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Autore: Charme    06/09/2011    41 recensioni
I signori Weasley desiderano ardentemente prendersi un paio di giorni tutti per loro. Ma dove trovare qualcuno disposto a badare all'abnorme quantità di figli che si ritrovano?
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Weasley, Nuovo personaggio | Coppie: Arthur/Molly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Note dell'autrice:
Salve a tutti, ammesso e non concesso che ci sia qualcuno. Sono Charme, e per la seconda volta della mia vita m'azzardo a pubblicare qualcosa. Forse vi ricorderete di me per le mie recensioni deliranti (a causa dei miei nervi ho messo momentaneamente da parte la mia carriera di recensitrice) o per la mia altra storia, "L'Opinionismo di Fred", di cui non inserisco il link non perché non mi piaccia spammare, ma semplicemente perché non so farlo.
Storiellina senza pretese, l'ho cacciata fuori dopo una sessione di baby-sitting estremo. Non l'avreste mai detto, eh?
Le età dei rampolli Weasley (i primi due, in realtà) sono un po' campate per aria. Nella mia piccola mente, loro hanno quelle età. Fatevele piacere.
Come al solito, mi rimetto totalmente a voi e al vostro giudizio. Preferirei complimenti, ma se mi vorrete tirare addosso pomodori di marmo andrà bene lo stesso.


Dedico quest'affare a ferao - sì, con la minuscola - perché non ha più accettato il mio procrastinare e mi ha costretta a pubblicare. Non le interessa cosa, le basta che pubblichi.

Arrivederci, gente.




Harry sbuffò. Dubitava che Fred e George fossero mai stati innocenti.
 

[Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban] 





   Era una luminosa mattina di luglio, stranamente soleggiata – almeno in quella parte della campagna inglese – e una casa circondata da un ampio giardino spiccava in quanto era l’unica abitazione nel raggio di molti chilometri.
  Gli alberi dalle rigogliose chiome lussureggianti assorbivano placidamente i raggi del sole, e un ruscello dalle acque cristalline gorgogliava, quasi stesse facendo compagnia alle risate di alcuni bambini che, festanti, si schizzavano l’un l’altro.
  All’interno della casa, al riparo dalla calura, un uomo e una donna chiacchieravano tra loro, godendosi la pace di quell’attimo lontano dai loro numerosissimi e rumorosissimi figli.
  “Ma certo, Arthur, che mi piacerebbe! Dopotutto, sono anni che non ci concediamo una vacanza tutta per noi. Anche solo due giorni sarebbero più che ben accetti”
  “E allora qual è il problema, LollyMolly?” domandò l’uomo, non riuscendo a capire quale potesse essere l’obiezione della moglie.
  “Chi baderebbe ai bambini? Zia Muriel è troppo anziana per tenerli d’occhio tutti, e poi lo sai che i bambini non ci vanno troppo d’accordo”
  “E, tra l’altro, i sentimenti sono reciproci” ridacchiò Arthur, sistemandosi gli occhiali.
  “Non è vero! Zia Muriel adora i nostri bambini” ribatté Molly quasi indignandosi.
  “Adora Bill. E tutt’al più tollera Percy – la corresse pacatamente lui – Ha più volte definito gli altri ‘piccoli mostri’”
  “Ma allora come possiamo fare? Non possiamo certo lasciarli da soli”
  “Non potresti chiedere a qualcuna delle tue amiche?”
  “Arthur, sono troppi! Le mie amiche sarebbero disposte a tenerne un paio, ma non tutti quanti. E di dividerli casa per casa non se ne parla neanche. – parve pensarci su per un attimo – Per non parlare di Fred e George. Loro, sicuramente nessuno vorrebbe tenerli. Tantomeno insieme”
  “E separare proprio loro è fuori discussione – terminò per lei Arthur – Vedo il nostro weekend vacanziero allontanarsi sempre più”. Rimasero in silenzio per qualche istante, tanto che in lontananza potevano sentire gli uccellini cantare e il vento stormire tra le fronde.
  Più sette ragazzini che stavano facendo il possibile per affogarsi.
  “E se trovassimo qualcuno disposto a trasferirsi qui per un paio di giorni? Insomma, così l’unica casa a rischiare di essere distrutta sarebbe la nostra, che ormai ci dovrebbe essere abituata” propose Arthur.
  “Ma dovrebbe essere una persona nella quale riponiamo massima fiducia. Insomma, lasciarle in mano la nostra casa e i nostri figli…”
  “Abbiamo ancora tempo – le ricordò Arthur – Si tratterebbe di partire ad agosto. Potremmo per cui iniziare a metterci in moto e informarci se qualcuno conosce una persona coraggiosa, col pugno di ferro, affidabile e pronta a sobbarcarsi di una tale responsabilità”
  “Mamma, Fred e George hanno di nuovo fatto mangiare vermi a Ron” li informò con aria quasi divertita un ragazzino di circa dieci anni, piuttosto robusto, con occhi verdi e i caratteristici capelli rossi della famiglia Weasley.
  “COSA? Oh, povero Ronnie! – gemette la madre – Grazie, Charlie”. Poi si precipitò in giardino per consolare il figlio più piccolo e strigliare a dovere gli altri due.
 
 
  “Perché non potete semplicemente lasciare la casa libera? Dei bambini posso occuparmi io” affermò con decisione il primogenito di casa Weasley, Bill, tredici anni.
  “’Bambino’ lo dici a qualcun altro” protestò Charlie, dall’alto dei suoi undici anni.
  “Ragazzi, non se ne parla. Ho già contattato una persona, anzi, dovrebbe arrivare a minuti, e vi sarei grata se poteste comportarvi civilmente”
  “MAMMA! Fred mi ha nascosto gli occhiali!”
  “È stato George! Ma quando te li ha presi, ci vedevi, allora perché ci hai confusi?”
  “Bambini, fatela finita! George, restituisci gli occhiali a Percy. Ronnie, amore, non ti mettere le dita nel naso, dai”
  Qualcuno bussò alla porta.
  “Dev’essere lei! Bill, va’ ad aprire, per favore”. Molly era impegnata a tenere in braccio la figlia più piccola, Ginny, di appena due anni.
  “E ti pareva… Bill fai questo, Bill fai quest’altro… Sarà una vecchia gattara, me lo sento”. E invece no. Cioè, forse era una gattara, di questo non poteva essere sicuro, ma sicuramente non era vecchia, o racchia, o altro.
  “Ciao! Tu devi essere Bill. Io mi chiamo Aislinn Blackrow. Dovrei parlare con la tua mamma”. Il ragazzo non rispose subito. Anzi, non rispose proprio, impegnato com’era in contemplazione della nuova arrivata, che gli era apparsa esattamente come un angelo, la figura snella che si stagliava contro la soglia, illuminata dalla luce del sole.
  A un primo sguardo credette che fosse fatta anch’essa di pura luce.
  “Hello? Mi fai entrare? Fa veramente caldo, fuori”. La creatura fatata gli sorrise, e lui, non si sa come, riuscì a scattare di lato per lasciarla passare.
  “Aislinn? Sei tu? Arrivo subito” furono raggiunti dalla voce di Molly, in cucina.
  “Fai pure con calma” le rispose Aislinn, interpretando anche il pensiero di Bill.
  “Allora dovresti essere tu la nostra babysitter?” le disse, cercando di parlare con voce più adulta possibile.
  “Esattamente. Beh, naturalmente lo sarò più per i tuoi fratelli che per te. Mi sembri abbastanza grande da non aver bisogno che ti rimbocchi le coperte, che dici?”. Entrambi ridacchiarono.
  “Vedo che avete già fatto amicizia – Molly era sopraggiunta in quell’istante – Bene, ci sarà bisogno che voi due facciate fronte comune, per controllare tutti gli altri”
  “Non basterebbero tutti gli Auror del Ministero per controllare Fred e George” ribatté caustico Bill, fissando di sottecchi i gemelli, che davano il meglio di loro per sembrare due adorabili angioletti accusati ingiustamente.
  “Allora, comincio con le presentazioni. Ragazzi, lei è Aislinn. È venuta qui per conoscervi e per conoscere la casa, visto che vi farà compagnia questo finesettimana, mentre io e papà non ci saremo”
  “Ma poi tornate?” chiese il più piccolo dei maschietti, più o meno sui tre anni.
  “Certo che torniamo, Ronnie. Stiamo via solo due giorni” lo tranquillizzò sua madre.
  “Ah, allora va bene” concesse il bambino, tornando a focalizzare l’attenzione sulla ragazza.
  “Dunque, Bill l’hai già conosciuto, lui è Charlie, poi c’è Percy, loro sono Fred e George, Ron e Ginny. Bambini, salutate Aislinn”
  “Sei una strega?” chiese uno dei gemelli, che si erano messi accanto ad Aislinn, uno per lato.
  “Sì. Ho finito Hogwarts due anni fa”
  “Oooh!” esclamarono i due in coro.
  “Quindi puoi fare le magie!” dedusse quello alla sua sinistra.
  “Bill non può” soggiunse l’altro. Bill sbuffò.
  “Ci fai vedere una magia?” le chiesero, in coro.
  “Non datele fastidio – li ammonì Percy, con un’espressione seria e compita piuttosto insolita, in un bambino – E poi la mamma dice sempre che non bisogna usare la bacchetta per ogni piccola cosa”. I gemellini lo degnarono di un’occhiata rapidissima, poi tornarono a rivolgersi ad Aislinn.
  “Per esempio potresti far sparire Percy”
  “Sì, non importa che tu lo faccia riapparire”
  “Fred! George! Non si dicono queste cose!” li riprese Molly. Percy, invece, lanciò ai fratellini un’occhiata malefica, alla quale loro risposero con una linguaccia multipla.
  “Allora, cara, Annabelle ti ha spiegato tutto? Sei sicura di volertene occupare?”
  “Tranquilla, Molly. Mia madre è stata chiarissima. Devo occuparmi di loro per questo week end, a partire da sabato alle dieci. Tu e Arthur sarete di ritorno entro il pomeriggio di lunedì”
  “Tutto esatto. Ora, ti devo però avvisare che i miei figli sono piuttosto difficili da gestire…”
  “Non preoccuparti, mamma! – intervenne Bill, con un gran sorriso – L’aiuterò io! Sarò il suo assistente”
  “Ah, allora siamo a posto” commentò Charlie sottovoce.
  “Vieni, Aislinn, ti faccio vedere dove puoi trovare tutto quello che potrebbe servirti e cosa fare se uno di questi selvaggi fa qualcosa che non dovrebbe”. Le due donne trascorsero non meno di due ore girando per casa e chiacchierando tra loro, mentre i bambini se ne rimasero in disparte.
  “Allora? Che ne dite?” chiese Bill alla truppa. Ginny continuò a pettinare la sua bambola, mentre Ron sbadigliò e si stropicciò gli occhi. I gemelli invece reagirono più attivamente: “A noi piace!”.
  Sì. Sicuramente progettavano di giocarle qualche brutto tiro, ma per il momento contavano come due voti positivi.
  “Percy?”
  “La mamma ha detto di fare i bravi con la tata”
  “Per cui il piccolo perfetto secchione Percy obbedirà in tutto e per tutto – lo canzonò Charlie – Comunque piace anche a me. Vedrai che ci farà fare quello che vogliamo”.
 
