C a p i t o l o 19
Changing
Silenzio. Dopo quella singola
parola il
silenzio piombò tra di noi. Si sentiva in lontananza solo la
voce di
Dario, provenire dalla radio ma, in quel momento, mi interessava
molto poco di lui. La mia amica aveva appena scoperto di essere
rimasta incinta a soli diciotto anni, per di più di uno
scapestrato
nullafacente senza un minimo di responsabilità di nome
Raffaele.
Come avrebbero potuto crescere un bambino loro due, che peraltro
stavano insieme solo da pochi mesi? Lei era ancora una ragazzina
vogliosa di viversi i suoi anni, di godersi la sua giovinezza. Lui
era un caso disperato, sotto ogni punto di vista. Nessuno dei due
aveva la testa e la maturità giusta per crescere un bambino.
Se
prima il sesso mi terrorizzava, in quel momento non ne volevo nemmeno
parlare. Non volevo neanche pensare a cosa avrei fatto io, se avessi
scoperto una cosa del genere.
«Come lo dirò ai miei?!»
singhiozzò
Claudia, mettendosi le mani tra i capelli «E a Raffaele?
Oddio, mi
lascerà appena lo verrà a scoprire!» si
disperò, cercando
consolazione fra le mie braccia.
Affondò il viso nella mia maglietta e mi
strinse forte a sé. Aveva bisogno di qualcuno accanto in un
momento
delicato come quello e di certo io non mi sarei tirata indietro, non
l'avrei abbandonata così fragile. Anche perché,
contro ogni mia
aspettativa era una amica, una vera amica, e non si voltavano mai le
spalle alle persone importanti. Le sarei stata a fianco in qualsiasi
momento, sia quando avrebbe dovuto dirlo ai suoi genitori, sia quando
ne avrebbe parlato con Raffaele, e le avrei stretto la mano durante
le visite dal ginecologo, semmai avesse voluto.
«Non lo farebbe mai» disse flebile «Non
ti lascerebbe, soprattutto se gli dicessi una cosa del
genere».
Claudia alzò lo sguardo per incontrare
il mio, per cercare sicurezza nei miei occhi. Sorrisi, per infonderle
forza, anche se solo un minimo, per poter reagire. Raffaele era
sì
un idiota immaturo, ma ero certa che non avrebbe mai abbandonato
Claudia in quello stato, anche perché, nonostante lui
cercasse di
fare il duro, avevo capito che era molto legato a lei, che provava
qualcosa di molto profondo. Magari non era ancora amore, ma era
qualcosa di molto simile, molto vicino a quel sentimento.
«Dici?» domandò, insicura.
«Ma certo! Raffaele tiene davvero tanto
a te, lo capisco da come ti guarda, da come si illuminano i suoi
occhi ogni volta che parla di te» le confidai, accarezzandole
una
spalla lasciata nuda dalla maglietta senza maniche.
Lei abbozzò un sorriso e si scostò una
ciocca di capelli rossi dalla fronte, stringendosi nelle spalle e
cercando di trattenere il pianto.
«Lui non mi ha mai detto nulla, non mi
ha mai fatto capire nulla. Mai una cosa carina, mai un
complimento»
e si asciugò gli occhi con il dorso della mano «E
non sono poi
così sicura di quello che prova per me»
«Raffaele fa il duro, ma in realtà non
lo è. Nemmeno a me ha mai detto Ti voglio bene
o cose simili.
Ma ci sono tanti suoi piccoli gesti, magari che sembrano inutili, che
dimostrano i suoi sentimenti. Un sorriso, uno sguardo languido, la
voce tremante» le dissi. Ed era così. Se una
persona estranea ci
avesse visto come spettatore, non avrebbe mai detto che fossimo
fratelli, anzi, avrebbe visto solo saette di odio tra di noi. Ma non
era così. Io tenevo a Raffaele, come lui teneva a me, anche
se
cercava in tutti i modi di non dimostrarlo. Forse un po' troppo, data
la sua gelosia.
Claudia scrutò nei miei occhi, scavò
dentro di me, molto probabilmente per capire se le mie parole erano
vere oppure dette solo per consolarla. Sorrise, poco dopo, un sorriso
appena accennato, ma felice.
«Stai tranquilla, quindi. Lui non ti
lascerà»
«E se non volesse prendersi le sue
responsabilità? Insomma, siamo giovani entrambi e un bambino
sarebbe
un peso per tutti e due» sospirò affranta.
«Un bambino non è mai un peso»
risposi, stringendole una spalla «È vero, non
è facile crescerne
uno, soprattutto quando si è giovani, quando piomba nella
tua vita
così all'improvviso. Ma sono sicura che questo bambino, o
bambina,
non farà altro che unirvi di più e portarvi tanta
gioia».
Inizialmente Claudia parve convinta dalle
mie parole, ma subito dopo scattò in piedi, con le guance
inondate
di lacrime e si strinse i capelli con entrambe le mani, quasi volesse
strapparseli, scompigliandoli più del dovuto.
«Queste sono solo un mucchio di frasi
fatte!» sbraitò «Adesso come
farò, cazzo! Come farò?!»
Mi strinsi nelle spalle e la guardai con
tristezza. Mi dispiaceva vederla in quello stato, vederla piangere e
disperarsi e mi rattristava ancor di più rimanere
lì, seduta, come
una stupida senza nulla di sensato da dirle per tranquillizzarla, se
non frasi imbecilli. Mi sentivo inutile in quel momento, non riuscivo
nemmeno a consolare un'amica e non avevo la benché minima
idea di
cosa dire per calmarla. Niente, nada, nella mia
testa
rimbombava solo la parola Positivo abbinata a quel
maledetto
test e non riuscivo ad articolare una frase che fosse quanto meno
intelligente.
L'unica cosa che riuscii a fare in quella
situazione fu alzarmi dal letto e fare qualche passo verso di lei per
abbracciarla e stringerla a me, per porle una spalla su cui sfogare
le sue paure, la sua tensione. Era un gesto banale, forse, ma sperai,
comunque, che lei lo apprezzasse, che capisse che le ero accanto in
quel momento, anche se non ero in grado di dire qualcosa di
intelligente, qualcosa di veramente utile. Ero immatura, inesperta,
non avevo mai vissuto appieno la mia vita, per cui ero l'ultima
persona che avrebbe potuto dare dei consigli.
«Stai tranquilla» dissi, accarezzandole
la schiena «Andrà tutto bene».
Claudia si strinse ancora di più a me,
affondando il viso nella mia maglietta e singhiozzò
rumorosamente,
coprendo addirittura il volume della radio.
«Speriamo» soffiò tristemente.
Rimanemmo abbracciate per qualche minuto,
senza dire una parola, in silenzio, con in sottofondo la musica della
radio, fino a quando la porta d'ingresso non scattò,
precedendo dei
passi pesanti come quelli di un rinoceronte. Strabuzzai gli occhi e
deglutii a fatica. Raffaele era tornato a casa, troppo presto, in un
momento in cui la sua presenza non era ben accetta.
«Sono a casa» borbottò e sentii un
tonfo sordo, segno che si era stravaccato sul divano.
Claudia si allontanò da me e mi guardò
preoccupata negli occhi, trattenendo a stento le lacrime. Atona, le
dissi di non preoccuparsi e le asciugai con i pollici le guance.
«Non devi farti vedere piangere»
mormorai e lei annuì «Glielo dirai
subito?»
«No, assolutamente no!» rispose
all'istante «Devo prima metabolizzare la notizia e trovare il
coraggio»
«D'accordo» sospirai.
«Tu non glielo dirai» mi minacciò
quasi puntandomi un dito contro «Me lo prometti?»
«Promesso» risposi, con una mano sul
cuore.
Di sorpresa, la porta della mia stanza si
aprì e il viso annoiato di mio fratello fece capolino. Senza
nemmeno
riflettere, con un gesto d'istinto, calciai il test di gravidanza di
Claudia sotto il letto, per evitare che lui lo vedesse. Ci avrei
pensato dopo a disfarmene. Entrambe gli sorridemmo, false come i
soldi del Monopoli, facendo finta che fosse tutto tranquillo, quando
invece un devastante uragano si era abbattuto su di noi...
più che
altro su Claudia.
«Ah, allora ci sei» biascicò
rivolgendosi a me.
«Certo, dove pensavi che fossi?» tentai
di rimanere il più serena possibile.
«Che ne so, magari con quell'imbecille
del tuo ragazzo» rispose contrariato.
«Punto primo, Dario sta lavorando in
quest'esatto momento» ribattei, scocciata, contando le mie
constatazione sulla punta delle dita «Punto secondo, Dario
non è il
mio ragazzo».
Parlai senza pensare, le parole erano
uscite dalla mia bocca come un fiume in piena, naturali e rimasi
sconcertata da esse. Dario non era il mio ragazzo, in fondo lui non
mi aveva chiesto nulla e nemmeno io avevo fatto lo stesso con lui.
C'era qualcosa tra di noi, e questo era fuori discussione. Qualcosa
di intenso, una certa alchimia, qualcosa che io consideravo amore ma
che non sapevo come lo avrebbe definito lui. Eppure, a sei mesi di
distanza mi ritrovai a pormi la stessa domanda.
Cosa eravamo io e Dario?
Molto probabilmente, non c'era bisogno
che lui mi chiedesse apertamente “Vuoi essere la
mia ragazza”,
magari mi considerava tale anche senza quella domanda. Ma come potevo
esserne sicura, senza una sua conferma? Ed io lo consideravo il mio
ragazzo? Cioè, lui era ritornato dopo tre mesi di assoluto
silenzio
solo il giorno precedente, avevo passato la serata più
magica e
meravigliosa della mia vita, avremmo anche potuto spingerci
più in
là di un semplice bacio ed io non sapevo se considerarlo il
mio
ragazzo o solo una persona con cui mi frequentavo.
«Seh, vabbè» bofonchiò
Raffaele «E
tu, cosa ci fai qui?» domandò a Claudia,
aggrottando la fronte.
«Non posso venire a trovare una mia
amica?» rispose lei, fingendo tranquillità.
«Mi sembri sconvolta!» constatò, ma
non si mosse da dietro la porta.
«No, è tutto ok. Non preoccuparti»
mentì «Qualche problema in famiglia, tutto
qui»
Smell arricciò il naso e annuì poco
convinto.
«Vuoi parlarmene?» domandò, sembrando
quasi, e sottolineo QUASI, tenero.
Claudia mi lanciò uno sguardo
preoccupato ed io, con discrezione, la incitai a seguire mio fratello
in salotto, almeno per farli parlare, sperando che lei trovasse il
coraggio di dirgli del bambino, anche se avevo i miei forti dubbi.
