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Autore: L_Fy    07/09/2011    37 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo sguardo che Veronica inchiodò su Tebaldo a quella rivelazione era così incandescente che il giovane dovette captare un’interferenza: si agitò appena nella vasca, socchiudendo gli occhi e aggrottando le belle sopracciglia distese. Qualcosa in Veronica si cristallizzò e diventò adamantino.
“Dammi alcuni minuti che organizzo il tutto.” disse al telefono con una voce secca e professionale degna dell’albo delle segretarie private.
Poi, fu tutto un susseguirsi di movimenti essenziali e decisi: chiuse la comunicazione con Bianchi; fece tra passi verso la poltrona da giardino dove Tebaldo aveva posato i vestiti, le chiavi e il cellulare; avvolse tutto in un fagotto, tranne il cellulare che tenne saldamente in mano; si avvicinò all’idromassaggio dove Tebaldo l’accolse spalancando gli occhi con studiata aria interrogativa.
“Che succede?” Veronica lasciò che chiedesse, poi senza una parola gettò il supercazzolato e costosissimo cellulare nella vasca.
“Ma sei scema!” strillò Tebaldo molto poco studiatamente mettendosi brusco a sedere.
Veronica non rispose, compresa nella sua organizzazione con piglio quasi militare.
Finito il tutto sapeva che si sarebbe presa il tempo per fare shampoo e balsamo a Tebaldo insultandolo in ben tre lingue diverse, forse si sarebbe levata anche qualche sfizio con percosse fisiche che prevedeva violente e soddisfacenti… ma non in quel momento nevralgico, quando uno tsunami di merda stava per sommergere la luccicante e aurea statua di Grimilde sottoforma di insegnante occhialuto dai boccoli biondi (con fratello palleggiatore a seguito).
Quindi, girò le spalle a Tebaldo e alle sue vivaci proteste, inspirò a fondo per caricare la voce e gridò con tutta l’incisività che riuscì a racimolare.
“Inocencia! Salvatore!”
Mentre la panciuta domestica e il dinoccolato giardiniere arrivavano in veranda correndo goffamente (correndo perché la voce di Grimilde era stata più incisiva di quella di un Generale Maggiore), Veronica si diede un’occhiata allo specchio e scrollò i capelli, facendo scivolare via lo sguardo da quella ragazza pallida e determinata.
“Senorita?” ansimò Inocencia arrivando per prima col fiatone “Que pasa? Sta male? E’ caduta dai tacchi…?”
“Ascolta bene, e non fiatare nel mezzo del discorso perché non c’è tempo: chiami Padavandra, la massaggiatrice ayurvedica, e le dici di arrivare immediatamente entrando dal retro, poi la porti subito nella mia camera. Immediatamente. Capito? Poi torni qui con un martello.”
“Martello…?” sfiatò Inocencia strabuzzando gli occhi, al che Veronica ebbe una specie di attacco epilettico.
“Ti ho detto di non fiatare! Devi dire a Padavandra di indossare una delle tue divise…”
“… la m-mia divisa, senorita?...”
“… e di spalmarsi in faccia un tubo intero di crema…”
“… tubo…?”
“… e di avvolgersi i capelli in un asciugamano, poi di sporgersi dalla finestra senza fiatare. Capito? Non. Deve. Emettere. Un. Fiato. Intesi?”
Inocencia, labbra serrate a trattenere un rosario fervidamente recitato, annuì con la testa.
“Ricapitolo: Padavandra. Retro. Divisa. Crema. Asciugamano. Finestra. Tacere. Ci sei, Inocencia?”
La cameriera sembrò rapidamente decidere che l’improvvisa malattia mentale della padrona fosse assecondabile e annuì di nuovo meno legnosamente. 
“Che aspetti allora, lo sbarco dei vichinghi? Fila a fare quello che ti ho detto. Salvatore!”
“Comandi!” scattò di riflesso il giardiniere cercando di non dare a vedere che stava pensando che la sua bella padrona stava andando decisamente fuori di cotenna.
