Prendo
a calci ogni ricordo di te, distruggendomi in un
amore lontano e ormai finito.
Scivolerei
volentieri via dal mio corpo, via dalle mie
paure, via da questa casa vuota.
Dove sei?
E’
una domanda che vorrei fare alle stelle: chissà se loro
saprebbero rispondermi; e invece mi ritrovo a invocare il tuo nome con
una
disperazione mista a sangue e singhiozzi, bestemmiando, invocando Dio.
Benedico e ringrazio
e maledico il mondo com’è.
Guardando
le foto che hai lasciato qua, mi soffermo
continuamente sui tuoi capelli rossi che amavo incatenare tra le mie
dita. In
quei momenti ringrazio il Cielo di averti fatta nascere, ma poi
maledico tutto,
il mondo, il Fato di averci fatte incontrare.
Lesbia, o mia Lesbia,
dove ti trovi ora?
Mi
senti? Nascosta in qualche vicolo buio, ascoltando i CD
che ti sei portata dietro, riesci ancora ad udire la mia voce che ti
implora di
tornare?
Le
urla mi annientano, le urla mi straziano.
Non
è rimasto niente.
E mi domando perché ti dovrei chiamare
tutte le volte che passi e ti fermi lontano,
lontano da me.
Mi
passo il telefono tra le mani:
dovrei chiamarti? No, non devo, non otterrei niente.
Non
torneresti. Vedresti una
luce, avvertiresti una vibrazione, poi partirebbe la tua canzone
preferita, e
tu come al solito ti fermeresti lontano, inspirando profondamente e
dandomi la
schiena per l’ennesima volta.
Volevi
fuggire da tutto, ma
pensavo l’avremmo fatto insieme.
Sarà come sarà se
sarà vero,
sarà che mi nasconderai la fine del
sentiero,
però ti leggo nel pensiero.
Parole
di poesie mai lette mi
scorrono davanti agli occhi, in sottofondo quella musica malinconica
che
amavamo tanto. Stringo la lettera d’addio, stringo fino a
sanguinare di
inchiostro, ma ciò non ti riporterà indietro.
Vorrei
mangiarla, così magari ti
riavrei. Vorrei appartenerti. Vorrei tu appartenessi a me.
Il
mio egoismo ti ha stancata, ha
innalzato barriere invisibili e dure come l’acciaio.
Perché,
per la prima volta nella
mia vita, non sono riuscita a leggerti nel pensiero? O forse
l’ho fatto, ma ho
finto che non ci fosse niente di allarmante?
Sarà che mi vedrai nascondermi
durante il temporale
e rialzare la testa e bestemmiare
quando torna il sole.
Piove.
Sento i tuoni distruggere
la terra, spaccarla a metà. Fanno male.
Ricordi
quando mi stringevi tra
le braccia durante il temporale, mia Lesbia? Ricordi come mi affidavo
alle tue
cure? Correvo in cucina, mi nascondevo sotto il lavandino, e tu mi
afferravi la
mano senza dire una parola, finché la pioggia non cessava di
battere, i lampi
di illuminare la notte, i tuoni di battere sul mio petto.
Allora
mi alzavo, affondavo la
testa sulla tua felpa e respiravo l’odore da uomo che ti
portavi dietro. Non ho
ancora capito perché, ma era il tuo profumo, ti accompagnava
da anni.
Di
chi era quella felpa?
Sarà che inciamperò da qualche
e poi ripartirò da zero.
Ricominciare:
è una parola strana, azzardata, non riesco a
concepirla. Cosa significa “ricominciare”?
Riprendere
a vivere senza di te?
Quando mai sono stata
viva senza di te?
Rialzarmi
da terra con tutta la determinazione che ho in
corpo?
Ho dimenticato la
parola “determinazione”.
Riscoprire
i sapori che avevo lasciato indietro?
Nessun sapore sarà mai
come quello delle tue labbra.
Mi
sento pateticamente tua.
Ma tu davvero sai prendere il miele
e trasformarlo in pane,
davvero sai pescare un uomo
caduto nel mare.
Sapevi
fare di tutto, tra le tue dita soffici ero cera da
modellare. Mi hai salvata in molte occasioni, ma io non ero capace di
salvare
te; ora lo sono, torna a casa.
Ti
ricoprirò di gioielli fatti di zucchero filato,
costruirò
uno specchio che rifletta solo i tuoi occhi chiari e
comprerò il sole perché
sorga solo quando ti svegli tu.
Lesbia, o mia Lesbia,
dormi tra i miei seni.
Torna
a farmi sorridere, cambierò.
Sarà come sarà, se
sarà vero,
sarà come sarà.
Ho
spalancato le finestre della nostra stanza; la luna mi
sorride beffarda. Cosa vuole? Lei ha tutto, ha il firmamento, mentre io
ho solo
un foglio spiegazzato e piene di lacrime.
Le
tue.
Mi
volto a scrutare la camera: un Dylan Dog è buttato in un
angolo, l’avevi comprato per me durante uno dei tuoi viaggi;
ci sono i tuoi CD
di De Gregori, la maglietta di Bob Marley. Le mie poesie sono attaccate
al muro
e, avvicinandomi, noto tracce di baci sulla carta. L’hai
fatto prima di andare
via? Posavi le tue labbra su loro ogni volta che non dormivamo insieme?
Non me
ne sono mai accorta.
D’altronde,
non mi ero accorta neanche della tua tristezza.
Sarà come sarà e mi vedrai
davvero
poco prima dell’alba,
quando il buio è più nero.
Aspetto.
Lo
sai, non cesserò mai di farlo. Sono testarda, è
la cosa
che più ti faceva andare in bestia; un giorno,
però, mi dissi che se non lo
fossi stata non ti saresti mai innamorata di me.
Vado
allo stereo, infilo il CD di De Gregori e clicco play.
La
nostra canzone.
C’è
malinconia nell’aria, anche un senso di nostalgia.
Probabilmente,
se fossero passati tre mesi ti avrei già dimenticata, ma a
distanza di poche
ore non posso fare a meno di sperare. E sperare. E sperare.
Lesbia, o mia Lesbia,
ho tracciato la strada di casa con dei sassolini.