«Andate pure. Io credo che uscirò a
fare una passeggiata» sorrisi ad entrambi ed afferrai
velocemente il
mio cellulare.
Non volevo essere loro d'intralcio e
soprattutto non volevo essere la terza incomoda, per cui me ne andai,
senza però sapere né dove andare né
come passare il mio tempo. Era
mattino inoltrato, quasi l'ora di pranzo e non avevo la
benché
minima voglia di mangiarmi un panino da sola seduta su un
marciapiede. Mi fermai di fronte al portone, con il sole che tentava
di abbagliarmi e digitai velocemente un SMS. Avrei voluto pranzare
con Dario, passare un po' di tempo con lui e magari chiarire quei
miei dubbi che Raffaele aveva fatto sorgere. Ma lui avrebbe concluso
il turno in radio solo dopo un quarto d'ora abbondante, più
una
mezz'ora di viaggio da Milano al mio paese e avremmo mangiato alle
due passate. Non avrei resistito così a lungo, il mio
stomaco
borbottava già da qualche minuto. Per cui scrissi due righe
a
Federico, invitandolo a mangiare un boccone con me, nella speranza
che accettasse e non perdesse tempo con quell'oca della Cariati. La
risposta del mio migliore amico non tardò e, fortunatamente,
mi
avrebbe raggiunta sotto casa nel giro di pochi minuti. Se mi avesse
dato buca per Cristina gli avrei strappato i capelli uno ad uno.
Già
non la sopportavo, se poi mi avesse portato via anche il mio migliore
amico poteva dirsi spacciata.
Infilai il cellulare nella tasca dei
jeans e, dopo circa dieci minuti, vidi Abbate comparire sul
marciapiede di fronte al mio, vestito orrendamente con un paio di
bermuda color panna sporca e una maglietta arancione. Sembrava un
enorme evidenziatore dotato di gambe.
Mi guardai intorno, verificando che non
passassero macchine e mi precipitai sull'altro lato della strada.
«Ma come ti sei vestito?» ridacchiai,
alzandomi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia.
«Ho preso le prime cose che mi sono
capitate» scrollò le spalle.
«Noto. Questi vestiti sono un crimine
per la moda» dissi ironica.
«Ha parlato...» borbottò «Tu
sembra
che ti vesti al buio»
«Come osi?» tuonai, divertita,
sgranando gli occhi e spalancando la bocca.
Federico mi fece una linguaccia e si
allontanò, astutamente, prima che la mia mano lo colpisse
con una
sberla sul braccio. Finsi di indispettirmi e cominciai a rincorrerlo,
agitando le braccia nel vano tentativo di colpirlo almeno una volta.
Ma, ahimè, ogni mia sberla sferrata si disperdeva nell'aria.
Sembravamo due bambini in quel momento, che si rincorrevano sul
marciapiede, sbraitando senza il minimo rispetto per nessuno. Le
gente, quando ci passava accanto, sembrava essere sconvolta nel
vedere una ragazzina alta poco più di un metro e sessanta
rincorrere
un bestione della stazza di Federico, soprattutto perché
eravamo
entrambi maggiorenni; eppure sembrava che gli anni non fossero mai
passati. Era come rivedere una vecchia scena, noi due ancora degli
undicenni che ci divertivamo a rincorrerci. Non era cambiato nulla
tra noi due e questo mi rendeva felice.
«Credo che mi stia venendo un infarto»
dissi con il fiatone, piegandomi sulle ginocchia.
Non ero abituata a fare sport e nemmeno a
correre, perciò fare anche solo un metro per me era
faticoso. Tutto
il contrario di Abbate, che, invece, pareva non essersi mosso. Si
avvicinò a me ed appoggiò una mano sulla mia
schiena, abbassandomi
per mostrarmi il suo sorriso sornione.
«Mia nonna avrebbe fatto più strada di
te» ridacchiò, divertito.
Arricciai il naso e gli feci una
linguaccia. Non era colpa mia se odiavo qualsiasi cosa che mi facesse
sudare, che comportasse esercizio fisico. Preferivo di gran lunga
poltrire tutto il giorno sul mio comodo divano o, in alternativa, sul
mio letto. Anche se, dovevo ammetterlo, non era molto salutare, se
poi mi abbuffavo anche di schifezze.
«Spiritoso! Sai, dovresti fare il
provino per Zelig!» ribattei, riprendendo fiato.
«Dici? So di avere un grande senso dello
humor» e si passò una mano tra i capelli,
scostandoli dalla fronte
«ma non avevo mai pensato alla possibilità di
diventare un comico»
concluse, portandosi una mano al mento e guardando il cielo, come se
stesse immaginando la sua carriera sfolgorante sul palco di Zelig.
«Ehi, comico!» lo richiamai,
sventolando le mani davanti al suo viso «Ero
sarcastica»
«No, davvero?» ed enfatizzò le sue
parole con un tono di voce di finta sorpresa
«Simpaticona»
socchiuse gli occhi e mi pizzicò delicatamente entrambe le
guance,
sballottandomi il viso «Ero sarcastico anche io»
«Idiota» lo apostrofai, stringendogli i
polsi e allontanando le sue mani dalle mie guance. Non sopportavo i
pizzichi, non li avevo mai sopportati, nemmeno quando ero bambina e
mio nonno si ostinava a strapazzarmi le guance.
Lo superai a passo deciso, sbuffando come
una pentola a pressione, diretta nemmeno io sapevo dove.
«Cosa mangiamo?» mi domandò,
affiancandomi ed affondando le mani nelle tasche dei bermuda.
«Non ne ho idea» bofonchiai,
inoltrandomi verso la fontana di Campo Verde.
«Cioè, tu mi inviti a pranzare e non
sai nemmeno dove?» sogghignò incredulo Abbate.
«Sono uscita di corsa da casa per
lasciare un po' di intimità a mio fratello e alla sua
ragazza. E non
volevo pranzare da sola, per cui, anche se non ho idea di dove
andare, ti ho invitato» spiegai «Dario, purtroppo,
è al lavoro».
Federico si fermò nel bel mezzo del
marciapiede e mi lanciò un'occhiata truce, quasi volesse
uccidermi
da un momento all'altro. Ok, forse non era stata una bella idea
mettere in mezzo Dario e farlo sentire, ancora una volta, un ripiego.
«Dario?» ripeté «Quel Dario?
Dario il
gigolò? Dario che ti ha fatta soffrire?»
«Proprio lui, in carne ed ossa»
sospirai, incrociando le braccia, aspettando la paternale.
«Sbaglio, o c'è qualcosa che non mi hai
detto?» chiese alterato «Ieri avevi finalmente
deciso di chiudere
con lui ed ora vuoi andare a pranzo con lui?»
«In effetti qualcosa che non ti ho detto
c'è» ammisi, sentendomi quasi in colpa per non
avergli detto nulla
la sera stessa.
Lui allargò le braccia e le fece
ricadere lungo i fianchi, con un'espressione allibita stampata in
faccia. Anzi, più che altro sembrava deluso da me e dalla
scelta che
avevo fatto. Presi un profondo respiro e gli raccontai tutto quello
che era successo il giorno precedente insieme a Dario, tralasciando,
solo, qualche piccolo particolare, come le sue mani sul mio seno. Se
gli avessi detto una cosa del genere, ne ero sicura, non avrebbe
esitato a cercare Dario per tutto il globo per prenderlo a
randellate.
«Oh, che gesto romantico!» esclamò
dolcemente, con un sorriso abbozzato.
Mi strinsi nelle spalle ed arrossii. Il
fatto che Federico apprezzasse ciò che aveva fatto Dario mi
rendeva
felice. Non volevo che il mio migliore amico e il mio pseudo-ragazzo
fossero in guerra tra di loro. Come avrei potuto dividermi tra loro
due?
«Santo cielo, Alice, quanto sei
stupida!» sbottò poi, serrando i pugni.
Come, come, come?! Federico mi
aveva appena definita stupida? Nessuno poteva
permettersi di
offendermi, soprattutto, poi, se si trattava del mio migliore amico.
Assottigliai lo sguardo e lo trucidai, scuotendo la testa per la
disapprovazione.
«Non osare offendermi» sibilai.
«Non ti sto offendendo. Dico solo la
verità, la triste verità!»
infierì di nuovo, facendo qualche
passo verso di me e tentando di stringermi le spalle, ma mi scansai
prima che le sue manacce si posassero su di me «Mi hai deluso
profondamente, Alice. Credevo fossi più matura»
«Mi dispiace averti deluso, ma queste
sono le mie scelte e non permetto a nessuno di giudicarle»
replicai,
alterata.
Bene! Un semplice pranzo tra amici si
stava trasformando in una faida. Litigare con Federico era l'ultima
cosa che avessi voluto che accadesse, ma il suo atteggiamento da
ragazzo protettivo e maturo non mi lasciava altra alternativa.
Diamine, mi sembrava quasi di assistere ad un replay, solo che al
posto di Abbate c'era Dario che si ostinava a volermi allontanare da
Davide. Alla fine aveva avuto ragione, Saronno si era dimostrato uno
stronzo. Ma sapevo che Dario era diverso da lui, me lo aveva
dimostrato in più di un'occasione. Anzi, lo speravo,
dato che
Davide mi aveva fatto credere di essere un santo, e sarei cascata nel
suo letto, molto probabilmente, se non lo avessi sentito con le mie
orecchie dire delle cose tanto orribili. Ecco che nella mia mente si
insinuavano altri dubbi, che si ammassavano uno sopra l'altro,
impedendomi di ragionare con lucidità.
Ok, forse anche Dario aveva adottato la
stessa tattica di Davide, ma ero libera o no di prendere le mie
decisioni, anche se sbagliate? Non volevo nessun protettore, nessun
supereroe che mi difendesse dai dolori della vita. Come tutti, avevo
il sacrosanto diritto di soffrire e crescere, fare esperienze senza
che nessuno mettesse il naso nei miei affari.
«Alice, cerca di capire. Quel ragazzo ti
ha in pugno! Basta che dice due paroline dolci, un bacino e gli
è
tutto perdonato!» tentò, invano, di convincermi.
Sbuffai, roteando gli occhi e incrociai
le braccia, mentre Federico continuava a ciarlare, continuava quel
suo discorso noioso e privo di senso.
