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Autore: Ray08    05/09/2011    7 recensioni
Seconda classificata al contest "Un giorno ameremo questo periodo della nostra vita che adesso odiamo"
"Pensaci bene Chià: l'adolescenza non può essere così difficile. Altrimenti nessuno la potrebbe superare e non esisterebbero quei vecchietti rompipalle che riempiono i giardinetti pubblici o creano la fila al supermercato. Magari è solo un momento che non va, una stupidissima frazione di vita che non vuole trovare il suo posto nel puzzle. Ma passerà. Eccome se passerà. E io sarò con te, sempre.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rosemary and lake

Alla mia Chiaretta; perché le sue chiacchiere sono dolci come il miele 

<3 

Rosemary and lake


Chiara si sedette sul divano di pelle bordeaux, accavallando le gambe lentamente. Era un normalissimo pomeriggio di fine maggio, l'aria calda- un piccolo assaggio dell'estate- bussava piano alle finestre e il suo vecchio gatto soriano sonnecchiava raggomitolato nella cesta.

Il mondo sembrava fermo.

Con uno scattare di serratura, lento e lontano, Alessandro entrò in casa, tenendo per mano sua figlia. La bambina corse verso la madre e la salutò con un sonoro bacio, accoccolandosi tra le sue braccia. I suoi pantaloncini fucsia creavano un contrasto strano con il divano.

“Siete già tornati?” chiese Chiara, la voce un po' piatta.

La bambina annuì, muovendo forte la testa e facendo ondeggiare i capelli lisci, raccolti in due trecce. Poi con un salto repentino scese dal divano, e prendendo di peso il povero gatto, scomparve nella sua camera.

Alessandro si avvicinò alla moglie, con passi cauti, sorridendole leggermente.

“Sai che giorno è oggi?” chiese lei in un sussurro, tanto che lui dovette far passare qualche secondo, chiedendosi se non se lo fosse solamente immaginato.

“Ventitré maggio.”

“Lo sai, Ale, vero?”

Lui annuì, gravemente, e si sedette vicino a lei.
Chiara si rigirò un foglio tra le mani. Era stato piegato- e poi spiegato- così tante volte che la carta si stava quasi lacerando in alcuni punti, e i bordi erano leggermente rialzati, a formare piccole orecchie. Chiara fissò in silenzio quella scrittura storta, con le a tondeggianti e i puntini sulle i. Non parlò, aspettando che, come in un film, fosse la voce di chi aveva scritto quella lettera a leggerla. Si diede della stupida quando finalmente capì che non avrebbe risentito quella voce- né ora, né mai più. Alessandro le poggiò una mano sulla spalla, facendo una lieve pressione. Chiara aprì meglio la lettera, anche se non ce ne era bisogno, e con la voce tremolante iniziò a leggere.

"Pensaci bene Chià: l'adolescenza non può essere così difficile. Altrimenti nessuno la potrebbe superare e non esisterebbero quei vecchietti rompipalle che riempiono i giardinetti pubblici o creano la fila al supermercato. Magari è solo un momento che non va, una stupidissima frazione di vita che non vuole trovare il suo posto nel puzzle. Ma passerà. Eccome se passerà. E io sarò con te, sempre. Non devi colpevolizzarti se i tuoi genitori si stanno separando, non devi sentirti stupida perché hai preso un debito e hai rovinato la tua media. Non piangere, non mugugnare e non rattristarti. Sei una bella ragazza, sei brava, sei intelligente- e no, non sono di parte. So perfettamente che da grande abiterai in una casa splendida, sarai sposata e farai la psicologa come hai sempre voluto. E avrai dei figli bellissimi che mi adoreranno perché li farò divertire e li porterò a fare cose fighe. E magari un giorno riapriremo vecchi album di foto, o il diario di scuola e troveremo i brutti voti, le foto degli ex e scoppierai a ridere pensando a quanto stavi male per una sciocchezza. Ti è mai successo da bambina di sbucciarti un ginocchio? Poi si scuriva tutto e usciva un po' di sangue, che ti macchiava il vestito. E lì pensavi: ora muoio, perché mi fa tanto, tanto, male. Ma poi a diciassette anni le ginocchia non facevano più male, e ti sentivi così stupida a pensare che era quello il vero dolore. E invece di piangere, volevi ridere per quelle lacrime, che ti sembravano infantili. Così un giorno tutti i problemi di oggi sembreranno minuscoli sassolini nelle scarpe, e tutto ti sembrerà bello. Migliore. Tutto sarà più bello. E' solo questione di tempo, e finalmente un giorno ameremo questo periodo della nostra vita che adesso odiamo. Be happy! Ti voglio bene, -S"

