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Autore: secretdiary    05/09/2011    1 recensioni
Questa storia si è classificata seconda al contest Ascolta la mia voce indetta dal forum 'Angeli & Demoni'.
La storia narra il destino della prima sirena, come il suo fisico è mutato, e ciò che prova riguardo la sua nuova natura.
Non più donna, non già pesce.
Spero che vi piaccia!
Bisous *-*
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola annotazione prima di iniziare:
Cari lettori, innanzitutto vi ringrazio per aver aperto questa storia e per aver scelto di spendere un po' del vostro tempo per leggerla.
Vi rubo solo un paio di righe prima di lasciarvi al racconto: è finalmente uscito il mio primo romanzo.
Ora, finalmente, sono un'autrice pubblicata.
Se amate le storie fantasy, nel campo destinato al mio profilo, trovate tutte le informazioni relative al romanzo.

Grazie per l'attenzione ;)
Buona lettura!!
Bisous *-*


Il fiore più bello appartiene agli abissi

L'Oceano era furente, le acque implacabili si agitavano, unendosi, fondendosi per poi separarsi schiantandosi con violenza sugli scogli della costa.

Era come se il Mare volesse ingurgitare la Terra.

Come se gli artigli d'acqua volessero aggrapparsi alla sabbia, perforandola, squarciandola.

L'Oceano voleva possedere la Terra.

Seiræ era seduta su uno scoglio piatto.

Il vento che sembrava essersi unito alla furia del Mare le si avventava addosso, stringendola per un istante nel suo abbraccio gelido, un abbraccio infingardo, un abbraccio il cui contatto bruciava come il ghiaccio.

Seiræ avvertì il gelo penetrarle nella pelle, rendendo inutile la funzione dello scialle candido che le copriva le spalle.

La fanciulla fissava l'orizzonte che si confondeva con il cielo.

Suo padre sarebbe dovuto tornare diverso tempo prima.

Ella si umettò le labbra screpolate dalle folate simili a dardi.

«Hai la voce di una ninfa, fiorellino mio.

Ogni volta che canterai, ti sentirò e tornerò da te» le aveva detto il pescatore una volta.

Seiræ chiuse gli occhi.

Le labbra dischiuse e le corde vocali diedero inizio alla loro danza.

Ella sapeva che suo padre, smarrito nell'immensità dell'Oceano, non poteva udirla veramente, ma forse il suo cuore avrebbe potuto sentire la sua voce.

Seiræ cantò una melodia tipica della sua gente, tipica di coloro che dovevano la loro vita al Mare, che vivevano accanto al Mare.

Le note davano vita alle parole che venivano disperse dal vento.

Era come se le folate soffiate dal dio Eolo volessero competere con la sua voce.

I polmoni del vento contro quelli dell'umana.

Uno scherno divino per impedirle di raggiungere suo padre.

Una beffa degli dei.

Tale consapevolezza non abbandonò Seiræ.

Ella sapeva perfettamente cosa aveva sfidato l'orgoglio del pantheon, cosa aveva scatenato l'ira degli dei.

Poseidone la desiderava, ma lei non gli si era concessa.

Aveva rifiutato il dio del Mare.

Egli si era infuriato.

Non avrebbe perdonato la sua mancata sottomissione.

Da dieci albe il ruggito del Mare era il sottofondo musicale della vita del villaggio.

Nessun pescatore aveva osato salpare dal porto poiché il rischio di non tornare dall'Oceano era alto.

Solo il padre di Seiræ non volle cessare di lavorare.

La pesca era la sola fonte di sostentamento della sua famiglia.

Sua moglie e i suoi sette figli avevano bisogno del suo lavoro per sopravvivere.

Sfidando la sorte, sfidando gli dei, egli si era messo in Mare.

Nonostante l'aria glaciale, il volto di Seiræ venne solcato da calde lacrime.

Più il tempo trascorreva e più la terribile sensazione che inizialmente era semplicemente un seme, crebbe, fiorì, divenendo pianta.

Seiræ credeva che suo padre fosse morto, fagocitato dalle onde, mosse dal loro dio.

