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Autore: supernova_the_fifth    06/09/2011    1 recensioni
Hy everyone! piccolo spezzone tratto dal libro che sto scrivendo! :) Hope you'll like it!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il viaggio si stava rivelando più estenuante di quanto Freya avesse immaginato.

Trascinava le gambe a fatica e aveva perso il conto di quante ore erano trascorse dall’ultima pausa che avevano fatto, che lei era certa, risalisse al giorno precedente.

Dovevano essere da poco passate le dodici a giudicare dal sole che splendeva in cielo; solo qualche nuvola dava qualche attimo di riposo e ombra dalla luce che illuminava la giornata.

Il paesaggio in cui era immersa era mutato notevolmente col passare delle ore. La fitta foresta aveva lasciato spazio a immense pianure erbose attraversate di tanto in tanto da qualche ruscello di acqua freschissima, che molte volte si era rivelata un sollievo per la gola secca di Freya.

Ma ora di ruscelli non vi era nemmeno l’ombra: il che significava che lei e il suo compagno dovevano continuare a camminare.

Si trovò ad osservare la figura di Brian più intensamente di come aveva fatto negli ultimi giorni.

Da quando erano ripartiti era sempre rimasto davanti a lei e non si era praticamente degnato di rivolgerle la parola, pareva non avesse bisogno di assicurarsi che lei fosse li.

Anche al momento era intento a camminare osservando il paesaggio circostante alla ricerca di nemici che potevano tendere loro un agguato. Ma erano in una zona aperta e sarebbe stato stupido per chiunque attaccare: avrebbero perso il vantaggio della sorpresa.

Eppure Brian pareva volgere lo sguardo oltre, come se quello che cercasse disperatamente fosse al di la delle pianure che li circondavano, oltre gli alberi che a margine si intravedevano.

“Il che”  pensò la ragazza “era decisamente impossibile!”  Nessuno avrebbe potuto vedere un singolo uomo da quella distanza. Quindi decise che il suo era puro interesse per il paesaggio…un po’ accentuato.

Come chiamato in causa, Brian volse lo sguardo verso la giovane e le rivolse quel suo sorriso sfacciato al quale aveva fatto ormai l’abitudine; e di nuovo si ritrovò immersa nei pensieri della sera prima.

Non poteva negare che quel giovane di cui praticamente non sapeva niente non avesse fascino e, che con la sua sfacciataggine immensa non lo aumentasse, era stato comprensivo con lei, l’aveva ascoltata e consolata quando aveva avuto bisogno e sentiva che soprattutto quello avesse creato tra loro una sorta di legame, che nemmeno lei riusciva a definire.

Ma lui pareva non dimostrare niente.

Ancora persa nei suoi pensieri per poco non andò a sbattere contro il suo compagno di viaggio che nel frattempo si era fermato.

«Facciamo pausa finalmente?»

«No ci fermiamo tra qualche ora, te l’ho già detto che dobbiamo percorrere più terreno possibile.»

«E allora che c’è? Ci siamo fermati no?!»

«Si. Perché ho appena individuato la nostra cena!» disse allegro.

«La cosa?»

Effettivamente come realizzò Freya qualche secondo dopo, davanti a loro un cervo brucava l’erba a un centinaio di metri di distanza, completamente ignaro della loro presenza.

Entrambi si acquattarono nell’erba cercando di produrre minor rumore possibile. Freya stette in silenzio; era Brian che si occupava della caccia.

Intanto al suo fianco, il respiro del ragazzo rallentò e a Freya parve che quest’ ultimo stette per fondersi con l’ambiente circostante.

Fu esattamente come l’ultima volta: non se ne accorse nemmeno. Al momento opportuno Brian scattò rapidamente verso l’animale.

Pareva che nemmeno toccasse il suolo da quanto veloce andava, non un filo d’erba pareva spostarsi.

Freya fece un incredibile sforzo a seguirlo con lo sguardo; il cervo non fu altrettanto pieno di riflessi. Infatti il pugnale trafisse il cuore prima che il malcapitato animale potesse accorgersi di niente.

Non si era resa conto di aver trattenuto il respiro per tutta la durata della scena e nel giro di qualche secondo si trovò a carponi ansimando sonoramente; tenendosi le mani all’altezza dello stomaco pian piano calmò il respiro cercando di farlo tornare regolare.

…respira…respira…

Passarono una decina di secondi prima che riuscisse a rimettersi in piedi senza barcollare e si trovo a subire lo sguardo inquisitore di Brian che probabilmente aveva visto l’intera scena.

Freya distolse lo sguardo e si concentrò fin troppo intensamente su una colonna di formiche che zampettavano a lato del suo piede che la testa cominciò a farle male. Decisamente non aveva intenzione di ascoltare l’ennesima ramanzina di Brian sul suo scarso impegno.

Era ormai una settimana che il ragazzo aveva cominciato a insegnarle le basi del combattimento. Freya si era sorpresa tantissimo quando, durante una pausa, Brian aveva acconsentito finalmente alla sua richiesta di allenarla.