«Qualsiasi cosa lui farà, saprà di
avere il tuo perdono in ogni caso. Tu soffrirai, mentre lui si
divertirà alle tue spalle, per poi tornare con la coda tra
le gambe,
un discorso sdolcinato e tu, bum! Cadrai ai suoi
piedi»
«Smettila con queste sciocchezze»
dissi, scocciata «Sono innamorata, non stupida. Ho voluto
solo
dargli una seconda possibilità. Ma se mi deluderà
ancora sta'
sicuro che lo manderò a quel paese»
«Credi davvero che ci riuscirai?» mi
domandò serio.
Avevo capito che lui parlava così solo
perché non voleva vedermi soffrire ancora per Dario e
apprezzavo la
sua preoccupazione, ma, accidenti, non ero più una bambina!
«Sì, ne sono più che sicura»
risposi
decisa, annuendo anche per enfatizzare il tutto.
Federico sospirò rumorosamente e sembrò
rilassarsi. Scosse al testa quasi impercettibilmente, poi mi rivolse
un sorriso.
«In evenienza, mi porterò dietro una
bella scorta di fazzoletti» ironizzò, beccandosi
una linguaccia da
parte mia.
Mi avvicinai a lui e lo presi sotto
braccio, continuando la nostra passeggiata alla ricerca di un luogo
dove mangiare.
«Si può sapere perché Dario non ti
piace? Non lo conosci nemmeno» chiesi.
«In realtà è solo
un'impressione»
scrollò le spalle e sollevò gli occhi al cielo
«E poi, vabbè, non
posso non prendere in considerazione quello che ti ha fatto»
«Lo sai, vero, che per me sarà molto
difficile dividermi tra voi due?» sospirai
«Insomma, siete le due
persone più importanti per me e mi rattrista il fatto che
non vi
sopportiate»
«Per cui, dovrei dedurre che non mi
digerisce» constatò, con un sopracciglio abbassato.
«Diciamo che, no, non gli vai molto a
genio» ridacchiai «Sai, per le tue mani 'polipose'
al bowling»
Federico roteò gli occhi e batté la
mano libera sulla coscia.
«Ma dai! Stavo solo cercando di
aiutarti!» si stizzì.
Lo guardai con sufficienza, schioccando
la lingua e lui sbuffò rumorosamente, annuendo.
«Ok, ci stavo provando!» ammise ed io,
arrossendo, abbassai lo sguardo «Ma, mi sembra, che quando ci
siamo
incontrati al bowling lui non fosse il tuo ragazzo, per cui ero
libero di provarci con te!»
«Il tuo ragionamento non fa una grinza»
ridacchiai «Ma ti ricordo che lui doveva fingersi il mio
ragazzo,
per cui ci stava che fingesse di essere geloso»
«Fidati, lui non fingeva. Era geloso! Se
avesse potuto, mi avrebbe spaccato la faccia»
ribatté lui,
fingendosi preoccupato.
«Sai che ieri sera, in macchina,
parlando di te, ha proprio detto quelle parole, che ti spaccherebbe
volentieri la faccia?» gli dissi, ricordando ciò
che ci eravamo
detti nella sua auto.
«Oddio, spero di non trovarmelo sotto
casa» ridacchiò, per nulla impaurito dalle minacce
di Dario. E
perché avrebbe dovuto? Era il doppio del mio pseudo-ragazzo,
una sua
mano sarebbe bastata per polverizzare il povero Dario.
«Non ti preoccupare. Gli darò io la
possibilità di spaccartela» sogghignai.
Federico mi guardò dubbioso, arricciando
le labbra e il suo viso a punto interrogativo bastò come
domanda.
«Gli voglio chiedere di raggiungerci, di
pranzare con noi. Almeno avrete tutto il tempo per parlare e
conoscervi. Sono sicura che diventerete ottimi amici!»
spigai, con
un sorriso.
«Non penso che sia una buona idea.
Soprattutto perché lui mi odia profondamente, anche se non
so il
perché» fece spallucce «Per cui, rimetti
in tasca il cellulare».
Mi strinse la mano che impugnava il
telefonino e me l'abbassò. Non volevo che quei due si
odiassero, non
sarei riuscita a conciliare amicizia ed amore, ne ero sicura, anche
perché ci sarebbe stato da una parte Federico che avrebbe
cercato di
convincermi che Dario fosse uno stronzo, mentre dall'altra ci sarebbe
stato il mio pseudo-ragazzo che avrebbe continuato ad essere geloso
di Abbate, lamentandosi di lui in continuazione.
«E dai, ti prego!» lo supplica,
stringendomi di più al suo braccio e facendo gli occhi dolci.
«No, è inutile! Io non ti chiedo di
essere amica di Cristina!» ribatté, soddisfatto,
come se mi avesse
inferto la stoccata finale. Ma, mio caro Abbate, ci voleva molto di
più per mettermi KO.
«Mio caro Abbate, io conosco già
Cristina. Sai, ci convivo sei ore al giorno e ti posso dire che tra
di noi non ci potrà mai essere un'amicizia, nemmeno se
pregassi in
cinese!» risposi, con ovvietà «Tu e
Dario vi siete parlati solo al
bowling e solo per cinque minuti scarsi, visto che vi siete ignorati.
Per cui, prima di fare stupide ed inutili sceneggiate, prova a
conoscerlo!»
Lui sbuffò e scosse la testa con vigore,
deciso e irremovibile nella sua decisione. Ma Alice Livraghi non
poteva arrendersi, non così facilmente, aveva un'altra arma
a sua
disposizione e l'avrebbe sfoderata. Eccome se lo avrebbe fatto. Mi
strusciai sul suo bracci e lo sentii sussultare, poi alzai lo sguardo
da cucciolo abbandonato ed indifeso verso di lui, aggiungendoci anche
un labbro tremulo, in pieno stile 'Dario'. Con me funzionava sempre
quel metodo, magari avrebbe avuto effetto anche su Federico.
«Fallo per me» colpo di grazia, detto
nella maniera più zuccherosa possibile.
Le guance di Federico si tinsero piano
piano di rosso e i suoi occhi cominciarono a rimbalzare da me alla
strada davanti a lui. Avevo ancora un certo ascendente su di lui ed
ero più che sicura che avrebbe ceduto da un momento
all'altro.
Sbattei le palpebre più volte, rendendomi più
dolce ed affabile e,
finalmente, lo sentii crollare. I muscoli del braccio si rilassarono
e si lasciò andare ad un lungo sbuffo.
«E va bene!» sbottò «Digli di
raggiungerci»
Dopo un primo momento di stupore misto a
felicità, mi avventai su di lui, saltandogli letteralmente
addosso,
con le braccia a circondargli il collo. Avrei dovuto ringraziare ogni
sera il cielo che mi aveva permesso di conoscere Federico, di avere
un ragazzo d'oro come lui come migliore amico. Dove lo avrei trovato
un altro simile a lui, con la sua stessa dolcezza e pazienza, che
sopportasse i miei sfoghi e i miei capricci?
«Cercherò di essere cordiale con lui,
ma se si comporterà male scordati che io diventi suo
amico!»
aggiunse come clausola. Superflua, per giunta, perché
sapevo, in
cuor mio, che quei due sarebbero diventati amici.
«Grazie, grazie, grazie!» cinguettai,
al settimo cielo, baciandolo ripetutamente sulla guancia.
«Mi lascio convincere troppo facilmente»
borbottò, accarezzandomi un fianco «Non
c'è nessuna speranza,
invece, che tu e Cristina mettiate da parte i rancori?» mi
domandò
speranzoso.
«Toglitelo dalla testa!» sbottai
all'istante «No, davvero, io e lei siamo su due pianeti
completamente diversi»
E parla male di me, si diverte a
prendermi per il culo alle mie spalle, ridendo con il resto del
pollaio.
Avrei voluto aggiungere anche quello, ma
lo tenni per me. Non volevo offendere la sua ragazza, anche se se lo
sarebbe meritato. Mi allontanai da Federico e afferrai di nuovo il
cellulare, cominciando a comporre il messaggio da mandare a Dario.
«Avant Garde?» proposi a
Federico, alzando per qualche secondo lo sguardo dal cellulare.
Quella era la mia pizzeria preferita.
Piccola, accogliente, con un personale simpatico ed una pizza al
trancio alta quasi due dita che era la fine del mondo. Solo a
pensarci avevo l'acquolina in bocca.
«E mangi pizza anche stasera?» domandò
dubbioso.
Aggrottai le sopracciglia e gli rivolsi
uno sguardo spaesato. Che cosa stava dicendo? La sera avrei mangiato
quello che cucinava mia madre, che non ero di certo pizza, dato che
era un'impedita nel prepararla.
«Stasera avete la pizzata di classe, da
come mi ha detto Cristina. Non lo sapevi?»
Accidenti, no che non lo sapevo! Nessuno
aveva avuto la decenza di avvertirmi. In fondo, facevo parte anche
io di quella classe. Ma non c'era da stupirsi. Non avevo rapporti con
nessuno dei miei compagni. L'unico che avevo era quello con
Benedetta, che si era andato a farsi benedire. Ma se la Cariati
pensava che così facendo io non sarei andata a quella
pizzata, si
sbagliava di grosso. La mia classe aveva organizzato una pizzata e,
cascasse il mondo, ci sarei andata. Anche se non avevo la
benché
minima idea di dove si sarebbe svolta. Avrei controllato su Facebook,
nella speranza di trovare la pizzeria in cui avevano deciso di
andare.
«Ma certo!» esclamai sorridendo.
L'ultima cosa che volevo era passare per l'emarginata della classe
che nessuno prendeva in considerazione «Mi era passato di
mente!
Comunque, non importa per la pizza. A me piace, la mangerei anche a
colazione!» vano tentativo di arrampicarsi sugli specchi. Ad
aver
saputo della pizzata, avrei scelto un altro luogo dove pranzare.
«D'accordo, come vuoi» tagliò corto
lui.
«Una mezz'oretta e sarà qui da noi»
gli dissi con un sorriso intascando il cellulare. Alla fine, avremmo
comunque mangiato per le due passate. Ma avrei fatto quello sforzo se
sarebbe servito a far andare d'accordo quei due.
«E nel frattempo, cosa facciamo?»
sbuffò Federico, annoiato.
«Beh, potremmo cominciare ad avviarci e
magari ci fermiamo un po' in piazza, che ne dici?» proposi,
con un
mezzo sorriso.
«All'una del pomeriggio? A giugno
inoltrato? Con il sole che picchia?» si lamentò.
«Se vuoi accelero il tempo, così Dario
arriva prima» dissi sarcastica, sbuffando e puntellando le
mani sui
fianchi.
«Spiritosa» bofonchiò, con una smorfia
«Possiamo cominciare ad andare lì e ordinare anche
per lui. Il
tempo di arrivare e che preparino le pizze Dario sarà
sicuramente
già arrivato».