Le ultime parole uscirono a fatica, come se si fossero attaccate alla gola. Alessandro durante la lettura non tolse mai la mano dalla sua spalla- Chiara riuscì a sentire il calore di quella stretta- e rimase in un muto silenzio.
“Parlami di lei.” le sussurrò, dopo una manciata di minuti. Alessandro conosceva benissimo quella storia- l'aveva sentita così tante volte che ormai aveva perso il conto. Ma sapeva che Chiara aveva bisogno di parlarne, e lui l'avrebbe ascoltata ancora una volta, perché l'amava. Sapeva benissimo che Chiara cercava di attaccarsi a qualsiasi cosa, ad un ricordo, e che questo la trascinava giù. Stavolta era stata una lettera.
Chiara affondò la faccia nell'incavo della sua spalla; restò così, singhiozzando convulsamente, ma non parlò.

La sera, in quel momento dolce che precede il sonno, Chiara iniziò a parlare:
«La conobbi a scuola, in quarto ginnasio. Mi ricordo benissimo che ero molto agitata, perché non conoscevo nessuno. La mattina avevo passato ore a preparami, scartando i vestiti e fissandomi allo specchio. Avevo pettinato la frangetta con una cura quasi maniacale, e alla fine avevo deciso di spalmarmi un sottile velo di trucco. In ascensore mi ero data un altro sguardo: mi piacevo. Volevo fare una bella impressione ai compagni. Ero arrivata puntuale e mi ero seduta in fondo all'aula Magna. La Preside aveva iniziato, dopo aver parlato del liceo per un quarto d'ora, a chiamare i vari nomi, dividendoli nelle classi. Aspettavo il mio Chiara Vittardi, con una sottile agitazione. A dir la verità sentivo lo stomaco in subbuglio, e forse avrei anche potuto vomitare- sono sempre stata ansiosa.

“Vuoi una gomma?”

A distanza di anni, Ale, non riesco a dimenticarmi quella scena. Lei era lì, con quella maglietta che le stava decisamente grande, un paio di jeans strappati e delle Converse rovinate dal tempo. Aveva i capelli ricci mezzi legati e mezzi no, e portava uno smalto giallo. Lei era lì, con le gambe sulla sedia davanti. Aveva un'aria strafottente, sai? Ma si mordeva il labbro. Era una contraddizione assurda: non capivo se fosse tranquilla o agitata per quel primo giorno di scuola. Lei era lì, e mi stava tendendo un pacchetto di Vigorsol bianche, le mie preferite.

“Grazie.”

Non avevo saputo dire nient'altro, colpa della mia solita timidezza, ed ero tornata ad aspettare il mio turno in silenzio. Mentalmente mi davo della stupida, perché non conoscevo nessuno e quella poteva essere una buona occasione per iniziare a fare amicizia.

“Ho già sonno, dannazione!”

Devo ammettere che il primo giorno che l'ho conosciuta ho pensato che fosse una svitata assurda perché continuava a dire frasi, e io non riuscivo a capire se fossero rivolte a me o se parlasse da sola. Ma poi si era alzata al nome di Sofia Grimaldi, senza neanche salutarmi, e avevo pensato che non l'avrei più rivista, o forse che l'avrei incrociata qualche volta di sfuggita. Invece eravamo capitare in classe insieme. Lei era scivolata verso il penultimo banco, e io avevo raccolto un po' di coraggio, andando a sedermi vicino a lei.

“Posso?”

“Certo, io e te già ci conosciamo.”

