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Autore: _Shantel    06/09/2011    13 recensioni
Liceo scientifico L.
Prendete Alice, liceale di diciotto anni che vive in un mondo fantastico; aggiungete Davide, il bello-e-dannato della scuola che è il suo sogno proibito: sommate anche Federico, il migliore amico di Alice, di cui lei si invaghisce; infine moltiplicate per Edoardo, il fidanzato immaginario della ragazza che assume le fattezze dell'affascinante "Blaine", uno gigolò. Risultato?! Un gran pasticcio per la povera Alice da lei stessa creato, senza immaginarsi quello che poteva succedere. Ma in questo caos riuscirà anche a scoprire l'amore per la prima volta. Già perchè, come dice lei stessa...
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C a p i t o l o 19

C
hanging

Silenzio. Dopo quella singola parola il silenzio piombò tra di noi. Si sentiva in lontananza solo la voce di Dario, provenire dalla radio ma, in quel momento, mi interessava molto poco di lui. La mia amica aveva appena scoperto di essere rimasta incinta a soli diciotto anni, per di più di uno scapestrato nullafacente senza un minimo di responsabilità di nome Raffaele. Come avrebbero potuto crescere un bambino loro due, che peraltro stavano insieme solo da pochi mesi? Lei era ancora una ragazzina vogliosa di viversi i suoi anni, di godersi la sua giovinezza. Lui era un caso disperato, sotto ogni punto di vista. Nessuno dei due aveva la testa e la maturità giusta per crescere un bambino. Se prima il sesso mi terrorizzava, in quel momento non ne volevo nemmeno parlare. Non volevo neanche pensare a cosa avrei fatto io, se avessi scoperto una cosa del genere.
«Come lo dirò ai miei?!» singhiozzò Claudia, mettendosi le mani tra i capelli «E a Raffaele? Oddio, mi lascerà appena lo verrà a scoprire!» si disperò, cercando consolazione fra le mie braccia.
Affondò il viso nella mia maglietta e mi strinse forte a sé. Aveva bisogno di qualcuno accanto in un momento delicato come quello e di certo io non mi sarei tirata indietro, non l'avrei abbandonata così fragile. Anche perché, contro ogni mia aspettativa era una amica, una vera amica, e non si voltavano mai le spalle alle persone importanti. Le sarei stata a fianco in qualsiasi momento, sia quando avrebbe dovuto dirlo ai suoi genitori, sia quando ne avrebbe parlato con Raffaele, e le avrei stretto la mano durante le visite dal ginecologo, semmai avesse voluto.
«Non lo farebbe mai» disse flebile «Non ti lascerebbe, soprattutto se gli dicessi una cosa del genere».
Claudia alzò lo sguardo per incontrare il mio, per cercare sicurezza nei miei occhi. Sorrisi, per infonderle forza, anche se solo un minimo, per poter reagire. Raffaele era sì un idiota immaturo, ma ero certa che non avrebbe mai abbandonato Claudia in quello stato, anche perché, nonostante lui cercasse di fare il duro, avevo capito che era molto legato a lei, che provava qualcosa di molto profondo. Magari non era ancora amore, ma era qualcosa di molto simile, molto vicino a quel sentimento.
«Dici?» domandò, insicura.
«Ma certo! Raffaele tiene davvero tanto a te, lo capisco da come ti guarda, da come si illuminano i suoi occhi ogni volta che parla di te» le confidai, accarezzandole una spalla lasciata nuda dalla maglietta senza maniche.
Lei abbozzò un sorriso e si scostò una ciocca di capelli rossi dalla fronte, stringendosi nelle spalle e cercando di trattenere il pianto.
«Lui non mi ha mai detto nulla, non mi ha mai fatto capire nulla. Mai una cosa carina, mai un complimento» e si asciugò gli occhi con il dorso della mano «E non sono poi così sicura di quello che prova per me»
«Raffaele fa il duro, ma in realtà non lo è. Nemmeno a me ha mai detto Ti voglio bene o cose simili. Ma ci sono tanti suoi piccoli gesti, magari che sembrano inutili, che dimostrano i suoi sentimenti. Un sorriso, uno sguardo languido, la voce tremante» le dissi. Ed era così. Se una persona estranea ci avesse visto come spettatore, non avrebbe mai detto che fossimo fratelli, anzi, avrebbe visto solo saette di odio tra di noi. Ma non era così. Io tenevo a Raffaele, come lui teneva a me, anche se cercava in tutti i modi di non dimostrarlo. Forse un po' troppo, data la sua gelosia.
Claudia scrutò nei miei occhi, scavò dentro di me, molto probabilmente per capire se le mie parole erano vere oppure dette solo per consolarla. Sorrise, poco dopo, un sorriso appena accennato, ma felice.
«Stai tranquilla, quindi. Lui non ti lascerà»
«E se non volesse prendersi le sue responsabilità? Insomma, siamo giovani entrambi e un bambino sarebbe un peso per tutti e due» sospirò affranta.
«Un bambino non è mai un peso» risposi, stringendole una spalla «È vero, non è facile crescerne uno, soprattutto quando si è giovani, quando piomba nella tua vita così all'improvviso. Ma sono sicura che questo bambino, o bambina, non farà altro che unirvi di più e portarvi tanta gioia».
Inizialmente Claudia parve convinta dalle mie parole, ma subito dopo scattò in piedi, con le guance inondate di lacrime e si strinse i capelli con entrambe le mani, quasi volesse strapparseli, scompigliandoli più del dovuto.
«Queste sono solo un mucchio di frasi fatte!» sbraitò «Adesso come farò, cazzo! Come farò?!»
Mi strinsi nelle spalle e la guardai con tristezza. Mi dispiaceva vederla in quello stato, vederla piangere e disperarsi e mi rattristava ancor di più rimanere lì, seduta, come una stupida senza nulla di sensato da dirle per tranquillizzarla, se non frasi imbecilli. Mi sentivo inutile in quel momento, non riuscivo nemmeno a consolare un'amica e non avevo la benché minima idea di cosa dire per calmarla. Niente, nada, nella mia testa rimbombava solo la parola Positivo abbinata a quel maledetto test e non riuscivo ad articolare una frase che fosse quanto meno intelligente.
L'unica cosa che riuscii a fare in quella situazione fu alzarmi dal letto e fare qualche passo verso di lei per abbracciarla e stringerla a me, per porle una spalla su cui sfogare le sue paure, la sua tensione. Era un gesto banale, forse, ma sperai, comunque, che lei lo apprezzasse, che capisse che le ero accanto in quel momento, anche se non ero in grado di dire qualcosa di intelligente, qualcosa di veramente utile. Ero immatura, inesperta, non avevo mai vissuto appieno la mia vita, per cui ero l'ultima persona che avrebbe potuto dare dei consigli.
«Stai tranquilla» dissi, accarezzandole la schiena «Andrà tutto bene».
Claudia si strinse ancora di più a me, affondando il viso nella mia maglietta e singhiozzò rumorosamente, coprendo addirittura il volume della radio.
«Speriamo» soffiò tristemente.
Rimanemmo abbracciate per qualche minuto, senza dire una parola, in silenzio, con in sottofondo la musica della radio, fino a quando la porta d'ingresso non scattò, precedendo dei passi pesanti come quelli di un rinoceronte. Strabuzzai gli occhi e deglutii a fatica. Raffaele era tornato a casa, troppo presto, in un momento in cui la sua presenza non era ben accetta.
«Sono a casa» borbottò e sentii un tonfo sordo, segno che si era stravaccato sul divano.
Claudia si allontanò da me e mi guardò preoccupata negli occhi, trattenendo a stento le lacrime. Atona, le dissi di non preoccuparsi e le asciugai con i pollici le guance.
«Non devi farti vedere piangere» mormorai e lei annuì «Glielo dirai subito?»
«No, assolutamente no!» rispose all'istante «Devo prima metabolizzare la notizia e trovare il coraggio»
«D'accordo» sospirai.
«Tu non glielo dirai» mi minacciò quasi puntandomi un dito contro «Me lo prometti?»
«Promesso» risposi, con una mano sul cuore.
Di sorpresa, la porta della mia stanza si aprì e il viso annoiato di mio fratello fece capolino. Senza nemmeno riflettere, con un gesto d'istinto, calciai il test di gravidanza di Claudia sotto il letto, per evitare che lui lo vedesse. Ci avrei pensato dopo a disfarmene. Entrambe gli sorridemmo, false come i soldi del Monopoli, facendo finta che fosse tutto tranquillo, quando invece un devastante uragano si era abbattuto su di noi... più che altro su Claudia.
«Ah, allora ci sei» biascicò rivolgendosi a me.
«Certo, dove pensavi che fossi?» tentai di rimanere il più serena possibile.
«Che ne so, magari con quell'imbecille del tuo ragazzo» rispose contrariato.
«Punto primo, Dario sta lavorando in quest'esatto momento» ribattei, scocciata, contando le mie constatazione sulla punta delle dita «Punto secondo, Dario non è il mio ragazzo».
Parlai senza pensare, le parole erano uscite dalla mia bocca come un fiume in piena, naturali e rimasi sconcertata da esse. Dario non era il mio ragazzo, in fondo lui non mi aveva chiesto nulla e nemmeno io avevo fatto lo stesso con lui. C'era qualcosa tra di noi, e questo era fuori discussione. Qualcosa di intenso, una certa alchimia, qualcosa che io consideravo amore ma che non sapevo come lo avrebbe definito lui. Eppure, a sei mesi di distanza mi ritrovai a pormi la stessa domanda.
Cosa eravamo io e Dario?
Molto probabilmente, non c'era bisogno che lui mi chiedesse apertamente “Vuoi essere la mia ragazza”, magari mi considerava tale anche senza quella domanda. Ma come potevo esserne sicura, senza una sua conferma? Ed io lo consideravo il mio ragazzo? Cioè, lui era ritornato dopo tre mesi di assoluto silenzio solo il giorno precedente, avevo passato la serata più magica e meravigliosa della mia vita, avremmo anche potuto spingerci più in là di un semplice bacio ed io non sapevo se considerarlo il mio ragazzo o solo una persona con cui mi frequentavo.
«Seh, vabbè» bofonchiò Raffaele «E tu, cosa ci fai qui?» domandò a Claudia, aggrottando la fronte.
