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Autore: fragolottina    05/09/2011    4 recensioni
'Anche io ho baciato solo una persona ed avrei voluto continuare a farlo…'
Era stata la prima volta che lo aveva sentito parlare ed anche la prima volta che il sapore delle lacrime gli aveva ricordato qualcos’altro.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Sora, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts II
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sora succedono tante cose simpatiche in questo capitolo...
non vi dico altro, leggete!

Capitolo 5

Lea continuava a chiedersi se non avesse sognato, un bel sogno indubbiamente, ma quanto poteva essere reale?
    Sora era vivo, l’aveva sempre saputo, o almeno nessuno gli aveva mai detto il contrario e, trattandosi di una specie di celebrità, si aspettava che tutti i mondi fossero in lutto se gli fosse accaduto qualcosa. Quando si era risvegliato aveva sentito il re, Cloud e Leon parlare di lui e di come fosse finalmente tornato alle Isole del Destino. Meglio, non era stato sicuro che trovandoselo davanti avrebbe resistito alla tentazione di ucciderlo, gli aveva portato via qualcosa di troppo importante e se era vero che se gli fosse successo qualcosa tutti i mondi sarebbero stati in lutto, sospettava anche che, chi gli avesse fatto qualcosa, non avrebbe di certo ottenuto la migliore delle accoglienze.
    Ma Sora era Sora, l’aveva incontrato e, nonostante la somiglianza fisica decisamente fuorviante, continuava ad essere Sora; nemmeno nei suoi sogni più coraggiosi aveva provato ad immaginare che in qualche modo, nascosto da qualche parte, Roxas – tutto quello che lo rendeva Roxas – esistesse ancora.
    Per gli altri Nessuno, per lui, era stato diverso. Lui era sempre stato sé stesso, Axel e Lea erano sempre stati la stessa persona, solo che i sentimenti di Axel erano slavati dalla mancanza di un cuore; non aveva mai dimenticato chi era stato, non aveva mai dimenticato com’era vivere a Radiant Garden, quando era Radiant Garden. Lui non dimenticava niente, tanto meno sé stesso.
    E nemmeno gli altri Nobody lo facevano.
    Si, Even continuava a darsi per smemorato, ma Lea sospettava che avesse solo paura. Era stato un pezzo grosso nell’Organizzazione, era a lui che si rivolgeva Xemnas quando doveva fare qualcosa; la squadra dei ‘buoni’ avrebbe potuto decidere di prendere e spremerlo fino all’ultima informazione. In realtà anche Lea iniziava a volerlo fare: c’era qualcosa che lui aveva fatto, qualcosa che non ricordava, ma sapeva fosse importante.
    Isa lo afferrò per un braccio tirandolo via proprio prima che un camion di macerie gli fosse scaricato addosso, avevano dato un lavoro a tutti gli ex membri dell’Organizzazione: dovevano ripulire la città. C’era un sorta di giustizia in quel compito, gran parte della distruzione poteva essersi definita colpa loro.
    «Lea, ci sei?» gli domandò il suo amico studiandolo. «Stamattina sei troppo distratto, finirai per farti ammazzare.»
    Scosse la testa. «Ho solo dormito male.» aveva appena visto la cosa che più si avvicinava ad un fantasma, si era sentito in diritto di rigirarsi nelle lenzuola.
    «Sei sicuro?» c’era troppa apprensione nella sua voce, così gli lanciò un’occhiata indagatrice. Isa abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. «So che Sora è qui.»
    Ah, ecco perché.
    Lea si strinse nelle spalle ignorandolo. «Si, l’ho visto.» confessò con tranquillità. Facendo il doppio gioco nell’Organizzazione aveva imparato che non dire alcune cose era molto più facile che mentire, era vero che lo aveva incontrato, ma niente lo obbligava a rivelare che ci fosse stato dell’altro. «Mi è sembrato in forma.» Isa lo fissava sorpreso e lui scrollò ancora le spalle. «Cosa?»
    «Tutto qui?»
    «Ti aspettavi che gli offrissi da bere? Certe inimicizie sono dure da seppellire.»
    L’uomo si passò una mano tra i capelli imbarazzato. «Non lo so…mi aspettavo…boh…visto che lui è…»
    «Non è Roxas.» disse con un tono che non ammetteva repliche, non gli piaceva che la gente insinuasse il contrario.
    «No, certo, ma…»
    «Ehilà, bellezze!» li chiamò Cid da sopra il camion. «C’è del lavoro da fare, voglio finire di sgombrare almeno la parte ad ovest della città! Rimandate le chiacchiere a dopo!»