“Tu inizia a martellare per terra.” rispose brusca Veronica, e va da sé che risultò apprezzabile l’impassibilità di Salvatore a quella folle richiesta.
“Forte o piano, signorì?”
“Forte, molto forte: devi fare un baccano d’inferno.”
“Devo battere in una qualche maniera particolare? Non so, devo… devo fingere di uccidere qualcuno o…”
“Ma che stai dicendo?” abbaiò Veronica spazientita.
“Chiedevo, signorì.” fece Salvatore compito.
 “Devi martellare e basta, come se facessi dei lavori di ristrutturazione. E non guardarmi con quella faccia, non sono andata fuori di testa e non sto per mettermi a delirare di uno sbarco alieno: voglio solo che martelli con quanta forza hai sul pavimento. Anzi, contro il muretto di contenimento del giardino, sarà più facile spiegare il danno a mio padre e rimetterlo a posto.”
Sempre che fosse uscita viva da quel bizzarro pomeriggio, aggiunse tra se e se scoraggiata; e sempre che suo padre non decidesse di internarla o di ristrutturarle la faccia a suon di sberle, finita la ristrutturazione improvvisata del giardino.
Nel mentre che Inocencia tornava diligente con un grosso martello professionale, lo sguardo febbrile di Veronica cadde su Tebaldo che, rinunciando a tentare di rianimare il cellulare natante, la fissava con gli occhi verdognoli spalancati e brillanti di curiosità.
“Tu” ringhiò Veronica trattenendosi a stendo dallo schiaffeggiare quella bella faccia impudente “Togliti quel sorrisetto dalla faccia e ricordati che ho messo sul fuoco un ferro rovente che userò per ucciderti, appena esco da questa situazione! Adesso abbi la decenza di rivestirti e di andare a fanculo il più rapidamente possibile!”
Gli girò le spalle furente mentre Tebaldo non riusciva a trattenere una risata sincera: caracollando sui tacchi, sudando freddo ma a testa alta e col viso pallido dall’espressione altezzosa, Veronica percorse il vialetto curvilineo che portava al cancello d’ingresso. Lo fece lentamente, sperando nel frattempo che alle sue spalle si organizzassero secondo i suoi ordini deliranti: un pallido barlume di speranza si accese proprio mentre apriva il cancello e contemporaneamente il secco rumore di un martello riempiva l’aria di rumori incerti. Aprì la porta piano piano, sperando fino all’ultimo in un bizzarro scherzo malriuscito… ma l’aureola bionda dei capelli di Bianchi subito al di là dello stipite le confermò la veridicità del momento. E anche la sua espressione di malcelata meraviglia aveva tutta l’aria di essere più che reale.
“Veronica?” sussurrò mentre Dante arrivava trafelato e sorridente con la fida palla sottobraccio e il sorriso più largo di quello di un coccodrillo.
Il cuore di Veronica, volente o nolente, fece una delirante serie di capriole prima che riuscisse a parlare con ragionevole fermezza.
“Ciao Paolo” disse semplicemente “Ciao Dante. Come va?”
“Ciao strega!” strillò Dante deliziato facendosi sentire da chiunque nel raggio di svariati chilometri “Hai una casa grandissimissima!”
Stava per aggiungere qualcosa di altrettanto entusiastico quando lo sguardo gli cadde sul petto di Veronica e la sua espressione cambiò immediatamente.
“Oooooh” disse roteando drammaticamente gli occhi “Pà, le si vedono ancora le po… ah, è vero che non devo parlarne!”
“Ecco, bravo.” si rannuvolò Paolo già agitato, ma Dante ormai era partito per la tangente.
“Però allora Pà avevi ragione a dire che Veronica le poppe le fa vedere sempre…”
Veronica sobbalzò e Paolo arrossì furiosamente.
“Io non ho affatto detto questo” si affettò a spiegare ritornando immediatamente nel suo ruolo di sfortunato balbuziente “Io ho detto che Veronica veste sempre alla moda come l’altro giorno a casa nostra…”
“… con le camicie trasparenti che le si vedono le po… ehm, i meloni. Posso dire meloni, vero Pà? Sono una verdura, quindi non è una parola sporca… come dire cavolo invece di cazzo!”