  Gli ultimi tre giorni della settimana trascorsero agilmente, tra le ore passate a giocare al sole o, nel caso dei due ragazzi più grandi, sui libri di scuola, per portarsi avanti coi compiti ed evitare di ridursi all’ultimo giorno di vacanza.
  In ogni modo, la mattina di sabato venne accolta come un giorno di festa, e tutti i bambini erano trepidanti d’attesa. Molly e Arthur guardarono i loro rampolli come se li vedessero per la prima volta: si erano alzati senza bisogno delle minacce, avevano mangiato la pappa d’avena senza lamentarsi e ora se ne stavano tranquilli in salotto.
  “Arthur, ho paura” ammise la madre.
  “Sì, stanno inquietando anche me. Temo per quella poveretta cui li stiamo per lasciare”
  “Siamo sicuri di partire? Voglio dire, avremo altre occasioni per…”. Quando si sentì bussare alla porta, quella scena di calma familiare venne a mancare improvvisamente.
  “Vado io ad aprire!” urlarono in contemporanea Bill e Charlie, slanciandosi verso l’ingresso, gara che fu vinta da Bill in virtù della maggiore altezza e velocità.
  Il ragazzo si passò una mano tra i capelli per ravviarseli, poi aprì la porta e tese l’altro braccio per tenere lontano Charlie, che nel frattempo era sopraggiunto a sua volta.
  “Ciao, ragazzi! – li salutò cordialmente Aislinn, i capelli castani illuminati da riflessi dorati e gli occhi grigi che erano lo specchio del suo sorriso – Come va? E perché gli tieni la mano sulla testa?” aggiunse, riferendosi a Bill, che ancora cercava, con nonchalance, di tenere a debita distanza il fratello.
  “Sai – rispose Bill mandando gli occhi al cielo, in una melodrammatica posa di rassegnazione – questi ragazzini vogliono sempre giocare”
  “Ha parlato il vecchio della montagna” rimbeccò Charlie, allungando un braccio per cercare di spingere via il fratello maggiore, ma senza riuscire a raggiungerlo.
  “Dai, lascialo andare. Mamma e papà sono ancora in casa?”
  “Sì, ma se ne andranno tra non molto. Sono una tale scocciatura…”. Beh, non che lo pensasse davvero. Ma doveva pur rendersi più interessante agli occhi di quella ragazza, no?
  “Su, andiamo a raggiungere gli altri. E… Bill?”
  “Sì, Aislinn?”
  “Toglili la mano da davanti la faccia. Non credo che lo trovi piacevole”. Senza accorgersene, aveva fatto scendere la mano direttamente sul volto di Charlie, che adesso protestava e, probabilmente, imprecava, in un mugugno insistente ma incomprensibile.
  “Era ora, imbecille” borbottò quando fu libero, pulendosi la bocca con la manica della camicia.
 