Tornò a casa che era il tramonto, si sentiva stanco e sporco, agognava il getto bollente della doccia…ma in casa sua c’era qualcuno. Lo guardò seduto comodamente sul divano, mentre leccava uno dei suoi gelati; per un attimo la cosa lo disturbò come se stesse prepotentemente forzando la porta della propria intimità: lui e Roxas mangiavano gelati al sale marino, non Sora.
    «Li adora.» disse lui con semplicità, stringendosi nelle spalle. «Non mi avrebbe dato pace.»
    Cautamente Lea chiuse a chiave la porta alle sue spalle. «Credevo che non avessi intenzione di tornare.» disse cercando di mostrarsi indifferente, anche se si sentiva stranamente adulato: quanto poteva avergli dato il tormento Roxas per farlo venire fin lì? E tutto perché voleva stare con lui.
    «Non ce l’avevo infatti, ma…» rimase fermo, pensieroso ed un poco triste, mentre il ghiacciolo si scioglieva colandogli tra le dita; una parte molto possessiva di sé stesso, gli suggerì di avvicinarsi e laccargliele. Rise sotto i baffi, chissà che faccia avrebbe fatto? Era andato a fuoco la notte prima solo perché gli aveva detto di togliersi la maglietta.
    «Dice che se fosse stato lui l’avrebbe già fatto.» Sora lo fissò con espressione perplessa. «Che mi sono perso?»
    Lea scoppiò a ridere, era la cosa più assurda che gli fosse mai capitata e lui aveva conosciuto Demyx. «Niente, di cui vorresti essere messo a conoscenza.» si avvicinò al frigo e si prese da bere, c’era della limonata fatta da Aeris. Gli piaceva quella ragazza, era una delle poche persone a trattarli come gli esseri umani che erano tornati ad essere; era venuta spesso a casa sua a trovarlo, a volte accompagnata dai propri amici, a volte sola.
    Prese la brocca e se ne versò un bicchiere. «Perché siete qui?» non aveva importanza in realtà, lui gli mancava così tanto che anche sentire le sue parole ripetute dalla bocca di un altro lo confortava. E comunque, Sora era abbastanza uguale da rendere la cosa piacevole. Un discreto sostituto.
    «Da Tifa ed Aeris non c’è posto, stanotte ho dormito per terra, così mi chiedevo se non potessi accamparmi sul tuo divano.»
    Lea ridacchiò. «È l’unico motivo?»
    «Certo.» rispose troppo veloce e con una strana nota isterica nella voce, ma davanti alla sua espressione scettica sospirò, gettando via la maschera di sicurezza. «Situazione complicata, ok?» sbottò nervoso. «Non è così semplice. Credevo che lo fosse, che anche se lo sentivo parlare era il mio corpo, quindi era mio diritto scegliere come farci vivere. Ma…» la sua voce si perse in un altro sospiro. «lui ti ha preso e baciato, lui è rabbrividito ed io avevo la pelle d’oca e…» lo fissò supplichevole come se sapesse anche da sé quanto fosse difficile trovare un senso nelle proprie parole, eppure Lea capiva. «Siamo in due.» disse infine riassumendo tutto.
    Lea continuò a studiarlo, aveva sempre pensato che fosse un ragazzo un po’ lento per trattarsi del keyblade master e di quello che, in definitiva, aveva fatto il culo a tutti; Roxas gli era subito sembrato più sveglio, più acuto, spesso distratto, ma brillante. Forse soltanto perché era Roxas.
    Si appoggiò al lavello del suo angolo cucina dietro di lui. «Puoi accamparti sul divano se vuoi.» disse mettendo fine a quel discorso al quale nessuno dei due avrebbe saputo mettere un punto: come avrebbero fatto? Che sarebbe successo? Se ne sarebbe andato davvero? «Vado a farmi la doccia, di là c’è la mia camera…» disse indicandogli una porta. «cercati delle coperte.» superò il divano diretto in bagno.
    «Mi dispiace.» mormorò Sora ad occhi bassi. «Vorrei che poteste stare insieme, ma io devo tornare da Kairi.»
    Qualcosa stuzzicò la mente di Lea, come se lo pungesse, qualcosa che gli suggeriva di fare attenzione, Kairi era importante, lo era sempre stata in tutta quella vicenda, non avrebbe smesso di esserlo proprio allora. Qualcosa che in qualche modo si collegava a Even che fingeva di non ricordare, ma che se avesse passato un quarto d’ora con lui avrebbe sicuramente ricordato ogni cosa, comprese le misure di Xemnas se ne avesse avuto bisogno. Il problema è che non riusciva a realizzare ‘a cosa’ gli dovessero servire.