“Dante…?” sfiatò Paolo sconfitto.
“Credo di aver capito che non ti piacciono le mie camicie.” si interessò Veronica rivolgendosi a Dante quasi con simpatia: stava cercando di perdere tempo per permettere a Padavandra di entrare nella parte di Gladi e persino parlare delle proprie poppe le sembrava un argomento utile allo scopo. Pardon, dei propri meloni.
“Oh no, a me piacciono tanto le tue camicie!” si addolorò Dante “Tu mi piaci sempre tutta, per me sei tanto bellissima. Non te l’ho già detto?”
Veronica non poté fare a meno di sorridere dolcemente e Paolo dovette sbattere gli occhi come se lei l’avesse abbagliato.
“Si, me l’avevi già detto. Sei tanto caro e dolce, Dante.”
“Lo so” rispose Dante soddisfatto “Me lo dicono tutte. Entriamo?”
Non aspettò risposta e quasi scalzò Veronica dalla sua posizione di vedetta trottando oltre il cancello con estrema sicurezza: Paolo invece le tentennò accanto, aspettando cortesemente il suo permesso.
“Non è che disturbiamo…?” mormorò a occhi bassi.
Adesso ti vengono gli scrupoli, pensò Veronica stizzita: ma la Gladi dentro di lei parlò quasi tubando come una colomba.
“Oh no, nessun disturbo! Vieni dentro.”
Paolo ubbidì e Veronica chiuse il cancello a malincuore: seguì lentamente Paolo verso l’ampia veranda senza avere il coraggio di alzare gli occhi da terra, con l’unico conforto del rumore ritmico del martello in cupo avvicinamento.
Arrivati sulla veranda, cadde un imbarazzato silenzio: col cuore in gola, Veronica si aspettava di tutto, da una nuova filippica sulle sue poppe da parte di Dante a uno scoppio d’ira di Paolo davanti a quella evidente pagliacciata. In effetti, la scena poteva risultare decisamente bizzarra, si accorse quando riuscì a sollevare gli occhi da terra: Salvatore, con la tuta blu da giardiniere tutta sporca d’erba, martellava allegramente il muretto di contenimento del giardino osservato con vivido interesse da Paolo, che appariva quantomeno perplesso; Dante, la fida palla sottobraccio, era invece fermo davanti all’idromassaggio e fissava a bocca spalancata Tebaldo, che era immerso nell’acqua borbottante tranquillo e beato come se fosse in una beauty farm.
“Benvenuti Bianchie  socio.” gorgogliò bello rilassato; vedendo che il perfido cugino non si era defilato ma anzi sembrava più che mai intenzionato a restare e romperle le uova nel paniere, Veronica si inalberò.
“Tebaldo” sibilò tra i denti “Puoi gentilmente finire le tue abluzioni termali e tornare a casa TUA, per favore?”
Dante si riscosse al suono della sua voce e spostò il suo sguardo rapito e affascinato da Tebaldo a Veronica.
“Aldo come Aldo Giovanni e Giacomo? Forte! Sembra Ve-honica da maschio, è suo gemello?”
“Ci mancherebbe solo questo.” ringhiò Veronica aggressiva mentre Paolo iniziava a stare sulle spine conoscendo quello che il suo ingenuo fratello poteva scatenare.
“E’ un suo parente” si affrettò a rispondere mentre Tebaldo, sorrisetto ironico sulle labbra, si alzava di nuovo lentamente e usciva dall’acqua con estrema nonchalance “E si chiama Tebaldo, non Aldo.”
 “Piacere di conoscerti.” disse Tebaldo a Dante con un sorriso gentile, così poco tebaldesco che Paolo lo fissò trasecolato.
Dante invece annuì saggiamente e Veronica pregò che avesse finito i commenti imbarazzanti.