Sarebbe stata una bella idea, un piano
perfetto, se non fosse stato che io non sapessi i gusti di Dario.
Anzi, a pensarci bene, non sapevo nulla di lui. Non sapevo cosa gli
piacesse, cosa gli desse fastidio, non sapevo il suo colore preferito
e nemmeno la sua data di nascita. Nulla di nulla e pretendevo di
definirmi innamorata di lui. Molto probabilmente non era
così.
Magari era solo una semplice attrazione fisica che io mi ostinavo a
spacciare per amore. Oppure, ero talmente disperata che mi appigliavo
ad una semplice amicizia, cercando in tutti i modi di convincermi che
era qualcosa di molto più profondo, quando, in
realtà, era semplice
affetto.
Quella giornata era iniziata con il piede
sbagliato, con la notizia sconvolgente di Claudia e sembrava non
volesse proseguire positivamente. Avevo tanti, troppi dubbi su Dario,
su di me, su di noi come coppia.
«Siamo arrivati» la voce dolce di
Federico mi riportò alla realtà e mi ritrovai
davanti la porta a
vetri della pizzeria. Non mi ero nemmeno accorta di star camminando e
di essere giunta all'Avant Garde. Era come se quei pochi minuti non
li avessi vissuti, come se il mio corpo avesse vissuto senza la mia
anima dentro. Non ricordavo nulla, talmente ero offuscata dai miei
dubbi.
«Dario ti ha risposto?» mi chiese.
Estrassi il cellulare della tasca, ma sul
display non apparve nulla, se non il faccione del mio gatto. Scossi
la testa e sospirai. Molto probabilmente non ci avrebbe raggiunto,
magari non aveva voglia di passare del tempo con me. Anzi, sperai
addirittura che non avesse letto quel messaggio. Non avevo voglia di
vederlo, di affrontare i miei numerosi dubbio.
«Che facciamo allora?» domandò
«Entriamo ed iniziamo ad ordinare?».
Annuii mestamente e lo seguii dentro il
locale. Era piccola quella pizzeria. All'ingresso c'era la cassa e il
forno a legna, mentre, sul retro, una decina di tavoli per consumare
la propria ordinazione con tranquillità.
Un giovane e cortese cameriere ci
accompagnò nella sala vuota, fino ad un tavolo per due
persone.
Ordinammo entrambi una pizza margherita con doppia mozzarella e una
bottiglia d'acqua per bere e quella fu l'unica cosa che dissi. Rimasi
in silenzio a lungo, disegnando con la punta del coltello dei
ghirigori sulla tovaglia rosa salmone, riflettendo su quello che mi
stava capitando. Avevo troppe domande che mi ronzavano in testa e che
si alternavano in maniera disordinata nella mia mente, tutte in cerca
di una risposta che io non sapevo e non volevo trovare.
Cosa siamo io e Dario?
Solo amici o qualcosa di più?
Fidarsi di lui è la cosa giusta?
Sono veramente innamorata di Dario?
La mano di Federico si allungò sul
tavolo e andò a stringere la mia. Alzai lo sguardo dalla
tovaglia,
trovando i suoi occhi color nocciola scrutarmi con preoccupazione.
Abbozzai un sorriso, così, per tranquillizzarlo, per fargli
capire
che era tutto a posto anche se in realtà così non
era. Ma lui non
sembrò convinto di quel mio tentativo e mi strinse
ulteriormente la
mano.
«Sei strana» constatò «Non mi
hai
rivolto la parola da quando ci siamo allontanati da Campo
Verde».
Bene, lo avevo anche ignorato
mentre ero persa nei meandri dei miei pensieri.
«Riflettevo» sospirai. Lui annuì e mi
rivolse un sorriso dolce per spronarmi a spiegargli ciò che
mi
attanagliava «Su me e Dario. Sai, non sono per nulla sicura
di noi
due» sospirai, affranta.
«Ma come? Prima sembravi al settimo
cielo di averlo ritrovato e ora hai i dubbi?»
«Lo so, è strano. Ma mi hai fatto
notare, implicitamente, che io non so nulla di lui! Solo il suo
nome»
scossi la testa e liberai la mia mano dalla presa di Federico,
congiungendola poi all'altra sotto la tovaglia «Come posso
dire di
amarlo se non so niente di lui? Molto probabilmente sto correndo
troppo, forse lo trovo solo affascinante, forse ho solo un disperato
bisogno di amore» parlai a raffica, senza prendere fiato e mi
ritrovai senza respiro dopo quelle parole.
«Se tu sei la prima a dubitare di voi
due, questa storia non avrà molto futuro»
parlò con un filo di
voce e trovai un po' di conforto e sicurezza nel suo sorriso tenero
«Viviti questi momenti, goditeli! E se poi non è
vero amore, pazienza! Prima o poi arriverà questo tuo
principe azzurro!»
ridacchiò e si umettò le labbra, abbassando per
alcuni secondi lo
sguardo «Capito, piccola?»
«Piccola a chi?» tuonò una voce alle
mie spalle.
Non mi servì nemmeno voltarmi perché lo
avevo riconosciuto. Dario, contro ogni mia aspettativa, era arrivato.
Anche prima del previsto. Sentii i suoi passi pesanti rimbombare
dietro di me, poi una sedia strisciare, fino a che non lo vidi
sedersi accanto a me.
«Piccola è sotto copyright»
continuò
stizzito «Ed ogni volta che lo sentirò uscire
dalla tua bocca sarà
un cazzotto sul muso» continuò, sorridendo come un
cretino.
Ecco, iniziava proprio con il piede
giusto quel mio tentativo di renderli amici. Ma, comunque, la strada
era ancora lunga e il primo passo non comprometteva l'intera corsa.
«Perché non mi hai detto che ci sarebbe
stato anche il troll?» mi domandò, sporgendosi
verso di me e
sussurrandomelo nell'orecchio.
Rabbrividii per la sua vicinanza, per il
suo respiro contro la mia pelle. Come potevo dubitare di quello che
provavo per lui? Insomma, solo il suo odore bastava per farmi
sussultare, solo il suo fiato era necessario per farmi rabbrividire,
solo i suoi occhi erano sufficienti per rendere migliore la mia
giornata. Diamine, ogni secondo che passava ero sempre più
confusa
su di noi e sul mio sentimento per lui. La soluzione 'attrazione
fisica' continuava a rispuntare, insinuandomi sempre più in
profondità il dubbio.
«Una piccola omissione» risposi e,
nonostante gli sforzi, non riuscii a sorridergli.
Dario mi accarezzò una guancia e la sua
mano scivolò dietro la mia nuca, spingendomi verso di lui.
Le nostre
labbra entrarono in contatto e la sua lingua non esitò a
cercare la
mia subito dopo, in un impeto trascinante che trasformò quel
bacio
in qualcosa di troppo passionale per una pizzeria. L'altra sua mano
scivolò sulla mia coscia, la percorse, fino a fermarsi a
pochi
millimetri dal mio inguine. Sussultai nel sentire il suo calore
così
vicino alle mie parti intime e il sangue nelle vene bollì
per
l'eccitazione.
Attrazione fisica. Semplice attrazione
fisica, continuava a ripetere il mio cervello.
«Ehm!» tossicchiò Federico e le labbra
di Dario si staccarono dalle mie «Scusatemi, so che vi
interrompo,
ma qui con voi ci sarebbe anche il troll»
«Purtroppo per noi» borbottò Dario,
guardandolo torvo «Ma perché non lo fai andare
via, così rimaniamo
solo io e te?» addolcì il tono, rivolgendosi a me
e sfiorò le sue
labbra sulle mie in un fugace contatto.
«No, Dario» risposi, spingendolo
delicatamente lontano da me «Volevo proprio che ci foste
entrambi
per farvi conoscere. Per me sarebbe davvero difficile dividermi tra
voi due» gli spiegai e il suo viso s'incupì a poco
a poco.
«Io non voglio avere nulla a che fare
con questo spilungone!» sbottò, indispettito,
sbattendo con la
schiena contro la sedia.
«Ti prego, Dario, fai un piccolo
sforzo!» lo supplicai, stringendogli la mano.
Lui si morse il labbro inferiore e sfuggì
al mio sguardo stucchevole, puntandolo verso il lampadario.
L'espressione sul suo viso era dura e sembrava irremovibile nella sua
testardaggine. Nella sua ottusa e insopportabile testardaggine.
«Dai, Dario!» tentai di nuovo,
stringendo ulteriormente la presa sulla sua mano «Per
me».
I suoi occhi neri, quei due pozzi
profondi, si posarono nuovamente su di me e un risolino incredulo lo
fece raddrizzare sulla sua sedia.
«Non puoi costringermi!» tuonò,
alterato. Lui faceva lo stizzito, quando in realtà avrei
dovuto
esserlo io. Gli stavo chiedendo un semplice favore, non di cambiare
la rotazione terrestre. Gli afferrai un braccio e lo strattonai
violentemente verso di me, in modo tale da poter parlare sotto voce,
senza farmi sentire da Federico.
«Ti sto chiedendo solo di provare a
conoscerlo, non di portarmi su una stella» mormorai.
La mascella di Dario si contrasse e
l'aria gli uscì rumorosamente dal naso. Sembrava un toro
infuriato,
pronto ad incornare chiunque gli si fosse parato davanti.
«Si può sapere che cosa ti ha fatto?
Non lo conosci nemmeno e dici di non sopportarlo» alzai di
poco il
tono. Ero arrabbiata con lui, dannazione! E in più si
aggiungevano
tutti i miei dubbi che mi rendevano alquanto nervosa ed elettrica
«Tu
e i tuoi stupidi pregiudizi»
«Non iniziare con quel discorso. Lo
abbiamo sepolto insieme a Davide» sibilò.
«E allora, porca miseria, sforzati di
essere civile con lui! Federico non ha fatto tutte queste
sceneggiate! Ha accettato di incontrarti e lo ha fatto per me,
perché ci tiene a me e alla nostra amicizia»
«Bella tattica. Puntare sui sentimenti e
il senso di colpa» replicò sprezzante
«D'accordo, ci parlo, almeno
non potrai rinfacciarmelo in un futuro».
Rimasi spiazzata e delusa da quelle
parole, ma cercai di nascondere la mia amarezza, annuendo e
sorridendo a Federico che era rimasto in silenzio a guardarci e,
molto probabilmente, aveva sentito tutto. Avrei voluto alzarmi da
quel tavolo, sbattere in faccia a Dario un bicchiere e urlare,
sbraitare fino a perdere la voce per la rabbia. Ma mi trattenni per
non mandare all'arai tutti i miei sforzi di far conciliare quei due.