Eppure ella non poteva cessare di sperare, doveva credere che l'uomo che le aveva donato la vita, non fosse stato sommerso dalle acque.

Non sarebbe riuscita a convivere con il senso di colpa.

Sarebbe stata oppressa dal peso della morte del pescatore.

I suoi occhi percepirono qualcosa all'orizzonte.

Era come un'immane onda, uno tsunami che a velocità innaturale galoppava verso la costa.

Seiræ rimase immobile sullo scoglio: la paura non faceva parte di lei.

Quando l'onda fu abbastanza vicina, la fanciulla riconobbe la forma di un drago d'acqua che strisciava sulla superficie.

La creatura era dominata da un essere dalla fisiologia umana, anche se Seiræ sapeva che non v'era nulla di umano in lui.

Poseidone la raggiunse, fissandola con occhi colmi di cupidigia, di lussuria.

Egli la bramava, agognava possederla, farla sua.

La bellezza e il candore di Seiræ lo rendevano folle di passione, di desiderio.

Il suo rifiuto lo rendevano furioso, iroso.

Come osava una comune mortale rifiutarlo?

Ebbene, egli aveva deciso: lei avrebbe scelto lui, o la dannazione eterna.

Seiræ sarebbe stata sua, o lui l'avrebbe distrutta.

La giovane non abbassò il capo alla vista della divinità.

Ella non vedeva alcuna ragione che la convincesse della sua inferiorità.

Non apparteneva alla famiglia di Zeus, ma il suo cuore nulla aveva da invidiare a quello di Poseidone.

Seiræ era convinta che i suoi valori fossero ben più nobili rispetto a ciò che muoveva il dio del Mare.

Non poteva abbassare lo sguardo davanti ad una creatura così egoista e capricciosa.

Il dio fissò la fanciulla con un ghigno.

Egli era convinto che avrebbe ceduto e che l'avrebbe implorato di perdonarla per la sua arroganza.

«Mortale, ti ho offerto l'onore di compiacermi, ma tu hai rifiutato.

Guarda cosa hai scatenato» esclamò allargando le braccia in gesto eloquente per manifestare la veridicità delle sue parole.

Dopo pochi istanti, egli mostrò ciò che anelava di rivelare da quando era giunto sulla costa.

Con un plateale gesto della mano, fece comparire innanzi a sé un corpo senza vita.

Gonfio e dall'incarnato bluastro, tendente al viola.

L'espressione dipinta sul volto esanime era una maschera di puro terrore, orrore.

Sembrava ch'egli prima di esalare il suo ultimo respiro, avesse visto la creatura più terrificante mai generata.

Seiræ corse dal corpo, cingendolo tra le sue braccia madreperlacee.

Un grido di dolore si sostituì alla malinconica canzone dedicata al Mare.

Il padre, il pescatore, era morto per causa sua.

Seiræ fissò Poseidone negli occhi, il suo sguardo era colmo d'odio, velato di tristezza.

Il dio rise.

«Hai permesso ch'egli morisse per un tuo capriccio» affermò tronfio.

Ora la fanciulla era in suo pugno.

Si sarebbe sottomessa e l'avrebbe amato, com'era giusto che fosse.

Il libero arbitro fornito agli esseri umani dagli stessi dei si rivolse loro contro in quell'occasione.

Seiræ non avrebbe mai ceduto.

Non avrebbe cessato di mantenere intatti il suo onore e la sua dignità.

Il senso di colpa l'avrebbe oppressa in eterno, schiacciandola al suolo, ma Seiræ non avrebbe dimenticato il sacrificio di suo padre.

Egli era morto perché lei si era rifiutata di sottomettersi ad un dio vanaglorioso, che mai nulla aveva fatto per aiutare i pescatori, mai nulla aveva fatto per sfamarli.

E dunque perché lei doveva venerarlo?

Perché doveva amarlo se egli non aveva fatto nulla per farsi amare?

La forza, la vera forza, risiedeva negli uomini.

Lo sguardo lascivo di Poseidone accarezzò le sue forme.

Il dio avanzò di un passo verso la fanciulla.

Ella trasse un respiro profondo.

