertenti machoman in calza maglia, fico no?
Buona Lettura
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Luke Castellan, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Questi prossimi capitoli sono una trilogia, ambientata a Phoenix, il titolo mi è venuto in mente dalla ff Dalton, il più grande capolavoro che possa esistere On-line, che contiene la trilogia di New York (appena conclusasi).
In questo capitolo appare il mio personaggio preferito! *.*
Vorrei ringraziare piccolalettrice, Aly Chan, nedynaietta ed anche Effie Malcontenta Weasley (per aver letto ed espresso il tuo parere)
Bene,
buona lettura
baci baci
EsL




La storia mai detta di Mary Uknow




La trilogia di Phoenix: Effetto collaterale





Phoenix, Arizona, era un luogo davvero inutile dove andare, a mio parere, ma lì c’era una semidea che Luke aveva necessariamente bisogno di possedere nella sua coorte. Ergo c’eravamo diretti lì, quella volta spostandoci in treno, per mischiare il nostro olezzo a quel putridume di sudore e nefandezze dei mortali, cosa mai gli dei si fossero accorti della rivoluzione che stava avvenendo sotto i loro divini occhi, troppo impegnati a farsi guerra e veri scherzetti, per accorgersi che noi esistevamo. Ma non c’eravamo, o forse gli Dei avevano ragione a pensare che noi non esistevamo, perché tutti, non solo io, aveva cessato di esistere, si intende solo di esistere, ed avevamo cominciato a vivere. Quella rivoluzione, quell’avventura senza ne capo ne coda, che aveva dritta fermata solo alla morte, c’aveva fatto vivere veramente. Non solo me, la piccola “dolce” Mary Unknown, ma anche Luke, Jazz e tutti gli altri, che per non rovinarvi la sorpresa non vi dirò, forse l’unica che invece non ha cominciato a vivere quando accettò di imbarcarsi con noi in quella impresa suicida fu la ragazza di Seattle, non fraintende le mie parole non fu l’unica, pur troppo, a cambiare lato prima di morire o meno, ma fu quella che aprì gli occhi per prima, ma che poté trovare la pace solo con la redenzione. Morì dopo di me, ma fu contenta come me di averlo fatto per qualcuno e soprattutto per qualcosa in cui credeva ed i Titani non lo erano, era stato l’amore che l’aveva portata a quella scelta sbagliata ed un altro tipo di amore a salvarla. Quello vero.


“Zotico Joe, mi stava dicendo che lei vive qui” mi stava illustrando spicciamente Luke, dopo che arrivammo nella terra del sole, “Ho fame” risposi solamente io, secca, massaggiandomi la pancia, che non toccava cibo da abbastanza tempo, chiedendomi come potesse l’elfo formato gigante non avvertire l’impellente desiderio di mangiare. Luke mi guardò alzando una delle due arcuate sopraciglia pallide, “Sei seria?” mi chiese, mentre un moto di ilarità premeva per uscire dalle sue labbra, “Già. Potrebbe sconvolgerti ma ho fame” risposi, il che non mi sembrava una cosa così assurda che un essere umano, semidivino o meno, avesse fame dopo due giorni di digiuno, No? Luke si lasciò scappare un risolino divertito, che non mi seppi proprio spiegare, e poi tornò la solita maschera di ghiaccio organizza complotti, con la capacità di persuaderti a fare qualunque cosa lui volesse, “Dobbiamo fare una cosa importantissima, Mary” ci tenne a precisare, con un estrema serietà. Io lo guardai confusa, veramente confusa, chiedendomi se davvero non capisse il mio umano, o quel che era, bisogno di nutrimento? Così cominciai: “Luke, quanto seria può essere la nostra missione e non metto in dubbio in alcun modo la sua importanza, dubito che potrò aiutarti nella forma di un corpo morto, perché divorata dai morsi della fame” aggrottai gli occhi e lo fissai, con un intensità con cui non avevo mai guardato nessuno. Quella fu la prima volta che plagiai una mente, che indussi qualcuno a fare qualcosa che io volevo e che la persona stessa non avrebbe mai fatto. Avevo caricato in quello sguardo una concentrazione che non aveva mai usato, neanche per leggere le tracce dei compiti in classe di letteratura, io volevo che Luke facesse quello che io gli stavo ordinando, perché nella mia testa era un ordine ed il biondo, l’aveva, poi, eseguito senza batter ciglio.