“A voi di famiglia piace stare nudi.” sentenziò invece lui frantumando le sue speranze.
“A me indubbiamente” rispose Tebaldo amabile “Perché a chi altri piace?”
“Dante…” iniziò Paolo allarmato, ma il fratello era già partito in quarta.
“A Ve-honica! Vedi al sua camicia? Ne ha tantissimissime così, è la moda dice Pà, e Ve-honica è moltissimo alla moda. Ma si vedono un po’ le po… i mel… il petto! Le si vede un po’ il petto, no?”
Lo sguardo divertito di Tebaldo, a braccetto col fido sopracciglio alzato, si posò per un attimo su Veronica e la sua impudica camicetta: fu rapidissimo, ma lo stesso lei si sentì letteralmente andare a fuoco.
“Hai ragione” confidò poi Tebaldo cortesemente tornando a guardare Dante con simpatia “Ma non abbastanza, almeno per i miei gusti.”
“E’ che è timida” spiegò Dante mentre Paolo, basito, si portava una mano alla fronte come se stesse per avere un mancamento “Io non posso parlare delle sue poppe perché non è educato e poi Ve-honica ci sta male. Anche se dico meloni invece di poppe ci sta male uguale, secondo me… quindi non ne parlo, ma ha delle poppe proprio belle e fa bene a vestirsi alla moda.”
“Sei un giovanotto davvero saggio, Dante.” sentenziò Tebaldo ammirato, ma il giovane era già distratto da un’altra cosa.
“Che fa quello?” chiese puntando il dito verso Salvatore che, benché continuasse a martellare con costanza e determinazione, si stava palesemente ponendo la stessa domanda, a giudicare dall’espressione dubbiosa del suo viso.
Tebaldo, con un sorrisetto da sberle, fissò Veronica in attesa della sua risposta, gli occhi verdastri e curiosi ben spalancati.
“Ehm” gorgogliò Veronica arrossendo suo malgrado “Ecco, cof!, come vedete noi stiamo, uhm, facendo dei lavori di ristrutturazione…”
“Già” le venne in aiuto Paolo vagamente dubbioso “Problemi col giardino?”
“Sì” raccolse il suggerimento Veronica con gratitudine “Il muretto deve essere, uhm, rifatto perché, ah, i mattoni che avevano usato non erano, uhm, ecologici…”
“E tu, caro Bianchi, sai di certo quanto sia appassionatamente devota alla salvaguardia dell’ambiente la nostra bella Veronica” aggiunse Tebaldo, quasi credibilmente angelico “L’ha contagiata quella santa donna di Gladi, sai.”
“Oh, Gladi” si illuminò Paolo mentre Veronica lanciava uno sguardo decisamente omicida al perfido cugino che si limitò a sbattere le ciglia maliziosamente “Posso… potrei salutarla? Mi farebbe molto piacere.”
A Veronica sembrò di avere improvvisamente una pressione di svariate atmosfere sulle spalle.
“In realtà c’è un problema” disse dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio “Vedi, Gladi è… non è…qui… in questo momento…”
“Davvero?” chiese Paolo improvvisamente freddo e sospettoso “Eppure al telefono mi ha detto che era qui. Proprio davanti a te, fino a qualche minuto fa.”
“L’ha proprio detto, l’ho sentita io.” lo spalleggiò Tebaldo serio mentre alle loro spalle Salvatore e Dante iniziavano a parlare tranquillamente di graminacee e bulbi di tulipani.
“Già, tu senti un sacco di cose interessanti, vero caro cugino?” si infuriò segretamente Veronica: aveva una tale voglia di schiaffeggiare Tebaldo con quanta forza aveva che le prudevano le mani “Tuttavia non mi è facile spiegare a  Paolo certe cose.”
“Se vuoi posso darti una mano” si offrì Tebaldo generosamente “Non ci metto niente a dire a Paolo la verità su Gladi.”
“Perché, che è successo a Gladi?” si informò Paolo sempre più sospettoso.
Inspirando per placare il furioso istinto omicida che le saliva alla testa, Veronica gli rivolse un sorriso mesto.