«Non posso venire a trovare una mia amica?» rispose lei, fingendo tranquillità.
«Mi sembri sconvolta!» constatò, ma non si mosse da dietro la porta.
«No, è tutto ok. Non preoccuparti» mentì «Qualche problema in famiglia, tutto qui»
Smell arricciò il naso e annuì poco convinto.
«Vuoi parlarmene?» domandò, sembrando quasi, e sottolineo QUASI, tenero.
Claudia mi lanciò uno sguardo preoccupato ed io, con discrezione, la incitai a seguire mio fratello in salotto, almeno per farli parlare, sperando che lei trovasse il coraggio di dirgli del bambino, anche se avevo i miei forti dubbi.
«Andate pure. Io credo che uscirò a fare una passeggiata» sorrisi ad entrambi ed afferrai velocemente il mio cellulare.
Non volevo essere loro d'intralcio e soprattutto non volevo essere la terza incomoda, per cui me ne andai, senza però sapere né dove andare né come passare il mio tempo. Era mattino inoltrato, quasi l'ora di pranzo e non avevo la benché minima voglia di mangiarmi un panino da sola seduta su un marciapiede. Mi fermai di fronte al portone, con il sole che tentava di abbagliarmi e digitai velocemente un SMS. Avrei voluto pranzare con Dario, passare un po' di tempo con lui e magari chiarire quei miei dubbi che Raffaele aveva fatto sorgere. Ma lui avrebbe concluso il turno in radio solo dopo un quarto d'ora abbondante, più una mezz'ora di viaggio da Milano al mio paese e avremmo mangiato alle due passate. Non avrei resistito così a lungo, il mio stomaco borbottava già da qualche minuto. Per cui scrissi due righe a Federico, invitandolo a mangiare un boccone con me, nella speranza che accettasse e non perdesse tempo con quell'oca della Cariati. La risposta del mio migliore amico non tardò e, fortunatamente, mi avrebbe raggiunta sotto casa nel giro di pochi minuti. Se mi avesse dato buca per Cristina gli avrei strappato i capelli uno ad uno. Già non la sopportavo, se poi mi avesse portato via anche il mio migliore amico poteva dirsi spacciata.
Infilai il cellulare nella tasca dei jeans e, dopo circa dieci minuti, vidi Abbate comparire sul marciapiede di fronte al mio, vestito orrendamente con un paio di bermuda color panna sporca e una maglietta arancione. Sembrava un enorme evidenziatore dotato di gambe.
Mi guardai intorno, verificando che non passassero macchine e mi precipitai sull'altro lato della strada.
«Ma come ti sei vestito?» ridacchiai, alzandomi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia.
«Ho preso le prime cose che mi sono capitate» scrollò le spalle.
«Noto. Questi vestiti sono un crimine per la moda» dissi ironica.
«Ha parlato...» borbottò «Tu sembra che ti vesti al buio»
«Come osi?» tuonai, divertita, sgranando gli occhi e spalancando la bocca.
Federico mi fece una linguaccia e si allontanò, astutamente, prima che la mia mano lo colpisse con una sberla sul braccio. Finsi di indispettirmi e cominciai a rincorrerlo, agitando le braccia nel vano tentativo di colpirlo almeno una volta. Ma, ahimè, ogni mia sberla sferrata si disperdeva nell'aria. Sembravamo due bambini in quel momento, che si rincorrevano sul marciapiede, sbraitando senza il minimo rispetto per nessuno. Le gente, quando ci passava accanto, sembrava essere sconvolta nel vedere una ragazzina alta poco più di un metro e sessanta rincorrere un bestione della stazza di Federico, soprattutto perché eravamo entrambi maggiorenni; eppure sembrava che gli anni non fossero mai passati. Era come rivedere una vecchia scena, noi due ancora degli undicenni che ci divertivamo a rincorrerci. Non era cambiato nulla tra noi due e questo mi rendeva felice.
«Credo che mi stia venendo un infarto» dissi con il fiatone, piegandomi sulle ginocchia.
Non ero abituata a fare sport e nemmeno a correre, perciò fare anche solo un metro per me era faticoso. Tutto il contrario di Abbate, che, invece, pareva non essersi mosso. Si avvicinò a me ed appoggiò una mano sulla mia schiena, abbassandomi per mostrarmi il suo sorriso sornione.
«Mia nonna avrebbe fatto più strada di te» ridacchiò, divertito.
Arricciai il naso e gli feci una linguaccia. Non era colpa mia se odiavo qualsiasi cosa che mi facesse sudare, che comportasse esercizio fisico. Preferivo di gran lunga poltrire tutto il giorno sul mio comodo divano o, in alternativa, sul mio letto. Anche se, dovevo ammetterlo, non era molto salutare, se poi mi abbuffavo anche di schifezze.
«Spiritoso! Sai, dovresti fare il provino per Zelig!» ribattei, riprendendo fiato.
«Dici? So di avere un grande senso dello humor» e si passò una mano tra i capelli, scostandoli dalla fronte «ma non avevo mai pensato alla possibilità di diventare un comico» concluse, portandosi una mano al mento e guardando il cielo, come se stesse immaginando la sua carriera sfolgorante sul palco di Zelig.
«Ehi, comico!» lo richiamai, sventolando le mani davanti al suo viso «Ero sarcastica»
«No, davvero?» ed enfatizzò le sue parole con un tono di voce di finta sorpresa «Simpaticona» socchiuse gli occhi e mi pizzicò delicatamente entrambe le guance, sballottandomi il viso «Ero sarcastico anche io»
«Idiota» lo apostrofai, stringendogli i polsi e allontanando le sue mani dalle mie guance. Non sopportavo i pizzichi, non li avevo mai sopportati, nemmeno quando ero bambina e mio nonno si ostinava a strapazzarmi le guance.
Lo superai a passo deciso, sbuffando come una pentola a pressione, diretta nemmeno io sapevo dove.
«Cosa mangiamo?» mi domandò, affiancandomi ed affondando le mani nelle tasche dei bermuda.
«Non ne ho idea» bofonchiai, inoltrandomi verso la fontana di Campo Verde.
«Cioè, tu mi inviti a pranzare e non sai nemmeno dove?» sogghignò incredulo Abbate.
«Sono uscita di corsa da casa per lasciare un po' di intimità a mio fratello e alla sua ragazza. E non volevo pranzare da sola, per cui, anche se non ho idea di dove andare, ti ho invitato» spiegai «Dario, purtroppo, è al lavoro».
Federico si fermò nel bel mezzo del marciapiede e mi lanciò un'occhiata truce, quasi volesse uccidermi da un momento all'altro. Ok, forse non era stata una bella idea mettere in mezzo Dario e farlo sentire, ancora una volta, un ripiego.
«Dario?» ripeté «Quel Dario? Dario il gigolò? Dario che ti ha fatta soffrire?»
«Proprio lui, in carne ed ossa» sospirai, incrociando le braccia, aspettando la paternale.
«Sbaglio, o c'è qualcosa che non mi hai detto?» chiese alterato «Ieri avevi finalmente deciso di chiudere con lui ed ora vuoi andare a pranzo con lui?»
«In effetti qualcosa che non ti ho detto c'è» ammisi, sentendomi quasi in colpa per non avergli detto nulla la sera stessa.
Lui allargò le braccia e le fece ricadere lungo i fianchi, con un'espressione allibita stampata in faccia. Anzi, più che altro sembrava deluso da me e dalla scelta che avevo fatto. Presi un profondo respiro e gli raccontai tutto quello che era successo il giorno precedente insieme a Dario, tralasciando, solo, qualche piccolo particolare, come le sue mani sul mio seno. Se gli avessi detto una cosa del genere, ne ero sicura, non avrebbe esitato a cercare Dario per tutto il globo per prenderlo a randellate.
«Oh, che gesto romantico!» esclamò dolcemente, con un sorriso abbozzato.
Mi strinsi nelle spalle ed arrossii. Il fatto che Federico apprezzasse ciò che aveva fatto Dario mi rendeva felice. Non volevo che il mio migliore amico e il mio pseudo-ragazzo fossero in guerra tra di loro. Come avrei potuto dividermi tra loro due?
«Santo cielo, Alice, quanto sei stupida!» sbottò poi, serrando i pugni.
Come, come, come?! Federico mi aveva appena definita stupida? Nessuno poteva permettersi di offendermi, soprattutto, poi, se si trattava del mio migliore amico. Assottigliai lo sguardo e lo trucidai, scuotendo la testa per la disapprovazione.
«Non osare offendermi» sibilai.
«Non ti sto offendendo. Dico solo la verità, la triste verità!» infierì di nuovo, facendo qualche passo verso di me e tentando di stringermi le spalle, ma mi scansai prima che le sue manacce si posassero su di me «Mi hai deluso profondamente, Alice. Credevo fossi più matura»
«Mi dispiace averti deluso, ma queste sono le mie scelte e non permetto a nessuno di giudicarle» replicai, alterata.
Bene! Un semplice pranzo tra amici si stava trasformando in una faida. Litigare con Federico era l'ultima cosa che avessi voluto che accadesse, ma il suo atteggiamento da ragazzo protettivo e maturo non mi lasciava altra alternativa. Diamine, mi sembrava quasi di assistere ad un replay, solo che al posto di Abbate c'era Dario che si ostinava a volermi allontanare da Davide. Alla fine aveva avuto ragione, Saronno si era dimostrato uno stronzo. Ma sapevo che Dario era diverso da lui, me lo aveva dimostrato in più di un'occasione. Anzi, lo speravo, dato che Davide mi aveva fatto credere di essere un santo, e sarei cascata nel suo letto, molto probabilmente, se non lo avessi sentito con le mie orecchie dire delle cose tanto orribili. Ecco che nella mia mente si insinuavano altri dubbi, che si ammassavano uno sopra l'altro, impedendomi di ragionare con lucidità.
Ok, forse anche Dario aveva adottato la stessa tattica di Davide, ma ero libera o no di prendere le mie decisioni, anche se sbagliate? Non volevo nessun protettore, nessun supereroe che mi difendesse dai dolori della vita. Come tutti, avevo il sacrosanto diritto di soffrire e crescere, fare esperienze senza che nessuno mettesse il naso nei miei affari.