«Allora» iniziò il discorso Abbate,
cercando di stemperare la tensione «Come mai sei arrivato
così
presto? Pensavo ci mettessi di più»
«Ero di strada» rispose conciso Dario,
rivolgendogli uno sguardo assassino.
«Stavi venendo a incontrare la tua
piccola?» gli chiese Federico, in un
chiaro tono
provocatorio.
Abbassai lo sguardo e mi passai entrambe
le mani nei capelli. Nessuno dei due sembrava voler collaborare ed
ero certa che sarei impazzita prima ancora di ricevere la mia pizza.
Anzi, no, fortunatamente, visto che il cameriere me la
consegnò poco
dopo, insieme a quella di Federico. Rivolse uno sguardo dubbioso a
Dario, che gli rispose senza nemmeno aver sentito la domanda.
«Non voglio niente. Mi è passato
l'appetito»
Il cameriere annuì e si congedò. Sperai
con tutto il cuore di poter mangiare in santa pace, ma sembrava che
tutto, durante quella mattinata, fosse contro di me e contro i mie
nervi, ormai tesi e a fior di pelle. Sarei esplosa per il nervosismo,
di lì a poco, ne ero più che sicura.
«Hai detto bene spilungone» Dario tornò
a rivolgersi a Federico «La mia piccola,
non la tua»
«Federico. Mi chiamo Federico, non
spilungone» ribatté acido Abbate, tagliando la
pizza con foga e
mangiandone un boccone.
«Preferisco spilungone» replicò con un
sorriso di scherno Dario «E credo che continuerò a
chiamarti così.
L'Italia è un paese libero, mi pare»
«Giusto» concordò e per poco ci fu una
meravigliosa armonia tra di noi, che ci abbandonò subito
dopo «Per
il tuo stesso ragionamento, io posso chiamare Alice piccola
quanto mi pare e piace».
Dario allargò le braccia e sogghignò
incredulo, scuotendo il capo. Poco dopo le sue mani ricaddero pesanti
sulle suo cosce e il suo viso si contrasse in una smorfia di
dissenso. Era alterato ed io non volevo che quei due litigassero, che
mandassero all'aria il mio piano. Allungai un pezzo di pizza a Dario,
cercando, così, di farlo tranquillizzare, ma lui
allontanò con poco
garbo la mia mano, troppo concentrato ad inveire contro Federico.
«Mettiti in testa una cosa, troll» e
gli puntò un dito contro con fare minaccioso «Solo
io posso
chiamare Alice in quel modo»
«E chi lo impone? La legge?» disse
ironico ed ero sicura che, se avesse potuto, Dario gli avrebbe
distrutto una sedia sulla schiena, come in un incontro di wrestling.
«Piccola è un soprannome troppo
sdolcinato per darlo ad una semplice amica»
ringhiò, alzandosi
dalla sua sedia e sbattendo le mani sul tavolo, sporgendosi verso
Abbate «Che ti credi, spilungone, che io non sappia che tu
gli
ronzerai attorno? Che cercherai di portarmela via sotto il naso? Che
ti approfitterai di lei in un momento di debolezza?»
«Mio caro nanerottolo» rispose per le
rime, alzandosi anche lui e sovrastandolo con il suo metro e
novantaquattro abbondante «Se fossi stato un approfittatore,
mi
sarei preso Alice quando tu te ne sei andato perché spaventato»
sottolineò quella parola con rabbia «E a quest'ora
lei poteva
benissimo essere tra le mie braccia e non tra quelle di un bastardo
come te» sputò con rabbia, forse troppo trascinato
dall'ira per
riflettere su quello che stava facendo.
Dario si sollevò e sorrise, leccandosi
l'angolo della bocca e passandosi una mano tra i capelli.
Borbottò
qualcosa tra sé e sé, forse stava prendendo in
giro Federico con
uno dei suoi insulti. Beh, dai, non aveva reagito così male.
In
realtà, pensavo che gli avesse spaccato realmente la faccia.
«Dai ragazzi, adesso basta» sorrisi e
mangiai un boccone di pizza, sperando di smorzare quella tensione.
Dario mi rivolse uno sguardo ed annuì,
prima di voltarsi di scatto verso Federico e sferrargli un pugno in
pieno viso. Vidi Abbate barcollare, mentre nascondeva con una mano il
naso, finché non inciampo contro la sedia e cadde con il
sedere per
terra con un tonfo degno di un pachiderma. Scattai in piedi,
lasciando cadere la forchetta con un tintinnio nel piatto e mi portai
una mano davanti alla bocca, sconvolta per quello che aveva fatto
Dario.
«Chi cazzo sei per giudicarmi?» sbraitò
Dario, guardandolo dritto negli occhi, quasi volesse incenerirlo con
quello sguardo.
Le sue grida attirarono l'attenzione del
personale della pizzeria, che comparve, curioso, sulla soglia della
porta e rimase ad osservare la scena, come se stessero vedendo un
film. Ci mancavano solo i pop corn e una bevanda.
«Smettila Dario!» mi intromisi anche io
e il mio urlo uscì strozzato e quasi a fatica. Avevo voglia
di
piangere, sfogarmi per tutta la tensione e il nervosismo che stavo
accumulando, ma mi trattenni, nonostante sentissi le lacrime spingere
per uscire. Lui non sembrò ascoltare il mio lamento e si
abbassò
verso Federico, afferrandolo per la maglietta e sollevandolo da
terra.
«Tu non sai nulla di me. Non sai perché
mi sono comportato così e non ti permetto di rovinare quello
che c'è
tra me e Alice» sibilò a pochi centimetri dal suo
viso.
«Facendo così, sei tu che rovini il
vostro rapporto» arrancò Abbate, con un rivolo di
sangue che gli
usciva dal naso.
«Vuoi un altro pungo, spilungone?»
minacciò Dario, serrando la mano come se volesse colpirlo
ancora.
Come una furia, mi avvicinai a lui e gli
strinsi il braccio, impedendo che anche quel colpo andasse ad
infrangersi sul volto di Federico. Lo strattonai, mi aggrappai
letteralmente a lui, appoggiando il viso sulla sua spalla, disperata.
Il mio tentativo di farli parlare come due persone civili erano
andati in fumo. Io non volevo che quei due litigassero per me, non
volevo che arrivassero addirittura a picchiarsi. Mi sentivo in colpa
perché ero stata egoista, perché li avevo
costretti a cercare un
punto di incontro che, a quanto pareva, non esisteva. Avrei dovuto
dare ascolto a Federico e così lui si sarebbe risparmiato un
naso
tumefatto.
«Basta Dario» lo pregai e la mia voce
uscì come un lamento straziante.
I muscoli del suo braccio si sciolsero
sotto la mia presa e lo sentii muoversi, come se avesse lasciato la
presa su Federico. Si liberò dalla mia stretta con un
delicato
strattone e, senza che me ne rendessi conto, mi ritrovai abbracciata
a lui, con il viso affondato nella sua maglietta che sapeva di
vaniglia mista a tabacco. Le sue braccia mi stringevano a lui, quasi
non volesse farmi scappare, e le sue mani si serrarono, intrappolando
la stoffa della mia maglietta.
«Scusami Alice» mormorò, realmente
dispiaciuto per quello che era successo.
Ma come potevo ricambiare la sua stretta
e far finta che nulla fosse accaduto? Star lì, nelle sue
braccia a
bearmi del suo calore e del suo odore, quando Federico era seduto
sulla sedia, dolorante? Aveva esagerato! Arrivare addirittura alle
mani mi sembrava assurdo. Ok, forse Abbate poteva risparmiarsi quel
bastardo detto tra i denti, ma la reazione di Dario
era stata
troppo violenta per i miei gusti.
Seppure avessi voluto rimanere stretta a
lui e piangere, sfogare tutta la mia tensione tra le sue braccia, lo
spinsi via da me con decisione e andai a sincerarmi delle condizioni
di Federico, che, intanto, era stato soccorso dal titolare della
pizzeria. Aveva il viso reclinato in avanti e si stava tamponando il
naso con dei tovaglioli di carta, nei quali erano avvolti alcuni
cubetti di ghiaccio.
«Stai bene, Fede?» gli chiesi,
preoccupata, abbassandomi verso di lui per poggiargli una mano sulla
spalla e scostando i capelli che ricaddero inevitabilmente in avanti.
«Stavo meglio prima» ironizzò con un
mezzo sorriso, controllando che i tovaglioli non fossero sporchi.
Sembrava che il peggio fosse passato, che
il suo naso avesse smesso di sanguinare nonostante il colore
violaceo.
«Non è rotto, vero?» mi sincerai,
rimbalzando con lo sguardo da Abbate e il titolare che lo aveva
soccorso.
«No, non credo» mi rispose Federico,
toccandosi delicatamente il naso e soffocò un urlo di dolore
«Fa
solo male, ma non è rotto» mi rassicurò
nuovamente.
«Dio, che spavento!» sospirai e mi
avvinghiai a lui, stando attenta a non urtargli il naso. Lui
ricambiò
a mia stretta, dandomi qualche dolce e delicata pacca sulla schiena.
«Stai tranquilla. È tutto a posto.»
cercò di calmarmi, ma serviva molto di più di una
semplice frase.
Un valium sarebbe stato l'ideale o una qualsiasi tisana rilassante.
Avevo il cuore che batteva all'impazzata, sembrava volesse schizzare
fuori dalla cassa toracica. Per non parlare poi dei muscoli, tutti
contratti per il nervosismo e un terribile cerchio alla testa. Un
giorno da dimenticare, non c'erano dubbi. Mai e poi mai avrei tentato
di farli riappacificare quei due. Avrei conciliato amicizia e amore.
Semmai di amore si trattasse.
Ero stretta a Federico, ma questo non
impedì al mio sguardo di andare a cercare Dario. Era
immobile, con i
pugni serrati e gli occhi colmi di tristezza, con il labbro inferiore
stretto tra i suoi denti. Scosse la testa e, forse senza nemmeno
accorgersi che lo stessi fissando, se ne andò, furioso, con
passo
svelto e deciso, scansando con poco garbo il personale della pizzeria
che ostruiva il passaggio.
Sussultai e la mia presa su Federico si
indebolì. Non potevo farlo scappare così, non
dopo aver visto i
suoi occhi neri intrisi di tanta tristezza. Dovevo raggiungerlo,
abbracciarlo, perché mi ero ripromessa che lo avrei reso
felice, in
qualsiasi istante. Ma non potevo nemmeno lasciare Federico come un
babbeo in quella pizzeria. Ero davanti ad un bivio, per l'ennesima
volta e non sapevo che strada percorrere.