  “Se c’è qualcosa che non va, potrai contattarci immediatamente con la Polvere Volante, che è…”
  “Qui, nel vaso sopra al camino – terminò per lei Aislinn – O altrimenti nella dispensa, anta più a destra, lo so, Molly, lo so”
  “E la mattina controlla se Percy ha fatto la pipì a letto…”
  “È successo solo una volta, mamma!” protestò il diretto interessato, diventando color rosso porpora, tra le risate dei fratelli.
  “Va bene. Controllerò. Ma adesso voi andate pure tranquilli”
  “Sì, sarà un’impresa – commentò Arthur – Andiamo, Molly, non stiamo andando in guerra, l’idea sarebbe di fare una vacanza. Ciao, ragazzi, fate i bravi!”. I due genitori si Smaterializzarono con un Crac. Prima però che i ragazzi avessero il tempo di dire ‘Ah’, ecco riapparire Molly per un ultimo bacio ai suoi bambini. E un altro. E un altro. E un altro ancora.
  Finalmente ricomparve anche Arthur, che portò via la moglie con la forza.
  “Credete che si Materializzeranno ancora, oppure se ne sono andati davvero?” domandò Aislinn al piccolo esercito attorno a lei.
  “Non si può mai essere sicuri, trattandosi della mamma” commentò saggiamente Charlie.
  “Scappiamo, allora…
  “… prima che tornino!” proposero i gemelli, e tutti scoppiarono a ridere.
  “Allora, che cosa vorreste fare? Ditemi un po’ come giocate, di solito”
  “Io e Bill giochiamo a Quidditch in giardino. Però solo con la Pluffa” disse Charlie, lanciando qualche occhiata ai fratelli più piccoli, temendo puntualmente quello che accadde dopo.
  “Sì! Giochiamo a Quidditch!” esclamarono infatti Ron e i gemelli, con Ginny che li guardava con gli occhioni spalancati.
  “Siete un po’ troppo piccoli, per giocare. Rischiate di farvi male”
  “Quidditch! Quidditch! QUIDDITCH!” replicarono loro, facendo salire d’intensità la voce.
  “Non cominciamo, ora. Siete partiti così bene. Ci sarà pure qualcos’altro che vi piace fare”. Aislinn si voltò verso Percy, che ancora non aveva detto niente.
  “A me piace disegnare. E leggere”
  “Sì, così moriamo tutti di noia” ridacchiò Fred. O George.
  “Basta prese in giro. – lo zittì Aislinn, chiunque fosse dei due – Vi va di giocare a Medieval Struggle?”
  “QUID… Che cos’è?” chiesero Ron e i gemelli, interrompendo il capriccio.
  “Ce l’hai?” domandò invece Charlie, gli occhi illuminati dall’aspettativa. Più o meno lo sguardo che avrebbe avuto anche Bill, se solo avesse smesso per un attimo di atteggiarsi da adulto.
  “Allora, per quelli che non lo conoscono: in pratica, ognuno sceglie un personaggio da interpretare, e tutti devono seguire la storia e lavorare insieme per salvare il Regno… e la Principessa, cioè Ginny”. La bambina, che era rimasta in disparte fino ad allora, batté le manine e poi disse a Ron con aria soddisfatta: “Hai sentito? Io sono una Principessa”.
  “Bene, allora, se l’idea piace a tutti, allora potete decidere civilmente i vostri ruo…”
  “PossofareilCavalieredelDragoperfavore?” la interruppe Charlie, che saltellava da un piede all’altro. Probabilmente – pensò Aislinn – avrebbe spinto il bambino alla depressione e al suicidio, se gli avesse detto di no.
  “Ma certo. A meno che non ci sia qualcun altro che vuole farlo”. Charlie passò in rassegna tutti i fratelli con uno sguardo truce, come a sfidarli a dire che volevano loro quel ruolo. Nessuno protestò, e Charlie divenne seduta stante Cavaliere del Drago.
  Aislinn, intanto, aveva Appellato una grossa scatola dalla borsa che aveva portato con sé. Dopo aver frugato un po’ tra le carte da gioco, le schede dei personaggi, le pedine e i tabelloni – il tutto con i gemelli che scrutavano attentamente da sopra le sue spalle – tirò fuori una statuetta che rappresentava un uomo dall’aria fiera e un po’ selvaggia la cui cavalcatura era un Drago con le squame argentee. Soddisfatta, la diede a Charlie, che la prese tra le mani come fosse stata una sacra reliquia anziché un pezzetto di legno.
  “Come vuoi chiamarti, Cavaliere del Drago?” domandò con aria solenne Aislinn.
  “’Charlie’ andrà benissimo” rispose lui. La ragazza annuì e puntò la propria bacchetta a poca distanza dalla statuetta e questa si animò; il cavaliere fece roteare la propria arma, una lunga spada, e il Drago aprì le ali per sgranchirle. Non fu solo Charlie ad andare in visibilio.
  “Quali sono gli altri personaggi? C’è il Ladro? E l’Ammazzagiganti? E il Vampiro? E…?”
  “Bambini, per carità, state calmi” li pregò Aislinn per arginare il fiume di domande che i gemelli le stavano rivolgendo, tirandole due lembi del vestito per enfatizzare le proprie richieste.
  “Adesso pensiamo alla Principessa” disse, e animò la statuetta di Ginny allo stesso modo di quella di Charlie. Quando la bimba la ricevette in mano, la piccola principessa la salutò con un inchino molto aggraziato, soprattutto considerando che era stata una figuretta di legno a farlo.
  “Allora… ho ancora bisogno di un Principe, un Mago alchimista e almeno due cavalieri, meglio ancora se sono tre”
  “Cosa devono fare?” domandò Ron.
  “Beh, il Principe è il capo della spedizione, che…”
  “… che poi salva la Principessa e la sposa – concluse Ginny, attaccandosi alla gamba del fratello più grande – è Bill, allora” impose, e Aislinn glielo concesse, vista la convinzione che aveva messo nelle proprie parole.
  “Perché lo fa sempre Bill, il capo?” insorsero i gemelli, imbronciandosi.
  “Ma guardate che sono i cavalieri a lavorare di più; per esempio, sono loro che vanno in battaglia e ammazzano i cattivi” disse Aislinn, in tono casuale.
  Fred e George afferrarono prontamente le statuette di due cavalieri, i due che si assomigliavano di più.
  “Anch’io voglio fare il cavaliere!” protestò Ron, credendo che altrimenti non gliel’avrebbero lasciato fare.
  “Ma certo che puoi. Tieni – gli disse Aislinn, dandogli una terza statuetta e animandola prima di quelle dei gemelli – Percy, abbiamo bisogno di uno stratega. Qualcuno che dica al Principe e all’esercito cosa fare. Vuoi occuparti tu del Mago consigliere?”. Gli occhi del bambino ebbero un guizzo da dietro le lenti degli occhiali, poi rispose: “Sì, ne sarei felice”.
  Aislinn scelse per sé il ruolo della spia, e il gioco poté avere inizio: la storia veniva narrata da una specie di figura evanescente al centro del tabellone principale.
  Ogni decisione presa dai personaggi, sia singolarmente sia in gruppo, poteva influenzare il corso degli eventi, e di tanto in tanto, il narratore tendeva a prendersi un po’ troppe libertà che, a parere di Aislinn, Bill e Charlie, esulavano dalle regole del gioco.
  Ad esempio, fece sì che il Drago disarcionasse il Cavalier Charlie ben due volte, e Aislinn rischiò che l’esercito nemico scoprisse le sue manovre in un altro paio di occasioni.
  Ma quando si permise di ‘uccidere’ George – apparentemente solo perché secondo il narratore faceva troppe domande – Aislinn inscenò un’epica litigata contro il Master del gioco, accusandolo di parzialità e di scarsa correttezza, il tutto mentre Fred piangeva come un vitello, abbracciando George e urlando che non doveva morire.
  “Ma insomma! Sono bambini! Ora, o diventi un po’ più clemente o la narrazione la faccio io! Fred, tesoro, stai tranquillo, ora rimediamo a tutto”. Il narratore si decise a essere meno intransigente, e George ‘risuscitò’, ma in ogni modo Aislinn ebbe un bel daffare per asciugare i lacrimoni dei gemelli, che continuavano a gemere disperati, salvo poi passare direttamente dal pianto alla risata quando Ginny iniziò a prendere a statuettate la figura evanescente del Master perché si spicciasse a lasciarla giocare. Provvide Bill a disarmarla, perché Aislinn era in preda a una crisi di risate incontenibili, e si appoggiava a Charlie per non ruzzolare dalla sedia.
  Dopo aver giocato un altro po’ in casa Aislinn propose ai bambini di uscire in giardino mentre lei iniziava a preparare il pranzo – visto quanti erano, ci avrebbe messo un bel po’ di tempo, con o senza la magia.
  Poteva dire di essere a buon punto, quando sentì delle urla provenire da fuori. Dopo aver abbassato la fiamma sotto le varie pentole e padelle per evitare che bruciasse tutto, la ragazza uscì in giardino, dove trovò Charlie intento a guardare su un albero, mentre teneva per un braccio uno dei gemelli.
  “Scendi subito!” stava urlando il ragazzino.
  “Mi fai male!” si lamentava invece il bimbetto, dando strattoni per liberarsi dalla presa del fratello maggiore.
  “Cosa sta succedendo, qui?”
  “Questo gorilla mi fa male!”
  “Questo è niente, vedrai tra un po’” minacciò Charlie.
  “Adesso state calmi. Non lo tenere così stretto”
  “Ma altrimenti scappa e raggiunge Fred sull’albero!” protestò Charlie.
  “Fred! Sei lassù?”
  “Non sono Fred, sono uno scoiattolo” disse una vocina proveniente dai rami più alti dell’albero.
  “Non sapevo che tu fossi un Animagus. Però ora vieni giù, dai”
  “No! E voglio George, qui”
  “Hai sentito? Lasciami, brutto…”
  “Zittino, George, per piacere”
  “Anche perché sennò ti zittisco io”
  “Charlie!”
  “Scusa.”
  “Fred, devi stare attento, perché da lassù è facile cadere. Vuoi venire giù?” tornò a provare a blandirlo Aislinn.
  “No! Io non cado” ribatté lui, caparbio.
  “Ah no? E sei anche capace di scendere?”
  “Certo! Cosa credi?”
  “E mi fai anche vedere come fai? Devi essere proprio bravo”. Il bambino tardò un po’ a rispondere.
  “…non è mica facile, sai” disse poi, con meno certezza.
  “Lo sapevo! Non gli riesce più scendere” commentò Charlie.
  “Charlie, dov’è finito Bill?”
  “È insieme agli altri. Sono andati al fiume”
  “Sai quando tornano?”
  “No…”
  “Non possiamo lasciare Fred lassù”
  “… anche se la voglia è tanta…”
  “Cattivo! Vai a prendere Fred!” insorse George, tirandogli un calcio.
  “AHIA! Maledetta piccola peste!”
  “Vado io a prendere Fred. George, tu resta qui con tuo fratello e fai il bravo. Io e Fred torniamo subito. Charlie, non permettergli di allontanarsi più di venti centimetri da te. E non fatevi male”
  “Sissignora”
  “Fred, rimani lì. Vengo io a prenderti. Più che uno scoiattolo sei come un gattino che non riesce più a scendere”. La ragazza iniziò ad arrampicarsi sul frondoso albero, continuando a far parlare Fred per capire dove si fosse cacciato. Finalmente lo trovò, parecchio in alto.
  “Ciao”
  “Ciao, piccolo criminale”
  “Cos’è un chiminale?”
  “Uno come te. E come George”.
  Frattanto, dal basso, gli altri due stavano avendo una discussione.
  “Aislinn ha detto che non mi devo allontanare più di venti centimetri da te. Sai, se tu salissi sull’albero, potrei farlo anch’io”
  “Non ci provare, nanetto”
  “Non sono un nanetto, io. È che sono ancora piccolo” gli fece la linguaccia.
  “Lo so, lo dicevo per… per…”. Parlando, Charlie aveva rivolto lo sguardo in alto, e si era reso conto che Aislinn indossava una gonnellina a balze. Corta.
  “Che fai? – chiese George, vedendolo incantato – Aislinn! Charlie ti sta guardando le mutandine!”
  “Stai zitto, mostro!” replicò Charlie, diventando rosso e abbassando subito lo sguardo.
  Si sentì la risata di Aislinn provenire da un punto imprecisato tra i rami.
  “Sei pronto, Fred? Adesso tieniti a me e non lasciare la presa per nessun motivo, va bene?”. Il bambino annuì, poi si fece prendere in braccio e si tenne stretto. Intanto Aislinn aveva preso la bacchetta e aveva fatto comparire una corda che aveva legato a un ramo robusto dell’albero, poi aveva afferrato un altro pezzo di fune e aveva cominciato a calarsi giù lentamente, saggiando gli appoggi e le sporgenze per essere sicura che la reggessero.
  “Mai più, intesi, Fred? E George?” disse solamente la ragazza, quando lei e il bambino toccarono terra.
  “Lo racconterai alla mamma?” chiesero i gemellini, un po’ a disagio.
  “Se farete i bravi, no. Altrimenti…”
  “Grazie” dissero loro, esibendo il loro sorriso più ampio.
  “Mmm… prego. Rientrate in casa, ora. Il pranzo è quasi pronto. O almeno dovrebbe”.
  Lo era, fortunatamente. Incredibilmente non era bruciato niente. Aislinn aveva fatto appena in tempo ad appoggiare sul tavolo le prime pentole che Charlie e i gemelli avevano preso a guardare il tutto con aria famelica.
  “Fermi là. Vi siete lavati le mani? E parlo soprattutto con chi ha avuto la bella idea di arrampicarsi sugli alberi”. I bambini non risposero, e alla seconda esortazione si incamminarono verso il bagno.
  Appena qualche istante dopo tornarono anche gli altri.
  “Eccovi qui. Andate a lavarvi le mani e poi venite a tavola, su”. Aveva appena finito di parlare quando un urlo echeggiò in tutta la casa.
  “Lo stanno squartando” ipotizzò Bill.
  “Vi uccido!” fu il secondo urlo.
  “No, credo che sia più facile il contrario. – commentò Aislinn, riferendosi alla minaccia proferita da Charlie – Cosa sta succedendo, lassù?”. Il ragazzino comparve poco dopo, preceduto dai gemelli, che corsero a nascondersi dietro Aislinn e si premurarono di spalancare gli occhioni il più possibile per apparire teneri e innocenti. Sì, come no.
  “Per la parrucca di Merlino! Che ti hanno fatto?”. Charlie era bagnato fradicio, e a ogni passo lasciava dietro di sé una piccola pozzanghera. Inoltre, i pantaloni sembravano insaponati.
  “Adesso è più pulito” affermò con sicurezza uno dei gemelli. Charlie parve iniziare una lotta interiore contro l’impulso di uccidere a mani nude due dei suoi fratellini.
  “Con voi due parlerò dopo. Charlie, vieni qui e chiudi gli occhi”. Con un movimento a spirale della bacchetta, il ragazzino tornò asciutto.
  “Povero Charlie. Sei anche troppo bravo, considerando tutto quello che ti combinano” disse Aislinn, accarezzando il poveretto sulla testa e scompigliandogli un po’ i capelli.
  “Posso non stare accanto a loro, a tavola?” le chiese lui con voce implorante.
  “Me li terrò io vicino, in modo da poterli tener d’occhio”.
  Fu un bene che avesse deciso di averli sotto gli occhi, perché durante il pranzo i gemelli diedero il peggio di sé. Mentre Aislinn si serviva della bacchetta per tagliare a pezzettini la carne nei piatti di Ron e Ginny, in modo che potessero mangiare da soli, Fred tirò fuori la bacchetta di Bill, che era riuscito a rubargli non si sa come e non si sa quando, e tentò di imitare Aislinn.
  “Guarda, lo so fare anch’io!”. Fu l’ultima cosa che si sentì in cucina, prima che il polpettone esplodesse. Bill tirò Aislinn sotto il tavolo con sé, salvandola così dai pezzetti di polpettone esploso, che finirono in faccia a Percy, il quale si arrabbiò non poco.
  Per pulire la cucina bastò un colpo di bacchetta. Per calmare Percy servì molto più tempo, quasi quanto ne occorse per far smettere i gemelli di ridere.
  “Fred, restituisci subito a Bill la sua bacchetta”
  “Volevo solo…”
  “Non m’interessa. Non puoi fare quello che ti pare, e non sta bene prendere quello che non è tuo”
  “Ma l’ho presa in prestito!”
  “Gliel’hai chiesta?”
  “No…”
  “E allora è come se gliel’avessi rubata. Su, caccia fuori la bacchetta”. In quel momento Charlie portò una mano alla tasca dei pantaloni, ritraendola subito dopo. Poi si alzò scostando con malagrazia la sedia. Fece per slanciarsi verso le scale, ma parve ripensarci, e prima puntò un dito contro George.
  “Farai meglio a pregare che la trovi in camera mia”. Infine attaccò a correre.
  “George, hai per caso preso la bacchetta di Charlie?”
  “…no…”
  “Ridammela subito! Ti uccido, ti spappolo, ti…” ululò Charlie, di ritorno da camera sua, dove evidentemente non aveva trovato la propria bacchetta magica.
  “Oh, ma guarda, era qui – disse George, estraendo la bacchetta da sotto la sedia – Chissà come ci è finita…”
  “Mi prendi in giro? Lo so benissimo che… AAAAH! Così la rompi!”
  “Calma e sangue freddo, Charlie. Non è rotta. George, dai la bacchetta a Charlie. Fred…”
  “Va bene, va bene. Scusa” risposero in coro i gemelli, l’uno rivolgendosi a Charlie e l’altro a Bill.
  “Certo che con voi non ci si annoia mai, eh?” commentò Aislinn, cominciando a sparecchiare.
  Stava ancora finendo di rigovernare, con Bill che molto cavallerescamente – ma anche con un doppio fine – la aiutava, e Ginny che ciondolava sul seggiolone, evidentemente in procinto di addormentarsi da un momento all’altro.
  All’improvviso, però, un forte rumore, come di una detonazione, parve scuotere l’intera casa fino alle fondamenta. Gli effetti furono devastanti: Aislinn fece cadere non un piatto ma un’intera pila di essi, che si andarono a frantumare sul pavimento, e Ginny si spaventò moltissimo e iniziò a piangere.
  “Maledizione! Reparo! No, Ginny, va tutto bene”
  “Ma cos’era quel boato?” chiese Bill.
  “Non lo so, ma spero che i gemelli non c’entrino, per una volta”
  “Aislinn! C’è qualcuno alla porta!” disse la voce di Charlie, proveniente da camera sua, dove evidentemente stava affacciato alla finestra per vedere.
  “E chi cavolo è?” borbottò lei, prendendo Ginny dal seggiolone e cullandola un po’ per farla calmare.
  La ragazza arrivò alla porta, e, non potendo vedere chi ci fosse dall’altra parte, la aprì un poco.
  “Buongiorno, signora” la salutò un signore un po’ in là con gli anni, dall’aspetto azzimato.
  “Desidera?” domandò Aislinn, lanciando uno sguardo di fuoco a un oggetto che il mago stringeva in mano, una specie di trombetta, che evidentemente aveva provocato tutta quella confusione, poco prima. Ma non poteva semplicemente bussare?
  “Sono qui per pubblicizzare una nuova compagnia che sta per mettere sul mercato un prodotto totalmente innovativo che rivoluzionerà…” bla, bla, bla. Sono noioso, sono molto noioso. Sono infinitamente noioso. Bla, bla. La mia capacità di annoiare mi è valsa questo lavoro. Bla, bla, bla.
  Aislinn era quasi certa che il rappresentante non stesse dicendo quello, ma in ogni modo, era ciò che le pareva di sentire. E Ginny aveva sonno, tanto sonno. E quando aveva sonno tendeva a diventare scostante e a fare le bizze.
  “Senta, la ringrazio, ma non voglio farle perdere altro tempo, non sono…”
  “Ma che bambina adorabile! – la interruppe il piazzista – Suo marito è un uomo fortunato”. In quel momento transitò Bill, che si fermò accanto a Aislinn. Il ragazzo era alto, per avere poco più di tredici anni, e l’altezza poteva – certo – farlo sembrare più grande, anche se non abbastanza da poter giustificare una moglie di vent’anni e una figlia di due.
  Ma il piazzista non doveva essere così sveglio.
  Il tizio sulla porta sembrò improvvisamente a disagio, come se l’idea di parlare con qualcuno che non fosse una massaia indaffarata lo mettesse in crisi. Aislinn e Bill si scambiarono uno sguardo complice. Lui le mise una mano sul fianco e la strinse a sé – tra l’altro non gli dispiacque affatto – dopodiché si rivolse al piazzista.
  “Beh, se non ha altro da dirci, le auguriamo buona giornata e buon lavoro”. E gli chiuse la porta in faccia.
  “Ah, che liberazione!”
  “Bravo, bravo Bill!” aggiunse Ginny, appoggiandosi poi al collo di Aislinn e cedendo alla sonnolenza.
  Bill si passò una mano tra i capelli con fare sprezzante e sicuro di sé. Lui e Aislinn erano da soli, ora che Ginny si era addormentata. Aveva ancora la mano appoggiata sul fianco di Aislinn, e gli sarebbe bastato veramente poco per poterla bac… “Chi era quel rompi?” chiese Charlie, giungendo trotterellando e interrompendo brutalmente quello che avrebbe dovuto essere un gran momento per Bill.
  “Non lo so. Non ho sentito una sola parola di quello che diceva. Che tu sappia è ancora illegale lanciare una Maledizione a qualcuno che dà noia?”
  “Se non lo fosse, ne avrei già lanciate parecchie a Fred e George” rispose Charlie, con un ghigno piuttosto inquietante dipinto in volto.
  “Che ci fai qui?” domandò bruscamente Bill.
  “Ehi, stai calmo. Venivo a dire che Ron si è addormentato”
  “Ah, ottimo. Porto anche Ginny di là e poi cominciamo a fare i compiti”
  “Stai scherzando?” chiesero in contemporanea Bill e Charlie.
  “Cosa ve lo fa pensare?”
  “Ma è agosto, fa caldo, siamo in vacanza! Ron e Ginny dormono… potremmo giocare a Quidditch!”
  “No, voi farete i compiti. E anche Percy, Fred e George. Andate a prendere la vostra roba e sistematevi al tavolo di cucina. Niente sbuffi! Se vi spicciate, poi andrete a giocare a Quidditch. Hop, hop, muoversi” replicò Aislinn, senza lasciarsi commuovere, e la discussione finì lì.
  Percy sembrava non vedere l’ora di poter studiare, e, da parte loro, anche Fred e George sembravano felici di poter dar mostra delle loro capacità. Dall’alto dei loro cinque anni, infatti, erano già in grado di scrivere i loro nomi e quelli dei membri della loro famiglia. Una bella conquista.
  Mettendosi d’impegno, riuscirono anche a scrivere nome e cognome di Aislinn, e fecero addirittura un disegno, che rappresentava Fred su un albero e Aislinn a terra, accanto a George e a una strana creatura zoomorfa che doveva essere Charlie. Aislinn occultò il disegno prima che Charlie lo vedesse.
  Percy le consegnò un mirabile compito di matematica e Aislinn glielo riconsegnò senza neppure una correzione. Si curò di non dire che era assolutamente negata in matematica e che non avrebbe saputo risolvere le operazioni più difficili svolte da Percy neanche se avesse avuto dieci Calcolatrici a Reazione Magica.
  “Posso scrivere il commento al libro ‘Case Stregate’?”
  “Percy, hai finito i tuoi compiti, non importa che ti avvantaggi sul resto”
  “Ma io voglio farlo”
  “Beh, come preferisci, allora. Ma se non lo finisci non preoccuparti. Puoi scriverlo in brutta copia, o anche scriverne metà…”
  “Preferirei finirlo”. Bambino strano. Strano assai.
  “Aislinn, guarda!” la chiamò Fred. O George. Le diede un disegno che avevano appena finito.
  La ragazza lo guardò attentamente, anche perché era facile fornire un’errata interpretazione di un disegno fatto da bambini di cinque anni e incorrere nella loro disapprovazione.
  Quando fu abbastanza certa di vedere se stessa con un paio d’ali dare la mano a due bambini fece i propri commenti all’opera d’arte.
  “Ma che bello! Siete due artisti. Soltanto una cosa. ‘George’ si scrive con la ‘e’, non con la ‘i’. Altrimenti sarebbe ‘Giorge’”
  “Non sai neanche scrivere il mio nome!” protestò George, rimproverando il gemello, mentre lui si affrettava a correggere.
  “Alohomora! Accidenti, non mi riesce”. Charlie era alle prese con un piccolo portagioie chiuso, che doveva servirgli per esercitarsi nell’Incantesimo che apre le serrature. Al decimo tentativo, tentò di convincerlo con la forza ad aprirsi, gli diede un pugno e si fece male.
  “Santo cielo, non potevi chiedere aiuto? Guarda, il movimento da fare con la bacchetta è questo” spiegò Aislinn, muovendo la bacchetta che andò a formare una specie di serratura stilizzata. Poi prese la mano paffutella del bambino nella sua e lo aiutò a fare lo stesso movimento. E lo scrigno si aprì. Charlie lo richiuse subito per provare nuovamente.
  “E a te come va, Bill?”
  “Male! Un maledettissimo tema su una guerra tra Folletti e Troll. Un metro di pergamena su una cosa che non interessa a nessuno”
  “Potresti scrivere ‘SONO MORTI TUTTI’ in caratteri enormi – suggerì Aislinn – oppure trovare quante più informazioni possibili sul libro di Storia della Magia e modificarle un po’”. Bill si esibì in un’espressione molto simile a quella dei gemelli.
  “Mi aiuteresti? Per favooooore!” la implorò, gettandosi in ginocchio davanti a lei a mani giunte come un postulante professionista.
  “…va bene. Passami quel libro”.
 