“Ecco, vedi, eh… è che Gladi ha un problema… di salute…”
“E’ malata? Sta male? Non mi sembrava affatto, dalla voce.”
“Beh, non è che sia propriamente malata… lei… soffre di una temporanea malattia…”
“Si, me lo aveva detto. Una malattia della pelle, se non sbaglio, ma stava guarendo.”
Se n’era ricordato! Veronica quasi sospirò di sollievo e ripartì con voce più sicura.
“Beh, si sembrava così ma poi ha avuto una ricaduta. Una grave ricaduta. Il suo viso è… come dire…”
“Zeppo di bubboni come il cratere dell’Etna” si intromise Tebaldo con aria estremamente dispiaciuta “Sì Veronica, inutile girarci intorno, a Paolo questa cosa andava detta. La povera Gladi attualmente ha la faccia come una pizza farcita, piena di vesciche purulente…”
“Credo che il concetto sia chiaro anche se la pianti qui, Tebaldo.” sferzò Veronica furiosa.
“Hai ragione Veronica, ma davvero non mi capacito di come il viso di quella ragazza così bella e solare sia diventato di colpo un’accozzaglia di orribili tumescenze giallastre… Credi a me, Paolo, stare in pubblico è una situazione decisamente sgradevole e imbarazzante per lei. Soprattutto con te,  ti ha preso in così grande e affettuosa simpatia.”
“Oh” si limitò a dire Paolo con aria dubbiosa “Beh, in questo caso immagino che…”
“Ma sono sicuro che anche Gladi, pur nelle sue avverse condizioni, sarebbe più che felice di darti un saluto. Quindi, perché non la chiamiamo fuori?” lo interruppe Tebaldo pieno di magnanime intenzioni.
“Non è affatto il caso.” ringhiò Veronica affilando tra sé e sé i trecento coltelli con cui avrebbe trafitto il cugino appena finita quella conversazione.
“Ma sì che lo è! Avanti, chiamiamola fuori per un minuto solo, ti va? Gladi!”
Silenzio: Salvatore smise di parlare con Dante per guardare Tebaldo con aria vagamente sconcertata senza comunque profferire il minimo verbo. Veronica trattenne il fiato mordendosi il labbro, la tensione che le spingeva il cuore dritto in gola.
“Gladiiii! Andiamo, vieni fuori solo un secondo, Paolo ti vuole salutare!”
Un lieve rumore fece alzare a tutti la testa: la porta a vetri dello spettacolare balcone che dominava la veranda, a cui si accedeva dalla camera da letto di Veronica, si aprì di un piccolo spiraglio e la testa di Inocencia sbucò fuori quasi timidamente.
“Senor…? Ha chiamato…?” chiese con palese incertezza.
Tebaldo, ancora mezzo nudo ma a suo agio come se fosse in tuta da ginnastica, salutò con la mano per attirare la sua attenzione.
“Inocencia, puoi dire a Gladi di venire fuori un attimo? Inocencia è la domestica di Veronica: una così devota e affezionata persona, è come una madre per Gladi.”
“Senorita…?” ripeté Inocencia cercando con lo sguardo Veronica in cerca di approvazione “Cosa devo fare…?”
Veronica, costretta a stare al gioco, stava ruminando livore fino a farsi venire il mal di stomaco, ma si costrinse a rimanere impassibile.  
“Hai sentito Tebaldo” rispose quindi in tono monocorde “Puoi dire a Gladi di uscire un attimo? Non la disturberemo per più di qualche secondo.”
“Ha detto… Gladi, senorita?”
“Ho proprio detto così, Inocencia. Gladi, la persona che è lì con te con il viso pieno di crema…”
“Veronica ha chiesto alla povera Gladi di lavorare anche in quelle condizioni spietate” spiegò Tebaldo a Paolo “Può sembrare crudele, ma in fondo a Gladi fa bene distrarsi anche se deve soffrire enormemente. Lo fa volentieri perché Veronica non può proprio fare a meno di lei.”
