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Autore: chaska    05/09/2011    1 recensioni
Noioso.
Il mondo non è altro che una povera girandola che gira su se stessa, alimentata da un soffio di cui non si è nemmeno sicuri della sua esistenza.
Una girandola di carta pesta, così fragile che un soffio appena più intenso la distruggerebbe.
Ed il mondo gira, e il ciclo alla base di tutto insieme a lui. E continuano a ripetersi per l’infinito.
Ogni anno, ogni giorno, ogni secondo una mera imitazione del precedente.
È tutto già accaduto, tutto è già stato deciso, nulla cambierà mai.
Perché opporsi a questa legge del tempo?
[Personaggi: Elizaveta Héderváry (Ungheria) - Radu (Romania)]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Rating capitolo: Verde
Personaggi:  Elizaveta 
Héderváry (Ungheria) – Radu (Romania)

Osservazioni personali:  A-aaw. La prima volta che prendo in analisi questi due, ma soprattutto la prima volta che parlo di un vampiro *3* Assolutamente da vedere questo video ed ascoltare la relativa canzone mentre leggete, perché senza di lei non esisterebbe questa storia. Sono un po’ inscindibili nella mia mente :3 Per il resto, vi auguro una buona lettura C:

 

 

Find a way

 
Noioso.

Era tutto così noioso. Ovunque volgessi gli occhi era già tutto ripetuto, dalla nascita del mondo.

La dolcezza del sole al mattino, che delicato sorge da acque pacifiche.

  Melenso, oltre che doloroso per gli occhi.

La bellezza della musica che ti avvolge nelle sue molteplici melodie.

  Sette misere note, già sentite, già buttate in un angolo.

La risata delle persone, lo sguardo innocente di un bambino.

  Inutile, sciocco e falso. Un inganno per distrarti, per ferirti. Qualcosa di facilmente evitabile.

L’eccitazione della competizione, della guerra.

  Inutile inutile inutile. Mettere a rischio il proprio onore e la propria vita in qualcosa di così volubile.

Il piacere provato alla vista del sangue. L’eccitazione nel sentirlo scorrere fra le dita, a macchiare le candide labbra.

  Eccolo, ecco per cosa vivo notte dopo notte. Per quel liquido di cui non riuscirò mai farne a meno, senza il quale sarei miseramente morto. Un fremito che scuote le mie membra, che mi ottenebra la mente, una dolce, cantilenante droga di cui mi macchio ogni notte, illuminato dall’unica silente testimone del mio peccato, dolce cara luna.

Il sorriso della persona amata.

 Pericolo. Mero pericolo mortale per le membra e per l’anima.

Puro sintomo di tradimento, una debolezza che spezza il cuore. Pure per chi non lo possiede. Anche per chi ormai vi ha rinunciato da troppo tempo per ricordare il suo calore, il battito vitale che scuote il corpo addormentato.

Pericoloso mutevole frammento dell’anima umana, anche per chi umano non lo è più.

Pericoloso perché diverso da tutte le mere attrattive di questo insignificante mondo.

Pericoloso perché inscindibile da ciascuna esistenza, pure per chi non esiste più.

 

   Noioso.

Il mondo non è altro che una povera girandola che gira su se stessa, alimentata da un soffio di cui non si è nemmeno sicuri della sua esistenza.

Una girandola di carta pesta, così fragile che un soffio appena più intenso la distruggerebbe.

Ed il mondo gira, e il ciclo alla base di tutto insieme a lui. E continuano a ripetersi per l’infinito.

Ogni anno, ogni giorno, ogni secondo una mera imitazione del precedente.

È tutto già accaduto, tutto è già stato deciso, nulla cambierà mai.

Perché opporsi a questa legge del tempo? Lasciatevelo dire da chi il tempo l’ha circuito con le sue stesse mani, da chi l’ha ammirato nel suo irrimediabile ripetersi.

Una ripetizione che è una condanna, perché ciò che veramente distrugge l’animo è l’essere costretti ad osservare tutto ciò fino al termine di questo interminabile ciclo.