Non doveva cedere.

Gli sputò in volto.

Avrebbe pagato il suo gesto, lo sapeva bene, ma avrebbe resistito.

Il dio del Mare si pulì la saliva dal viso.

Esso era una maschera d'odio.

«La pagherai» mormorò.

Indietreggiò allargando le braccia.

La sua ira stava manifestandosi; avrebbe colpito quell'ostinata mortale.

Seiræ si trovò circondata da un turbinio, come se fosse nell'occhio di un ciclone d'acqua.

Esso vorticò sempre con maggiore velocità, impedendole la vista persino del cielo.

Il moto accelerato, così claustrofobico, così frenetico, privò il suo corpo di ossigeno.

Le mani di Seiræ corsero al petto, al collo, nello sciocco tentativo di permettere la respirazione.

Dei rantoli gutturali fuoriuscirono dalla sua bocca; i suoi polmoni bramavano ossigeno, ma tutto ciò che riuscivano a percepire era una sostanza ardente come il fuoco.

La vista cominciò ad abbandonare gli occhi color oceano di Seiræ.

La poca luce cominciò ad affievolirsi.

Le forze si stavano esaurendo.

Morirò” fu l'ultimo pensiero della fanciulla prima di accasciarsi al suolo.

Prima di venire trasportata in un abisso profondo, un abisso di eterna oscurità.

 

Seiræ rimirò il suo aspetto su una superficie riflettente.

Era sempre il suo volto.

Era sempre bellissima.

La perfezione dei suoi tratti era rimasta intatta.

Nulla era stato mutato in quel viso che aveva condotto alla pazzia un dio, eppure lo sguardo era diverso, come se appartenesse ad un'altra persona.

La luminosa gioia l'aveva abbandonato.

La radiosa freschezza, la splendente vitalità erano scomparse per sempre.

Dimenticate sulla spiaggia quel maledetto giorno di tanti lustri fa.

Da quante lune ella era stata punita?

Gli abissi non mutavano mai, costringevano Seiræ ad esistere in un limbo senza tempo.

Un limbo sterminato, quasi infinito, sempre, perpetuamente costante.

La mano diafana di Seiræ sfiorò la sua guancia levigata.

Non era invecchiata.

Non mostrava alcun segno del tempo trascorso.

Era la sua maledizione.

La sua bellezza non sarebbe mai appassita.

Era costretta ad un'eternità di costante fioritura.

Era solo un ornamento, un vanto per l'Oceano.

Poseidone non aveva potuto possederla, ma era riuscito comunque a farla sua, a legarla per sempre a sé.

Le mani della creatura maledetta caddero su quelle che un tempo erano le sue gambe.

Ora solo squame dure e lucenti come diamanti la accolsero.

Cos'era diventata?

Un mostro.

Una creatura dal busto umano, dagli arti di un pesce.

Squame e pinne che coesistevano con una lunga chioma e due braccia.

Deforme.

Un gioco alla vendetta che si era concluso con la sua rovina.

Che cos'era Seiræ?

Nemmeno lei lo sapeva.

Era stata una donna; ora era un pesce a metà.

Costretta alla solitudine.

Costretta al ricordo della vita, poiché ogni singolo istante della sua esistenza era così straziante che le squarciava l'anima.

Ammesso che le fosse rimasta un'anima.

O perfino quel dono aveva vacillato avvolto dalle tenebre, abbandonando Seiræ per sempre?

Che eternità la attendeva?

La sua maledizione non si limitava solamente all'aspetto, era qualcosa di ben più crudele.

La solitudine era l'unica amica di Seiræ.

La sua parte umana le impediva di comunicare con i pesci.

Quando la creatura temeva di impazzire e risaliva dalle profondità per posare nuovamente il suo sguardo sulla vita, la Morte diveniva sua inseparabile compagna.

Seiræ non poteva più comunicare con quella che era stata la sua razza.

Ella era muta agli occhi degli umani, come un pesce.

Solo il suo canto era udibile a qualunque creatura, solo il suo canto poteva dar sfogo al suo dolore, al suo rancore.

Tale melodia era di morte.