  Un’oretta dopo i compiti erano finiti, e ancora Ron e Ginny non si erano svegliati dal loro sonnellino pomeridiano. A giudicare da quando stava durando, lo si sarebbe detto di più un letargo estivo, ma avere due bambini in meno a cui badare era tutto di guadagnato, per Aislinn.
  “Adesso possiamo andare a giocare?”
  “Va bene, Charlie. Potete andare. Charlie e Bill” precisò, frenando i gemelli che già correvano verso il giardino.
  “Ma non è giusto! Perché loro sì e noi no?”
  “Perché non sapete volare! Usate le scope giocattolo, e noi non possiamo mica giocare a Quidditch a un metro da terra!” sbottò Bill, che friggeva dalla voglia di giocare fin da quella mattina.
  “Percy, tu che fai?”
  “Preferisco restare in casa. Fuori fa troppo caldo”
  “Va bene. Ma ricordati che se hai bisogno di qualcosa puoi venirci a chiamare”. Il bambino annuì con aria compita.
  “E allora noi cosa faremo?” chiesero i gemelli in tono di sfida, i bei faccini imbronciati.
  “Vi insegnerò a volare. Così, quando sarete un po’ più grandi giocherete insieme a Bill e Charlie”
  “E li batteremo!” aggiunse Fred.
  “E li butteremo giù dalla scopa” concluse George.
  “Ha! Non penso proprio” commentò invece Bill, passando accanto a loro sfrecciando e librandosi in aria subito dopo.
   Aislinn osservò per un po’ lo stile di gioco dei due ragazzi. Bill era piuttosto bravo, senza dubbio, ma Charlie fu una vera sorpresa: era molto veloce e agile a muoversi, nonostante fosse tutt’altro che esile e malgrado la scopa che montava decisamente non fosse uno degli ultimi modelli. Si muoveva su e giù per quello che avevano stabilito essere il campo, e il più delle volte riusciva a fare delle abili finte che ingannavano il più esperto fratello maggiore.
  “Allora? Quand’è che impariamo a volare?”. Aislinn abbassò la testa e incontrò lo sguardo vispo dei gemelli. Sorrise e ne acchiappò uno.
  “Ora. Accio scopa!”. La Nimbus 1000 di Aislinn volò fino a lei, che vi salì sopra depositando davanti a sé il bambino – che scoprì essere George – tenendolo ben stretto per impedirgli di fare sciocchezze.
  “Stai ben attento, George. Quando voli, devi stare ben attento a non andare contro il vento, ma capire da dove viene e cercare di sfruttarlo il più possibile. Hai capito?”
  “Sì. Non vado controvento perché sennò la scopa va più lenta”
  “Non solo è più lenta, ma è anche meno stabile, e quindi meno sicura. La velocità conta fino a un certo punto: quello che ti serve, quando voli, è un buon equilibrio. Adesso prova ad abbassarti verso il manico, e io farò lo stesso: guarda cosa succede”. Il bambino obbedì, e subito la scopa aumentò la velocità, visto che in quella posizione facevano sì che ci fosse meno resistenza al vento.
  George era raggiante.
  Fred, che li osservava dal basso, lo era molto meno.
  “Forza, torniamo giù, ora. Tocca a Fred”
  “Però poi voliamo ancora?”
  “Sì, voliamo ancora. Attento a scendere solo quando siamo fermi e a terra” si raccomandò Aislinn.
  “Perché hai preso prima lui?” chiese Fred, il faccino intento a esibire una curiosa espressione a metà tra l’eccitazione e un broncetto appena accennato.
  “Perché era più vicino. E ora tocca a te. Sei pronto?”
  “Sì!” rispose lui, cancellando definitivamente il broncio dal proprio volto.
 