La vera maledizione è l’immortalità, l’impossibilità di ribellarsi a queste meccaniche leggi dell’essere.

Perché allora opporsi e cercare disperatamente un motivo in tutto ciò? Perché non lasciarsi cullare da questa lenta litania, dalla certezza di non poter far nulla per ottenere qualcosa?

Non è più opportuno chiudere gli occhi, e basta?

 

 

Un’ombra nella notte.

Ecco cos’era ai suoi occhi, un’ombra agile ed elusiva, quasi impossibile da vedere fra le tenebre.

Rare volte l’aveva potuto osservare, sfiorato dai raggi della luna.

E allora poteva ammirare senza ansia alcuna la pelle candida, i capelli che sembravano essere della stessa materia di cui è fatta la luce della luna, gli occhi macchiati dal sangue, così lucenti da farle salire un brivido di paura sulla schiena.

Era un piccolo sogno che poteva osservare da lontano, ancorato nelle sue terre. Un sogno misterioso e senza significato, che si macchiava ogni notte di sangue. Ed i suoi occhi parevano gridare.

Un piccolo, insignificante sogno lungo centinaia di anni, che le rapiva il sonno sin da quando era bambina.

Ed Elizaveta continuava imperterrita ad andare alla finestra ogni sera, conscia dell’esistenza di un sogno che le tormentava il sonno lontano da lei, nelle vecchie foreste ai confini delle sue terre.

Era un sogno, nella sua mente, ma quando i suoi occhi lo incontravano a pochi istanti di distanza pareva ben altro.

Era sicuramente molto più tangibile e vero.

Le sorrideva sempre, avvolto in quel suo vestito nero, i capelli lattei delimitati da un cappello a dir poco ridicolo agli occhi della ragazza.

E lui le sorrideva con quel suo ghigno che sembrava essere nato con lui, con i denti appena visibili oltre le labbra tirate.

Elizaveta non offendeva mai per prima, lanciava le opportune frecciate solo dopo un’altrettanto inopportuna provocazione.

Di solito arrangiava parole troppo poco eleganti per una signora come lei solo con il prussiano sfortunatamente di sua conoscenza. Prussiano che sembrava l’esatto gemello di colui che aveva dinanzi. I capelli bianchi, così come la pelle diafana e gli occhi color cremisi. Erano identici sotto ogni aspetto, eppure ai suoi occhi erano completamente differenti, a parte il cappellino.

Era così evidente la diversa natura del rumeno da spiazzare qualsiasi difesa. E quel ghigno che accentuava i suoi canini, quello Elizaveta lo considerava già una provocazione, da non riuscire a tenere a freno la lingua.

«I tuoi vestiti sono diventati arcaici da un paio di secoli ormai, Radu. »

«Oh, davvero? »

E con aria fintamente sorpresa gettava un’occhiata alla sua giacca, per poi far ritorno in grande stile il ghigno sottile.

«Allora diciamo che li indosso per onorare i bei vecchi tempi, Eliza. »

Socchiudeva sempre le palpebre mentre diceva il nome dell’ungherese, e a lei non poteva sfuggire un fremito della pelle mentre socchiudeva i suoi. Quel suo atteggiamento le ricordava quello di un gatto. Un gatto che ammira la sua preda prima dello scatto finale.

«Sei ridicolo. »

Diceva seccamente, mentre si formava un’espressione di disprezzo sul suo volto che non sarebbe sfuggita nemmeno ad un cieco.

E lui rideva a quelle parole, perché la piccola Eliza era un libro aperto ai suoi occhi. Poteva vedere ogni singola contrazione del suo viso in quelle parole, ogni singola nota della sua voce, ogni piccolo involontario rossore.

Radu conosceva ogni respiro di Eliza, i suoi sguardi pieni di disappunto e di un imbarazzato disprezzo per la sua natura che non riusciva a tenere nascosta ai suoi occhi. Non che ci provasse davvero, ad essere considerato una nazione qualunque. Al contrario la metteva in bella vista con quel ghigno, con gli occhi che brillavano ogni volta che si soffermavano su un lembo di pelle scoperta.

