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Autore: Cheche    05/09/2011    4 recensioni
Immaginiamo che i nostri eroi siano nati circa ottocento anni fa invece che nella nostra epoca, proprio quando la Strega Eretica Arachne creò le prime Buki. Maka e i suoi amici si ritrovano nell’Alto Medioevo, su un’isola nell’Oceano Pacifico che oggi non esiste più, divisi tra loro dalle classi sociali: principi, giullari, briganti… Cosa succederà?
[SouMa - TsuStar - Kidx?] [Lievi OOC per rendere i personaggi più coerenti col periodo storico]
Sospeso per mancanza di ispirazione fino a data da destinarsi.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6: La forza di cambiare
 
 
 
 
Non appena aveva visto le truppe reali entrare nella loro città, Wes aveva lasciato la bottega del padre ed era corso a casa. Quel giorno stava lavorando da solo, perché la malattia di suo padre era peggiorata. Si trattava di qualche linea di febbre, ma allora si moriva di quello. Nella sua corsa, Wes aveva visto i soldati bruciare abitazioni, rapire donne, uccidere i loro bambini, massacrare decine di innocenti. La sua città stava perdendo le vite che a lungo aveva ospitato, e la neve bianca si stava tingendo di rosso sangue, in ogni suo centimetro quadro. Quando quella mattina era andato al lavoro, il villaggio l’aveva salutato con risate e chiacchiere gioviali. E ora che usciva, l’unico sottofondo era quello di urla di terrore, pianti di bambini, parole volgari pronunciate dai soldati. Desiderava che il suono del vento coprisse ogni singolo respiro dei suoi compaesani, ammesso che fossero rimasti a qualcuno altri sospiri da esalare, prima di subire lo stesso, tragico destino.
Aveva sempre pensato che il Re di Death Island, Shinigami, fosse una persona magnanima che detestava i conflitti, e non voleva allargarsi a conquistare i regni vicini. Così almeno aveva sempre sentito dire. E invece era stato capace di tutto quello. Da quando un emissario gli aveva annunciato che in quel paese c’era un gruppo di vedove sospettate di stregoneria non ci aveva più visto, e aveva mandato le truppe a mettere a soqquadro il villaggio al solo scopo di trovarle ed ucciderle. E l’esercito era andato, ricorrendo a mezzi drastici, seminando morte e distruzione.
Come Wes fu arrivato a casa, aveva trovato Soul nel cortile, con in braccio il corpo di una donna che non riconobbe, tanto era trasfigurata. Solo più tardi Soul gli avrebbe detto che era la loro madre.
Soul era immobile, impalato, pallido, in preda al terrore più nero. Sui suoi vestiti e sulla neve colava il sangue della donna, ancora fresco.
“Soul, stai bene?” Urlò Wes. In quel luogo le truppe non erano ancora arrivate, non c’erano case in fiamme, e le uniche gocce di sangue a macchiare la neve erano quelle della donna, che avevano segnato in tutta la sua lunghezza il percorso di Soul con quel corpo tra le braccia.
“Che stai facendo?” Disse ancora il maggiore, raccogliendo una falce da un mucchio di utensili appoggiati ad un muretto diroccato e coperto di neve. “Prendi un’arma e preparati a combattere, invece di fissare il vuoto.”
“Che stai dicendo?” Disse Soul, che parve improvvisamente svegliarsi da una sorta di sonno ad occhi aperti. “Wes, dobbiamo andarcene, prima che ci trovino!”
“Io non abbandonerò mai questa casa! E… I nostri genitori…” Wes strinse ancor di più le mani sull’asta della falce, così forte da far sbiancare le nocche.
Soul aveva sempre desiderato andare via da quella casa opprimente, lontano da quei genitori che non facevano altro che sparare raffiche di sentenze. A loro non stava mai bene nulla di quel che faceva. Odiava essere definito da loro ‘incapace’. Tutti nel villaggio lo consideravano inferiore a suo fratello, e i suoi stessi familiari non facevano eccezione, e non facevano nulla per nascondere questa loro predilezione per Wes. Ma ora che sua madre era morta si era accorto di provarne dolore. Spesso, quando era arrabbiato con i suoi, gli aveva augurato la morte. Tanti sono gli adolescenti che lo fanno, anche se non lo pensano davvero. E lui era in tutto e per tutto un normale adolescente, di quelli che nei villaggi si possono trovare a decine. E come tutti gli adolescenti normali, alla morte di un genitore sentiva dentro un incolmabile senso di vuoto. Talmente incolmabile da dimenticare tutto il resto. E si sarebbe accorto più tardi che cosa stava per dimenticare, quali errori stava per compiere in quella tremenda giornata.
Quando Soul vide Wes prendere in mano quell’arnese arrugginito, subito gli fu addosso, cercando di strapparglielo di mano.
“Non capisci, Wes? Se restiamo qui faremo la stessa fine di nostra madre! Non fare lo stolto e metti giù quella falce! Scappiamo!” Urlava, cercando di strappargli via quella specie di arma che suo fratello teneva stretta, disperatamente. Nell’udire quelle parole, la presa del maggiore si allentò leggermente, ma non abbastanza da darla vinta al minore.
“Cosa? Vuoi dire che… Nostra madre…” Esalò Wes, con un filo di voce. Dalla sua bocca uscì una solitaria nuvola bianca, che si disperse subito nell’aria fredda.
“Proprio così, è morta! Adesso dimmi Wes, hai intenzione di finire come lei?” Ruggì Soul, continuando a tirare la falce verso di sè con prepotenza.
“Sì!” Rispose il maggiore, con tono ancora più alterato. “Preferisco morire qui, adesso, nel luogo in cui sono nato e cresciuto, difendendo tutto quello che mi è rimasto e che ho sempre amato. Lo preferisco piuttosto ad una morte in un luogo lontano tra chissà quanti anni. E’ qui che voglio stare. Nella mia casa, con te e con nostro padre. Qui io seppellirò nostra madre, e accanto a lei voglio essere seppellito, che sia oggi o che sia tra cento anni!”
Soul scosse la testa. Loro due erano troppo diversi, ora l’aveva finalmente compreso. Wes era sempre stato il figlio prediletto, si era sentito amato, aveva ricevuto un’istruzione, era un eccellente musicista ed era abile sia nella matematica che nella retorica, come aveva appena dimostrato con quel suo discorso carico di orgoglio. Tutti lo amavano, lo elogiavano e lo ammiravano. Era sempre stato felice, non gli era mai mancato nulla, non aveva mai pensato neppure mezza volta di fuggire di casa, non aveva mai augurato la morte ai suoi familiari.
Soul invece era la pecora nera della famiglia. Veniva sempre biasimato da tutti, sempre incolpato di tutto quello che succedeva, mai nessuno gli aveva fatto un complimento, in tutta la sua monotona vita. Non aveva un legame affettivo così esclusivo con quel luogo come era stato per Wes. Per lui in quella casa si respirava sempre un’aria greve, impregnata di ricordi cupi, che avrebbe voluto cancellare a tutti i costi.
Era chiaro che tra i due fratelli chi aveva sofferto di più per la morte della loro madre fosse il maggiore. Scontato e comprensibile. Ma, nonostante il dolore e le lacrime represse, Wes aveva trovato la forza di pronunciare quel discorso impregnato di orgoglio esasperato, senza mai fermarsi e titubare. E Soul non era ancora riuscito a strappargli quella dannata falce di mano. Capì che tra loro due Wes aveva un’anima più pura, più coraggiosa. Capì perché tutti avessero stima di lui, perché i suoi nemici si potessero contare sulla punta delle dita, perché la vita fino a quel giorno funesto fosse stata più giusta con lui. Questo non voleva dire che Soul avrebbe rinunciato al suo proposito di scappare. Solo non avrebbe costretto suo fratello a seguirlo. Sarebbe fuggito anche da solo, se fosse stato necessario.
 