Amicizia o amore?
Federico o Dario?
Qualcosa di certo o qualcosa di
confuso?
«So che vuoi seguirlo» la voce di
Federico arrivò quasi ovattata alle mie orecchie
«Non fartelo
scappare di nuovo».
Mi voltai verso di lui e scossi la testa,
mordendomi entrambe le labbra. Non potevo abbandonare così
Federico,
anche se non aveva nulla di grave, ma mi sarei sentita in colpa
comunque. Lui mi strinse le mani e mi sorrise dolcemente, con lo
sguardo pieno di comprensione.
«Non ti preoccupare per me. Io sto bene!
È solo una botta, passerà presto»
cercò di convincermi «Corri,
su!».
Sorrisi, un sorriso pieno di gioia e gli
schioccai un lungo bacio sulla guancia. Come al solito le parole di
Federico mi erano state di aiuto, mi avevano illuminato il sentiero
da prendere, la strada tortuosa che conduceva a Dario.
Corsi fuori dal ristorante, sotto al sole
cocente del primo pomeriggio, ma poco mi importava del caldo atroce.
Mi guardai attentamente attorno, cercando la figura di Dario. La
strada che conduceva a Campo Verde era desolata, così come
quella
che portava al cinema. Feci qualche passo e svoltai a destra, verso
la piazza e lo vidi immobile di fronte alla fontana, con le mani
affondate nelle tasche dei jeans, che fissava i giochi d'acqua senza
un reale interesse. Lo raggiunsi, correndo e mi avvinghiai subito a
lui, lo strinsi a me per non farlo scappare un'altra volta,
strusciando il viso sul suo braccio. Il suo odore di vaniglia mi
penetrò fino in fondo all'anima, riempì i miei
polmoni e il mio
cuore. Forse non era amore e nemmeno attrazione fisica. L'unica cosa
che sapevo era che, con lui, mi sentivo felice, che solo lui era in
gradi di farmi palpitare, di farmi sognare, di sconvolgermi con ogni
suo piccolo gesto o un suo sorriso.
«Com'è che non sei rimasta dentro con
il tuo amico?» domandò, quasi assente.
«Perché non volevo perderti di nuovo»
risposi, stringendomi di più a lui, quasi volessi che
entrasse a far
parte di me.
«Perché perdi tempo con uno come me?»
la sua voce uscì in un sussurro «Voi due siete
così affiatati...»
«È ovvio! Ci conosciamo da anni!»
esclamai, cercando, in un qualche modo, di tranquillizzarlo.
«Più di quanto lo siamo noi due»
aggiunse, abbassando il capo.
«Credi che io voglia stare con lui?»
domandai, cercando di vederlo in viso, ma mi era quasi impossibile.
«Non lo so. In realtà non so che
pensare» sospirò «Eri così
felice mentre parlavi con lui, come
non ti avevo mai vista, nemmeno con me...»
«Ehi, stupidone!» lo richiamai,
sollevandogli il viso con due dita e incontrando finalmente i suoi
occhi, quegli oceani neri in cui avrei voluto annegare «Se ti
sembravo felice era perché stavo pensando a te».
Dopo un primo momento di esitazione, le
sue labbra si stiracchiarono in un sorriso sempre più felice
e le
sue guance si tinsero di rosso piano piano. Non mi sarei mai stancata
di ripeterlo, imbarazzato era più bello del solito.
Appoggiai le
mani sulle sue guance, stringendogli quel visino dolce da cucciolo
che si ritrovava, e lo spinsi verso di me, per guardare più
a fondo
in quegli occhi che mi perforavano l'anima e mi mozzavano il fiato.
«Dario, io ho scelto te! E non mi
pentirò mai, MAI della mia decisione!» dissi in un
soffio,
riuscendo a sovrastare comunque il rumore della fontana, che era
ovattato, come se fossimo stati sbalzati in un'altra dimensione, come
se fossimo richiusi in una bolla solo io e lui.
«Ne sei sicura?» cercò di ironizzare,
con un mezzo sorriso.
«Al cento per cento. Anche se tra noi
due non dovesse funzionare, e spero tanto che non sia così,
tu sarai
sempre nel mio cuore. Nessuno riuscirà mai a farmi provare
le tue
stesse emozioni» mi ritrovai quasi senza fiato e non sapevo
se per
aver parlato senza interrompermi o solo per i suoi occhi liquidi.
«Oggi è il tuo turno con le
sviolinate?» disse sarcastico, cercando di mascherare il suo
imbarazzo, abbassando il viso e lo sguardo.
Ma io gli impedii di prolungare troppo a
lungo il nostro distacco visivo, alzandogli il volto e specchiandomi
di nuovo in quelle iridi color della notte. Sarei rimasta incantata a
fissarli per ore, senza mai stancarmi di quel turbine nero in cui
precipitavo ogni volta. Diminuii la distanza che c'era tra noi e unii
le mie labbra con le sue. Avevo il bisogno di sentirlo vicino a me,
di baciarlo e poco mi importava se quello non era realmente amore.
Con Dario tutto mi sembrava più bello, erano quasi
inspiegabili le
sensazioni che solo lui sapeva regalarmi. Nessun pittore, nemmeno il
migliore, sarebbe stato in grado di dipingere il fuoco che ardeva
dentro di me ogni volta che stavo con lui, nessuno scrittore, neanche
il più illustre, sarebbe stato capace di descrivere
ciò che sentivo
mentre stavo con Dario. In realtà, nemmeno io avrei saputo
descriverlo, le parole erano insufficienti e quasi superflui.
La sua lingua non si fece attendere, ed
andò a lambire la mia con bramosia, con una voglia
irrefrenabile,
quasi necessitasse della mia per potersi muovere. Le sue mani grandi
e calde mi cinsero i fianchi, attirandomi maggiorment
verso il suo
corpo, in cerca di un contatto bruciante tra di noi, mentre le mie
affondarono nei suoi capelli morbidi. Se il tempo si fosse fermato in
quel momento, sarei stata più che felice. Per sempre stretta
tra le
sue braccia. Per sempre unita alle sue labbra.
Per sempre io e lui.
«Mi dispiace per quello che è successo
lì dentro. Ero talmente accecato dalla gelosia che ho agito
di
istinto» sospirò, accarezzandomi il viso con
entrambe le mani «Non
volevo mi vedessi in quel modo»
«Tranquillo, è tutto passato» chiusi
gli occhi, beandomi del contatto con le sue mani «Anche se
non
voglio che accada più una cosa del genere!» gli
puntai un dito
contro e mi finsi imbronciata.
«Giurin, giurello»
ridacchiò.
«Bravo bimbo» scherzai, dandogli poi un
veloce bacio sulle labbra «E dato che sei così
bravo, piccolo
Dario, che ne diresti di tornare in pizzeria e chiedere scusa a
Federico?».
Lui aggrottò le sopracciglia e gonfiò
le guance, esattamente come avrebbe fatto un bimbo, il ché
lo rese
ancora più tenero, assottigliando lo sguardo.
«Non ci penso nemmeno» borbottò
«Lui
mi ha chiamato bastardo!»
«Lo so! E pretenderò che anche lui ti
faccia le sue scuse» replicai, appoggiando le mani sul suo
petto e
appianando le pieghe della maglietta.
Dario scosse la testa con decisione,
testardo ed irremovibile nella sua rabbia.
«Ti chiedo solo questo! Non voglio che
voi due cerchiate di diventare amici» sospirai «Ho
sbagliato a
farvi incontrare, lo ammetto sono stata egoista. Ma pensavo di
riuscire a farvi trovare un punto di incontro, che, a quanto pare,
non esiste»
«Per fortuna! Io non voglio avere nulla
a che fare con quel troll dalle mani lunghe!»
bofonchiò,
contrariato.
«Direi che Federico non sarà mai
argomento di discussione tra noi due» ridacchiai, seguita da
Dario
«Comunque. Ora rientri là, fa il civile e gli
chiedi scusa. Mi
sembra giusto».
Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo
spazientito, per poi mollare la presa e dirigersi verso la pizzeria
con passo lento e per nulla deciso. Sorrisi, nel vedere che mi aveva
ascoltato, almeno una volta e aveva messo da parte un attimo il suo
orgoglio.
«Lo faccio solo per te!» esclamò,
voltandosi e facendo qualche passo a ritroso.
Lo raggiunsi, con una breve corsa, con un
sorriso idiota stampato in viso ed entrammo, mano nella mano, come
due perfetti fidanzatini nella pizzeria. L'intero personale
lanciò
uno sguardo omicida a Dario, che strinse maggiormente la mia mano.
Era teso, per quegli occhi che lo giudicavano come un manesco,
puntati addosso. Strusciai la guancia sulla sua spalla, per fargli
capire di stare tranquillo, che io ero lì al suo fianco e ci
sarei
sempre stata, in qualsiasi occasione e che non lo avrei mai e poi mai
giudicato. Entrammo nella piccola sala da pranzo e Federico era
ancora lì, seduto al suo posto che si guardava le converse,
la pizza
ancora per metà nel piatto.
«Ehi, spilungone!» lo richiamò subito
Dario ed Abbate alzò lo sguardo terra, incontrando quello
del suo
'avversario'. Mi rivolse un sorriso e uno sguardo complice, seguito
da un occhiolino.
«Che vuoi? Vuoi spaccarmi
definitivamente il naso?» lo provocò, beffardo.
«Non sarebbe una cattiva idea. Almeno
hai una scusa per rifarti quell'obbrobrio che ti ritrovi in mezzo
alla faccia» rispose per le rime, sfoggiando un sorriso
soddisfatto.
«Potrei anche rifarmelo senza che
qualcuno me lo spacchi» ribatté, alzandosi in
piedi con estrema
calma «Peccato, però, che non esista la chirurgia
plastica per il
cervello. Sai, ti servirebbe».
O no! Ricominciavano quei due? Non volevo
assistere ad un'altra piccola rissa.
«Se lui mi provoca in questa maniera, mi
spieghi perché io dovrei scusarmi con lui?»
ringhiò tra i denti
Dario, rivolgendosi a me.
«Ma Federico stava solo scherzando!»
sdrammatizzai, lanciando uno sguardo torvo al mio migliore amico
«Vero?»
Abbate si aprì in un sorriso finto
quanto una moneta da cinque euro e si avvicinò a noi.
«Ma certo!» esclamò con tono pacato.
Dario non sembrò per nulla convinto,
anzi, avrebbe voluto prenderlo a pugni nuovamente, glielo leggevo
negli occhi. Ma si trattenne, per me, serrando le mani e mordendosi
le labbra, per reprimere la rabbia crescente.