Non avevo ribattuto niente, anche se secondo me non potevamo dirci conoscenti. Ma alla fine della giornata avrei potuto ammettere di conoscerla davvero. Non aveva passato un minuto zitta, raccontandomi tutta la sua vita in dettaglio, dai pesci rossi, alle sue corse in bici, per arrivare a parlare del suo amore per i laghi. Da lì era stato facile, diventare amiche intendo. Era come se ci conoscessimo da sempre, e parlare con lei era la cosa più naturale del mondo. Veniva spontaneo, perché quando sorrideva- e sembrava il sole- le parole prendevano la strada per uscire, e potevo confidarle tutto. Potevamo uscire e parlare per ore, e poi tornare a casa, chiamarci al telefono e parlare ancora. Andavamo a fare shopping, e lei comprava sempre le cose più strane. Aveva un gusto tutto suo nel vestire; conosceva i negozi più piccoli e particolari, quelli che hanno miliardi di cose spaiate e la merce disordinata sugli scaffali. Adorava i cappelli: d'inverno ne indossava uno diverso ogni giorno, cambiando tra baschi colorati e zuccotti di lana con il pompon. Una volta venne a scuola con la bombetta nera. D'estate portava sempre i panama, o quei deliziosi cappellini di paglia che sembravano ridicoli su tutti, tranne che su di lei. Era come se i suoi capelli ricci si amalgamassero perfettamente a qualsiasi cosa si mettesse in testa. 

Non era bella, ma qualche volta sembrava davvero che brillasse. 

Forse era il contrasto immediato che c'era tra i suoi denti bianchi e i capelli neri-e poi gli occhi, Ale. 
Aveva gli occhi più particolari del mondo. Lei parlava attraverso gli occhi. Lei viveva con gli occhi
Magari conoscevamo qualcuno, e lei si era già dimenticata il nome, ma sapeva che aveva un minuscolo neo sotto il mento, o una voglia su un polpaccio. Aveva un senso dell'orientamento tutto suo: i punti di riferimento per lei erano cose microscopiche, delle quali io non mi accorgevo neanche. Sapeva sempre se qualcuno aveva un tic, riconosceva le persone attraverso i loro gesti. E poi bastava darle un rapido sguardo e si capiva di che umore fosse. 
Era come se i suoi occhi neri ridessero quando era felice. Non riusciva a nascondere le emozioni, perché si vedevano passare tutte in quegli occhi. Era straordinaria. Tu ti mettevi davanti a lei, e negli occhi riuscivi a sfogliare tutto quello che provava, come se la sua anima fosse un libro aperto al mondo. Con lei ho passato di tutto, e riusciva sempre a farmi tornare il buon umore. Gli anni del liceo sono volati tra qualche alto e molti bassi. Abbiamo iniziato l'Università, scegliendo due facoltà diverse ma continuando ad essere inseparabili. O almeno così pensavo.

Un giorno se ne è andata. Io mi stavo segnando al terzo anno di psicologia, ma lei non voleva più continuare medicina ed era partita. Ero rimasta sorpresa perché amava la medicina, lo ripeteva da quando c'eravamo conosciute. Voleva diventare cardiologa- curare i cuori delle persone- e essere utile. Inizialmente mi diedi la colpa, come al solito, pensai che forse non ero stata abbastanza per lei, che si era annoiata di me. Ma poi mi iniziò a mandare le cartoline dai posti che visitava, a scrivermi le lettere dicendomi che le mancavo, e che presto sarebbe tornata. Doveva solo trovare il suo posto, ritrovarsi. Se solo avessi saputo. Lei tendeva a sminuire i suoi problemi, perché c'è sempre qualcuno che sta peggio di me, chi sono io per lamentarmi?

Insieme alla primavera era ritornata a Roma, ma i suoi occhi erano spenti e non brillavano più di quel nero profondo. Era come se fossero velati da pensieri inconfessabili- se solo avessi saputo. Mi sembrò anche più vecchia, si affaticava subito e mi disse che non era più andata in bici. Rimasi sorpresa, ma ancora non capii. Uscivamo ancora insieme, ma tornava a casa prima, o cercava una scusa per sedersi sulle panchine o al bar. 
Un giorno andammo insieme al lago, e mi chiese di parlarle di qualcosa di bello, di aggiornarla sulle ultime novità. Era stata fuori per sette mesi, aveva visitato tanti posti, ma voleva risentire qualcosa di familiare. Mentre le raccontavo di te, degli studi e delle solite giornate, mormorò spesso la parola casa, sovrappensiero, guardando le nuvole. Non capii neanche in quel momento, non so come avrei potuto; pensai che fosse una delle sue solite pazzie.