“Vi odio! Bastardi, mettetemi giù!” Continuava a sgolarsi Black Star, trattenuto da Stein e Soul che lo trasportavano attraverso i corridoi e le scalinate.
Il giullare lo sbirciò in faccia di sottecchi. Nonostante fosse arrabbiato e deluso, il suo volto aveva la stessa luminosità di quando aveva chiacchierato pacificamente con lui. La sua voce era sempre limpida, pulita. Il suo comportamento era genuino e spontaneo. Ma se era così stupido, perché mai sembrava brillare di luce propria, come una stella? Perché nonostante fosse un mitomane aveva pensato che fosse simpatico? Lui non aveva mai sopportato le persone arroganti e aride. Gli avevano sempre riso in faccia, guardandolo dall’alto verso il basso. Ma quel ragazzo era convinto di essere fantastico, lui diceva sempre quello che pensava. Non si vantava tanto per farlo. Eppure Soul aveva capito che in passato Black Star aveva sofferto.
Quel ragazzo poi gli aveva anche fatto un mezzo complimento, prima di essere tradito da lui. Gli aveva fatto capire di essere una persona dal grande cuore. Gli piaceva quel Black Star. E allora perché lo aveva già tradito? Perché compiva sempre azioni che lo portavano a odiare sé stesso? Questo pensava Soul mentre camminava sulle scale, trasportando difficoltosamente le gambe  di quello che avrebbe potuto essere un amico e un valido alleato.
Tenne gli occhi bassi, fissi sui piedi del ragazzo dai capelli azzurri, mentre nella sua testa, tutto il tempo, si rincorrevano i rimorsi e i ricordi del suo passato.
 