Allora mentre seduti su una di quelle vecchie panchine verdi, eravamo intenti a consumare i nostri panini per pranzo, Luke aveva ripreso il controllo del suo corpo; “Che è successo?” mi chiese alquanto confuso, guardando senza un ordine preciso, prima me, poi i panini, poi l’ambiente, poi di nuovo me, “Io volevo che tu facessi una cosa. E tu l’hai fatto” risposi spiccia, prima di capire bene anche io quello che era successo. Il figlio di Ermes mi aveva guardato con i suoi meravigliosi occhi blu come se fossi stata qualche strana creatura che non immaginabile ne nella mitologia ne nella fantasia, non so esattamente. “Che c’è?” chiesi, prima di vedere il malizioso sorriso in cui le labbra di Luke si erano curvate, “Hai plaggiato la mia mente” disse secco, annui, “Mi hai illuso. Mi hai ingannato. Mi hai fatto compiere un’azione contro la mia volontà. Mi hai indotto in errore” aggiunse poi, velocemente, mentre vedevo nei suoi occhi scintillare qualcosa. Lo guardai confusa, chiedendomi dove mai volesse arrivare, poi dissi: “Penso sia una cosa comune da tutti figli di Ate” con tranquillità, non mi sembrava così strano, non l’avevo mai fatto prima, questo era vero, ma mi era venuto molto, molto naturale. Luke sorrise soddisfatto, “L’avevi mai fatto prima?” mi chiese, con un tono misto tra il malizioso ed il curioso, feci cenno di no con il capo ed il ragazzo sorrise sornione, “Stanno sbocciando i tuoi poteri, Mary” mi rivelò con totale sicurezza, io lo guardai circospetta, poi mi resi conto che era vero. Mi lanciai su Luke stritolandolo in un abbraccio, non saprei dirvi neanche perché, ma la gioia di aver preso coscienza di avere un potere tanto grande, capace di manipolare le menti, tra cui quella di Luke, che era senza alcun dubbio il più intelligente ragazzo che avessi mai conosciuto, “Bene, ora staccati che abbiamo una missione” mi ammonì il biondo, scostandomi con freddezza, annui, con un sorriso ancora scintillante sul mio volto.


La nostra missione aveva a che fare con incontrare un lestrigone di nome Zotico Joe, non era un bel tipetto, anzi era grosso come un armadio a tre ante ed aveva uno sguardo molto famelico, come se mi volesse mangiare, il che non mi avrebbe stupito visto che i Lestrigoni erano da secoli antropofagi, ma Luke mi aveva assicurato che nessuno sarebbe stato mangiato. Ma io non ne ero troppo certa. ZJ che era arrivato a Phoenix molto prima di noi per cercare la mezzosangue senza cui il piano di Luke, non avrebbe avuto successo, “Quindi l’hai trovata?” chiese l’elfo dopo mezzora che avevamo ascoltato il gigante cannibale parlottare da solo, su un problema che era insorto, “Si …” disse Zotico Joe con sicurezza, “… Forse” aggiunse a bassa voce poi, insicuro e faceva un certo effetto vedere un uomo grande e grosso insicuro davanti a me e Luke. Il figlio di Ermes lo guardò spazientito, aveva le mani incrociate ed appiccicate sul petto muscoloso, “Cosa significa: Forse?” chiese senza cambiare di un minimo la mimica facciale, “Che in tutta Phoenix ci sono due forti odori di semidea. Non so qual è quella giusta” di difese il cannibale, alzando le mani in segno di una qualche resa che nessuno gli aveva chiesto. L’elfo formato maxi, si schiaffeggiò la mano sugli occhi, in un segno di totale demoralizzazione, gli battei due o tre volte il palmo sulla spalla, in segno di conforto; Il biondo prese un bel respiro e decise di ritornare il malefico abbindolatore di sempre, “Quindi il problema è solo questo?” domandò comunque, il mostro dalle fattezze umanoidi annui. Alla fine decidemmo saggiamente di vedere quale effettivamente delle due fosse la mezzosangue che necessitava Luke per la sua missione; “Spiegami comunque come sai chi cercare?” domandai al malefico elfo, anche per sapere come aveva trovato me, “Kenny” rispose solamente lui, “Kenny?” domandai, non reputandola davvero una risposta, “Kenneth James” ribatté lui, ancora una volta pragmatico, “Chiaro e limpido come una fogna” risposi sarcastico, Luke mi guardò con un sorriso arcigno, poi disse: “L’Indovino”, “Ora è veramente tutto chiaro” enunciai sarcastica, rimediandoci un buffetto.