“Non voglio che tu soffra.” Mi disse, guardando il lago.

Aveva interrotto il mio monologo su di te- stavamo insieme da quasi cinque mesi- e non capivo proprio cosa intendesse.

“Ale ci tiene a me. Non mi farà soffrire.”

“E io?”

Prese un piccolo sasso piatto, e lo lanciò verso la superficie d'acqua. Con un leggero ploff, cadde a fondo, e i cerchi si aprirono concentrici. “Farò star male un sacco di persone; volevo curare i cuori, e invece li spezzerò solamente.” Come in quel primo giorno di scuola, non riuscii a capire se parlasse con me, o se lasciasse le sue parole al vento.

“C'è qualcosa che devi dirmi, Sof?”

“Pensi mai a come sarà la tua morte?”

Quella domanda mi scioccò. Lei era sempre stata per il Carpe diem, o per il Hic et nunc. Non aveva mai pensato al futuro- e sapevo che la morte era qualcosa che considerava troppo lontana.

“Sof, ma cosa...?”

Quell'organo che tanto l'affascinava continuava a pompare bene, ma era il sangue il problema. I suoi globuli rossi erano fottutamente pochi, i bianchi bassi. Leucemia.

Me lo disse come se fosse una cosa da poco, scrollando un po' le spalle- lo sguardo sempre fisso verso un punto lontano del lago.

“Ma non ho paura di morire, sai? Ho paura di soffrire, e di far soffrire gli altri. Volevo curare, volevo far star bene le persone, e invece...”

Non sapevo cosa dire, ma sentivo dentro di me una sensazione troppo simile all'odio- verso Dio, verso la malattia, verso di lei che sembrava fregarsene, verso tutto- e un dolore che era già morte. Le presi la mano: era molto fredda.

“Mi mancherai.”

“Vorrei che non fosse così, Chià. Promettimi che non sarai triste, e che terrai solo i ricordi migliori di me. Non sarei voluta tornare, proprio perché non volevo che l'ultima immagine di me fosse così... debole. Ma sono sempre stata egoista, lo sai, e volevo rivederti, rivedere mia madre e la mia città.”

Scoppiai a piangere. Mi asciugò una lacrima, e scosse la testa.

“Ma allora non hai capito niente, Chià?” Il suo tono sembrava quasi materno; iniziò a ridere e portò la testa all'indietro. La risata si trasformò in un forte spasmo, e iniziò a respirare male.

“Andiamo a casa.” dissi.

Si addormentò in macchina, e mentre dormiva- immobile, con gli occhi chiusi- sembrava ancora quella ragazzina che parlava da sola, e che un giorno lontano mi aveva offerto una Vigorsol. Quando arrivai sotto casa sua e la svegliai, puntò i suoi occhi su di me- e mi sembrò un fantasma, una macchiolina opaca che andava già scomparendo.

Gli ultimi giorni li passò nel suo letto. Avevo sempre amato la sua camera, perché era piena di poster, e le pareti le tinteggiava lei, a seconda del periodo. A volte ci disegnava anche delle cose sopra, piccole onde marine, girasoli alti e gialli. La madre aveva dovuto assecondare questa sua mania, e una volta aveva detto, ridendo piano, che ormai non ci faceva neanche più caso. In quei giorni non c'era niente attaccato ai muri- diventati bianchi e asettici. I poster erano riavvolti in un angolo, e sul comodino, che prima era sempre disordinato, capeggiavano in ordine crescente scatole di medicinali. Anche la luce era stata sostituita con una più neutrale, perché quella di prima le dava fastidio. L'andai a trovare tutti i giorni, più volte. Mi sedevo vicino a lei- non troppo perché altrimenti le toglievo l'aria- e le facevo compagnia. Delle volte però ero costretta a piegarmi verso di lei, per carpire quei sussurri, anche se sempre più spesso non parlava con me.

C’è il rosmarino, per la rimembranza

Un giorno disse questa frase. Disse anche che morire annegata non le sarebbe piaciuto affatto- troppa acqua nei polmoni, si sarebbe sentita schiacciata- ma che morire in un lago sarebbe stato quasi dolce. Si lasciò cullare da quei pensieri, e la lasciai da sola. Fu l'ultima volta che la sentii parlare.