«Roxas, no!» bisbigliò Sora indispettito. «Ti ho portato nella tana del lupo, accontentati.»
    Una sbirciatina?
    Studiò la camera piuttosto spartana di Lea, non sapeva esattamente perché si era aspettato qualcosa di molto più eccentrico ed appariscente, probabilmente dipendeva dal fatto che Lea era eccentrico ed appariscente.
    «No.» rispose secco.
    Il letto era un po’ più grande del suo sulle Isole, forse doveva essere da una piazza e mezzo, ed ordinatamente rifatto, lenzuola bianche, una coperta bordeaux, due cuscini. Tanto normale da dargli fastidio. Non c’era molto altro, una panca ai piedi del letto, che – seppe dopo aver sbirciato – conteneva le coperte che lo aveva mandato a cercare.
    L’acqua che sentiva scorrere nella doccia gli creava un blocco fumoso e fitto nel cervello – che aveva molto a che fare con Roxas – si sentiva ovattato e si era riscosso più di una volta fare alcuni passi in direzione del bagno; c’era da dire che effettivamente l’ombra nel suo cuore lo voleva molto intensamente. Ed ecco di nuovo affacciarsi i sensi di colpa.
    Sbuffando tirò fuori una trapunta e la dispiegò davanti per vedere la grandezza ed una volta convenuto che ci si sarebbe potuto creare un bel bozzolo, le diede una risistemata. Si sentiva ancora fuori luogo – a differenza di quell’altro che era a suo agio come un cagnolino in una cuccia – e non voleva che niente portasse l’impronta del suo passaggio.
    Apri l’armadio?
    «Perché?» domandò senza capire. «Abbiamo quello che ci serve e che ci ha mandati a prendere.»
    Sei un fifone, Sora, cosa vuoi che ti faccia? – l’eccitata aspettativa nella sua voce lo fece rabbrividire.
    Lo accontentò, più che altro perché non voleva sentirlo.
    Fece scorrere le stampelle sotto i suoi occhi, c’erano magliette, pantaloni, giacche, qualche camicia; si chiese cosa si era aspettato di trovare in un armadio, di diverso o se fosse una specie di feticista dei vestiti.
    Che c’è laggiù?
    «Sei un ficcanaso, Roxas.» sbottò facendo per richiudere, ma non ci riuscì. Qual fagotto nell’angolo aveva qualcosa di familiare, lo raccolse cautamente e lo strinse tra le dita; accadde in fretta, in qualche modo Roxas prese il sopravvento: chiuse gli occhi, se lo portò al viso ed inspirò forte. E quell’odore gli era familiare come se per tanto tempo lo avesse portato sulla pelle.
    Lui l’aveva portato sulla pelle, effettivamente, per trecento cinquantotto giorni e mezzo, per la precisione.
    «Cielo…» mormorò Sora allontanandosi di poco e studiandolo. «è il mio.» Roxas non precisò che era il proprio, non avrebbe avuto senso.
    La divisa dell’Organizzazione non era cambiata per niente, sembrava nuova, nuova.
    Sono resistenti, ci dovevamo combattere! – gli spiegò.
    Sora guardò il proprio riflesso, nello specchio interno all’anta. Il cuore gli batteva forte mentre infilava le maniche, in un misto di eccitazione, curiosità ed al contempo paura; gli calzava a pennello, come se gli fosse stata cucita addosso. Si osservò ancora con attenzione e si tirò su il cappuccio, ora era come loro, un’ombra, un errore.
    Ce ne sono altri.
    Altri due per la precisione, uno più grande, doveva essere stato quello di Axel, ed uno piccolino. «Di chi è questo?» domandò senza capire. A parte Roxas, con il quale comunque aveva stretto una certa confidenza, avrebbe dovuto conoscere tutti e tredici i membri dell’Organizzazione…non ricordava nessuno così minuto.
    La sua controparte non rispose, sentiva come un blocco che veniva da lui. Non ricordava e la cosa, per motivi che non riusciva a comprendere, lo rattristava enormemente.