La prima candidata per essere la semidea indicata da Kenny, abitava in un quartiere residenziale con le casette alte due piani, con tanto di garage, ed un giardinetto davanti. Come tutte le altre case aveva un ingresso per l’auto che dava proprio sul garage, nel quale proprio in quel momento si era sostato un enorme Suv nero, ma non era entrato nell’abitacolo apposito per auto, da questo era scesa di fretta e furia una donna, la cui bellezza aveva già cominciato a sfiorire, alta con i muscoli sulle braccia e le spalle larghe, indossava una giacca pesante e dei pantaloni mimetici di una tonalità blu, i capelli erano rossi e raccolti in una crocchia disfatta, riportava in casa diversi sacchetti da pranzo. Più che una mezzosangue a me ricordava una Mamma Soldato in licenza, insomma la versione femminile del padre di quella che per anni era stata la mia amica Melina. Luke fissò la donna, aveva qualcosa di famigliare per lui, che non riusciva a capire, ma che avrebbe fatto molto, forse troppo, presto, “E lei?” chiese, voltandosi verso Zotico Joe, “No, è la madre” aveva risposto il mangiatore di uomini, Luke annui, ma mi parve diventare ancora più serio, e come dargli torto? Anche se allora non capivo. La donna si era diretta alla porta ed aveva posato le buste della spesa ai piedi di essa ed aveva cominciato a frugare nelle tasche dei pantaloni alla ricerca delle chiavi di casa, probabilmente, ma quando si era resa conto che non le aveva con se, si era limitata a suonare il campanello. Noi c’eravamo avvicinati quatti cercando di non dare nell’occhio, come se uno strafigo che sembrava un elfo, una minuta ragazzina che indossava gli stessi abiti da tre giorni ed un energumeno antropofago sarebbero mai potuti passare inosservati. La donna parlava attraverso la porta con qualcuno, non parlava in Inglese ma in francese, in modo fluente come fosse una donna francese che viveva ancora nella terra delle baguette, e l’altra voce, anch’essa femminile, rispondeva in un perfetto francese, credo. Insomma chi aveva mai studiato francese? Sapevo a stento presentarmi in spagnolo e vivevo a Roma, due passi dal Messico e buona parte dei miei amici erano spagnoli, e su via, una dislessica che sapeva a stento la sua lingua (ma conosceva divinamente il Greco) poteva mai sapere una lingua inutile come il francese?