«Scusami spilungone per il pugno» disse
brusco. Ed ero certa che non lo pensasse davvero, anzi, avrebbe
voluto dargliene altri cento di cazzotti, se solo avesse potuto.
Federico rimuginò su quelle parole e
schioccò la lingua, rimbalzando con lo sguardo da me a
Dario. Sapevo
bene che non sopportava vedermi con lui, dopo avermi vista
così
sofferente e credetti che volesse provocarlo nuovamente, scatenando,
ancora di più, le ire di Dario. Ma, fortunatamente,
allungò una
mano verso di lui e sospirò, a malincuore.
«Scuse accettate» mormorò «E
scusami
anche tu nanerottolo».
Scettico e dopo parecchie esitazioni,
Dario afferrò la mano e la strinse per pochi secondi, come
se
scottasse, per poi pulirsi sui suoi pantaloni, nemmeno Abbate avesse
la lebbra.
«Ma non mi piaci comunque» sottolineò
Dario, brusco.
«Ah! Sentimento reciproco. Meno ti vedo
meglio sto» rispose Federico, alzando le mani
«Diciamo solo che
siamo in tregua per Alice?».
Dario sembrò pensarci un attimo, poi
sbuffò ed annuì, passandosi una mano sul viso.
«Tregua. Ma solo per Alice»
Sorrisi, felice, guardando prima uno e
poi l'altro. Forse ero stata una sprovveduta se avevo pensato che
quei due potessero diventare amici. Ma, come si diceva, tutto
è
bene quel che finisce bene.
Dopo quel piccolo momento
felice, di
tranquillità tra quei due, Dario mi riaccompagnò
a casa. Claudia
era già andata via nel momento del mio rientro, per cui
trovai solo
Smell spaparanzato sul divano che si scolava una birra, ruttando ogni
secondo.
Dio mio, perché doveva capitare a me
un fratello del genere?
La prima cosa che feci, ovviamente dopo
aver pomiciato sotto casa con Dario per mezz'ora, non fu quella di
salutare Raffaele, poco mi importava insomma, ma fu fiondarmi in
camera mia e accedere a Facebook. Dovevo sapere dove si sarebbe
tenuta la pizzata e presentarmi lì, anche se non ero stata
invitata,
alla faccia di quell'antipatica di Cristina.
Sapevo che Facebook non mi avrebbe
tradita. Sulla bacheca di quasi tutti i miei compagni c'era scritto
Stasera, ore 20, pizzata al SottoSopra. Perciò,
mezz'ora
prima ero già pronta per quell'appuntamento al quale nessuno
mi
aveva invitata. Sarei stata un'imbucata indesiderata, ma poco mi
importava. Quella era anche la mia classe! Forse, se me lo avessero
chiesto non ci sarei nemmeno andata, tanto non mi calcolava nessuno.
Ma era stata un affronto non avvertirmi ed io avrei fatto un affronto
a loro presentandomi lì. Avrei voluto anche che Dario mi
accompagnasse, così, per spargere un po' di invidia tra
quelle oche,
ma farlo scomodare da Milano mi sembrava eccessivo, anche se sapevo
bene che lui avrebbe accettato senza fiatare. Mi avrebbe portato
anche sulla luna, se glielo avessi chiesto. Mi accontentai di Smell,
che, dopo un quarto d'ora di 'no' sbraitato, aveva acconsentito a
portarmici. Per fortuna il viaggio da casa mia alla pizzeria era
abbastanza breve, nemmeno dieci minuti, per cui mi sorbii i lamenti
di Raffaele per un tempo limitato.
Appena scesa dall'auto vidi, davanti
all'entrata, quella gallina sculettante della Cariati che civettava
allegramente con un ragazzo.
Figurarsi!
Povero Federico! Se solo avesse aperto
gli occhi si sarebbe reso contro che quella era una putt... ehm...
una ragazza di facili costumi. Gli occhi verdi di Cristina incontrano
i miei e un'espressione scocciata si dipinse sul suo volto. Tanto per
rincarare la dose, sorrisi e la salutai con enfasi, come se fosse la
mia migliore amica, anche se avrei voluto strapparle quei riccioli
biondi.
«Ciao Cristina!» esclamai,
avvicinandomi maggiormente a lei.
«Ciao» rispose contrariata e, in quel
momento, il ragazzo con cui stava civettando si voltò.
Impallidii, mi immobilizzai a pochi passi
da loro e rimasi a fissare quei due enormi occhi azzurri per un tempo
imprecisato. Davide Saronno, quel Davide, quello per cui avevo una
cotta e che aveva certi piani poco casti con me mi sorrise raggiante
e avrei tanto voluto tirargli una scarpa in faccia, piantargli un
calzino in bocca e soffocarlo.
Non dovevo assolutamente mostrarmi
nervosa davanti a lui, dovevo cercare di essere indifferente, anche
se mi risultava difficile. I suoi occhi azzurri mi ricordavano troppe
cose.
La mia prima cotta, il mio primo
bacio, la delusione nello scoprire che fosse solo uno stronzo.
Abbozzai un sorriso e ridussi le
distanze, avvicinandomi maggiormente a loro, tremante, sperando che
nessuno dei due notasse il mio disagio.
«Ero sicura non saresti venuta» prese
la parola Cristina, ravvivandosi i capelli.
«Ah, davvero?» ribattei acida «E
invece eccomi. Per tua enorme gioia»
«Sei stata l'unica che non ha risposto
al post in cui avvisavo, perciò ho dedotto che non ti
interessava»
Rimasi allibita, con la bocca dischiusa e
uno sguardo da triglia lessa. Cioè, lei mi aveva invitata ma
ero
stata io ad ignorare il suo post? Sì, probabilmente era
così! In
quel periodo ero talmente presa da Dario che non capivo più
nulla.
«Per fortuna che ho prenotato per più
persone, sennò mangiavi sulla ghiaia» aggiunse,
sogghignando.
Alla sua risata, già inascoltabile di
suo, si aggiunse anche quella irritante di Saronno. Lo guardai torvo,
assottigliando lo sguardo, quasi volessi incenerirlo con gli occhi!
Magari! Se fossi stata Ciclope, l'X-men, a quel punto sarebbe
stramazzato al suolo.
«Si può sapere cosa ci fa lui qui?»
domandai, fuori di me, indicandolo «Mi pare che lui non
faccia parte
della nostra classe!»
«Ho solo invitato un amico» fece la
vaga.
Mi afferrò per un braccio, avvicinandomi
a lei e fui subito investita da un profumo di agrumi che mi fece
girare la testa.
«In realtà l'ho invitato perché
Francesca voleva conoscerlo. Sai, si è lasciata con il suo
ragazzo e
quindi...»
Non potei non fare a meno di gioire
dentro di me. Almeno quella scema della Lamira avrebbe avuto una
bella batosta da quel dongiovanni da strapazzo. Lei non sapeva con
che stronzo aveva a che fare.
«Non sei felice di vedermi?» mi chiese,
sorridente, Saronno.
«Oh, guarda, sprizzo gioia da tutti i
pori» risposi sarcastica, con un tono brusco.
«Non mi dire che sei ancora arrabbiata
con me, Alicetta!» mi provocò e mi strinse una
spalla,
avvicinandomi a lui. Mi ritrovai spiaccicata contro il suo petto
lasciato nudo dalla camicia bianca che indossava. Avvampai
all'istante. Insomma, era sì un bastardo ma restava pur
sempre un
figo da paura.
«Certo che no, Saronno» ritrovai la mia
lucidità e lo spinsi via con vigore «Adesso mi sei
totalmente
indifferente»
«Dici?» mi provocò lui, accarezzandomi
una guancia e avvicinandosi pericolosamente a me «E allora
perché
sei tutta rossa?».
Annaspai e abbassai lo sguardo, incapace
di sostenere il suo cristallino. Diamine, perché quello
lì doveva
farmi ancora quell'effetto? Solo perché era bello e aveva
degli
occhi da mozzare il fiato? No, così non funzionava.
Dario, Dario, Dario, Dario...
E il suo viso, arrivò in mio soccorso. I
suoi occhi neri e quel sorriso che avrebbe sciolto qualsiasi
ghiacciaio mi distolsero dal pensiero di Davide. Come potevo
vacillare di fronte a Saronno, quando accanto a me avevo un ragazzo
come Dario?
«Non gongolare troppo, Davide» rialzai
lo sguardo e sorrisi beffarda «Stavo solo pensando al mio
ragazzo».
Touché.
Davide aggrottò le sopracciglia e mi
guardò quasi sconvolto. Cosa si aspettava, che sarei rimasta
a
piangere in camera mia perché ci eravamo lasciati? Giammai!
«Come ra-ragazzo?»
«Hai presente il gigolò che mi ha
accompagnato alla festa?» mi avvicinai al suo orecchio e
glielo
sussurrai «Lui»
«Mi stai prendendo per il culo? La farsa
del fidanzato non regge più» fece lo spavaldo,
sfoggiando un
sorriso soddisfatto.
«È la verità. Se vuoi lo chiamo e lo
faccio venire, giusto per convincerti» gli proposi ironica
«Ah, ti
avverto, è un tipo molto geloso. Potrebbe spaccarti la
faccia. E non
è uno scherzo».
Avrei voluto immortalare la faccia di
Saronno, in quel momento: allibita, con la bocca spalancata e gli
occhi sgranati, nella tipica aria da baccalà sotto sale. Gli
lanciai
un'occhiata soddisfatta e, sotto lo sguardo confuso di Cristina,
entrai nella pizzeria. Alcuni dei miei compagni erano già
dentro,
compresa Benedetta, che non mi degnò nemmeno di uno sguardo.
«Ciao a tutti!» esclamai, ricevendo
come risposta solo dei cenni con la testa.
Che accoglienza!
Senza perdere il mio sorriso, mi sedetti,
volutamente, di fronte a Benedetta, nella speranza di poter
recuperare qualcosa con lei. Ma tutto ciò che ottenni fu
un'occhiata
glaciale che mi congelò il sangue nelle vene. Continuava ad
ignorarmi, parlava con Francesca, facendo qualche allusione velata su
di me, chiamandomi troia con una tale naturalezza
da lasciarmi
basita. Quattro anni di amicizia buttati al vento per uno stupido
fraintendimento. Forse era meglio così. Se quella che avevo
davanti
era la vera Benedetta, allora era meglio che la nostra amicizia fosse
finita così. Era cambiata, nei modi di porsi, nel modo di
parlare.
Era solo una stupida imitazione di Cristina riuscita male.