«Alice, cerca di capire. Quel ragazzo ti ha in pugno! Basta che dice due paroline dolci, un bacino e gli è tutto perdonato!» tentò, invano, di convincermi.
Sbuffai, roteando gli occhi e incrociai le braccia, mentre Federico continuava a ciarlare, continuava quel suo discorso noioso e privo di senso.
«Qualsiasi cosa lui farà, saprà di avere il tuo perdono in ogni caso. Tu soffrirai, mentre lui si divertirà alle tue spalle, per poi tornare con la coda tra le gambe, un discorso sdolcinato e tu, bum! Cadrai ai suoi piedi»
«Smettila con queste sciocchezze» dissi, scocciata «Sono innamorata, non stupida. Ho voluto solo dargli una seconda possibilità. Ma se mi deluderà ancora sta' sicuro che lo manderò a quel paese»
«Credi davvero che ci riuscirai?» mi domandò serio.
Avevo capito che lui parlava così solo perché non voleva vedermi soffrire ancora per Dario e apprezzavo la sua preoccupazione, ma, accidenti, non ero più una bambina!
«Sì, ne sono più che sicura» risposi decisa, annuendo anche per enfatizzare il tutto.
Federico sospirò rumorosamente e sembrò rilassarsi. Scosse al testa quasi impercettibilmente, poi mi rivolse un sorriso.
«In evenienza, mi porterò dietro una bella scorta di fazzoletti» ironizzò, beccandosi una linguaccia da parte mia.
Mi avvicinai a lui e lo presi sotto braccio, continuando la nostra passeggiata alla ricerca di un luogo dove mangiare.
«Si può sapere perché Dario non ti piace? Non lo conosci nemmeno» chiesi.
«In realtà è solo un'impressione» scrollò le spalle e sollevò gli occhi al cielo «E poi, vabbè, non posso non prendere in considerazione quello che ti ha fatto»
«Lo sai, vero, che per me sarà molto difficile dividermi tra voi due?» sospirai «Insomma, siete le due persone più importanti per me e mi rattrista il fatto che non vi sopportiate»
«Per cui, dovrei dedurre che non mi digerisce» constatò, con un sopracciglio abbassato.
«Diciamo che, no, non gli vai molto a genio» ridacchiai «Sai, per le tue mani 'polipose' al bowling»
Federico roteò gli occhi e batté la mano libera sulla coscia.
«Ma dai! Stavo solo cercando di aiutarti!» si stizzì.
Lo guardai con sufficienza, schioccando la lingua e lui sbuffò rumorosamente, annuendo.
«Ok, ci stavo provando!» ammise ed io, arrossendo, abbassai lo sguardo «Ma, mi sembra, che quando ci siamo incontrati al bowling lui non fosse il tuo ragazzo, per cui ero libero di provarci con te!»
«Il tuo ragionamento non fa una grinza» ridacchiai «Ma ti ricordo che lui doveva fingersi il mio ragazzo, per cui ci stava che fingesse di essere geloso»
«Fidati, lui non fingeva. Era geloso! Se avesse potuto, mi avrebbe spaccato la faccia» ribatté lui, fingendosi preoccupato.
«Sai che ieri sera, in macchina, parlando di te, ha proprio detto quelle parole, che ti spaccherebbe volentieri la faccia?» gli dissi, ricordando ciò che ci eravamo detti nella sua auto.
«Oddio, spero di non trovarmelo sotto casa» ridacchiò, per nulla impaurito dalle minacce di Dario. E perché avrebbe dovuto? Era il doppio del mio pseudo-ragazzo, una sua mano sarebbe bastata per polverizzare il povero Dario.
«Non ti preoccupare. Gli darò io la possibilità di spaccartela» sogghignai.
Federico mi guardò dubbioso, arricciando le labbra e il suo viso a punto interrogativo bastò come domanda.
«Gli voglio chiedere di raggiungerci, di pranzare con noi. Almeno avrete tutto il tempo per parlare e conoscervi. Sono sicura che diventerete ottimi amici!» spigai, con un sorriso.
«Non penso che sia una buona idea. Soprattutto perché lui mi odia profondamente, anche se non so il perché» fece spallucce «Per cui, rimetti in tasca il cellulare».
Mi strinse la mano che impugnava il telefonino e me l'abbassò. Non volevo che quei due si odiassero, non sarei riuscita a conciliare amicizia ed amore, ne ero sicura, anche perché ci sarebbe stato da una parte Federico che avrebbe cercato di convincermi che Dario fosse uno stronzo, mentre dall'altra ci sarebbe stato il mio pseudo-ragazzo che avrebbe continuato ad essere geloso di Abbate, lamentandosi di lui in continuazione.
«E dai, ti prego!» lo supplica, stringendomi di più al suo braccio e facendo gli occhi dolci.
«No, è inutile! Io non ti chiedo di essere amica di Cristina!» ribatté, soddisfatto, come se mi avesse inferto la stoccata finale. Ma, mio caro Abbate, ci voleva molto di più per mettermi KO.
«Mio caro Abbate, io conosco già Cristina. Sai, ci convivo sei ore al giorno e ti posso dire che tra di noi non ci potrà mai essere un'amicizia, nemmeno se pregassi in cinese!» risposi, con ovvietà «Tu e Dario vi siete parlati solo al bowling e solo per cinque minuti scarsi, visto che vi siete ignorati. Per cui, prima di fare stupide ed inutili sceneggiate, prova a conoscerlo!»
Lui sbuffò e scosse la testa con vigore, deciso e irremovibile nella sua decisione. Ma Alice Livraghi non poteva arrendersi, non così facilmente, aveva un'altra arma a sua disposizione e l'avrebbe sfoderata. Eccome se lo avrebbe fatto. Mi strusciai sul suo bracci e lo sentii sussultare, poi alzai lo sguardo da cucciolo abbandonato ed indifeso verso di lui, aggiungendoci anche un labbro tremulo, in pieno stile 'Dario'. Con me funzionava sempre quel metodo, magari avrebbe avuto effetto anche su Federico.
«Fallo per me» colpo di grazia, detto nella maniera più zuccherosa possibile.
Le guance di Federico si tinsero piano piano di rosso e i suoi occhi cominciarono a rimbalzare da me alla strada davanti a lui. Avevo ancora un certo ascendente su di lui ed ero più che sicura che avrebbe ceduto da un momento all'altro. Sbattei le palpebre più volte, rendendomi più dolce ed affabile e, finalmente, lo sentii crollare. I muscoli del braccio si rilassarono e si lasciò andare ad un lungo sbuffo.
«E va bene!» sbottò «Digli di raggiungerci»
Dopo un primo momento di stupore misto a felicità, mi avventai su di lui, saltandogli letteralmente addosso, con le braccia a circondargli il collo. Avrei dovuto ringraziare ogni sera il cielo che mi aveva permesso di conoscere Federico, di avere un ragazzo d'oro come lui come migliore amico. Dove lo avrei trovato un altro simile a lui, con la sua stessa dolcezza e pazienza, che sopportasse i miei sfoghi e i miei capricci?
«Cercherò di essere cordiale con lui, ma se si comporterà male scordati che io diventi suo amico!» aggiunse come clausola. Superflua, per giunta, perché sapevo, in cuor mio, che quei due sarebbero diventati amici.
«Grazie, grazie, grazie!» cinguettai, al settimo cielo, baciandolo ripetutamente sulla guancia.
«Mi lascio convincere troppo facilmente» borbottò, accarezzandomi un fianco «Non c'è nessuna speranza, invece, che tu e Cristina mettiate da parte i rancori?» mi domandò speranzoso.
«Toglitelo dalla testa!» sbottai all'istante «No, davvero, io e lei siamo su due pianeti completamente diversi»
E parla male di me, si diverte a prendermi per il culo alle mie spalle, ridendo con il resto del pollaio.
Avrei voluto aggiungere anche quello, ma lo tenni per me. Non volevo offendere la sua ragazza, anche se se lo sarebbe meritato. Mi allontanai da Federico e afferrai di nuovo il cellulare, cominciando a comporre il messaggio da mandare a Dario.
«Avant Garde?» proposi a Federico, alzando per qualche secondo lo sguardo dal cellulare.
Quella era la mia pizzeria preferita. Piccola, accogliente, con un personale simpatico ed una pizza al trancio alta quasi due dita che era la fine del mondo. Solo a pensarci avevo l'acquolina in bocca.
«E mangi pizza anche stasera?» domandò dubbioso.
Aggrottai le sopracciglia e gli rivolsi uno sguardo spaesato. Che cosa stava dicendo? La sera avrei mangiato quello che cucinava mia madre, che non ero di certo pizza, dato che era un'impedita nel prepararla.
«Stasera avete la pizzata di classe, da come mi ha detto Cristina. Non lo sapevi?»
Accidenti, no che non lo sapevo! Nessuno aveva avuto la decenza di avvertirmi. In fondo, facevo parte anche io di quella classe. Ma non c'era da stupirsi. Non avevo rapporti con nessuno dei miei compagni. L'unico che avevo era quello con Benedetta, che si era andato a farsi benedire. Ma se la Cariati pensava che così facendo io non sarei andata a quella pizzata, si sbagliava di grosso. La mia classe aveva organizzato una pizzata e, cascasse il mondo, ci sarei andata. Anche se non avevo la benché minima idea di dove si sarebbe svolta. Avrei controllato su Facebook, nella speranza di trovare la pizzeria in cui avevano deciso di andare.
«Ma certo!» esclamai sorridendo. L'ultima cosa che volevo era passare per l'emarginata della classe che nessuno prendeva in considerazione «Mi era passato di mente! Comunque, non importa per la pizza. A me piace, la mangerei anche a colazione!» vano tentativo di arrampicarsi sugli specchi. Ad aver saputo della pizzata, avrei scelto un altro luogo dove pranzare.
«D'accordo, come vuoi» tagliò corto lui.
«Una mezz'oretta e sarà qui da noi» gli dissi con un sorriso intascando il cellulare. Alla fine, avremmo comunque mangiato per le due passate. Ma avrei fatto quello sforzo se sarebbe servito a far andare d'accordo quei due.
«E nel frattempo, cosa facciamo?» sbuffò Federico, annoiato.
«Beh, potremmo cominciare ad avviarci e magari ci fermiamo un po' in piazza, che ne dici?» proposi, con un mezzo sorriso.