Ad un trattò, l’uscio si era aperto, lasciando a noi la vista di una ragazza: aveva i capelli castano scuro, lunghi e filamentosi, la parte superiore era coperta da una bandana rosso sangue, su cui era impressa l’immagine di un teschio,gli occhi erano porcini e scuri, il volto duro e severo, di chi non ti dava l’intenzione di scherzare, non era grassa, ma neanche magra, diciamo che tutta la massa che aveva sul corpo erano muscoli, indossava una maglia a maniche corte nera, che rappresentava qualche gruppo indi Rock di cui ignoravo l’esistenza, dei Jeans stretti a sigaretta, grigio scuro, strappati alle ginocchia, una cintura borchiata a cui erano appese varie catenine ed infine delle vecchie scarpe da ginnastica, logore. Mi sembrò in quel momento più grande di me, in verità scoprì poi che aveva addirittura un anno di meno. Quella, signori miei, era Clarisse La Rue, la più forte figlia di Ares che potesse esistere sulla terra di mezzo e sarebbe diventata con il tempo la causa di gran parte delle mie invidie e perché vi chiederete, giustamente? Non sembrerebbe dalla mia descrizione una gran bellezza, non lo era in effetti, era carina, aveva qualcosa di speciale, ma nessuna persona sana di mente l’avrebbe ritenuta bella da mozzare il fiato, il che adesso da morta mi fa maggiormente ridere, perché Lui dopo il labirinto non è stato esattamente sano di mente, il punto la giustificazione per il prima, che mi manca.


“Non è lei” enunciò Luke, afferrandomi per il polso, con una stretta salda e preoccupata, “Come lo sai?” chiesi guardandolo preoccupata, “Kenny ha detto che era una figlia del destino. Quella è Clarisse, figlia di Ares. Vive al campo durante le vacanze, capo casa della baracca 5 e soprattutto fedele a suo padre, fino alla morte” rispose l’elfo eccessivamente alto, scostandosi in dietro, quando aveva visto la bruna uscire dalla porta e lasciare entrare la madre; Non dovevamo farci vedere, l’avevo capito. “Andiamo via” ordinò il biondo, con fermezza, senza smettere di tenere la mia mano, “Prima che La Rue, ci veda” aggiunse, prima di rifugiarsi dietro i cassonetti ai lati della strada, con il mio polso stretto nella sua mano, mentre l’altra mano era ben piantata a terra, visto la posizione in cui eravamo, io con le ginocchia puntate sull’asfalto, lui sulle punte delle sue scarpe da ginnastica e ZJ neanche lo sapevo. Quando fummo certi che la porta fosse chiusa e che Clarisse fosse rientrata, decidemmo di allontanarci in fretta, ma Clarisse, che a differenza di me aveva ottimi riflessi, si era accorta che c’era qualcosa nell’aria di diverso, ma non aveva indagato, ma non so il perché.


Dopo esserci abbastanza allontanati, Luke ordinò al cannibale di portarci dall’altra semidea. Ci stavamo dirigendo dalla figlia del Destino, ma io ero più curiosa nel sapere come fosse possibile che una semidea fosse figlia del destino, così di fatti lo chiesi a Luke, “Sarà una figlia di Moros” aveva risposto, per una volta. Non gli chiesi nient’altro, anche perché la mia attenzione fu catturata da una presenza: era una bambina, di dieci anni od anche meno, aveva i capelli biondi e lunghi, erano sporchi, oleosi ed appiccicati sul volto, la pelle era olivastra, gli occhi erano stanchi ed affannati, come di chi avesse corso fino ad ora e non fosse riuscita ad arrivare alla meta, esprimeva la stanchezza di chi era stufa di voler tentare sempre qualcosa a cui non sarebbe mai arrivata, sebbene fosse giovane il suo volto sembrava rugoso, gli occhi blu erano anche lucidi, pieni di lacrime che sgorgavano. Mi sembrò opalescente, mi voltai verso Luke, “L’hai vista la bambina?”domandai, indicando nella direzione della bambina, “Quale?” mi domandò il ragazzo, voltai gli occhi nella direzione chiedendoli se fosse diventato cieco, ma la bambina non c’era più. Mi voltai per la strada cercandola, ma sembrava veramente svanita, non era da nessuna parte, “Non lo so” risposi, chiedendomi se la mai capacità di creare illusione avesse forviato anche me, senza saperlo avevo capito, anche se non ne ero a conoscenza, uno degli effetti del mio difetto fatale, ma non fu a causa di quello che vidi l’opalescente bambina. Non potevo immaginare quante volte avrei incontrato le donne opalescenti.
   
 
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