  Per ancora un po’ di tempo Aislinn scarrozzò su e giù i gemelli, poi calibrò le loro scope in modo che potessero raggiungere i tre metri di altezza. Alla fine, visto che addirittura le due piccole pesti erano esauste, si rilassarono guardando Bill e Charlie affaccendarsi per cercare di segnare qualche goal. Per rendere le cose più interessanti, a un certo punto Aislinn incantò la Pluffa, che iniziò a comportarsi più da Boccino d’Oro che da Pluffa, tanto che né Bill né Charlie riuscivano più a starle dietro. Aislinn se la rideva di nascosto, mentre i gemelli si rotolavano dalle risate.
  “Aislinn! Che cos’ha questa Pluffa?” domandò Bill, con una nota accusatrice nella voce.
  “Non saprei proprio” negò lei, nascondendo la bacchetta. Dopodiché arrivò Percy, annunciando che Ron e Ginny si erano (finalmente) svegliati.
  “Va bene, adesso rientriamo. Bill e Charlie, voi due filate a farvi una bella doccia”
  “Perché?”
  “Se vi dicessi che puzzate vi arrabbiereste, per cui non ve lo dirò” rispose Aislinn, con i gemelli che riprendevano a ridere.
 
  “Giochiamo a prendere il tè?”
  “Possiamo prenderlo per davvero, Ginny. Giochiamo a fare un tea-party”
  “Sì! Che bello! Possiamo usare le mie tazzine?”
  “Come no!”
  “Ma che noia, è roba da femmine!” protestarono i maschietti.
  “Beh, finora abbiamo fatto quello che volevate voi, adesso tocca a Ginny scegliere”
  “Se dovessimo dare retta a Ginny – commentò Charlie – ci inchioderebbe a una sedia e ci truccherebbe con i trucchi della mamma”.
 
  “Charlie, io ti odio” annunciò Bill, mentre la sorellina rischiava di forargli il cranio inserendo in modo scorretto quella che lui contò essere la trentacinquesima forcina.
  “Ma che cosa ne sapevo, io!” protestò Charlie, che non versava in condizioni migliori, con i bigodini in testa.
  Erano già dieci minuti buoni che Aislinn non riusciva più a guardare nessuno dei bambini dritto negli occhi: la tentazione di scoppiargli a ridere in faccia sarebbe stata irresistibile, e sicuramente loro non avrebbero apprezzato.
  La piccina aveva tolto a Percy gli occhiali, facendone una talpa completa e costringendolo a stare fermo immobile, in quanto altrimenti, non vedendoci, avrebbe sicuramente combinato qualche guaio.
  Fred, George e Ron sembravano spassarsela come non mai. I gemelli rifiutavano di rispondere a meno che non ci si rivolgesse loro come a “Winnifred e Georgiana”, mentre Ron, che era troppo piccolo per comprendere appieno le differenze tra maschio e femmina, se ne stava tranquillo a giocare per conto suo, ridendo di tanto in tanto, quando era contagiato dalle risate di Aislinn.
  “Charlie! Vieni a metterti le scarpe della mamma!” lo chiamò Ginny.
  “Potresti chiamarti Charlotte!” propose George/Georgiana, rischiando di essere gravemente mutilato da una recalcitrante quanto improbabile Charlotte.
  “Cosa non si fa per una sorellina, eh?”
  “Aislinn, falla finita e non infierire” protestò Bill, mentre la ragazza gli passava uno spesso strato di matita nera sugli occhi.
  “E dai, è un trucco molto rock
  “Anche le mollettine rosa con i brillantini?”
  “Beh, loro lo sono un po’ meno” convenne Aislinn, iniziando a passargli il mascara sulle ciglia.
  Nel frattempo, Ginny stava mettendo la cipria a Percy che a malapena si rendeva conto di cosa gli stesse succedendo, mentre i gemelli si stavano mettendo reciprocamente il rossetto, pasticciandosi la faccia e truccandosi come indiani d’America sul sentiero di guerra.
  Mezz’ora dopo furono costretti a stringersi tutti intorno a un tavolino per ‘prendere il tè’ servito da Ginny, che imponeva anche conversazioni come “Signora! Come sta suo marito?” e simili.
  Dopo che ebbero giocato, arrivò il momento di struccare i ragazzi, anche se per la maggior parte avevano già cominciato da soli, sfregandosi furiosamente occhi e labbra. Charlie, tuttavia, non era riuscito ad annullare la permanente ai capelli, per quanto si fosse sforzato.
  “Sembri un po’ zia Muriel” provvide a fargli notare Fred, mentre Aislinn gli ripuliva le guanciotte dal fard e dai residui di rossetto sparso.
  “George, vieni un po’ qui, ché devo fare il trattamento di pulizia pure a te”. Il bambino trotterellò verso di lei, mostrando il faccino già completamente ripulito.
  Peccato che, due metri più in là, ci fosse Percy – ancora senza occhiali – con la camicia di mille colori, segno che il malfattore in miniatura l’aveva usato come asciugamano.
  “Lasciameli per cinque minuti, Aislinn, e ci penso io” ghignò Charlie, sfregandosi le mani con aria sadica.
  “Stai zitta, zia Muriel!” rimbeccarono i gemelli, bellicosi.
  “Accio Occhiali. Tieni, Percy. E ora va’ a cercare qualcos’altro da metterti, la camicia te la lavo stasera. Ronnie, fatti pulire il musino”.
 