«All'una del pomeriggio? A giugno inoltrato? Con il sole che picchia?» si lamentò.
«Se vuoi accelero il tempo, così Dario arriva prima» dissi sarcastica, sbuffando e puntellando le mani sui fianchi.
«Spiritosa» bofonchiò, con una smorfia «Possiamo cominciare ad andare lì e ordinare anche per lui. Il tempo di arrivare e che preparino le pizze Dario sarà sicuramente già arrivato».
Sarebbe stata una bella idea, un piano perfetto, se non fosse stato che io non sapessi i gusti di Dario. Anzi, a pensarci bene, non sapevo nulla di lui. Non sapevo cosa gli piacesse, cosa gli desse fastidio, non sapevo il suo colore preferito e nemmeno la sua data di nascita. Nulla di nulla e pretendevo di definirmi innamorata di lui. Molto probabilmente non era così. Magari era solo una semplice attrazione fisica che io mi ostinavo a spacciare per amore. Oppure, ero talmente disperata che mi appigliavo ad una semplice amicizia, cercando in tutti i modi di convincermi che era qualcosa di molto più profondo, quando, in realtà, era semplice affetto.
Quella giornata era iniziata con il piede sbagliato, con la notizia sconvolgente di Claudia e sembrava non volesse proseguire positivamente. Avevo tanti, troppi dubbi su Dario, su di me, su di noi come coppia.
«Siamo arrivati» la voce dolce di Federico mi riportò alla realtà e mi ritrovai davanti la porta a vetri della pizzeria. Non mi ero nemmeno accorta di star camminando e di essere giunta all'Avant Garde. Era come se quei pochi minuti non li avessi vissuti, come se il mio corpo avesse vissuto senza la mia anima dentro. Non ricordavo nulla, talmente ero offuscata dai miei dubbi.
«Dario ti ha risposto?» mi chiese.
Estrassi il cellulare della tasca, ma sul display non apparve nulla, se non il faccione del mio gatto. Scossi la testa e sospirai. Molto probabilmente non ci avrebbe raggiunto, magari non aveva voglia di passare del tempo con me. Anzi, sperai addirittura che non avesse letto quel messaggio. Non avevo voglia di vederlo, di affrontare i miei numerosi dubbio.
«Che facciamo allora?» domandò «Entriamo ed iniziamo ad ordinare?».
Annuii mestamente e lo seguii dentro il locale. Era piccola quella pizzeria. All'ingresso c'era la cassa e il forno a legna, mentre, sul retro, una decina di tavoli per consumare la propria ordinazione con tranquillità.
Un giovane e cortese cameriere ci accompagnò nella sala vuota, fino ad un tavolo per due persone. Ordinammo entrambi una pizza margherita con doppia mozzarella e una bottiglia d'acqua per bere e quella fu l'unica cosa che dissi. Rimasi in silenzio a lungo, disegnando con la punta del coltello dei ghirigori sulla tovaglia rosa salmone, riflettendo su quello che mi stava capitando. Avevo troppe domande che mi ronzavano in testa e che si alternavano in maniera disordinata nella mia mente, tutte in cerca di una risposta che io non sapevo e non volevo trovare.
Cosa siamo io e Dario?
Solo amici o qualcosa di più?
Fidarsi di lui è la cosa giusta?
Sono veramente innamorata di Dario?

La mano di Federico si allungò sul tavolo e andò a stringere la mia. Alzai lo sguardo dalla tovaglia, trovando i suoi occhi color nocciola scrutarmi con preoccupazione. Abbozzai un sorriso, così, per tranquillizzarlo, per fargli capire che era tutto a posto anche se in realtà così non era. Ma lui non sembrò convinto di quel mio tentativo e mi strinse ulteriormente la mano.
«Sei strana» constatò «Non mi hai rivolto la parola da quando ci siamo allontanati da Campo Verde».
Bene, lo avevo anche ignorato mentre ero persa nei meandri dei miei pensieri.
«Riflettevo» sospirai. Lui annuì e mi rivolse un sorriso dolce per spronarmi a spiegargli ciò che mi attanagliava «Su me e Dario. Sai, non sono per nulla sicura di noi due» sospirai, affranta.
«Ma come? Prima sembravi al settimo cielo di averlo ritrovato e ora hai i dubbi?»
«Lo so, è strano. Ma mi hai fatto notare, implicitamente, che io non so nulla di lui! Solo il suo nome» scossi la testa e liberai la mia mano dalla presa di Federico, congiungendola poi all'altra sotto la tovaglia «Come posso dire di amarlo se non so niente di lui? Molto probabilmente sto correndo troppo, forse lo trovo solo affascinante, forse ho solo un disperato bisogno di amore» parlai a raffica, senza prendere fiato e mi ritrovai senza respiro dopo quelle parole.
«Se tu sei la prima a dubitare di voi due, questa storia non avrà molto futuro» parlò con un filo di voce e trovai un po' di conforto e sicurezza nel suo sorriso tenero «Viviti questi momenti, goditeli! E se poi non è vero amore, pazienza! Prima o poi arriverà questo tuo principe azzurro!» ridacchiò e si umettò le labbra, abbassando per alcuni secondi lo sguardo «Capito, piccola?»
«Piccola a chi?» tuonò una voce alle mie spalle.
Non mi servì nemmeno voltarmi perché lo avevo riconosciuto. Dario, contro ogni mia aspettativa, era arrivato. Anche prima del previsto. Sentii i suoi passi pesanti rimbombare dietro di me, poi una sedia strisciare, fino a che non lo vidi sedersi accanto a me.
«Piccola è sotto copyright» continuò stizzito «Ed ogni volta che lo sentirò uscire dalla tua bocca sarà un cazzotto sul muso» continuò, sorridendo come un cretino.
Ecco, iniziava proprio con il piede giusto quel mio tentativo di renderli amici. Ma, comunque, la strada era ancora lunga e il primo passo non comprometteva l'intera corsa.
«Perché non mi hai detto che ci sarebbe stato anche il troll?» mi domandò, sporgendosi verso di me e sussurrandomelo nell'orecchio.
Rabbrividii per la sua vicinanza, per il suo respiro contro la mia pelle. Come potevo dubitare di quello che provavo per lui? Insomma, solo il suo odore bastava per farmi sussultare, solo il suo fiato era necessario per farmi rabbrividire, solo i suoi occhi erano sufficienti per rendere migliore la mia giornata. Diamine, ogni secondo che passava ero sempre più confusa su di noi e sul mio sentimento per lui. La soluzione 'attrazione fisica' continuava a rispuntare, insinuandomi sempre più in profondità il dubbio.
«Una piccola omissione» risposi e, nonostante gli sforzi, non riuscii a sorridergli.
Dario mi accarezzò una guancia e la sua mano scivolò dietro la mia nuca, spingendomi verso di lui. Le nostre labbra entrarono in contatto e la sua lingua non esitò a cercare la mia subito dopo, in un impeto trascinante che trasformò quel bacio in qualcosa di troppo passionale per una pizzeria. L'altra sua mano scivolò sulla mia coscia, la percorse, fino a fermarsi a pochi millimetri dal mio inguine. Sussultai nel sentire il suo calore così vicino alle mie parti intime e il sangue nelle vene bollì per l'eccitazione.
Attrazione fisica. Semplice attrazione fisica, continuava a ripetere il mio cervello.
«Ehm!» tossicchiò Federico e le labbra di Dario si staccarono dalle mie «Scusatemi, so che vi interrompo, ma qui con voi ci sarebbe anche il troll»
«Purtroppo per noi» borbottò Dario, guardandolo torvo «Ma perché non lo fai andare via, così rimaniamo solo io e te?» addolcì il tono, rivolgendosi a me e sfiorò le sue labbra sulle mie in un fugace contatto.
«No, Dario» risposi, spingendolo delicatamente lontano da me «Volevo proprio che ci foste entrambi per farvi conoscere. Per me sarebbe davvero difficile dividermi tra voi due» gli spiegai e il suo viso s'incupì a poco a poco.
«Io non voglio avere nulla a che fare con questo spilungone!» sbottò, indispettito, sbattendo con la schiena contro la sedia.
«Ti prego, Dario, fai un piccolo sforzo!» lo supplicai, stringendogli la mano.
Lui si morse il labbro inferiore e sfuggì al mio sguardo stucchevole, puntandolo verso il lampadario. L'espressione sul suo viso era dura e sembrava irremovibile nella sua testardaggine. Nella sua ottusa e insopportabile testardaggine.
«Dai, Dario!» tentai di nuovo, stringendo ulteriormente la presa sulla sua mano «Per me».
I suoi occhi neri, quei due pozzi profondi, si posarono nuovamente su di me e un risolino incredulo lo fece raddrizzare sulla sua sedia.
«Non puoi costringermi!» tuonò, alterato. Lui faceva lo stizzito, quando in realtà avrei dovuto esserlo io. Gli stavo chiedendo un semplice favore, non di cambiare la rotazione terrestre. Gli afferrai un braccio e lo strattonai violentemente verso di me, in modo tale da poter parlare sotto voce, senza farmi sentire da Federico.
«Ti sto chiedendo solo di provare a conoscerlo, non di portarmi su una stella» mormorai.
La mascella di Dario si contrasse e l'aria gli uscì rumorosamente dal naso. Sembrava un toro infuriato, pronto ad incornare chiunque gli si fosse parato davanti.
«Si può sapere che cosa ti ha fatto? Non lo conosci nemmeno e dici di non sopportarlo» alzai di poco il tono. Ero arrabbiata con lui, dannazione! E in più si aggiungevano tutti i miei dubbi che mi rendevano alquanto nervosa ed elettrica «Tu e i tuoi stupidi pregiudizi»
«Non iniziare con quel discorso. Lo abbiamo sepolto insieme a Davide» sibilò.
«E allora, porca miseria, sforzati di essere civile con lui! Federico non ha fatto tutte queste sceneggiate! Ha accettato di incontrarti e lo ha fatto per me, perché ci tiene a me e alla nostra amicizia»
«Bella tattica. Puntare sui sentimenti e il senso di colpa» replicò sprezzante «D'accordo, ci parlo, almeno non potrai rinfacciarmelo in un futuro».
