Prima del Viaggio
Primo racconto della battuta finale della prima serie di racconti. Ve ne ho fatte legere di tutti i colori, ma fondamentalmente ho toccato solo un argomento e ho presentato il mio disagio nei suoi lati più perversi. Un filo conduttore ha fino ad ora tenuto insieme racconti diversi come “Farewell” e “Ho sognato di distruggerti”. Un nesso logico c’è sempre stato e immagino che l’avrete individuato nell’amore. Dichiaro di non poterlo confermare. Tuttavia chi prende in mano le redini della propria vita deve fare lo stesso con quelle della sua arte. Ecco quindi che mi appresto a concludere questo periodo creativo, all’insegna del dubbio e dell’illusione, il quale ha risentito di molte novità. Spero che vi siate goduti questi miei 4-5 mesi di vita umana e artistica quanto me li sono goduti io. Non ho la pretesa di avervi fornito capolavori, ma mi sembra opportuno credere di avervi mostrato tante fotografie della mia anima, nel dolore, nela gioia, nell’amore.
Grazie a chi mi ha seguito con entusiasmo, e grazie in
particolare ad una poetessa, alla quale dedico tutto quello che scriverò da ora
in poi. Se questa serie è stata l’atterraggio del mio aereo ad una
consapevolezza, nella prossima prenderò il mio bagaglio e comincerò a visitare
la città.
Grazie mille amici.
“ Prima del viaggio sono sollevato e scaraventato al suolo dalla più sublime delle attese…
… Illuso e prudente ti guardo distante..”
-Invader-
Spesso mi ero chiesto come sarebbe stata l’ultima frontiera,
che aspetto avesse avuto. Ma soprattutto mi ero interrogato riguardo allo stato
d’animo con il quale mi sarei presentato al suo cospetto. Adesso che avrei
dovuto saperlo, o comunque intravedere la risposta tra l’orizzonte e l’immensa
pianura che mi si apriva sotto gli occhi, non ero più così sicuro che il
passaggio dell’ultima dogana sarebe stato cosciente e nettamente distinto da
tutti gli altri valichi che avevo affrontato in precedenza. Sarebbe stato come
passare attraverso un cerchio azzurro sott’acqua, ne avrei percepito la presenza,
ma si sarebbe confuso col riflesso azzurro sole dell’acqua, e solo nel caso lo
avessi urtato mi sarei reso pienamente conto della sua presenza e del suo
ruolo.
Infondo, l’unico dato di rilevante importanza era l’ora di
partenza dell’ultimo viaggio, scritta a caratteri rossi e leggermente squadrati
sull’agenda dell’anima.
Mi fermai sulla porta del salotto. L’arredamento di quella
stanza mi era sempre piaciuto: tra i tanti mobili e i divani, spiccava un
divano ad angolo di pelle bianca, molto ampio e comodo. Ricordai di possedere
una foto risalente a qualche anno prima, nella quale siedevo con aria vagamente
aristocratica, vestito di rosso. Mi tornò in mente il modo in cui mi colpì
quella fotografia, quella maledizione rossa seduta su quel cumulo di neve comoda
metteva quasi a disagio lo spettatore. Sembrava sangue che gentilmente
sgorgando da ferite trascurate si faceva strada nel manto nevoso di un
giardino. Provai invidia nei confronti del ragazzo che sedeva con
quell’espressione beata e rilassata, quel sorriso privo di qualsiasi
soddisfazione comunicava anche ad un occhio poco attento un’enorme senso di
riposo e serenità, ma la sua posizione leggermente distesa tradiva l’ombra che
andava insinuandosi, la novità che lo stava per sventrare senza incontrare la
minima resistenza. Mi sfiorò l’idea di sedermi nuovamente, per sostituire a
quel sereno demonio rosso un agitatissimo poeta nero; tuttavia decisi di
desistere.
La porta finestra era leggermente aperta, quanto bastava per
far entrare un tardo pomeriggio di marzo nelle stanze contigue. Avevo le mani
gelide, strinsi i pugni per godere appieno di quel riflesso congelato ma
estremamente vivo.
In un momento come quello, poteva sopraggiungere solo la tua
immagine, ancora confusa.
Solo lei sarebbe stata capace di cogliermi sul punto di
partire, perché era solo lei che stavo cercando di raggiungere, testare,
verificare ed infine debellare con tutte le mie forze. Ma non sarebbe stata
guerra, si sarebbe trattato di legittima difesa nei cofnronti della bellezza che
mi avrebbe aggredito carica di superbia. Non sarebbe stata sola, con lei sis
arebbero alleati il peso della quotidianità, l’altrui bellezza e l’abitudine a
non essere soddisfatti, solo sicuri, in pace e capaci di concentrarsi.