Soul correva nella neve, cercando di mettere più distanza possibile tra la casa in cui aveva sempre vissuto e il suo corpo. Lui non lo capiva, ma mentre il suo corpo era già lontano, nelle campagne innevate, la sua anima rimaneva sempre legata a quel posto da cui si allontanava inesorabilmente. Inciampò, cadde, rantolò per il freddo e per il dolore. Si alzò, guardando a fatica i suoi vestiti sporchi di sangue. Era pronto a ripartire, non poteva fermarsi o sarebbe sicuramente morto.
“Soul!” La voce di suo fratello si udì chiara nell’aria agitata. Che ci faceva lì? Non voleva continuare a combattere, non voleva rimanere lì? “Dove stai andando?” Urlò ancora.
Soul si girò, i denti che battevano, le labbra che si screpolavano. “Me ne vado… Io voglio vivere!” Disse, quando fu vicino al fratello.
“Non essere sciocco! Torna indietro! Io voglio stare nella mia casa con la mia famiglia, e anche tu ne fai parte!” Wes non aveva più in mano quella falce. L’aveva gettata all’aria non appena suo fratello aveva mosso un piede fuori dalla loro proprietà, per corrergli dietro mandando momentaneamente al diavolo i suoi propositi.
“Non puoi costringermi a farlo! Non puoi costringermi a morire! Io non voglio obbligarti a seguirmi!” Urlò Soul, con tutto il fiato che aveva nei polmoni. “Torna indietro, Wes! Torna a casa! Un giorno tornerò a farti visita, anche se sarai morto. In quel caso pregherò sulla tua lapide. Se invece sarai vivo ti abbraccerò, pronto a vivere con te, a seconda dei tuoi desideri. Con te e con nostro padre.”
Soul tratteneva le lacrime. Aveva capito che Wes teneva a lui nonostante tutto, e questo lo rendeva così felice da farlo commuovere. Finalmente qualcuno si preoccupava per lui, e questo non era altri che il suo segretamente ammirato fratello. Ma non doveva versare lacrime perché, qualora si fossero congelate, non avrebbe più visto niente.
“Nostro padre…” Fece Wes, ansimando pesantemente.
“Sì, nostro padre.” Soul sorrise, un secondo prima ignaro, un istante dopo improvvisamente cosciente. “Nostro padre!” Urlò, disperato.
“Sì, è ancora nella nostra casa… per questo… dobbiamo tornare…” Disse Wes, con voce sempre più flebile.
“No, io non tornerò.” Soul scosse la testa. Forse suo padre sarebbe morto comunque per via di quella febbre che lo tormentava da più di due settimane. E lui poteva ancora vivere, ma questa possibilità sfumava, se mai avesse deciso di tornare per farsi uccidere dai soldati.
“Soul…” Lo pregava Wes, cadendo in ginocchio sulla neve, debole come non mai. Soul lo guardò. Vedendo la sua schiena dall’alto, noto che anche i suoi abiti erano sporchi di sangue. Ma per suo fratello era diverso. Stavolta il sangue era il suo.
“Cosa ti è successo? Parlami! Wes!” Urlò il minore, in preda al panico. “Perché stai sanguinando?”
“Quando mi sono voltato per andarti a cercare… le truppe erano appena arrivate…” Fece Wes appena cosciente. “…E qualcuno mi ha preso a tradimento… con una freccia…”
Soul sgranò gli occhi. Allora era colpa sua, della sua codardia? Si morse le labbra, ricacciando a fatica le lacrime in gola. Prese il fratello tra le braccia e lo strinse a sé, finchè Wes non perse conoscenza. Allora se lo caricò sulle spalle. Nonostante il suo corpo fosse pesante, Soul era spinto dalla disperazione. Avrebbe fatto tutto il possibile, avrebbe preso tutte le decisioni più giuste. Doveva fare del suo meglio per Wes.
 
Ad aver apprezzato Soul c’era Black Star. E poi c’era Maka. Non appena la grande porta d’ingresso alla sala del trono si aprì, Soul la vide di nuovo, mentre Black Star salutava la luce della stanza chiassosamente.
“Lasciatemi!”
Maka fronteggiava un ragazzo che Soul non aveva mai visto. Era un tipo affascinante, dall’aspetto e dall’abbigliamento impeccabile. Dunque era lui il principe? Il giullare digrignò i denti, mentre tutti i presenti si giravano verso di loro.
In quel momento Soul avrebbe voluto che il castello saltasse in aria.
 