Lea rimase a guardarlo sconcertato. C’erano due opzioni possibili: o era appena sbucato in un universo parallelo, oppure Sora aveva trovato le divise dell’Organizzazione ed aveva deciso di misurare quella di Roxas. Avrebbe dovuto fargli una foto, avrebbe dovuto sbatterlo sul letto. Si chiese quanto influente potesse essere Roxas e se riuscisse a rinchiudere quel chiacchierone eroico lontano per un’oretta.
    La risposta che si diede non lo soddisfò: non abbastanza.
    «Sai, se avessi preso questa decisione in tempo utile, avremmo evitato un bel po’ di casini.» lo prese in giro appoggiandosi a braccia incrociate contro lo stipite della porta.
    Sora sussultò e lasciò cadere quello che aveva tra le mani, fissandolo imbarazzato, fece un sorrisetto colpevole. «Ero curioso…» si specchiò ancora. «dove li hai trovati?»
    Lea ci rifletté, l’immensa fiducia che aveva in Roxas, non riusciva ad estendersi fino a Sora, lui era il paladino della squadra dei 'buoni'. «Tra le macerie.» non era mica strettamente necessario spiegare tra le macerie di cosa, no?
    «Ti manca?» gli domandò curioso come un gattino.
    Gli si avvicinò recuperando la divisa che aveva lasciato cadere, la propria, quel nero continuava ad avere una certa attrattiva, nonostante il cuore che ora gli batteva nel petto. «Essere un assassino o l’Organizzazione?»
    Sora arrossì realizzando che era in accappatoio, un normalissimo accappatoio azzurro, e che probabilmente sotto era nudo; deglutì maledicendo Roxas, se fosse stato solo non sarebbe arrossito, un ragazzo che vede nudo un altro ragazzo non arrossisce.
    «L’Organizzazione.»
    Lea rise. «Mi manca anche essere un assassino se è per questo.» Axel e Lea erano la stessa persona, nessun dei due avrebbe fatto niente che l'altro non avrebbe condiviso. Ripiegò il mantello con cura e devozione, sistemandolo di nuovo nell’armadio, mentre Sora si toglieva quello che aveva provato per permettergli di metterlo via. «A te non mancano le tue missioni?» gli domandò più per cortesia che altro.
    «No.» fu la sua unica, monosillabica risposta, mentre continuava a stare ad occhi bassi; si strinse nelle spalle, sembrava piccolissimo ed infinitamente solo, tanto da non fargli venir voglia di chiedergli il perché.
    «Vai a dormire, va.» lo spinse piano verso la porta per una spalla. «Puoi guardare la tv se ti va, ma io ho sonno.» ammassare macerie tutto il giorno era stancante. Chi è che aveva detto che il lavoro nobilitava l'uomo? Di certo uno che non sapeva di cosa parlava.
    Sora annuì, pronto per lasciare la stanza prima che Lea si togliesse quell'accappatoio ed iniziasse a vestirsi; l'intuito gli suggeriva di non permettere a Roxas di assistere alla scena, ma si fermò ad un passo dall'attraversare la soglia. «Ah, grazie.» 
    Lea aggrottò le sopracciglia perplesso. «Di cosa?»
    «Del divano…» rise provocatorio. «e di avermi fatto provare il brivido di essere il quindicesimo membro dell’Organizzazione.»
    Scosse la testa guardandolo uscire con l'ombra di un sorriso di simpatia sulle labbra, poi ci ripensò…non il quattordicesimo?