Chiunque avesse udito il canto di Seiræ sarebbe stato colto dalla medesima passione, dal medesimo ardore che aveva mosso Poseidone.

La vittima non avrebbe trovato pace se non nell'idea di unirsi alla creatura.

Colta da frenesia, tale persona si gettava in Mare nell'intento di raggiungere Seiræ, finendo con l'affogare per amore.

Seiræ detestava ciò che era divenuta, detestava Poseidone per ciò che aveva fatto, eppure non poteva più odiarlo giacché ora egli faceva parte di lei.

Il Mare era la sua casa.

Il suo canto il suo unico modo di soffrire.

Un canto ipnotico, che inebriava, che incantava.

Che uccideva.

Seiræ non aveva nemmeno il permesso di manifestare la propria disperazione senza crearne altra.

La maledizione di Poseidone, sadica e orribile.

La solitudine, l'assenza di suono, il glaciale abbraccio dell'Oceano, un Oceano che prima le forniva il nutrimento, ora pareva un carceriere.

I secoli passarono e la figura di Seiræ divenne leggenda.

La Sirena, così il suo nome venne modificato, nominando la sua deformità.

La Sirena sofferente, antropofaga, assassina.

I marinai, i pescatori tremavano, invocando gli dei quando il vento trasportava il pianto, il canto di Seiræ alle loro orecchie.

Alcuni uomini coraggiosi decisero di eliminare quel mostro che infestava gli Oceani.

Organizzarono diverse spedizioni per trovarlo.

Seiræ dimorava negli abissi, ignorata da qualunque creatura di Mare, temuta dalle creature di Terra.

La disperazione che ogni giorno le lacerava l'anima, ormai l'aveva quasi totalmente divorata.

La Sirena non riusciva più a sopportare quell'esistenza.

Allontanata dai due mondi che invece avrebbero dovuto accoglierla, condannata alla dannazione poiché ostinata.

Seiræ desiderava solo ricongiungersi con la sua famiglia.

Mai più nessuno avrebbe udito il suo canto, mai più nessuno sarebbe morto a causa del suo lamento.

Seiræ risalì gli abissi per l'ultima volta.

Trovare l'imbarcazione di cacciatori non fu arduo per lei che ormai leggeva le correnti e le maree con maestria.

Gli umani la avvistarono e prepararono le reti, le lance.

La Sirena si mostrò loro, silenziosa.

Per la prima volta dopo secoli, non avrebbe manifestato la sua disperazione.

Gli uomini però arrestarono la loro caccia.

Incantati dalla bellezza di quel volto gettarono le lance in Mare.

Come poteva quel volto splendido, quel fiore meraviglioso, appartenere ad una creatura mostruosa?

L'unica speranza di Seiræ di salvarsi sfumò.

Ogni marinaio presente sull'imbarcazione dichiarò il proprio amore per lei.

La disperazione fiorì nuovamente dalla profondità ormai marcia della sua anima, espandendosi, percorrendo il corpo sino a vibrare le corde vocali.

Il canto della Sirena, il pianto di Seiræ.

Gli uomini si tuffarono in Mare, folli di desiderio.

La Sirena doveva fuggire.

Ella fece per tornare nell'oscurità delle immutate profondità, nella sua dimora, quando i suoi occhi scorsero una lancia galleggiare a poca distanza da lei.

Tutto era chiaro.

Seiræ la prese.

I cacciatori urlarono disperati, provando a fermarla, ma la creatura fu più rapida.

La punta di ferro tagliò la pelle, penetrando la carne, dilaniando il cuore.

Seiræ sorrise.

La pace.

La morte.

La liberazione.

Dagli occhi sgorgarono due lacrime che rigarono le guance.

L'ultimo pianto umano della Sirena.

 

La maledizione di Poseidone non terminò con la morte della prima Sirena.

Dalle gocce del suo sangue nacquero altre creature, metà donna e metà pesce.

Seiræ era libera ora, ma la sua progenie era condannata alla sofferenza.

Alla sofferenza che garantiva un'eterna bellezza, un'eterna giovinezza, un'eterna disperazione.

   
 
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