Era come un avviso a star lontani dalle sue terre, come se ai propri confini avesse fatto bella mostra di un cartello dove aveva scritto attenti al vampiro.

Faceva passare la sua Romania per una terra di mostri, divenendo egli stesso un mostro. Un agile mostro che non avrebbe avuto alcuno scrupolo nell’intrappolarti e nel saggiare la dolce pelle del tuo collo e il calore del tuo sangue.

E tutti stavano lontani da lui e dalla Romania, e andava bene così, era quello che voleva. Isolarsi nella solitudine delle sue freddi notti, non avere alcun legame con chicchessia. E a lui andava bene così, ne era felice di quella serenità. Di quella vita solitaria e fin troppo noiosa.

Peccato che ci fosse un piccolo difetto nel suo piano. Eliza.

Quell’Eliza che lo guardava con una curiosità malcelata, che lo sfidava ad ogni sguardo e che non lo abbandonava al suo destino.

Un piccolo ostacolo alla sua vita di perfetta solitudine.

Un delizioso piccolo ostacolo da superare.

Ed Elizaveta poteva far mostra di tutto il disgusto del suo essere dinnanzi al rumeno, ma non sarebbe mai riuscita a distogliere lo sguardo da quel piccolo tangibile sogno.

Un sogno talmente irreale da riuscire a sentire il suo freddo respiro sulla pelle. Un sogno talmente malato da farla rabbrividire quando le sue labbra gelide le sfioravano la pelle alla base del collo. Un sogno talmente impossibile da scaturire in lei il peggiore egoismo, tanto da stringerlo a se ed impedirgli la fuga, impedirgli di svanire nella notte.

Lo aveva ammirato fin dall’inizio della loro esistenza, quel piccolo vampiro che le popolava i sogni e la realtà, venendo catturata puntualmente dai suoi occhi. Occhi che parevano bruciare, che parevano gridare, vorticosi occhi di caldo sangue.

Eppure quegli stessi occhi l’avevano sempre spaventata, loro con quell’ombra di cui mai s’erano liberati. Un’ombra che minacciava la loro stessa esistenza.

Le sembrava che Radu, con quella pesante minaccia sempre addosso potesse svanire da un momento all’altro, lasciando per sempre vuote le sue notti.

Non gliel’avrebbe permesso di lasciarla sola, senza alcun sogno a tenerla sveglia. Avrebbe trovato un modo. Un modo per legarlo a quel mondo così imperfetto, un modo per cancellare quella perpetua stanchezza che gli velava lo sguardo. Un modo per non rimanere sola senza di lui.

«Radu »

Sussurrava, stringendo quel freddo piccolo vampiro. E solo quando sentiva il suo nome sussurrato dalla piccola delicata Eliza, Radu sentiva di trovare qualcosa, qualcosa che il mondo gli offriva. Qualcosa di inaspettatamente nuovo, nonostante glielo offrisse notte dopo notte.

E allora pensava che quella piccola girandola, forse, non girava totalmente a vuoto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Post-it

Lo ammetto vostro onore, questi personaggi sono OOC, così come la storia non ha poi tanto senso. Ma che ci volete fare, la canzone mi ha fin troppo ispirata per non poterci scrivere qualcosa. Ungheria non la conosco molto bene, a parte la sua proverbiale padella che qui non è comparsa, e Romania…non ho la più pallida idea di come sia il suo carattere. Quindi l’ho immaginato come più mi garbava, dandogli i pensieri dei vampiri che più ho amato. No, non mi riferisco a Twilight, anche perché quel libro proprio non mi piace. E non mi riferisco nemmeno ad Anna Rice, dato che ho appena cominciato a leggere i suoi libri. Mi riferisco invece a Raziel e Kain, mitici vampiri di Soul Reaver. Ormai quando penso a quelle creature mi vengono in mente i loro brutti musi <3

Non ho molto altro da dire, se non che mi è piaciuto scrivere questa one, ditemelo voi se ho fatto bene o potevo risparmiarmi questa fatica xD

Stay tuned people! chaska~

   
 
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