Qualcuno gli pungolò il braccio, Lea lo scacciò come se fosse una mosca e si girò dall’altra parte.
    Qualcuno lo pungolò di nuovo e questa volta Lea fu sul punto di girarsi e dargli una manata, ma poteva essere solo una persona e quella persona somigliava troppo a Roxas perché gli venisse voglia di picchiarlo.
    «Che vuoi?» biascicò senza aprire gli occhi.
    «Mi fai posto?» gli domandò in un bisbiglio.
    Per un attimo rimase in silenzio, poi si voltò a guardarlo incredulo. Sora era lì, con un cuscino tra le mani che continuava a stringere tra le dita in modo nervoso. «Eh?» sbottò stupito.
    «Non lo sopporto più. Non mi lascia dormire.» piagnucolò.
    Sospirò, ma quel rompiscatole non gli diede nemmeno il tempo di parlare.
    «Vuole stare con te, continua a ripetermi che domani o dopo domani al massimo Riku verrà a prendermi, che lo porterò via da te e…e…» avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, si vedeva, ma rinunciò davanti all'evidenza di non riuscire a riassumere tutto quello che lui e l'ombra nel suo cuore si dicevano di continuo.
    Lea sospirò, avere di nuovo un cuore lo rendeva estremamente paziente, per fortuna di quel moccioso - lo dicevano tutti che era un ragazzo fortunato - poi rotolò sull’altro lato del letto, lasciandogli spazio a disposizione; Sora sistemò un cuscino tra i loro due corpi e, rigido come un manico di scopa, si stese dandogli le spalle. L’uomo ridacchiò ma decise di non infierire, infondo, non doveva essere facile per lui gestire due personalità così contrastanti e dai desideri così opposti.
    «Axel.» lo chiamò.
    «Nh?»
    «Niente porcate, ho avvertito anche lui.»
    Questa volta non poté proprio trattenersi dal ridere di gusto. «Ok, mi impegnerò a non molestarti.»
    Sora sospirò sprofondando con la testa nel cuscino di Lea, gli occhi aperti nell’oscurità. «Axel?»
    «Che c’è ancora?»
    «Lui ti ama.» bisbigliò incerto continuandosi a mordere il labbro.
    Lea rimase in silenzio per tanto tempo, come se stesse cercando il giusto ripostiglio dove nascondere quell’informazione. «Lo so.» mormorò pianissimo.
    Per tutta la notte continuò a guardare fisso la spalla di Sora che vedeva spuntare oltre il cuscino, praticamente identica a quella di Roxas.

niente questo capitolo non voleva uscire, ma alla fine ce l'abbiamo fatta!
nel prossimo capitolo ci sono Riku e c'è Kairi...non sarà un capitolo allegro, proprio per niente...
ma a ben vedere sono pochi i capitoli allgri che ho scritto in questa fanfiction...

ah, tipo dal prossimo capitolo - ma forse anche in quello dopo ancora - inizieranno ad esserci traccie di come vorrei gestire la situazione...secondo me il discorso potrebbe anche filare...ma mi rimetto al vostro giudizio...

ho in mente una cosa da far fare a Sora che ha del blasfemo...


   
 
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