C’è il rosmarino, per la rimembranza

Sai Ale, Sof è sempre stata geniale, ha sempre capito tutto prima. Forse però avrei voluto che per una volta si sbagliasse. Lei mi aveva detto che finalmente un giorno avrei amato la mia adolescenza, anche se prima la odiavo. Non pensavo che l'avrei amata perché sarebbe stato tutto quello che mi rimane di lei. Le ginocchia, voglio ancora le ginocchia sbucciate. Voglio arrabbiarmi per un brutto voto, o perché ho dimenticato di farmi la piastra. Voglio...» Chiara fu scossa da forti singhiozzi, e Alessandro si accostò a lei, abbracciandola. Alessandro aveva conosciuto Sofia proprio nel periodo della sua malattia. Le era sembrata una persona alla mano, simpatica, ma non riusciva proprio a far combaciare l'immagine che Chiara gli dava di lei- allegra, solare, energetica- con quella ragazza pallida e silenziosa. Era come se Alessandro avesse visto solamente la cenere spenta di un camino, e cercava con quei discorsi di immaginarsi il fuoco che c'era stato fino a poco tempo prima. Chiara sembrava rivivere mentre parlava di lei, ma Alessandro sapeva benissimo che ogni lacrima le strappava qualcosa dentro.

Mamma, papà...” La bambina- che ora indossava un leggero pigiamino a righe e aveva sciolto i capelli- entrò nella stanza, camminando incerta.

Cosa c'è, piccola?” disse Alessandro, mentre Chiara si asciugava velocemente le lacrime.

Non riesco a dormire...Lo so che sto crescendo, ma...posso stare qui con voi? Solo per stanotte, vi prego”

Alessandro guardò Chiara. Lei abbassò lo sguardo sul lenzuolo, e lo strinse forte.
Era una normalissima notte di fine maggio, la città dormiva e il mondo sembrava
fermo.

Certo Sofia, vieni qui.”


Con un salto la bambina si accoccolò nel letto matrimoniale tra i due genitori. Nel silenzio della notte, Chiara riuscì a sentire il suo cuore che tornava a battere, dopo tanto dolore.

Perché Sofia riusciva a curare, a far star bene le persone intorno a lei.

Note autrice:
Questa storia ha partecipato al contest Un giorno ameremo questo periodo della nostra vita che adesso odiamo di (Gaea) classificandosi seconda. Tenevo molto a questa storia, ma non mi aspettavo una posizione così alta. Nella storia doveva comparire una citazione, e io molto genialmente ne ho inserito solo una parte. Guh. Sotto posto il giudizio di (Gaea) *_* Il banner all'inizio è stupendo! <3 Questa storia ha poi partecipato al contest "Pick your three!" di Adamantina, vincendo un premio speciale.

Il titolo vuol dire “Rosmarino e lago” Il rosmarino è una citazione, come la frase che compare nella storia, all'Amleto di Shakespeare- amo il personaggio di Ofelia. Il lago invece si riferisce all'amore di Sofia per i laghi. 

Spero che si capisca anche senza chiarimenti, ma li faccio comunque. Chiara ha chiamato sua figlia Sofia, come la sua amica scomparsa, e la bambina riesce a farla stare bene. Ringrazio la giudiciah e tutte le partecipanti, e chi si fermerà a leggere!

Medaglia d'argento: Ray08 con 64 punti. 

Correttezza grammaticale: 5/5 punti 
Niente da dire, brava! 

Stile e Originalità: 30/30 punti 
Ho pianto: basta a giustificare la valutazione? Commuovente e incredibile, con uno stile articolato e fluido che rende la lettura un vero piacere. 

Caratterizzazione dei personaggi/del personaggio: 10/10 punti 
Sofia. Mi ha conquistata alla descrizione iniziale. Mi hai uccisa col finale, lo sai, vero? Però l’ultima frase risolleva tutto. È davvero la ciliegina sulla torta. 

Sistemazione della citazione: 14/15 punti 
Stessa penalizzazione che ho fatto a un’altra: hai usato solo una parte della frase… si poteva spezzare, ma avrei preferito l’uso della frase intera :-) l’ho detto, ho dovuto essere fiscalissima! 

Giudizio personale: 5 /5 punti 
Incredibile, bellissima, tragica, divertente, magica. Non so davvero che altro io possa dirti.
  
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