  Più tardi, dopo la cena, la madre dei bambini – o meglio, le sue sembianze – apparve nel camino di casa. Dopo averla tranquillizzata sul fatto che tutti avevano mangiato, nessuno si era fatto male, niente era esploso – eccetto il polpettone, ma quello era un dettaglio – e dopo essersi profusa in raccomandazioni varie, la comunicazione terminò, anche perché Ron aveva iniziato a sbadigliare e a stropicciarsi gli occhi.
  “Non voglio andare a letto, no” disse, con la testa che ciondolava in avanti, quando Aislinn gli chiese se avesse sonno.
  Ginny, dal canto suo, volle essere portata in camera da Bill, per cui lui e Aislinn misero i bambini a nanna e aspettarono un po’ perché si addormentassero. Dopodiché tornarono giù dagli altri. I gemelli, ben lontani dall’essere assonnati, stavano giocando a far saltare le molle del divano e i nervi di Charlie e Percy. Stavano riuscendo egregiamente a realizzare tutti i loro obiettivi.
  “Cosa facciamo, ora?” domandarono i due bimbetti identici, fissando alternativamente Aislinn e Bill. Le finestre – che erano rimaste aperte fino a quel momento in virtù del fatto che facesse veramente caldo – iniziarono a sbattere a causa del forte vento che si era alzato, e di lì a poco si sentirono cadere le prime gocce che parevano l’avanguardia di un temporale coi fiocchi.
  “Se spegniamo le luci – iniziò a dire Charlie – ci sarà l’atmosfera adatta per le storie di paura!”. Aislinn lanciò una rapida occhiata a Percy e ai gemelli.
  “Veramente non so se sia il caso…”
  “Sì!! Le storie di paura! Mostri! I fantasmi cattivi! Vampiri!” esultarono invece i due più piccoli, mentre Percy si limitò a mettersi a sedere sul divano, appianando i bozzi che i gemelli, saltando, avevano creato. Aislinn lo interpretò come un segno di resa a sentire le storie di paura.
  Mentre la ragazza s’incaricava di spegnere la maggior parte delle fonti di luce, lasciando solo qualche spettrale candela a illuminare l’intero salotto, Bill e Charlie stavano confabulando tra loro, in disparte.
  “Cosa complottate, signori?” chiese loro Aislinn, al che loro si voltarono con aria noncurante e si unirono agli altri, sedendosi per terra, al centro della stanza.
  “Oh, niente. È solo che abbiamo scoperto un paio di cose interessanti – iniziò Bill, in tono sibillino – Ad esempio, che stanotte c’è la luna piena. È la seconda notte, per di più”
  “Il che vuol dire che i lupi mannari sono più forti, e corrono in libertà, incontrollati e incontrastati” proseguì Charlie.
  “Vedete quell’albero? Quello laggiù, con i rami che si allungano verso il cielo come le braccia di cadaveri le cui ossa sono sbiancate dal tempo?”
  Da quando, un ragazzino di neanche quattordici anni ha un lessico del genere? E perché mai di fronte a una casa abitata da bambini cresce un simile albero spaventoso? Chi l’ha messo lì?
  “Guardate bene in cima a quell’albero” aggiunse Charlie con fare misterioso.
  Naturalmente tutti i bambini – e per la verità anche Aislinn – si precipitarono alla finestra per guardare dove era stato loro indicato.
  “Avete visto? Cosa credete che sia? Rami, forse, o magari un nido, una vecchia Pluffa incastrata lì? – Bill effettuò una pausa a effetto – No, cari miei, è un teschio umano”. I gemelli sussultarono, Percy impallidì.
  “Su un albero? Che ci farebbe un teschio su un albero?” chiese invece Aislinn, più cinica e pragmatica. I due ragazzi più grandi parvero ritenerla un’offesa personale.
  “Si dà il caso che sia il teschio messo lì come avvertimento”
  “Non mi dite. Un avvertimento di chi e per cosa?”
  “A volte, nelle notti di luna piena come questa, una megera, dedita alla Magia Oscura più potente sguinzaglia il suo lupo mannaro in giro per vedere di riuscire a trovare il loro pasto”
  “E cosa mangiano?”
  “Cosa mangiano? Beh, ovviamente…”. Charlie venne fermato da Bill, che esagerò una posa forzatamente melodrammatica.
  “No, Charlie. Non credo sia una buona idea dirglielo. Potresti spaventarli”.
  Sì. Come se fino a quel momento fosse stato un raccontino da Beatrix Bloxam popolato da coniglietti rosa.
  “Vogliamo saperlo! Ditecelo, ditecelo!”
  “Mangiano bambini! – rispose Charlie a bruciapelo. Sì, Bill almeno recitava meglio – In particolare, bambini dispettosi, che non hanno alcun rispetto per nessuno e che nessuno andrà a cercare. Anche perché se qualcuno li cercasse farebbe la stessa fine di John Smith”
  “Che sicuramente sarà quel tizio in cima all’albero. John Smith, ma non dirmi” asserì Aislinn con voce piatta. Bill e Charlie le lanciarono uno sguardo di fuoco, ma fortunatamente per loro, le sue affermazioni non erano state sufficienti a sdrammatizzare.
  “E viene il lupo mannaro a prenderli?”
  “Si intrufola a notte fonda nella casa e prende i bambini, e le vittime sono sempre così terrorizzate da non riuscire a urlare, e così li porta nell’antro della megera, che prima li usa per i suoi Incantesimi e le sue Pozioni Oscure, e poi li mangia, e fa a metà con il suo lupo mannaro”
  “Per questo è necessario che i bambini che rapiscono siano belli grassocci, altrimenti non bastano per sfamare tutti e due” ghignò Bill con fare mefistofelico.
  Aislinn sentì Fred rannicchiarsi contro di lei. Oltre al normale terrore derivante da un racconto di cannibalismo c’era da sommare il fatto che, subito dopo Charlie, – che comunque non si poteva considerare un bambino, a undici anni – era proprio Fred il più cicciottello, anche se la differenza con George non era proprio abissale, anche perché altrimenti li si sarebbe distinti meglio.
  “Bene, questo è troppo. Basta così. – decretò Aislinn – Lumos maxima. Sono le dieci, non m’interessa se per voi due è presto, ma adesso ve ne andate a letto. Non si possono terrorizzare così dei bambini”
  “Ma devono sapere a cosa vanno incontro…”
  “Finiscila, Charlie. Forza, muoversi, andate a letto. La strada la conoscete. Bambini, voi venite con me”. I due più grandi iniziarono a salire le scale con passo lento e strascicato.
  I gemelli avanzavano stando attaccati alle gambe di Aislinn, guardandosi attorno con aria terrorizzata, e Percy non era mai stato più pallido di allora.
  “Dunque, guardate bene. – disse lei al piccolo, spaventato pubblico – Sto serrando porte e finestre. Sono chiuse, richiuse, sprangate. In casa ci sono Incantesimi di Protezione. I lupi mannari non si possono addestrare, quindi è impossibile che una megera di cui non si sa neanche il nome ci sia riuscita. John Smith è il nome più diffuso al mondo. Ce ne saranno…”
  “Settecentoquarantasei in tutta la Gran Bretagna” rispose Percy, un po’ meno pallido.
  “Ecco. E mentre parliamo ne saranno nati almeno altri tre o quattro – aggiunse Aislinn, sorvolando sul fatto che non fosse normale che un bambino di sette anni conoscesse a memoria le stime dei censimenti – Per cui mi pare ovvio che se lo siano inventato. Va meglio?”. Uhm, insomma. I gemelli le stavano ancora appiccicati alle gambe.
  “Percy, vai a prepararti per la notte, poi passerò in camera tua”. Non è facile fare le scale con due bambini che ti arrivano alla cintola, più o meno, che sono abbrancati alle tue gambe e non accennano a mollare la presa. No, per niente facile.
  “Andiamo, mettetevi il pigiamino. Vi siete già lavati i denti?”. I piccini annuirono come automi. Aislinn suppose che avessero annuito perché avvertì un leggero sfregamento di guance contro le proprie gambe.
  Con un po’ di buona volontà, riuscì a rimuoverli da quella posizione e a mettere loro il pigiama, dopodiché preparò loro il letto.
  “Forza, Fred. Vieni sotto le lenzuola”.
  Si mossero tutti e due.
  “Vi ricordo che avete un letto per ciascuno”
  “Possiamo dormire nello stesso lettino? Se siamo insieme, quando arriva il lupo mannaro non porta via solo Fred”.
  Bene, avevano un problema. Più d’uno, visto che una babysitter stava per mettersi a piangere, commossa per una frase detta da un bambino di cinque anni che era pronto a farsi rapire da un ipotetico lupo mannaro pur di non lasciare da solo il fratello.
  “Certo che potete stare nello stesso letto. Venite qui, tutti e due, e ascoltatemi bene. Non verrà nessuno schifosissimo e pulciosissimo lupo mannaro. Non verrà, non entrerà, non vi prenderà e non vi porterà via. Né te, Fred, né te, George. Nessuno dei due. Nessuno. Capito? Non dovete farvi impaurire. È tutta una storia inventata da Bill e Charlie. Volevano spaventarvi”. E ci sono riusciti egregiamente, aggiunse mentalmente.
  “Adesso mettetevi buoni, state tranquilli e vedrete che il sonno arriva subito. Io vado un attimo a dare la buonanotte a Percy e poi ritorno per vedere come state. Ho detto che ritorno” disse Aislinn, visto che una manina era sbucata da sotto il copriletto e le aveva afferrato saldamente un lembo della maglietta.
  La ragazza fece in tempo a fare due passi verso la porta che si sentì dire: “Non chiudere la porta!”
  “Non chiudo la porta, tranquilli”
  “Non spegnere la luce!”
  “Non spengo la luce” assicurò lei, con un sospiro.
 