Rimasi spiazzata e delusa da quelle parole, ma cercai di nascondere la mia amarezza, annuendo e sorridendo a Federico che era rimasto in silenzio a guardarci e, molto probabilmente, aveva sentito tutto. Avrei voluto alzarmi da quel tavolo, sbattere in faccia a Dario un bicchiere e urlare, sbraitare fino a perdere la voce per la rabbia. Ma mi trattenni per non mandare all'arai tutti i miei sforzi di far conciliare quei due.
«Allora» iniziò il discorso Abbate, cercando di stemperare la tensione «Come mai sei arrivato così presto? Pensavo ci mettessi di più»
«Ero di strada» rispose conciso Dario, rivolgendogli uno sguardo assassino.
«Stavi venendo a incontrare la tua piccola?» gli chiese Federico, in un chiaro tono provocatorio.
Abbassai lo sguardo e mi passai entrambe le mani nei capelli. Nessuno dei due sembrava voler collaborare ed ero certa che sarei impazzita prima ancora di ricevere la mia pizza. Anzi, no, fortunatamente, visto che il cameriere me la consegnò poco dopo, insieme a quella di Federico. Rivolse uno sguardo dubbioso a Dario, che gli rispose senza nemmeno aver sentito la domanda.
«Non voglio niente. Mi è passato l'appetito»
Il cameriere annuì e si congedò. Sperai con tutto il cuore di poter mangiare in santa pace, ma sembrava che tutto, durante quella mattinata, fosse contro di me e contro i mie nervi, ormai tesi e a fior di pelle. Sarei esplosa per il nervosismo, di lì a poco, ne ero più che sicura.
«Hai detto bene spilungone» Dario tornò a rivolgersi a Federico «La mia piccola, non la tua»
«Federico. Mi chiamo Federico, non spilungone» ribatté acido Abbate, tagliando la pizza con foga e mangiandone un boccone.
«Preferisco spilungone» replicò con un sorriso di scherno Dario «E credo che continuerò a chiamarti così. L'Italia è un paese libero, mi pare»
«Giusto» concordò e per poco ci fu una meravigliosa armonia tra di noi, che ci abbandonò subito dopo «Per il tuo stesso ragionamento, io posso chiamare Alice piccola quanto mi pare e piace».
Dario allargò le braccia e sogghignò incredulo, scuotendo il capo. Poco dopo le sue mani ricaddero pesanti sulle suo cosce e il suo viso si contrasse in una smorfia di dissenso. Era alterato ed io non volevo che quei due litigassero, che mandassero all'aria il mio piano. Allungai un pezzo di pizza a Dario, cercando, così, di farlo tranquillizzare, ma lui allontanò con poco garbo la mia mano, troppo concentrato ad inveire contro Federico.
«Mettiti in testa una cosa, troll» e gli puntò un dito contro con fare minaccioso «Solo io posso chiamare Alice in quel modo»
«E chi lo impone? La legge?» disse ironico ed ero sicura che, se avesse potuto, Dario gli avrebbe distrutto una sedia sulla schiena, come in un incontro di wrestling.
«Piccola è un soprannome troppo sdolcinato per darlo ad una semplice amica» ringhiò, alzandosi dalla sua sedia e sbattendo le mani sul tavolo, sporgendosi verso Abbate «Che ti credi, spilungone, che io non sappia che tu gli ronzerai attorno? Che cercherai di portarmela via sotto il naso? Che ti approfitterai di lei in un momento di debolezza?»
«Mio caro nanerottolo» rispose per le rime, alzandosi anche lui e sovrastandolo con il suo metro e novantaquattro abbondante «Se fossi stato un approfittatore, mi sarei preso Alice quando tu te ne sei andato perché spaventato» sottolineò quella parola con rabbia «E a quest'ora lei poteva benissimo essere tra le mie braccia e non tra quelle di un bastardo come te» sputò con rabbia, forse troppo trascinato dall'ira per riflettere su quello che stava facendo.
Dario si sollevò e sorrise, leccandosi l'angolo della bocca e passandosi una mano tra i capelli. Borbottò qualcosa tra sé e sé, forse stava prendendo in giro Federico con uno dei suoi insulti. Beh, dai, non aveva reagito così male. In realtà, pensavo che gli avesse spaccato realmente la faccia.
«Dai ragazzi, adesso basta» sorrisi e mangiai un boccone di pizza, sperando di smorzare quella tensione.
Dario mi rivolse uno sguardo ed annuì, prima di voltarsi di scatto verso Federico e sferrargli un pugno in pieno viso. Vidi Abbate barcollare, mentre nascondeva con una mano il naso, finché non inciampo contro la sedia e cadde con il sedere per terra con un tonfo degno di un pachiderma. Scattai in piedi, lasciando cadere la forchetta con un tintinnio nel piatto e mi portai una mano davanti alla bocca, sconvolta per quello che aveva fatto Dario.
«Chi cazzo sei per giudicarmi?» sbraitò Dario, guardandolo dritto negli occhi, quasi volesse incenerirlo con quello sguardo.
Le sue grida attirarono l'attenzione del personale della pizzeria, che comparve, curioso, sulla soglia della porta e rimase ad osservare la scena, come se stessero vedendo un film. Ci mancavano solo i pop corn e una bevanda.
«Smettila Dario!» mi intromisi anche io e il mio urlo uscì strozzato e quasi a fatica. Avevo voglia di piangere, sfogarmi per tutta la tensione e il nervosismo che stavo accumulando, ma mi trattenni, nonostante sentissi le lacrime spingere per uscire. Lui non sembrò ascoltare il mio lamento e si abbassò verso Federico, afferrandolo per la maglietta e sollevandolo da terra.
«Tu non sai nulla di me. Non sai perché mi sono comportato così e non ti permetto di rovinare quello che c'è tra me e Alice» sibilò a pochi centimetri dal suo viso.
«Facendo così, sei tu che rovini il vostro rapporto» arrancò Abbate, con un rivolo di sangue che gli usciva dal naso.
«Vuoi un altro pungo, spilungone?» minacciò Dario, serrando la mano come se volesse colpirlo ancora.
Come una furia, mi avvicinai a lui e gli strinsi il braccio, impedendo che anche quel colpo andasse ad infrangersi sul volto di Federico. Lo strattonai, mi aggrappai letteralmente a lui, appoggiando il viso sulla sua spalla, disperata. Il mio tentativo di farli parlare come due persone civili erano andati in fumo. Io non volevo che quei due litigassero per me, non volevo che arrivassero addirittura a picchiarsi. Mi sentivo in colpa perché ero stata egoista, perché li avevo costretti a cercare un punto di incontro che, a quanto pareva, non esisteva. Avrei dovuto dare ascolto a Federico e così lui si sarebbe risparmiato un naso tumefatto.
«Basta Dario» lo pregai e la mia voce uscì come un lamento straziante.
I muscoli del suo braccio si sciolsero sotto la mia presa e lo sentii muoversi, come se avesse lasciato la presa su Federico. Si liberò dalla mia stretta con un delicato strattone e, senza che me ne rendessi conto, mi ritrovai abbracciata a lui, con il viso affondato nella sua maglietta che sapeva di vaniglia mista a tabacco. Le sue braccia mi stringevano a lui, quasi non volesse farmi scappare, e le sue mani si serrarono, intrappolando la stoffa della mia maglietta.
«Scusami Alice» mormorò, realmente dispiaciuto per quello che era successo.
Ma come potevo ricambiare la sua stretta e far finta che nulla fosse accaduto? Star lì, nelle sue braccia a bearmi del suo calore e del suo odore, quando Federico era seduto sulla sedia, dolorante? Aveva esagerato! Arrivare addirittura alle mani mi sembrava assurdo. Ok, forse Abbate poteva risparmiarsi quel bastardo detto tra i denti, ma la reazione di Dario era stata troppo violenta per i miei gusti.
Seppure avessi voluto rimanere stretta a lui e piangere, sfogare tutta la mia tensione tra le sue braccia, lo spinsi via da me con decisione e andai a sincerarmi delle condizioni di Federico, che, intanto, era stato soccorso dal titolare della pizzeria. Aveva il viso reclinato in avanti e si stava tamponando il naso con dei tovaglioli di carta, nei quali erano avvolti alcuni cubetti di ghiaccio.
«Stai bene, Fede?» gli chiesi, preoccupata, abbassandomi verso di lui per poggiargli una mano sulla spalla e scostando i capelli che ricaddero inevitabilmente in avanti.
«Stavo meglio prima» ironizzò con un mezzo sorriso, controllando che i tovaglioli non fossero sporchi.
Sembrava che il peggio fosse passato, che il suo naso avesse smesso di sanguinare nonostante il colore violaceo.
«Non è rotto, vero?» mi sincerai, rimbalzando con lo sguardo da Abbate e il titolare che lo aveva soccorso.
«No, non credo» mi rispose Federico, toccandosi delicatamente il naso e soffocò un urlo di dolore «Fa solo male, ma non è rotto» mi rassicurò nuovamente.
«Dio, che spavento!» sospirai e mi avvinghiai a lui, stando attenta a non urtargli il naso. Lui ricambiò a mia stretta, dandomi qualche dolce e delicata pacca sulla schiena.
«Stai tranquilla. È tutto a posto.» cercò di calmarmi, ma serviva molto di più di una semplice frase. Un valium sarebbe stato l'ideale o una qualsiasi tisana rilassante. Avevo il cuore che batteva all'impazzata, sembrava volesse schizzare fuori dalla cassa toracica. Per non parlare poi dei muscoli, tutti contratti per il nervosismo e un terribile cerchio alla testa. Un giorno da dimenticare, non c'erano dubbi. Mai e poi mai avrei tentato di farli riappacificare quei due. Avrei conciliato amicizia e amore. Semmai di amore si trattasse.
Ero stretta a Federico, ma questo non impedì al mio sguardo di andare a cercare Dario. Era immobile, con i pugni serrati e gli occhi colmi di tristezza, con il labbro inferiore stretto tra i suoi denti. Scosse la testa e, forse senza nemmeno accorgersi che lo stessi fissando, se ne andò, furioso, con passo svelto e deciso, scansando con poco garbo il personale della pizzeria che ostruiva il passaggio.