Aveva detto qualcosa del tipo “..dopotutto le basi sono utili a tutti..” e da quel momento aveva cominciato.

Ma non era esattamente il tipo di allenamento che la giovane si era immaginata. Infatti fino a quel momento aveva solo allenato il suo respiro, come sentirlo, percepirlo e cercare di controllarlo.

«Se si vuole combattere, la base è saper controllare il proprio respiro. Se non riesci a regolarlo in base all’esigenza non riuscirai mai a essere flessibile per tutte le situazioni.» aveva risposto al primo accenno di protesta di Freya.

E così ormai erano giorni che passava i pomeriggi mentre continuavano a camminare, a concentrarsi sul “sentire il respiro” senza però, ottenere grandi risultati. Il massimo che Freya conquistava alla fine di ogni allenamento, era un gran mal di testa dovuto al fatto che puntualmente, quando Brian ordinava di controllare il respiro Freya arrivava a trattenerlo e a cominciare ad annaspare qualche secondo dopo, arrivando poi alla sfuriata di Brian sul suo poco applicarsi che ormai era diventata routine.

Sospirò; di certo non aveva intenzione di mollare ma non aveva la più pallida idea di come sbrogliare quel nodo e il fatto di avere gli occhi di Brian ancora puntati addosso non le rendeva più facile la concentrazione.

«Ehi scheggia.»

Freya sbuffò: aveva preso l’abitudine di apostrofarla così data la sua innata velocità di apprendere le cose. Tanto, per come si osava dire, aggiungere oltre al danno la beffa.

«Che c’è?» bofonchiò lei.

«Non che non sia contento di sapere che almeno li tranquilla non rischi di soffocare..»

«Ma sentilo…» sussurrò.

«…ma non è che saresti così gentile da spostare di qualche metro il tuo fondoschiena e venire a darmi una mano con questo qui?» concluse indicando il cervo che giaceva ai suoi piedi.

Di malavoglia Freya andò ad affiancare Brian, ora seduto a gambe incrociate e già intento a scuoiare l’animale; estrasse un coltellino che teneva in una fodera che aveva cucito all’interno di uno degli stivali e cominciò a fare altrettanto.

L’aveva trovata un’idea intelligente in quanto avere un’arma, anche se piccola, sempre a portata di mano risultava decisamente rassicurante.

Per parecchi minuti nessuno parlò, Freya perché concentrata (almeno apparentemente) nella sua attività e Brian ad ammirare la bellezza del paesaggio circostante come se in tutte quelle ore fosse la prima volta che si rendeva conto di dove si trovavano.

In realtà Freya stava riflettendo sul povero animale che aveva per le mani; o per meglio dire il motivo per cui aveva quell’animale per le mani.

Già la prima volta che aveva visto Brian all’opera, prima che scoprisse il suo nome e alcune delle cose che in seguito egli le aveva rivelato che concretamente parlando erano relativamente poche, ne era rimasta colpita.

Aveva subito capito di trovarsi di fronte a qualcuno le cui caratteristiche erano completamente fuori dall’ordinario ma riflettendoci bene, poche erano le cose che rientravano nel suo concetto di ordinario nelle ultime settimane.

E Brian era decisamente in cima alla sua lista.

L’aveva visto arrampicarsi in cima ad un albero altissimo per scrutare l’orizzonte con un’agilità superiore a qualunque essere vivente, umano o animale che fosse; era riuscito a stupirla con il suo essere fin troppo acuto nell’accorgersi di quello che lo circondava e, come ciliegina sulla torta, il suo salvataggio.

Per quello che Brian si era degnato di raccontarle, era stata rinchiusa in una abitazione in disuso completamente piena di quegli esseri terrificanti che avevano attaccato Niron…

«Ahi!»

Brian si volse subito verso la ragazza.

Freya era intenta a succhiarsi il pollice che, evidentemente, si era tagliata con il coltello che al momento era conficcato per una piccola parte della lama nel terreno erboso. Una piccola goccia rosso scarlatto colava dal taglio della lama.

«Che hai da fissarmi cosi? Mai tagliato con un coltello in vita tua?» esclamò acida Freya.

«No, ma..»

Freya strabuzzò gli occhi «No?!»

«Non con un coltello, almeno.»

Disse l’ultima frase sogghignando, come per accentuare il fatto di aver dimostrato ancora una volta di essere decisamente più capace di lei.

“Promemoria” pensò “Respirare e sorvolare.”

«Bene signor Io-sono-capace-di-tutto! Arrangiati allora!»

E si alzò per sedersi qualche metro più in là con le spalle rivolte a un Brian parecchio divertito.

Freya restò per un po’ a succhiarsi il dito insanguinato mentre fissava l’altra mano appoggiata al ginocchio cercando di calmarsi.

Volse lo sguardo verso le praterie che, quando avrebbero dovuto riprendere il cammino avrebbero percorso e il suo volto si incupì.