Aveva camminato tutta la notte, ignorando la fame e il sangue di Wes che gli inzuppava i vestiti. Ignorando il male ai piedi e la voglia di gettarsi a terra e piangere fino alla morte. Ma non avrebbe mollato così. Insomma, voleva una fine dignitosa, e voleva che suo fratello sopravvivesse.
Questo l’aveva spinto fino ad un’alta muraglia in pietra che delimitava probabilmente una città. All’entrata c’erano due guardie mezze addormentate che, non appena ebbero udito i suoi passi strascicati, si rizzarono in piedi, sveglie e pimpanti come non mai, scrollandosi dignitosamente la neve di dosso.
“Vorremmo passare.” Fece Soul, con voce stanca.
“Certo. Ma voi prima fateci vedere il permesso.” Fece il più alto, ghignando.
“Non ce l’ho. Non è che potreste chiudere un occhio? Mio fratello sta male.” Disse Soul, ansimando sotto il peso morto del fratello.
“E chi ci dice che non siate stato voi a ridurlo in quella maniera? Siete tutto coperto di sangue.” Disse il più basso e tarchiato.
“Nessuno sarebbe così stolto da andare in giro con un cadavere in spalla, non vi pare?”Fece Soul, mentre un sorriso amaro si dipingeva sul suo viso pallido e smunto. “Vorremmo passare.” Ripeté.
“Non potete. Per legge nella città di Alamar non può entrare e uscire nessuno senza il permesso del Conte.” Recitò il secondo guardiano, preciso come un manuale.
“Vuol dire che dovremmo tornare indietro?” Ringhiò Soul, che pensava già alla fine che avrebbero fatto lui e suo fratello se non fossero riusciti ad entrare in quella città.
“Potremmo lasciarvi entrare. Potremmo anche far curare vostro fratello. Ma questo a una sola condizione.” Disse il più alto delle due guardie.
“Accetto, qualunque essa sia.” Disse Soul, che vide improvvisamente la luce.
La guardia fece per spalancargli le porte della città. Prese fiato per parlare. “Dovrete stare tutta la vita al servizio del Conte, entrambi. Così vuole la legge.”
E mentre entrava, Soul si concesse di piangere per la prima volta in vita sua.
 
Soul ci pensò. Forse aveva fatto male quella volta ad accettare. Era disposto a tutto, ma non aveva pensato alla libertà, e all’affetto di suo fratello. Aveva solo pensato a vivere, come un codardo.
Io sono un vigliacco. E per colpa di questo mi trovo qui, rinchiuso in questo posto che odio, e mio fratello a malapena mi rivolge la parola. E ho tradito quello che avrebbe potuto diventare il mio migliore amico. E la Contessa sta per sposare il Principe.
Soul spostò con amarezza lo sguardo su Maka. Le parve così splendente, così bella nel suo abito. Provò istintivamente odio per il Principe, anche se non capiva cosa provava per la Contessina. Poi pensò che era davvero uno stupido a pensarla così. Era solo colpa sua se succedeva tutto quello che non voleva che accadesse.
Era perché pensava di essere un verme che tutto andava storto. Era perché vedeva tutto nero che tutti gli si allontanavano. Black Star era convinto di essere un grande, e riusciva ad apparire come tale. Maka, pur non dimostrandolo, era consapevole del suo valore, e per questo sembrava risplendere radiosa anche quando si arrabbiava. Mentre Soul era convinto di essere un vigliacco, e per questo la vita non faceva che voltargli le spalle.
Anche gli altri avevano i loro problemi, ma non per colpa loro. E invece Soul era sempre stato la causa stessa dei suoi problemi. Se tutti lo ignoravano era perché non aveva mai avuto fiducia in sé stesso. Se tutti lo biasimavano era perché lui stesso si odiava. E se compiva dei gesti meschini era perché pensava di non poter scivolare ancora più in basso di così.
Ma come aveva visto di nuovo la Contessa aveva capito di voler possedere il suo stesso coraggio. Aveva pensato che forse c’era speranza di risalire, che poteva cambiare la sua vita in quello stesso momento, che poteva imparare ad apprezzarsi con un gesto.
E quel gesto Soul lo fece.
Diede un violento strattone, e Stein si vide costretto a lasciare la presa su Black Star. Ora l’aveva liberato e l’aveva anche portato nella sala del trono, come lui voleva. Lanciò un occhiata al ragazzo dai capelli azzurri steso a terra.
Entrambi sorrisero.
Forse non è troppo tardi per cambiare.



Sono tornata! Non garantisco la costanza di una volta ma finalmente sono riuscita a postare il 6° capitolo. Gioite, amici! Questo finora è il capitolo più introspettivo. Ho sempre amato curare l'introspezione dei personaggi, e spero di esserci riuscita. Ah, per chi se lo sta chiedendo, sì, conosco la filosofia del pensiero positivo. Non l'ho mai praticata, ma ciò non mi impedisce di ispirarmici, no?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Recensite in tanti!

  
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