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Autore: MedusaNoir    06/09/2011    4 recensioni
Lesbia, o mia Lesbia, ho tracciato la strada di casa con dei sassolini.
La canzone è "Ti leggo nel pensiero" di Francesco De Gregori.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti leggo nel pensiero

Faccio a pugni con te,

poi ti vengo a cercare.

 

Prendo a calci ogni ricordo di te, distruggendomi in un amore lontano e ormai finito.

Scivolerei volentieri via dal mio corpo, via dalle mie paure, via da questa casa vuota.

Dove sei?

E’ una domanda che vorrei fare alle stelle: chissà se loro saprebbero rispondermi; e invece mi ritrovo a invocare il tuo nome con una disperazione mista a sangue e singhiozzi, bestemmiando, invocando Dio.

 

Benedico e ringrazio

e maledico il mondo com’è.

 

Guardando le foto che hai lasciato qua, mi soffermo continuamente sui tuoi capelli rossi che amavo incatenare tra le mie dita. In quei momenti ringrazio il Cielo di averti fatta nascere, ma poi maledico tutto, il mondo, il Fato di averci fatte incontrare.

Lesbia, o mia Lesbia, dove ti trovi ora?

Mi senti? Nascosta in qualche vicolo buio, ascoltando i CD che ti sei portata dietro, riesci ancora ad udire la mia voce che ti implora di tornare?

Le urla mi annientano, le urla mi straziano.

Non è rimasto niente.

 

E mi domando perché ti dovrei chiamare

tutte le volte che passi e ti fermi lontano,

lontano da me.

 

Mi passo il telefono tra le mani: dovrei chiamarti? No, non devo, non otterrei niente.

Non torneresti. Vedresti una luce, avvertiresti una vibrazione, poi partirebbe la tua canzone preferita, e tu come al solito ti fermeresti lontano, inspirando profondamente e dandomi la schiena per l’ennesima volta.

Volevi fuggire da tutto, ma pensavo l’avremmo fatto insieme.

 

Sarà come sarà se sarà vero,

sarà che mi nasconderai la fine del sentiero,

però ti leggo nel pensiero.

 

Parole di poesie mai lette mi scorrono davanti agli occhi, in sottofondo quella musica malinconica che amavamo tanto. Stringo la lettera d’addio, stringo fino a sanguinare di inchiostro, ma ciò non ti riporterà indietro.

Vorrei mangiarla, così magari ti riavrei. Vorrei appartenerti. Vorrei tu appartenessi a me.

Il mio egoismo ti ha stancata, ha innalzato barriere invisibili e dure come l’acciaio.

Perché, per la prima volta nella mia vita, non sono riuscita a leggerti nel pensiero? O forse l’ho fatto, ma ho finto che non ci fosse niente di allarmante?

 

Sarà che mi vedrai nascondermi

durante il temporale

e rialzare la testa e bestemmiare

quando torna il sole.

 

Piove. Sento i tuoni distruggere la terra, spaccarla a metà. Fanno male.

Ricordi quando mi stringevi tra le braccia durante il temporale, mia Lesbia? Ricordi come mi affidavo alle tue cure? Correvo in cucina, mi nascondevo sotto il lavandino, e tu mi afferravi la mano senza dire una parola, finché la pioggia non cessava di battere, i lampi di illuminare la notte, i tuoni di battere sul mio petto.

Allora mi alzavo, affondavo la testa sulla tua felpa e respiravo l’odore da uomo che ti portavi dietro. Non ho ancora capito perché, ma era il tuo profumo, ti accompagnava da anni.

Di chi era quella felpa?

 

Sarà che inciamperò da qualche

e poi ripartirò da zero.

 

Ricominciare: è una parola strana, azzardata, non riesco a concepirla. Cosa significa “ricominciare”?

Riprendere a vivere senza di te?

Quando mai sono stata viva senza di te?

Rialzarmi da terra con tutta la determinazione che ho in corpo?

Ho dimenticato la parola “determinazione”.

Riscoprire i sapori che avevo lasciato indietro?

Nessun sapore sarà mai come quello delle tue labbra.

Mi sento pateticamente tua.

 

Ma tu davvero sai prendere il miele

e trasformarlo in pane,

davvero sai pescare un uomo

caduto nel mare.

 

Sapevi fare di tutto, tra le tue dita soffici ero cera da modellare. Mi hai salvata in molte occasioni, ma io non ero capace di salvare te; ora lo sono, torna a casa.

Ti ricoprirò di gioielli fatti di zucchero filato, costruirò uno specchio che rifletta solo i tuoi occhi chiari e comprerò il sole perché sorga solo quando ti svegli tu.

Lesbia, o mia Lesbia, dormi tra i miei seni.

Torna a farmi sorridere, cambierò.

 

Sarà come sarà, se sarà vero,

sarà come sarà.

 

Ho spalancato le finestre della nostra stanza; la luna mi sorride beffarda. Cosa vuole? Lei ha tutto, ha il firmamento, mentre io ho solo un foglio spiegazzato e piene di lacrime.

Le tue.

Mi volto a scrutare la camera: un Dylan Dog è buttato in un angolo, l’avevi comprato per me durante uno dei tuoi viaggi; ci sono i tuoi CD di De Gregori, la maglietta di Bob Marley. Le mie poesie sono attaccate al muro e, avvicinandomi, noto tracce di baci sulla carta. L’hai fatto prima di andare via? Posavi le tue labbra su loro ogni volta che non dormivamo insieme? Non me ne sono mai accorta.

D’altronde, non mi ero accorta neanche della tua tristezza.

 

Sarà come sarà e mi vedrai davvero

poco prima dell’alba,

quando il buio è più nero.

 

Aspetto.

Lo sai, non cesserò mai di farlo. Sono testarda, è la cosa che più ti faceva andare in bestia; un giorno, però, mi dissi che se non lo fossi stata non ti saresti mai innamorata di me.

Vado allo stereo, infilo il CD di De Gregori e clicco play.

La nostra canzone.

C’è malinconia nell’aria, anche un senso di nostalgia. Probabilmente, se fossero passati tre mesi ti avrei già dimenticata, ma a distanza di poche ore non posso fare a meno di sperare. E sperare. E sperare.

Lesbia, o mia Lesbia, ho tracciato la strada di casa con dei sassolini.

 

Ti leggo nel pensiero.

   
 
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