  “Percy? Sei già a letto?”
  “Sì.”. Per esserci, c’era, però aveva ancora gli occhiali addosso e gli occhi spalancati e se ne stava rigido come una spranga di ferro sotto il lenzuolo. Sicuramente non era la posizione di qualcuno che stia per dormire sonni tranquilli.
  “Lo ripeto: è tutta una storia inventata per spaventare. Non c’è niente di vero. Con tutto quello che sai, sicuramente lo sapresti, se fosse una storia vera. E poi i lupi mannari non si addestrano. Non sono animaletti da compagnia. Neanche un Mago Oscuro li può addestrare a fare quello che vuole lui, quando sono trasformati”
  “È vero – ammise Percy – Quando un licantropo è sotto l’influsso della luna, è incontrollabile”
  “Appunto. Vedi, che lo sai? Non devi farti suggestionare… lo sai cosa vuol dire? Sì, d’accordo, lo sai meglio di me… il punto è che non devi farti influenzare da quello che hanno detto Bill e Charlie. Se ti dovesse sembrare di sentire dei rumori, stanotte, sta’ tranquillo che sarà colpa del temporale, e non di uno stupido lupo mannaro…”. L’ululato che squarciò la notte non le aveva neanche il tempo di finire la frase. Proveniva proprio da lì sotto, da quel lato della casa. Fortunatamente Ron e Ginny non avevano sentito la storia e la loro stanza era dall’altra parte della casa.
  Mezzo secondo dopo ci fu l’ululato dei gemelli.
  “Ma porc… Percy, vieni con me” ordinò Aislinn, prendendolo in braccio per far prima, e marciò verso la stanza dei gemelli.
  “Stop! Fermi dove siete! È tutto sotto controllo. Fred, George. Con me”. I due poveretti, terrorizzati a morte, non si mossero.
  “Va bene. Percy, te la senti di rimanere con loro? Io devo fare un discorsetto a Bill e Charlie, ma devo andarci subito. Torno tra un minuto”. Aislinn ebbe il sospetto che Percy fosse stato costruito in modo da non poter disobbedire a un ordine diretto. I gemelli, tuttavia, dovevano essere usciti da una fabbrica diversa.
  “Nonteneandareperchèsennòarrivaillupomannaro…!” gridarono, perfettamente in sincronia. Aislinn, sebbene sentisse il cuore cederle, uscì dalla stanza, dirigendosi, furiosa, verso la camera di Bill e Charlie. Trovò la camera al buio e i due ragazzi a letto.
  “Ah, non vi aspetterete che ci creda?” disse la ragazza, e come prima mossa passò la mano tra i capelli di Bill, trovandoli fradici, e poi rimase in silenzio ad ascoltare il respiro di entrambi, che ritenne essere eccessivamente veloce, per appartenere a due dormienti. Più simile – piuttosto – a quello di qualcuno che abbia appena fatto una corsa incredibile, ad esempio dal giardino alla propria camera.
  “Ragazzi, basta scherzare. Se volete dire qualcosa in vostra difesa, dovete parlare ora”. Il letto di Charlie fremette leggermente. Aislinn gli si avvicinò e gli pose una mano sul petto. Il cuore batteva a gran velocità.
  “Charlie…”
  “Era solo uno scherzo! Insomma, fanno tanti di quei dispetti, loro…!”
  “Ma davvero? – sbottò Aislinn – Anche Percy? E poi hanno cinque anni! Ho capito che sono due pesti, ma questo non vi dà il diritto di terrorizzarli a morte! Come vi è venuto in mente di fare una cosa del genere? Per non parlare poi del fatto che siete usciti da soli nella notte, con la pioggia e senza dirmi niente! Poteva succedervi qualcosa!”
  “Ma uffa, era soltanto…”
  “Non m’interessa!”
  “Ma hai detto…!”
  “Ho detto che potevate parlare, non che vi avrei ascoltato. Adesso farete meglio a dormire, a questa storia penseremo domattina, ma se sento anche solo un rumore più forte di un granello di polvere che cade a terra piomberò qui come un falco. E ringraziate che non vi sigillo la stanza”.
  Non lasciò loro neanche il tempo di replicare, e si fiondò in camera dai gemelli, dove trovò Percy intento a cercare di illustrare la teoria che Aislinn aveva proposto a lui, con i due bimbetti che se ne stavano nascosti sotto il letto, sicuramente senza sentire una sola parola del fratello maggiore.
  “Percy, credi di poter riuscire a dormire, se ti assicuro, giuro e spergiuro che sono stati Bill e Charlie a fare l’ululato che abbiamo sentito?”
  “Sì. – affermò lui, col tono di sempre – Però mi accompagni fino alla mia camera?” aggiunse poi, e per la prima volta parve essere un bambino vero e non un impiegato di banca.
  “Ma certo che sì, stai tranquillo” rispose la ragazza, allungando una mano per fargli una carezza d’incoraggiamento.
  “Nonteneandarenonteneandarenonteneandarenontenean…” urlò il letto. O meglio, i bambini sotto il letto.
  “E allora venite anche voi!” esclamò esasperata Aislinn. Due piccoli Bolidi le saettarono accanto, avvinghiandosi alle sue gambe.
  “Bambini, non ce la faccio a camminare. Almeno uno di voi potrebbe staccarsi…?”
  Niente da fare. Si dovette arrangiare a trascinare se stessa e i due fino alla camera di Percy, dove finalmente lo mise a dormire, con la promessa di chiamarla se avesse avuto bisogno di qualcosa.
  Non appena furono rimasti in tre, Aislinn sentì la morsa attorno alle gambe rafforzarsi tutt’a un tratto. La ragazza sospirò, esausta. Avrebbe voluto mettersi in ginocchio per poter guardare i bambini dritti negli occhi e dire loro parole rassicuranti, ma riusciva a malapena a muovere le braccia, figurarsi fare una cosa impegnativa come chinarsi.
  “Bambini, ho sonno, non posso stare tutta la notte in piedi in corridoio, con voi due attaccati alle gambe. Non sono uno scoglio e voi due non siete vongole”
  “Dormi con noi?”
  “Per favore?”
  “Nel letto di George. Anzi, tutti e tre insieme”
  “Oh, Cielo. Sentite. Facciamo così. Venite voi a dormire nella stanza di mamma e papà, nel lettone. Tanto anch’io devo andare lì. Almeno ci staremo tutti comodi”. I due allentarono leggermente la presa, abbastanza da permetterle di muoversi quasi normalmente, e così tutti e tre raggiunsero la camera dei signori Weasley.
  “Bambini? Devo cambiarmi e andare in bagno”
  “Veniamo con te”
  “Non se ne parla neanche! Vi proibisco di seguirmi nel bagno!”. Risposta troppo brusca. Aislinn sentì due sottili rivoli scivolarle lungo le ginocchia, accompagnati da singhiozzi che avrebbero fatto tenerezza anche al famoso lupo mannaro della storia del terrore.
  “Per favore, non piangete. Sarò proprio qui accanto, e farò il più presto possibile. Andate a letto, intanto”. Inutile aggiungere che fece l’impossibile per ricomparire esattamente un minuto dopo.
  “Luce accesa?” chiese Aislinn, rivolgendosi ai bambini, mezzi nascosti sotto il lenzuolo. Loro annuirono senza parlare, e la ragazza sistemò la bacchetta in modo che l’Incantesimo Lumos reggesse fino alla mattina dopo e la fonte di luce fosse ben visibile dal letto.
  Sbadigliò sonoramente, prima di sistemarsi tra i bambini e di ricevere un tenerissimo bacio della buonanotte da ciascuno. Come mai riuscivano a essere così adorabili e nel contempo così pestiferi?
 
  “Dov’è Fred? Dov’è?”
  “Cosa? Che succede? Che c’è?” domandò Aislinn, svegliandosi di soprassalto e vedendo un bambino disperato, i cui occhi azzurri erano velati di lacrime.
  “Fred non c’è più! L’hanno portato via!”
  “Ma no! Fa’ piano, piuttosto” la ragazza scostò il lenzuolo dalla parte sinistra del letto, rivelando l’altro bambino che dormiva beatamente scomposto, con i piedini rivolti verso il cuscino e il copriletto un po’ attorcigliato intorno alle braccia grassottelle.
  “Hai visto, George? Dorme in modo assurdo, ma è qui”
  “Ho sognato che il lupo lo portava via”
  “Era un sogno. Un sogno orribile. E i sogni così brutti non si avverano”. Aislinn si sollevò a sedere e abbracciò il bambino, cullandolo un po’ per consolarlo e tranquillizzarlo.
  “Che dici, lo lasciamo così o lo rigiriamo dalla parte giusta?”
  “Non lo so… lascialo così…” mormorò George prima di riaddormentarsi. Erano le tre. La cosa buona dello svegliarsi nel mezzo della notte in piena estate è che hai ancora l’altra metà della notte per dormire.
 
  La mattina successiva Aislinn fu svegliata all’improvviso dal suono di ferraglie che si suppone farebbero cinquecento uomini in armatura che si mettessero d’accordo per inciampare tutti insieme.
  La ragazza faticò un po’ prima di capire dove diamine si trovasse, e una volta che ebbe realizzato di essere a casa Weasley, le sue braccia scattarono a destra e a sinistra, mentre lei pregava silenziosamente di trovarci due meravigliosi bambini addormentati. Speranze infrante. Il letto – a parte lei, ovviamente – era vuoto.
  Barcollando leggermente, si avviò, bacchetta alla mano, seguendo la direzione dei rumori, che la portarono in cucina, dove trovò Fred e George alle prese con pentole e padelle, quasi navigando tra la roba sparsa per terra. La ragazza gettò un’occhiata alle pareti e ai mobili, trovandoli orrendamente macchiati. Come i bambini, del resto.
  “Tesorucci, mi spiegate perché?”. I due mollarono tutto per andarla ad abbracciare.
  “Sì, molto carini. Come vi è venuto in mente di combinare questo disastro?”
  “Preparavamo la colazione. Vedi?” rispose Fred, muovendo una manina per mostrare quello che avevano fatto. Cioè, in parole povere, un campo di battaglia.
  “Hm. Vedo, vedo. Però mi sembra che abbiate fatto un discreto disastro, e che i risultati non si siano visti – Aislinn si guardò intorno, e vide innumerevoli confezioni di roba da mangiare disperatamente rovesciate a terra, le uova rotte che colavano ovunque e almeno una brocca rotta – Sinceramente, dubito di riuscire a farvi fare colazione con quello che è avanzato”
  “Che cos’è tutto questo casino…? Oh, Godric” fu il commento di Bill, appena entrato in cucina.
  “Già.” gli fece eco Aislinn. Il silenzio regnò per qualche secondo, poi i bambini si stufarono di guardare la babysitter e il fratello maggiore che se ne stavano lì impalati senza dire niente.
  “Dimmi, Bill, quanto potrebbero prenderla male gli altri se scoprissero che non c’è di che fargli fare colazione?”
  “Molto, molto, molto, molto, molto male. Charlie in particolar modo potrebbe avere delle reazioni spropositate”
  “Lo supponevo. E invece, se andassimo a fare colazione in paese e subito dopo ci fermassimo in un supermercato per ricomprare la roba distrutta dai gemelli?”
  “Fammi capire: tu vuoi portare sei ragazzini scatenati… vabbè, Percy a parte, cinque ragazzini scatenati giù al villaggio? In luoghi pubblici? Con altri esseri umani? E Babbani? E un sacco di distrazioni?”
  “Detta così però sembra una cosa brutta” protestò debolmente Aislinn.
  “Non brutta. Pericolosa, però, sì”
  “Evviva! Andiamo al villaggio!”
  “Andiamo, Aislinn? Andiamo? Andiamo?”
  “Quando partiamo? Andiamo adesso?”
  “Svegliamo gli altri” sospirò Bill, arrendendosi all’evidenza, mentre la ragazza faceva del suo meglio per riportare al piano di sopra i gemellini, che continuavano a saltellare, dimostrando per l’ennesima volta di essere la cosa più vicina all’ubiquità che esistesse.
 