Sussultai e la mia presa su Federico si indebolì. Non potevo farlo scappare così, non dopo aver visto i suoi occhi neri intrisi di tanta tristezza. Dovevo raggiungerlo, abbracciarlo, perché mi ero ripromessa che lo avrei reso felice, in qualsiasi istante. Ma non potevo nemmeno lasciare Federico come un babbeo in quella pizzeria. Ero davanti ad un bivio, per l'ennesima volta e non sapevo che strada percorrere.
Amicizia o amore?
Federico o Dario?
Qualcosa di certo o qualcosa di confuso?

«So che vuoi seguirlo» la voce di Federico arrivò quasi ovattata alle mie orecchie «Non fartelo scappare di nuovo».
Mi voltai verso di lui e scossi la testa, mordendomi entrambe le labbra. Non potevo abbandonare così Federico, anche se non aveva nulla di grave, ma mi sarei sentita in colpa comunque. Lui mi strinse le mani e mi sorrise dolcemente, con lo sguardo pieno di comprensione.
«Non ti preoccupare per me. Io sto bene! È solo una botta, passerà presto» cercò di convincermi «Corri, su!».
Sorrisi, un sorriso pieno di gioia e gli schioccai un lungo bacio sulla guancia. Come al solito le parole di Federico mi erano state di aiuto, mi avevano illuminato il sentiero da prendere, la strada tortuosa che conduceva a Dario.
Corsi fuori dal ristorante, sotto al sole cocente del primo pomeriggio, ma poco mi importava del caldo atroce. Mi guardai attentamente attorno, cercando la figura di Dario. La strada che conduceva a Campo Verde era desolata, così come quella che portava al cinema. Feci qualche passo e svoltai a destra, verso la piazza e lo vidi immobile di fronte alla fontana, con le mani affondate nelle tasche dei jeans, che fissava i giochi d'acqua senza un reale interesse. Lo raggiunsi, correndo e mi avvinghiai subito a lui, lo strinsi a me per non farlo scappare un'altra volta, strusciando il viso sul suo braccio. Il suo odore di vaniglia mi penetrò fino in fondo all'anima, riempì i miei polmoni e il mio cuore. Forse non era amore e nemmeno attrazione fisica. L'unica cosa che sapevo era che, con lui, mi sentivo felice, che solo lui era in gradi di farmi palpitare, di farmi sognare, di sconvolgermi con ogni suo piccolo gesto o un suo sorriso.
«Com'è che non sei rimasta dentro con il tuo amico?» domandò, quasi assente.
«Perché non volevo perderti di nuovo» risposi, stringendomi di più a lui, quasi volessi che entrasse a far parte di me.
«Perché perdi tempo con uno come me?» la sua voce uscì in un sussurro «Voi due siete così affiatati...»
«È ovvio! Ci conosciamo da anni!» esclamai, cercando, in un qualche modo, di tranquillizzarlo.
«Più di quanto lo siamo noi due» aggiunse, abbassando il capo.
«Credi che io voglia stare con lui?» domandai, cercando di vederlo in viso, ma mi era quasi impossibile.
«Non lo so. In realtà non so che pensare» sospirò «Eri così felice mentre parlavi con lui, come non ti avevo mai vista, nemmeno con me...»
«Ehi, stupidone!» lo richiamai, sollevandogli il viso con due dita e incontrando finalmente i suoi occhi, quegli oceani neri in cui avrei voluto annegare «Se ti sembravo felice era perché stavo pensando a te».
Dopo un primo momento di esitazione, le sue labbra si stiracchiarono in un sorriso sempre più felice e le sue guance si tinsero di rosso piano piano. Non mi sarei mai stancata di ripeterlo, imbarazzato era più bello del solito. Appoggiai le mani sulle sue guance, stringendogli quel visino dolce da cucciolo che si ritrovava, e lo spinsi verso di me, per guardare più a fondo in quegli occhi che mi perforavano l'anima e mi mozzavano il fiato.
«Dario, io ho scelto te! E non mi pentirò mai, MAI della mia decisione!» dissi in un soffio, riuscendo a sovrastare comunque il rumore della fontana, che era ovattato, come se fossimo stati sbalzati in un'altra dimensione, come se fossimo richiusi in una bolla solo io e lui.
«Ne sei sicura?» cercò di ironizzare, con un mezzo sorriso.
«Al cento per cento. Anche se tra noi due non dovesse funzionare, e spero tanto che non sia così, tu sarai sempre nel mio cuore. Nessuno riuscirà mai a farmi provare le tue stesse emozioni» mi ritrovai quasi senza fiato e non sapevo se per aver parlato senza interrompermi o solo per i suoi occhi liquidi.
«Oggi è il tuo turno con le sviolinate?» disse sarcastico, cercando di mascherare il suo imbarazzo, abbassando il viso e lo sguardo.
Ma io gli impedii di prolungare troppo a lungo il nostro distacco visivo, alzandogli il volto e specchiandomi di nuovo in quelle iridi color della notte. Sarei rimasta incantata a fissarli per ore, senza mai stancarmi di quel turbine nero in cui precipitavo ogni volta. Diminuii la distanza che c'era tra noi e unii le mie labbra con le sue. Avevo il bisogno di sentirlo vicino a me, di baciarlo e poco mi importava se quello non era realmente amore. Con Dario tutto mi sembrava più bello, erano quasi inspiegabili le sensazioni che solo lui sapeva regalarmi. Nessun pittore, nemmeno il migliore, sarebbe stato in grado di dipingere il fuoco che ardeva dentro di me ogni volta che stavo con lui, nessuno scrittore, neanche il più illustre, sarebbe stato capace di descrivere ciò che sentivo mentre stavo con Dario. In realtà, nemmeno io avrei saputo descriverlo, le parole erano insufficienti e quasi superflui.
La sua lingua non si fece attendere, ed andò a lambire la mia con bramosia, con una voglia irrefrenabile, quasi necessitasse della mia per potersi muovere. Le sue mani grandi e calde mi cinsero i fianchi, attirandomi maggiorment
verso il suo corpo, in cerca di un contatto bruciante tra di noi, mentre le mie affondarono nei suoi capelli morbidi. Se il tempo si fosse fermato in quel momento, sarei stata più che felice. Per sempre stretta tra le sue braccia. Per sempre unita alle sue labbra.
Per sempre io e lui.
«Mi dispiace per quello che è successo lì dentro. Ero talmente accecato dalla gelosia che ho agito di istinto» sospirò, accarezzandomi il viso con entrambe le mani «Non volevo mi vedessi in quel modo»
«Tranquillo, è tutto passato» chiusi gli occhi, beandomi del contatto con le sue mani «Anche se non voglio che accada più una cosa del genere!» gli puntai un dito contro e mi finsi imbronciata.
«Giurin, giurello» ridacchiò.
«Bravo bimbo» scherzai, dandogli poi un veloce bacio sulle labbra «E dato che sei così bravo, piccolo Dario, che ne diresti di tornare in pizzeria e chiedere scusa a Federico?».
Lui aggrottò le sopracciglia e gonfiò le guance, esattamente come avrebbe fatto un bimbo, il ché lo rese ancora più tenero, assottigliando lo sguardo.
«Non ci penso nemmeno» borbottò «Lui mi ha chiamato bastardo!»
«Lo so! E pretenderò che anche lui ti faccia le sue scuse» replicai, appoggiando le mani sul suo petto e appianando le pieghe della maglietta.
Dario scosse la testa con decisione, testardo ed irremovibile nella sua rabbia.
«Ti chiedo solo questo! Non voglio che voi due cerchiate di diventare amici» sospirai «Ho sbagliato a farvi incontrare, lo ammetto sono stata egoista. Ma pensavo di riuscire a farvi trovare un punto di incontro, che, a quanto pare, non esiste»
«Per fortuna! Io non voglio avere nulla a che fare con quel troll dalle mani lunghe!» bofonchiò, contrariato.
«Direi che Federico non sarà mai argomento di discussione tra noi due» ridacchiai, seguita da Dario «Comunque. Ora rientri là, fa il civile e gli chiedi scusa. Mi sembra giusto».
Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo spazientito, per poi mollare la presa e dirigersi verso la pizzeria con passo lento e per nulla deciso. Sorrisi, nel vedere che mi aveva ascoltato, almeno una volta e aveva messo da parte un attimo il suo orgoglio.
«Lo faccio solo per te!» esclamò, voltandosi e facendo qualche passo a ritroso.
Lo raggiunsi, con una breve corsa, con un sorriso idiota stampato in viso ed entrammo, mano nella mano, come due perfetti fidanzatini nella pizzeria. L'intero personale lanciò uno sguardo omicida a Dario, che strinse maggiormente la mia mano. Era teso, per quegli occhi che lo giudicavano come un manesco, puntati addosso. Strusciai la guancia sulla sua spalla, per fargli capire di stare tranquillo, che io ero lì al suo fianco e ci sarei sempre stata, in qualsiasi occasione e che non lo avrei mai e poi mai giudicato. Entrammo nella piccola sala da pranzo e Federico era ancora lì, seduto al suo posto che si guardava le converse, la pizza ancora per metà nel piatto.
«Ehi, spilungone!» lo richiamò subito Dario ed Abbate alzò lo sguardo terra, incontrando quello del suo 'avversario'. Mi rivolse un sorriso e uno sguardo complice, seguito da un occhiolino.
«Che vuoi? Vuoi spaccarmi definitivamente il naso?» lo provocò, beffardo.
«Non sarebbe una cattiva idea. Almeno hai una scusa per rifarti quell'obbrobrio che ti ritrovi in mezzo alla faccia» rispose per le rime, sfoggiando un sorriso soddisfatto.
«Potrei anche rifarmelo senza che qualcuno me lo spacchi» ribatté, alzandosi in piedi con estrema calma «Peccato, però, che non esista la chirurgia plastica per il cervello. Sai, ti servirebbe».
O no! Ricominciavano quei due? Non volevo assistere ad un'altra piccola rissa.
«Se lui mi provoca in questa maniera, mi spieghi perché io dovrei scusarmi con lui?» ringhiò tra i denti Dario, rivolgendosi a me.
«Ma Federico stava solo scherzando!» sdrammatizzai, lanciando uno sguardo torvo al mio migliore amico «Vero?»
Abbate si aprì in un sorriso finto quanto una moneta da cinque euro e si avvicinò a noi.
«Ma certo!» esclamò con tono pacato.