Sorrisi con una serenità che mi sorprese. La sorpresa
scomparve non appena mi resi conto che quello era senza alcun dubbio il sorriso
del condannato a morte al quale viene concessa l’ultima sigaretta prima
dell’esecuzione. Ne inspira anche il filtro poiché è sicuro che dopo quella non
ne verranno di nuove e più gustose, né di più nocive e cancerogene. Potrà così
concedersi l’ebbrezza del male, del
filtro di tutta la sporcizia, nutrendo la vana speranza che ne escano vapori al
cianuro. Morirà col sorriso di chi ha stretto la mano al diavolo e gli ha fatto
i più sentiti complimenti per il suo operato. Ti avrei esalato un’ultima volta,
prima di deragliare.
Il giardino non mi soddisfaceva, bello, plastico, ma non
abbastanza ampio ed aperto da farmi scorgere un cielo come si deve.
Non appena il mio naso fu fuori dalla porta fui
letteralmente invaso dall’odore inconfodibile del mio quartiere, un angolo di
paradiso nella giudecca. Intravedevo le malebolge ovunque guardassi. Come
stelle incendiate respiravano affannate, lanciando grida disperate di eterna
sofferenza. La gioia di chi ha vissuto una vita degna di questo nome.
“… Ho notato che non usi più un interlocutore generico
quando parli d’amore…”
- Gal -
Quando si diventa capaci di stare ore a fissare la propria
anima senza emettere suono alcuno e senza rivolgerle la parola, si diventa
capaci di mentirle, poiché le si toglie la memoria della nostra voce e dei
nostri occhi che un tempo erano smepre sinceri. È come rubare la carta
geografica ad un esploratore: potrebbe essere capace di tracciarla nuovamente,
ma ne ha la voglia?
Io e la mia anima eravamo forse nel nostro periodo più
silenzioso e privo di confronto quando si veniva a presentare il grande
destabilizzatore.
Io non avevo la minima voglia di lasciarlo entrare
impunemente, ero intenzionato a fargli pagare molto caro il suo ardire, avrebbe
dovuto meritarsi la mia obbedienza. Di fatto, gli ero già fedele.
La mia anima si ostinava al silenzio, fermamente decisa a
non aiutarmi, strenuamente indifferente alla mia sorte che non avrebbe condizionato
più la sua.
Camminavo con la vista annebbiata in un prato troppo
rigoglioso e dai fiori troppo belli, con un tramonto troppo insanguinato, quasi
capace di suscitare l’invidia dell’alba, la quale notoriamente si ritiene di
gran lunga superiore a tutti i momenti della giornata senza averli mai visti.
Accanto a me una poetessa e la mia anima che mi teneva per
mano. Pioggia gemmea e preziosa imperlava tutto. Una visione di atroce
malvagità, nella quale gli uccellini dall’alto della loro bellezza cinguettavano
il Trillo del Diavolo, l’unica testimonianza del connubio tra uomo e demonio.
D’improvviso l’anima mi strattonava e mi indicava due figure che si facevano
vicine. La vista annebbiata non me ne lasciava intravedere il volto.
“ Li vedi?!” mi urlava l’anima indemoniata, liberandosi di
me e fluttuando verso uno di loro.
Si librava nell’aria e restava in piedi davanti a lui.
L’altro spariva ucciso forse da un aulico verso della poetessa.
“ Hai visto cosa hai combinato?” mi gridava poi la mia
proiezione mentre osservava atterrita il volto del sopravvissuto.
“ No, non lo vedo.. cosa posso fare?” rispondevo
ingozzandomi di lacrime. Mi accasciavo al suolo col preciso intento di farmi
compatire.
Veniva vicina. Portava il ragazzo con sé. Ricordo i suoi
artigli e i suoi occhi che inniettavano sangue nella più candida delle anime
mentre mi sventolava sotto il naso quel volto annebbiato. Non lo vedevo.
“ NON VUOI GUARDARLO PERCHé HAI PAURA DI VEDERLO!” tuonava
poi tagliandomi di netto la carotide. Prima di svegliarmi, ricordavo che il
sangue aveva reso visibile quel volto. Ancora però non riusicvo ad attribuirlo.
Per molto attribuii quella tempesta ad una persona che
ancora non avevo mai incontrato in vita mia e che sarebbe venuta da me in tempi
piuttosto brevi.
Altri avvenimenti mi fecero comprendere che il volto del
sogno poteva appartenere solo a persone da me conosciute, forse troppo e forse
troppo poco.
Non avevo voglia di dormire, ma pensai di salire in camera
mia.
Il bagaglio era pronto nella valigia e nel cuore. Non mi
sarebbe servito molto. Avrei solo dovuto riappacificarmi con la mi anima e
riprendere una serio dialogo con quell’amica offesa. Ma per questo ci sarebbe
stato tutto il tempo di questo mondo.
Uscii in terrazza. Due nuvole si combattevano per assicurarsi
la supremazia del tramonto, mentre il cielo riluceva di rosso, il vento mi
scompigliava l’ultimo ciuffo ribelle, e mi godevo pienamente tutta la mia
bellezza in quella fatidica vigilia.