Poteva essere pieno di creature altrettanto terrificanti, se non peggiori.

«Brian.»

«Sì?» chiese il giovane. Aveva finito di scuoiare il cervo ed era intento a separare le parti che avrebbero mangiato di li a poco da quelle che avrebbero conservato per i prossimi giorni.

«I goblin che hanno attaccato il mio villaggio…beh…c’era uno scopo preciso dietro quell’attacco?»

Attese qualche secondo.

Brian non dette segno di voler rispondere; Freya si girò verso di lui e di nuovo in meno di un’ora trovò quegli occhi zaffiro a sostenere il suo sguardo, occhi nei quali Freya non poteva fare altro che perdersi.

Ma non adesso.

Era frustrante. Non aveva voluto chiederlo prima perché all’inizio non era certa di potersi fidare di quel misterioso sconosciuto, ma adesso voleva risposte alle sue domande. Domande a cui, lei ne era assolutamente certa, Brian aveva le risposte.

«Ho diritto di saperlo.» disse tra i denti senza levare lo sguardo da quello del giovane.

Restarono a fissarsi ancora per qualche istante e poi successe una cosa strana.

Per la prima volta fu lui a distogliere lo sguardo, come se l’intensità di quello di Freya l’avesse scosso, bruciato.

«GUARDAMI DANNAZIONE! Ho il diritto di sapere perché l’intero villaggio è stato distrutto! Ho perso tutto!» urlando sempre di più. «Le persone più care che avevo probabilmente sono morte!» continuando a urlargli in faccia.

«E tra loro …»

Non finì la frase. Le lacrime avevano cominciato a sgorgare e lei non riusciva e non voleva fermarle. Voleva farlo soffrire. Ci stava male e gran parte della colpa era sua.

Ma Brian continuava a non voler alzare lo sguardo da terra.

Freya non riusciva più a sopportarlo.

Fu un attimo. La mano di Freya si strinse a pugno e colpì Brian dritto in faccia facendolo finire lungo disteso a terra; il ragazzo non cercò nemmeno di alzarsi: rimase lì, disteso, sempre fissando un punto ceco davanti a lui.

Freya ansimava: non si era nemmeno resa conto della forza che aveva messo in quel pugno ed era sfinita. Sfinita e arrabbiata.

Aveva creduto di poter contare su di lui e fino a qualche ora prima aveva continuato a pensare quanto fosse stato gentile con lei. Ma si sbagliava.

Era solo un’ipocrita.

«Ti ho seguito.» sibilò. «Ho perso tutto, famiglia, amici, persone che conoscevo tutto! Eppure mi ritrovo prigioniera non so dove, arrivi tu e mi salvi. Ascolto la tua bella storiella e pur essendo combattuta dal desiderio di tornare indietro accetto di seguirti. Un po’ costretta, ma anche perché in quelle parole vedo un fondo di verità.»

Freya fece un respiro profondo e un singhiozzo uscì dalla gola.

«Eri interessante. Non mi sono subito fidata e anche tu mi hai consigliato di non farlo. Dovevo aspettare.» disse con la voce che tra un singhiozzo e l’altro era ridotta a un sussurro. «E ci sei riuscito. Sei riuscito a farmi fidare di te. Con piccoli gesti, pian piano, ho capito che eri quello che avevi detto di essere.»

Si fermò per riprendere fiato: ormai non ce la faceva più.

«E adesso che ti chiedo una semplice risposta che sai benissimo che per me è importante non ti degni nemmeno di rispondermi?» concluse. Era irata, e cercava di farglielo capire.

Brian continuava a non voler alzarsi da dove Freya l’aveva spedito con il pugno. Solo in quel momento la ragazza si accorse di qualcosa.

Piangeva.

Il volto del giovane era rigato dalle lacrime.

Freya non sapeva che fare; era completamente spiazzata. Di tutte le reazioni possibili che Brian si mettesse a piangere non le era passato minimamente per la mente.

Aveva pensato che le avrebbe urlato addosso, che l’avesse guardata e scaricata con un semplice «No niente di speciale.» oppure «Non sono affari che ti riguardano.», che le avesse sorriso e detto che era ancora troppo sconvolta per ragionare lucidamente.

Invece era li, a pochi passi da lei disteso sul terreno che piangeva.

Freya si morse il labbro; le ginocchia non la ressero e per la tensione lei crollò in ginocchio.

«Mi dispiace

Era uscito come un sussurro, ma nel silenzio della prateria a Freya parve gridato.

Brian finalmente era tornato a guardarla e lei scoppiò a piangere.

Le bastò allungare le braccia e si ritrovò a stringere quel ragazzo che fino a qualche minuto prima aveva coperto di insulti.

«Stupido, stupido, stupido!» continuando a picchiare ogni centimetro del corpo di Brian che riusciva a raggiungere.

Intanto lui le accarezzava dolcemente i capelli cercando di calmarla, continuando a sussurrarle che avrebbero chiarito.

   
 
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