Dario non sembrò per nulla convinto, anzi, avrebbe voluto prenderlo a pugni nuovamente, glielo leggevo negli occhi. Ma si trattenne, per me, serrando le mani e mordendosi le labbra, per reprimere la rabbia crescente.
«Scusami spilungone per il pugno» disse brusco. Ed ero certa che non lo pensasse davvero, anzi, avrebbe voluto dargliene altri cento di cazzotti, se solo avesse potuto.
Federico rimuginò su quelle parole e schioccò la lingua, rimbalzando con lo sguardo da me a Dario. Sapevo bene che non sopportava vedermi con lui, dopo avermi vista così sofferente e credetti che volesse provocarlo nuovamente, scatenando, ancora di più, le ire di Dario. Ma, fortunatamente, allungò una mano verso di lui e sospirò, a malincuore.
«Scuse accettate» mormorò «E scusami anche tu nanerottolo».
Scettico e dopo parecchie esitazioni, Dario afferrò la mano e la strinse per pochi secondi, come se scottasse, per poi pulirsi sui suoi pantaloni, nemmeno Abbate avesse la lebbra.
«Ma non mi piaci comunque» sottolineò Dario, brusco.
«Ah! Sentimento reciproco. Meno ti vedo meglio sto» rispose Federico, alzando le mani «Diciamo solo che siamo in tregua per Alice?».
Dario sembrò pensarci un attimo, poi sbuffò ed annuì, passandosi una mano sul viso.
«Tregua. Ma solo per Alice»
Sorrisi, felice, guardando prima uno e poi l'altro. Forse ero stata una sprovveduta se avevo pensato che quei due potessero diventare amici. Ma, come si diceva, tutto è bene quel che finisce bene.


Dopo quel piccolo momento felice, di tranquillità tra quei due, Dario mi riaccompagnò a casa. Claudia era già andata via nel momento del mio rientro, per cui trovai solo Smell spaparanzato sul divano che si scolava una birra, ruttando ogni secondo.
Dio mio, perché doveva capitare a me un fratello del genere?
La prima cosa che feci, ovviamente dopo aver pomiciato sotto casa con Dario per mezz'ora, non fu quella di salutare Raffaele, poco mi importava insomma, ma fu fiondarmi in camera mia e accedere a Facebook. Dovevo sapere dove si sarebbe tenuta la pizzata e presentarmi lì, anche se non ero stata invitata, alla faccia di quell'antipatica di Cristina.
Sapevo che Facebook non mi avrebbe tradita. Sulla bacheca di quasi tutti i miei compagni c'era scritto Stasera, ore 20, pizzata al SottoSopra. Perciò, mezz'ora prima ero già pronta per quell'appuntamento al quale nessuno mi aveva invitata. Sarei stata un'imbucata indesiderata, ma poco mi importava. Quella era anche la mia classe! Forse, se me lo avessero chiesto non ci sarei nemmeno andata, tanto non mi calcolava nessuno. Ma era stata un affronto non avvertirmi ed io avrei fatto un affronto a loro presentandomi lì. Avrei voluto anche che Dario mi accompagnasse, così, per spargere un po' di invidia tra quelle oche, ma farlo scomodare da Milano mi sembrava eccessivo, anche se sapevo bene che lui avrebbe accettato senza fiatare. Mi avrebbe portato anche sulla luna, se glielo avessi chiesto. Mi accontentai di Smell, che, dopo un quarto d'ora di 'no' sbraitato, aveva acconsentito a portarmici. Per fortuna il viaggio da casa mia alla pizzeria era abbastanza breve, nemmeno dieci minuti, per cui mi sorbii i lamenti di Raffaele per un tempo limitato.
Appena scesa dall'auto vidi, davanti all'entrata, quella gallina sculettante della Cariati che civettava allegramente con un ragazzo.
Figurarsi!
Povero Federico! Se solo avesse aperto gli occhi si sarebbe reso contro che quella era una putt... ehm... una ragazza di facili costumi. Gli occhi verdi di Cristina incontrano i miei e un'espressione scocciata si dipinse sul suo volto. Tanto per rincarare la dose, sorrisi e la salutai con enfasi, come se fosse la mia migliore amica, anche se avrei voluto strapparle quei riccioli biondi.
«Ciao Cristina!» esclamai, avvicinandomi maggiormente a lei.
«Ciao» rispose contrariata e, in quel momento, il ragazzo con cui stava civettando si voltò.
Impallidii, mi immobilizzai a pochi passi da loro e rimasi a fissare quei due enormi occhi azzurri per un tempo imprecisato. Davide Saronno, quel Davide, quello per cui avevo una cotta e che aveva certi piani poco casti con me mi sorrise raggiante e avrei tanto voluto tirargli una scarpa in faccia, piantargli un calzino in bocca e soffocarlo.
Non dovevo assolutamente mostrarmi nervosa davanti a lui, dovevo cercare di essere indifferente, anche se mi risultava difficile. I suoi occhi azzurri mi ricordavano troppe cose.
La mia prima cotta, il mio primo bacio, la delusione nello scoprire che fosse solo uno stronzo.
Abbozzai un sorriso e ridussi le distanze, avvicinandomi maggiormente a loro, tremante, sperando che nessuno dei due notasse il mio disagio.
«Ero sicura non saresti venuta» prese la parola Cristina, ravvivandosi i capelli.
«Ah, davvero?» ribattei acida «E invece eccomi. Per tua enorme gioia»
«Sei stata l'unica che non ha risposto al post in cui avvisavo, perciò ho dedotto che non ti interessava»
Rimasi allibita, con la bocca dischiusa e uno sguardo da triglia lessa. Cioè, lei mi aveva invitata ma ero stata io ad ignorare il suo post? Sì, probabilmente era così! In quel periodo ero talmente presa da Dario che non capivo più nulla.
«Per fortuna che ho prenotato per più persone, sennò mangiavi sulla ghiaia» aggiunse, sogghignando.
Alla sua risata, già inascoltabile di suo, si aggiunse anche quella irritante di Saronno. Lo guardai torvo, assottigliando lo sguardo, quasi volessi incenerirlo con gli occhi! Magari! Se fossi stata Ciclope, l'X-men, a quel punto sarebbe stramazzato al suolo.
«Si può sapere cosa ci fa lui qui?» domandai, fuori di me, indicandolo «Mi pare che lui non faccia parte della nostra classe!»
«Ho solo invitato un amico» fece la vaga.
Mi afferrò per un braccio, avvicinandomi a lei e fui subito investita da un profumo di agrumi che mi fece girare la testa.
«In realtà l'ho invitato perché Francesca voleva conoscerlo. Sai, si è lasciata con il suo ragazzo e quindi...»
Non potei non fare a meno di gioire dentro di me. Almeno quella scema della Lamira avrebbe avuto una bella batosta da quel dongiovanni da strapazzo. Lei non sapeva con che stronzo aveva a che fare.
«Non sei felice di vedermi?» mi chiese, sorridente, Saronno.
«Oh, guarda, sprizzo gioia da tutti i pori» risposi sarcastica, con un tono brusco.
«Non mi dire che sei ancora arrabbiata con me, Alicetta!» mi provocò e mi strinse una spalla, avvicinandomi a lui. Mi ritrovai spiaccicata contro il suo petto lasciato nudo dalla camicia bianca che indossava. Avvampai all'istante. Insomma, era sì un bastardo ma restava pur sempre un figo da paura.
«Certo che no, Saronno» ritrovai la mia lucidità e lo spinsi via con vigore «Adesso mi sei totalmente indifferente»
«Dici?» mi provocò lui, accarezzandomi una guancia e avvicinandosi pericolosamente a me «E allora perché sei tutta rossa?».
Annaspai e abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo cristallino. Diamine, perché quello lì doveva farmi ancora quell'effetto? Solo perché era bello e aveva degli occhi da mozzare il fiato? No, così non funzionava.
Dario, Dario, Dario, Dario...
E il suo viso, arrivò in mio soccorso. I suoi occhi neri e quel sorriso che avrebbe sciolto qualsiasi ghiacciaio mi distolsero dal pensiero di Davide. Come potevo vacillare di fronte a Saronno, quando accanto a me avevo un ragazzo come Dario?
«Non gongolare troppo, Davide» rialzai lo sguardo e sorrisi beffarda «Stavo solo pensando al mio ragazzo».
Touché.
Davide aggrottò le sopracciglia e mi guardò quasi sconvolto. Cosa si aspettava, che sarei rimasta a piangere in camera mia perché ci eravamo lasciati? Giammai!
«Come ra-ragazzo?»
«Hai presente il gigolò che mi ha accompagnato alla festa?» mi avvicinai al suo orecchio e glielo sussurrai «Lui»
«Mi stai prendendo per il culo? La farsa del fidanzato non regge più» fece lo spavaldo, sfoggiando un sorriso soddisfatto.
«È la verità. Se vuoi lo chiamo e lo faccio venire, giusto per convincerti» gli proposi ironica «Ah, ti avverto, è un tipo molto geloso. Potrebbe spaccarti la faccia. E non è uno scherzo».
Avrei voluto immortalare la faccia di Saronno, in quel momento: allibita, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, nella tipica aria da baccalà sotto sale. Gli lanciai un'occhiata soddisfatta e, sotto lo sguardo confuso di Cristina, entrai nella pizzeria. Alcuni dei miei compagni erano già dentro, compresa Benedetta, che non mi degnò nemmeno di uno sguardo.
«Ciao a tutti!» esclamai, ricevendo come risposta solo dei cenni con la testa.
Che accoglienza!
Senza perdere il mio sorriso, mi sedetti, volutamente, di fronte a Benedetta, nella speranza di poter recuperare qualcosa con lei. Ma tutto ciò che ottenni fu un'occhiata glaciale che mi congelò il sangue nelle vene. Continuava ad ignorarmi, parlava con Francesca, facendo qualche allusione velata su di me, chiamandomi troia con una tale naturalezza da lasciarmi basita. Quattro anni di amicizia buttati al vento per uno stupido fraintendimento. Forse era meglio così. Se quella che avevo davanti era la vera Benedetta, allora era meglio che la nostra amicizia fosse finita così. Era cambiata, nei modi di porsi, nel modo di parlare. Era solo una stupida imitazione di Cristina riuscita male.