  “Bill, tu prendi Ron. Charlie, ti occuperai di Ginny. Percy, tu che sei grande porterai il carrello – Aislinn effettuò una pausa durante la quale i ragazzi più grandi trattennero il respiro – Io terrò d’occhio i gemelli”. Bill la guardò colmo d’ammirazione. Charlie le diede una pacca sulla schiena con fare cameratesco, e Percy le augurò un sentitissimo “Buona fortuna”.
  “Guarda, George! Le caramelle!”
  “Chissà se si può salire su quegli scaffali…”
  “Che non vi venga neanche in mente – li bloccò Aislinn con gesto fulmineo – Voi state con me. E non vi allontanate”
  “Perché no?”
  “Perché se farete un passo falso, vi staccherò le braccine a morsi” rispose Charlie, sorridendo amabilmente.
  “Aislinn, lui ha detto…!”
  “Ho sentito. Forza, andiamo. Primo reparto, frutta e verdura” replicò Aislinn, tagliando corto.
  Le cose andarono bene per un po’, fino a quando, cioè, non arrivarono nel reparto-frigo. Aislinn aveva allentato la presa per potersi allungare e afferrare qualcosa su uno scaffale in alto, e Fred e George avevano pensato bene di arrampicarsi, facendo scaletta, per finire dentro il frigo, dove avevano visto i gelati.
  Aislinn si accorse del fatto un istante dopo, quando cioè un’anziana signora Babbana lanciò un urlo, affermando che i gelati le stavano parlando.
  “Ciao, signora! Io sono un cornetto!”
  “No, tu sei una peste! – lo corresse Aislinn, tirandolo fuori – Scusi tanto, signora. Percy, Charlie, portate il carrello!”. Il sopracitato carrello era ormai diventato una montagna ambulante, tanto che l’unico modo per spingerlo era usarlo come monopattino, così Ginny se ne stava al sicuro nel seggiolino, Percy era attaccato alla barra del manubrio e Charlie si divertiva come un matto, stando ai comandi dell’inconsueto mezzo di trasporto.
  “Chiamato, Miss?” le chiese, con il tono di un tassista, quando arrivò accanto a lei sgommando, tra le risate di Ginny e – udite, udite! – di Percy.
  Bill e Ron arrivarono un istante dopo, portando uova, pane e latte in una quantità più che sufficiente a sfamare un reggimento. Come era la famiglia Weasley, in effetti.
  “Argh! Cinque chili di patate?” esclamò esterrefatta Aislinn, tirando fuori George che si era tuffato di testa in mezzo ai tuberi e prendendone un enorme sacco che fece stridere il carrello quando lo mise dentro.
  Finalmente, si diressero alle casse, ma i guai non erano ancora finiti.
  “Chiedo scusa” disse un signore dall’aria distinta, apostrofando Aislinn.
  “Sì?”
  “Questi due bambini sono con lei?”. Ovviamente si riferiva a Fred e George. A ulteriore riprova del fatto, i due avevano tirato fuori le loro espressioni da cuccioli, palesando l’ovvietà.
  “Hanno fatto qualcosa che non dovevano?”. Domanda retorica. Ma anche Aislinn, all’occorrenza, sapeva mentire ed esibire un’espressione ingenua e adorabilmente stupita.
  “Si dà il caso che laggiù ci fosse una piramide di lattine, e che questi due mostriciattoli l’abbiano…”. Aislinn, che aveva capito subito dove sarebbe andato a parare, aveva afferrato la bacchetta che teneva nel marsupio e aveva formulato un Incantesimo non verbale per rimettere a posto il disastro che le stava additando il direttore del supermercato.
  “Mi scusi, mi sembra che la sua piramide sia perfettamente a posto!” asserì amabilmente la ragazza, sbattendo languidamente le ciglia.
  Lei e i ragazzi approfittarono del momento in cui l’uomo si voltò, restando sbigottito, per scappare via e mettersi in coda alla cassa, mescolandosi con altra gente. Non che fosse facile mimetizzarsi con sette bambini con i capelli rossi al seguito.
 
  Ovviamente la coda alle casse era spaventosa: dovevano esserci come minimo quindici persone davanti a loro, e Aislinn e Bill concordarono che al villaggio stessero ospitando la Convention Mondiale delle Persone più Lente.
  “Aislinn, possiamo mangiare il gelato?”
  “No, bambini. Intanto vi sbrodolereste tutti, poi non posso aprire le confezioni prima di aver pagato, e inoltre tra un po’ sarà ora di pranzo”
  “Per favore!”
  “No”
  “Per favoooooooore!”
  “Nooooo”
  “Per Favore!”
  “No”
  “PER FAVORE?”
  “Piantatela. Date fastidio alla gente. E a me”
  “Quanto tempo dobbiamo stare qui?” tornò a chiederle George.
  La ragazza alzò lo sguardo verso le dieci persone davanti a loro, che procedevano con il ritmo incalzante di un branco di bradipi.
  “Parecchio, mi sa”
  “Quanto tempo è passato?”
  “Da quando l’ha chiesto George? Dieci secondi”
  “E ora?”
  “Altri due secondi”
  “E adesso?”
  “Ogni volta che lo chiederete, staremo qui un’ora in più”. I bambini si guardarono.
  “Un’ora è un sacco di tempo” concordarono, e si misero zitti. Aislinn sentì il mal di testa calmarsi un po’.
  “Oh, ma che bel bambino! Come ti chiami, tesoro?”
  “Fred”
  Oh, no. Stanno cercando di irretire delle tenere, anziane signore indifese.
  “E lui è il tuo fratellino? Siete gemelli! Qual è il tuo nome?”
  “Io sono George, signora”
  E ci stanno riuscendo anche parecchio bene.
  “Ma siete due ometti proprio beneducati”
  Sì, come no. Povera vecchia ingenua. Ma… stanno facendoci segno di andare avanti? Superare le vecchiette nella coda? Aislinn stentava a crederci. Quei due avevano cinque anni, per l’amor del cielo! Incrociò lo sguardo di Bill, che si strinse nelle spalle e proseguì nella coda, lasciando le due vecchiette nella polvere.
  Fortunatamente, i soldi non erano stati un problema, visto che Molly, da madre lungimirante quale era, aveva previsto che sarebbe stato necessario fare la spesa e le aveva lasciato dei fondi, che Aislinn aveva provveduto a cambiare in moneta Babbana. E il cambio sembrava favorevole.
  Grazie anche ai loschi sotterfugi dei gemelli, riuscirono a uscire in poco tempo dal supermercato, stracarichi di sacchetti: Aislinn ne portava tre, Bill – che era ben felice di ‘fare l’uomo’ – ne portava quattro, Charlie due, Percy portava Ginny, i gemelli ne portavano uno in due e a Ron erano state date le cose più leggere, tra cui le caramelle. Perché nessuno si fidava troppo a lasciarle in mano ai gemelli.
 
 
  Il resto della giornata trascorse più o meno tranquillamente, e per fortuna la sera non ci fu la replica della notte prima, anche perché Aislinn si premurò di minacciare accuratamente Bill e Charlie. Cenarono all’aperto, facendo un’allegra grigliata, e la sera crollarono tutti quanti a dormire.
  Addirittura i gemelli erano distrutti, e non fecero storie per andare a letto.
 
  Durante la notte Aislinn fece uno strano sogno; le parve che la porta della camera si aprisse e ne entrasse qualcuno. E che quel qualcuno si chinasse su di lei, poggiandole un leggero bacio sulle labbra.
  Cosa…? Riuscì a domandarsi, in quello strano stato mentale che accompagna il dormiveglia, poi si addormentò definitivamente.
 
  Bill uscì dalla stanza con un bel sorriso stampato in volto, senza curarsi che qualcuno potesse averlo visto o che Aislinn potesse essersi accorta di qualcosa. La sua soddisfazione se l’era tolta.
 
 
  “Siete tutti pronti? Mamma e papà arriveranno tra poco”
  “Devono proprio tornare?”
  “George, non vuoi rivederli, dopo due giorni?”
  “Sì, ma se tu te ne vai…!” protestò Fred.
  “Credete forse che non ci rivedremo mai più? Ma se abito a un paio di case di distanza dalla vostra!”
  Ah, informazione interessante… pensò Bill.
  “Ehilà! Siamo tornati!”
  “Forza, andate a salutare mamma e papà!” li spronò Aislinn, sospingendoli verso l’ingresso, dove evidentemente Arthur e Molly si erano appena Materializzati.
  “Allora, ragazzi, vi siete comportati bene?”
  “Sì, mammina”
  “Davvero?” chiese lei enfatizzando il concetto, visto che conosceva bene i suoi figli.
  “Sul serio, Molly, non mi hanno dato un solo problema” sorrise Aislinn, strizzando l’occhio ai gemelli.
  Senza farsi notare troppo, Arthur diede a Aislinn il suo compenso, dopodiché la ragazza passò a salutare i ragazzi, partendo da Ginny.
  “Una volta torni a giocare alle signore? Da sola, loro non mi ascoltano”
  “Certo, tesoro. Li facciamo neri, anzi, colorati, i tuoi fratelli” replicò lei, guadagnandosi più di un’occhiata tra il truce e il terrorizzato dai ragazzi.
  “Ciao, Ronnie. Non farti fare troppi scherzi da Fred e George”
  “Ci provo” rispose solennemente lui, facendo ridere la ragazza.
  “Voi due! – esordì poi, per rivolgersi ai gemelli, con un tono che comprendeva molti sottintesi – Non combinate troppi disastri e non fate innervosire Bill e Charlie, che poi lo sapete cosa vi combinano…”
  “Va bene” dissero loro all’unisono, e lei fu certa che non le avrebbero mai dato ascolto.
  “Tornerai a trovarci?”
  “Devi ancora insegnarci a volare bene” le ricordò George.
  “D’accordo. Ora voglio un bacio” ne ricevette uno per guancia. Ma quanto erano teneri?
  “Percy, congratulazioni. Sei l’unico che sia riuscito a insegnarmi la matematica”
  “È stato un piacere” replicò lui, formale come al solito. Ma alla fine Aislinn riuscì lo stesso a strappargli un abbraccio.
  “Ti verremo a trovare di sicuro – le disse Charlie – E magari una volta riusciremo anche a giocare a Quidditch con te. O a Medieval Struggle. O anche a tutti e due”
  “D’accordo, d’accordo! Bacio”.
  Con Bill non sapeva bene come comportarsi, visto che apparentemente lui ci teneva molto ad atteggiarsi da adulto. E nessuno, normalmente, abbraccia un uomo adulto che conosce da due giorni.
  Oh, al diavolo.
  “Ciao, Bill”
  “Ciao, Aislinn”
  “Sai niente di creature sospette che s’introducono nottetempo nelle camere da letto?”
  “Niente di niente” disse lui, esibendosi in un ampio sorriso ipocrita.
 
 

FINE.
    
 
    
      
 
 
        
 

 

  
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