Mi sentivo esclusa. Tutti parlavano tra
di loro, tagliandomi fuori dai loro discorsi. Sarebbe stato meglio se
me ne fossi rimasta a casa, invece di voler fare un torto alla
Cariati, che poi torno non si era rivelato.
«Senti, mi dispiace davvero tanto per
quello che è successo»
Davide si sedette vicino a me, parlando
velocemente e stentai a capire che cosa aveva da dirmi. Sbuffai e
scossi la testa. Mi interessava poco e niente delle sue scuse. Per me
Saronno valeva meno di zero.
«Non importa. Ormai per me sei morto e
sepolto»
«E manderesti tutto all'aria?» mi
domandò, con una punta di tristezza nello sguardo. Ma, mai
fidarsi
di lui che era un attore nato.
«Tutto, cosa?» domandai sconvolta.
«Quello che c'era tra di noi!» esclamò
e cercò di prendermi una mano, ma glielo impedii
«Alice, eravamo
una coppia da sballo! E poi come baciavi... Cazzo, se baciavi
bene!»
«Mi prendi per il culo?» sbottai,
stizzita. Ma era stupido o cosa?! «Il nostro rapporto era
basato
solo sui delle stupide bugie»
«Ma non solo io le ho dette, Alice» il
suo tono si fece suadente e si avvicinò maggiormente a me.
Sentii
perfettamente il suo respiro caldo sulla pelle e il suo profumo di
marca solleticarmi le narici.
Vaniglia, vaniglia, vaniglia!
«Per cui siamo pari» aggiunse con un
sorriso disarmante.
Vacillavo, stavo vacillando di nuovo di
fronte a lui e non sapevo come uscirne.
«Eravamo o no una coppia bellissima?»
la sua mano scivolò sulla mia guancia e tremai a quel
contatto.
«Tu volevi solo portarmi a letto»
sibilai, tentennante «Se per te usare
vuol dire essere una
bella coppia, allora sì, hai ragione»
«Non ti avrei usata. Ti avrei amata,
Alice. E ti sarebbe piaciuto» soffiò, diminuendo
ancora la distanza
che intercorreva tra di noi «Non vorresti provare questa
sensazione?»
«Scordatelo» dissi tra i denti, nervosa
e tesa come non lo ero mai stata. Saronno era pazzo, su questo non
avevo più dubbi. Cosa voleva ancora da me? Forse le sue
numerose
ragazze si erano stufate di voler fare sesso con lui, quindi
strisciava da me in cerca di piacere?
Davide, improvvisamente, si sporse verso
di me e appoggiò le sue labbra sulle mie. Quel bacio era
totalmente
vuoto, privo di qualsiasi significato, nulla di paragonabile a quelli
di Dario. Mancava il velluto delle sue labbra, la sua tremenda
dolcezza e la sua passione travolgente. Mancava il suo sapore di
vaniglia e il suo corpo caldo. Eppure sussultai, forse
perché mi
aveva presa alla sprovvista, o solo per lo schifo che provavo per
lui. Lo scansai bruscamente, rischiando di farlo cadere dalla sedia e
scattai in piedi, guardandolo con disprezzo.
«Tu sei pazzo!» sbraitai, furiosa,
attirando su di me l'attenzione di tutti «Non osare mai
più
avvicinarti a me!».
Feci qualche passo per andarmene via da
lui, rifugiarmi in bagno, ma Davide mi afferrò per un
braccio e mi
sorrise nuovamente.
«Io voglio solo stare con te!» mi
disse, con un'enfasi che avrebbe fatto invidia ad un attore di
teatro. Mi stava prendendo per il culo, lo sapevo. Eppure non riuscii
a trattenere le lacrime, che uscirono ribelli tanto era il nervoso.
«Fottiti» sibilai e strattonai il
braccio, per liberarmi.
«Solo con te, pupa!» esclamò lui,
scoppiando a ridere, seguito a ruota dai miei compagni di classe
stupidi.
Mi voltai, senza guardarli e mi diressi
spedita in bagno, mentre alle mie spalle Davide continuava a ripetere
Sfigata, sganasciandosi dalle risate. Si divertiva a
prendermi
in giro, ero il suo passatempo. Mi chiusi in bagno e piansi,
singhiozzando, senza rendermi contro che Cristina era lì,
davanti
allo specchio, a sistemarsi il trucco.
«Oh mio Dio, Alice, che succede?»
domandò e mi sembrò seriamente preoccupata, per
me. Lei, che non mi
aveva mai calcolata «Sei disperata».
La ignorai volutamente e mi asciugai le
lacrime, cercando di sedare i miei singhiozzi da bambina isterica.
«È stato Davide?» mi chiese,
premurosa, sistemando la cipria nel beauty.
Quella lì o aveva un intuito degno di un
personaggio di Aghata Christie oppure mi leggeva nel pensiero.
Annuii, mestamente e mi morsi le labbra.
«Oddio, quanto è stupido»
commentò
lei, con uno sbuffo, controllando che il fondotinta le coprisse le
imperfezioni «Non dargli peso. È solo un
bambino»
«Si diverte a prendermi in giro» le
spiegai, con voce tremante «A prendere in giro i miei
sentimenti»
«Lo fa con tutte» disse vaga,
sistemandosi i capelli «Ma tanto prima o poi dovrà
crescere e
saranno cavoli suoi se sarà impreparato».
Tirai su con il naso e mi affiancai a
lei. Strano, c'era sintonia, tra di noi e, parlandoci civilmente, non
sembrava nemmeno una ragazza così antipatica. Si
passò il gloss
sulle labbra gonfie come canotti, poi si voltò verso di me e
mi
sorrise.
«Federico mi ha detto che ti conosce»
cinguettò.
«Già» sospirai, fissando la mia
immagine riflessa. Avevo il trucco colato e sembravo l'urlo di Munch.
Un mostro, ero un mostro!
«Non immaginavo che lo conoscessi»
continuò.
Molto probabilmente stava facendo la
carina con me solo per fare un piacere a Federico, anche se lui mi
aveva detto che non avrebbe mai nemmeno tentato di farci avvicinare.
«È il mio migliore amico»
«Ah, davvero? Non lo sapevo» commentò,
scuotendo i suoi riccioli d'oro.
No, lei non poteva stare con Federico!
Cosa avevano in comune quei due, a parte i capelli biondi? Nulla di
nulla! Erano su due pianeti differenti, parlavano due lingue
diverse... erano gli opposti ed io non avevo mai creduto nel detto
gli opposti si attraggono. Non potevo sopportarlo
che quei due
stessero insieme anche perché sapevo che lei lo avrebbe
fatto
soffrire. Per cui, parlai, senza mezzi termini.
«Perché stai con Fede?» le chiesi
«Insomma, voi non avete nulla in comune!».
Cristina sospirò e ammorbidì le spalle.
Sorrise, anche, solo a sentire il nome di Federico, il che mi confuse
ancora di più.
«Hai ragione» soffiò e i suoi occhi
verdi incontrarono i miei. Erano lucidi, pieni di gioia e,
soprattutto, sinceri «Nemmeno io credevo che mi sarei mai
messa con
lui. Insomma, non è affatto il mio tipo. Io preferisco i
ragazzi
come Davide» esitò un istante «Ma
Federico è diverso dagli altri,
da qualunque altro ragazzo che avessi mai conosciuto. Per la prima
volta, con lui, mi sono sentita apprezzata veramente, mi sono sentita
rispettata e considerata. E non perché fossi bella.
No!» sorrise e
potrei giurare di aver visto una lacrime solcarle una guancia. Anche
lei aveva un cuore, allora, un cuore che batteva per Federico
«Tutti
si sono sempre soffermati sul mio aspetto, non che mi dispiacesse!
Sempre a dirmi quanto fossi bella, a ricoprirmi di complimenti per la
mia fisicità. Mentre Federico è riuscito a
smuovere qualcosa dentro
di me dicendomi solo I tuoi occhi parlano e
mi dicono che
sei speciale. È stato il primo vero complimento,
il più bello
di tutta la mia vita».
E dopo aver detto quello, scoppiò a
piangere. Erano lacrime di gioia, lacrime dedicate a quel ragazzo che
aveva reso umana quella barbie. Sorrisi, nel vederla così
fragile e
pensai che, forse, Federico non aveva tutti i torti. Le accarezzai la
schiena e mi avvicinai a lei.
«Sembriamo la famiglia
“lacrimoni”»
ridacchiai e lei si unì a me.
«Dovrò rifarmi il trucco tutto da
capo!» si lamentò, ridendo.
«Non sei la sola» la rassicurai.
«Dio, siamo oscene!» esclamò poi
«Meglio sistemarci, sennò ci prendono per degli
zombie!»
Scoppiammo a ridere entrambe, in uno
strano clima di armonia, come se ci conoscessimo da anni, come se
fossimo amiche da tanto tempo, come se non ci fossero mai stati
screzi tra di noi. Molto probabilmente avevo sbagliato a giudicarla
troppo presto, senza nemmeno conoscerla. Oppure, semplicemente,
l'amore era talmente potente da cambiare le persone.
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Penso di aver infranto qualsiai mio record. 19 pagine @__@ spero che riusciate a leggere tutto senza appisolarvi xD
Sono successe molte cose in questo capitolo, sennò non sarebbe venuto così lungo.
Iniziamo con Claudia che è ancorta sotto shock e che non è riuscita a dire nulla a Raffaele. È comprensibile, comunque. Non è facile per una ragazza così giovane scoprire di aspettare un bambino, per di più se ha un fidanzato come Smell xD chissà come prenderà questa notizia.
Federico e Dario sono gelosi l'uno dell'altro. Il primo, più che gelosia, lo odia proprio per quello che ha fatto ad Alice, mentre Dario non sopporta il modo sdolcinato di Federico di trattare la sua 'piccola'. Per cui si è lasciato andare un po' troppo e gli è partito un cazzotto. In fondo, Dario non è uno stinco di santo xD Alice, però, nonostante i suoi dubbi esistenziali su lei e Dario, comunque gli sta accanto.
Un piccolo ritorno di Davide che non è detto che non tornerà più avanti *risata sadica*...ma la vera novità è Cristina. Lei è veramente presa da Federico e non è poi così antipatica come sembrava all'inizio. Chissà che non diventi amica di Alice.
So che questi commenti sono davvero brutti e corti, ma non ho davvero idea di cosa scrivere ^^"
Per cui, ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate. Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi lo ha letto soltanto. Un grazie speciale va alla mia beta Nessie e ad IoNarrante che mi sopporta ogni giorno.
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Come in un Sogno - con IoNarrante
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Bene, un bacione a tutti e scusate per questo commento striminzito ^^'
Al prossimo capitolo.