Mi sentivo esclusa. Tutti parlavano tra di loro, tagliandomi fuori dai loro discorsi. Sarebbe stato meglio se me ne fossi rimasta a casa, invece di voler fare un torto alla Cariati, che poi torno non si era rivelato.
«Senti, mi dispiace davvero tanto per quello che è successo»
Davide si sedette vicino a me, parlando velocemente e stentai a capire che cosa aveva da dirmi. Sbuffai e scossi la testa. Mi interessava poco e niente delle sue scuse. Per me Saronno valeva meno di zero.
«Non importa. Ormai per me sei morto e sepolto»
«E manderesti tutto all'aria?» mi domandò, con una punta di tristezza nello sguardo. Ma, mai fidarsi di lui che era un attore nato.
«Tutto, cosa?» domandai sconvolta.
«Quello che c'era tra di noi!» esclamò e cercò di prendermi una mano, ma glielo impedii «Alice, eravamo una coppia da sballo! E poi come baciavi... Cazzo, se baciavi bene!»
«Mi prendi per il culo?» sbottai, stizzita. Ma era stupido o cosa?! «Il nostro rapporto era basato solo sui delle stupide bugie»
«Ma non solo io le ho dette, Alice» il suo tono si fece suadente e si avvicinò maggiormente a me. Sentii perfettamente il suo respiro caldo sulla pelle e il suo profumo di marca solleticarmi le narici.
Vaniglia, vaniglia, vaniglia!
«Per cui siamo pari» aggiunse con un sorriso disarmante.
Vacillavo, stavo vacillando di nuovo di fronte a lui e non sapevo come uscirne.
«Eravamo o no una coppia bellissima?» la sua mano scivolò sulla mia guancia e tremai a quel contatto.
«Tu volevi solo portarmi a letto» sibilai, tentennante «Se per te usare vuol dire essere una bella coppia, allora sì, hai ragione» 
«Non ti avrei usata. Ti avrei amata, Alice. E ti sarebbe piaciuto» soffiò, diminuendo ancora la distanza che intercorreva tra di noi «Non vorresti provare questa sensazione?»
«Scordatelo» dissi tra i denti, nervosa e tesa come non lo ero mai stata. Saronno era pazzo, su questo non avevo più dubbi. Cosa voleva ancora da me? Forse le sue numerose ragazze si erano stufate di voler fare sesso con lui, quindi strisciava da me in cerca di piacere?
Davide, improvvisamente, si sporse verso di me e appoggiò le sue labbra sulle mie. Quel bacio era totalmente vuoto, privo di qualsiasi significato, nulla di paragonabile a quelli di Dario. Mancava il velluto delle sue labbra, la sua tremenda dolcezza e la sua passione travolgente. Mancava il suo sapore di vaniglia e il suo corpo caldo. Eppure sussultai, forse perché mi aveva presa alla sprovvista, o solo per lo schifo che provavo per lui. Lo scansai bruscamente, rischiando di farlo cadere dalla sedia e scattai in piedi, guardandolo con disprezzo.
«Tu sei pazzo!» sbraitai, furiosa, attirando su di me l'attenzione di tutti «Non osare mai più avvicinarti a me!».
Feci qualche passo per andarmene via da lui, rifugiarmi in bagno, ma Davide mi afferrò per un braccio e mi sorrise nuovamente.
«Io voglio solo stare con te!» mi disse, con un'enfasi che avrebbe fatto invidia ad un attore di teatro. Mi stava prendendo per il culo, lo sapevo. Eppure non riuscii a trattenere le lacrime, che uscirono ribelli tanto era il nervoso.
«Fottiti» sibilai e strattonai il braccio, per liberarmi.
«Solo con te, pupa!» esclamò lui, scoppiando a ridere, seguito a ruota dai miei compagni di classe stupidi.
Mi voltai, senza guardarli e mi diressi spedita in bagno, mentre alle mie spalle Davide continuava a ripetere Sfigata, sganasciandosi dalle risate. Si divertiva a prendermi in giro, ero il suo passatempo. Mi chiusi in bagno e piansi, singhiozzando, senza rendermi contro che Cristina era lì, davanti allo specchio, a sistemarsi il trucco.
«Oh mio Dio, Alice, che succede?» domandò e mi sembrò seriamente preoccupata, per me. Lei, che non mi aveva mai calcolata «Sei disperata».
La ignorai volutamente e mi asciugai le lacrime, cercando di sedare i miei singhiozzi da bambina isterica.
«È stato Davide?» mi chiese, premurosa, sistemando la cipria nel beauty.
Quella lì o aveva un intuito degno di un personaggio di Aghata Christie oppure mi leggeva nel pensiero. Annuii, mestamente e mi morsi le labbra.
«Oddio, quanto è stupido» commentò lei, con uno sbuffo, controllando che il fondotinta le coprisse le imperfezioni «Non dargli peso. È solo un bambino»
«Si diverte a prendermi in giro» le spiegai, con voce tremante «A prendere in giro i miei sentimenti»
«Lo fa con tutte» disse vaga, sistemandosi i capelli «Ma tanto prima o poi dovrà crescere e saranno cavoli suoi se sarà impreparato».
Tirai su con il naso e mi affiancai a lei. Strano, c'era sintonia, tra di noi e, parlandoci civilmente, non sembrava nemmeno una ragazza così antipatica. Si passò il gloss sulle labbra gonfie come canotti, poi si voltò verso di me e mi sorrise.
«Federico mi ha detto che ti conosce» cinguettò.
«Già» sospirai, fissando la mia immagine riflessa. Avevo il trucco colato e sembravo l'urlo di Munch. Un mostro, ero un mostro!
«Non immaginavo che lo conoscessi» continuò.
Molto probabilmente stava facendo la carina con me solo per fare un piacere a Federico, anche se lui mi aveva detto che non avrebbe mai nemmeno tentato di farci avvicinare.
«È il mio migliore amico»
«Ah, davvero? Non lo sapevo» commentò, scuotendo i suoi riccioli d'oro.
No, lei non poteva stare con Federico! Cosa avevano in comune quei due, a parte i capelli biondi? Nulla di nulla! Erano su due pianeti differenti, parlavano due lingue diverse... erano gli opposti ed io non avevo mai creduto nel detto gli opposti si attraggono. Non potevo sopportarlo che quei due stessero insieme anche perché sapevo che lei lo avrebbe fatto soffrire. Per cui, parlai, senza mezzi termini.
«Perché stai con Fede?» le chiesi «Insomma, voi non avete nulla in comune!».
Cristina sospirò e ammorbidì le spalle. Sorrise, anche, solo a sentire il nome di Federico, il che mi confuse ancora di più.
«Hai ragione» soffiò e i suoi occhi verdi incontrarono i miei. Erano lucidi, pieni di gioia e, soprattutto, sinceri «Nemmeno io credevo che mi sarei mai messa con lui. Insomma, non è affatto il mio tipo. Io preferisco i ragazzi come Davide» esitò un istante «Ma Federico è diverso dagli altri, da qualunque altro ragazzo che avessi mai conosciuto. Per la prima volta, con lui, mi sono sentita apprezzata veramente, mi sono sentita rispettata e considerata. E non perché fossi bella. No!» sorrise e potrei giurare di aver visto una lacrime solcarle una guancia. Anche lei aveva un cuore, allora, un cuore che batteva per Federico «Tutti si sono sempre soffermati sul mio aspetto, non che mi dispiacesse! Sempre a dirmi quanto fossi bella, a ricoprirmi di complimenti per la mia fisicità. Mentre Federico è riuscito a smuovere qualcosa dentro di me dicendomi solo I tuoi occhi parlano e mi dicono che sei speciale. È stato il primo vero complimento, il più bello di tutta la mia vita».
E dopo aver detto quello, scoppiò a piangere. Erano lacrime di gioia, lacrime dedicate a quel ragazzo che aveva reso umana quella barbie. Sorrisi, nel vederla così fragile e pensai che, forse, Federico non aveva tutti i torti. Le accarezzai la schiena e mi avvicinai a lei.
«Sembriamo la famiglia “lacrimoni”» ridacchiai e lei si unì a me.
«Dovrò rifarmi il trucco tutto da capo!» si lamentò, ridendo.
«Non sei la sola» la rassicurai.
«Dio, siamo oscene!» esclamò poi «Meglio sistemarci, sennò ci prendono per degli zombie!»
Scoppiammo a ridere entrambe, in uno strano clima di armonia, come se ci conoscessimo da anni, come se fossimo amiche da tanto tempo, come se non ci fossero mai stati screzi tra di noi. Molto probabilmente avevo sbagliato a giudicarla troppo presto, senza nemmeno conoscerla. Oppure, semplicemente, l'amore era talmente potente da cambiare le persone.







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Penso di aver infranto qualsiai mio record. 19 pagine @__@ spero che riusciate a leggere tutto senza appisolarvi xD

Sono successe molte cose in questo capitolo, sennò non sarebbe venuto così lungo.
Iniziamo con Claudia che è ancorta sotto shock e che non è riuscita a dire nulla a Raffaele. È comprensibile, comunque. Non è facile per una ragazza così giovane scoprire di aspettare un bambino, per di più se ha un fidanzato come Smell xD chissà come prenderà questa notizia.
Federico e Dario sono gelosi l'uno dell'altro. Il primo, più che gelosia, lo odia proprio per quello che ha fatto ad Alice, mentre Dario non sopporta il modo sdolcinato di Federico di trattare la sua 'piccola'. Per cui si è lasciato andare un po' troppo e gli è partito un cazzotto. In fondo, Dario non è uno stinco di santo xD Alice, però, nonostante i suoi dubbi esistenziali su lei e Dario, comunque gli sta accanto.
Un piccolo ritorno di Davide che non è detto che non tornerà più avanti *risata sadica*...ma la vera novità è Cristina. Lei è veramente presa da Federico e non è poi così antipatica come sembrava all'inizio. Chissà che non diventi amica di Alice.
So che questi commenti sono davvero brutti e corti, ma non ho davvero idea di cosa scrivere ^^"
Per cui, ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate. Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi lo ha letto soltanto. Un grazie speciale va alla mia beta Nessie e ad IoNarrante che mi sopporta ogni giorno.

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Bene, un bacione a tutti e scusate per questo commento striminzito ^^'
Al prossimo capitolo.

   
 
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