“Oh.” ripeté Paolo con palese rimprovero, ma venne subito distratto da una figura che comparve timidamente sul balcone.
Aveva il viso ricoperto da uno spesso strato di crema, i capelli nascosti da un asciugamano e un ampio camice da cameriera che le cadeva da tutte le parti. Nonostante la bardatura, era piuttosto evidente il colorito scuro della pelle delle braccia e Veronica deglutì a vuoto notando l’aria sconcertata di Paolo mentre i suoi occhi azzurri si alzavano verso la presunta segretaria.
“Che meravigliosa abbronzatura che esibisce la nostra deliziosa segretaria.” commentò allegramente Tebaldo salutando con la mano: mentre Gladi alzava una mano incerta se rispondere o no al saluto, Veronica riuscì a rifilare un doloroso pizzicotto al fianco del cugino mentre Paolo, a naso in su, alzava a sua volta la mano per salutare.
“Sai benissimo che la povera Gladi deve fare milioni di lampade abbronzanti per il suo problema alla pelle.” si inventò poi li per li con estrema disinvoltura: stava diventando una vera fuoriclasse nel raccontare panzane stratosferiche ma si chiedeva come facesse il povero Bianchi a bersele ancora tutte.
“La verità è che la madre di Gladi è africana” confidò Tebaldo a Paolo “Veronica, devi smetterla di trovare sconveniente avere un’etnia diversa dalla tua… se non ti volessi così bene, penserei quasi che sei razzista!”
Se avesse avuto in mano un’arma, una qualsiasi fossero anche stati i bastoncini cinesi per mangiare il riso, Veronica a quel punto avrebbe sicuramente aggredito Tebaldo: venne distratta dalla voce di Bianchi.
“Ciao Gladi! Io sono… Paolo.”
“E io sono Dante!” cinguettò il fratello sorridendo verso l’alto “Ehi, perché hai la faccia tutta incremata? E l’asciugamano in testa? E quel vestito che ti sta tutto largo?”
Gladi, immobile sul balcone, fissava prima Paolo e poi Dante come se fossero stati due orche assassine con le fauci spalancate pronte a inghiottirla viva. Veronica ebbe un fugace attimo di compassione verso la povera Padavandra… e verso se stessa, che dopo quell’esperienza non avrebbe di sicuro più potuto usufruire dei suoi preziosi massaggi ayurvedici.
“Gladi sta sperimentando una nuova cura” intervenne con voce suadente “Non credo che abbia voglia di parlare in questo momento. Puoi rientrare Gladi… e vai pure a casa, l’autista ti riaccompagnerà volentieri… grazie!”
Nemmeno aveva finito che Gladi era sparita, quasi lasciando dietro di sé la nuvoletta di polvere come i cartoni animati: Veronica tirò un segreto respiro di sollievo. Le sembrava un autentico miracolo aver portato a termine quella pagliacciata senza scoperchiare l’intero calderone.
“E a te sembrai il caso di farla lavorare in queste condizioni?” le chiese Paolo con voce molto fredda, confermando che il calderone era ancora abbondantemente a rischio di scoperchiatura.
“Gladi ama il suo lavoro” riassunse Veronica segretamente offesa e avvilita “Ora se non vi dispiace, potremmo fare quella benedetta lezione? Perché sei venuto per quello, vero Bianchi? Non per controllare le condizioni di lavoro dei miei dipendenti.”
Era stata volutamente antipatica e lo sguardo ostile che le lanciò Paolo le confermò che aveva centrato il bersaglio: la Gladi che cresceva in lei però pianse lacrime amare per quel repentino cambiamento. Tebaldo invece sembrava un gatto che aveva appena ingoiato un grasso canarino e Veronica lo odiò con tutte le sue forze.
“Dove possiamo appostarci per la lezione?” chiese Paolo formale.
“Dentro. Ma Dante?”
“Al caro consanguineo penso io” rispose prontamente Tebaldo, lasciando di sasso Paolo e Veronica “Ti va una coca cola, giovanotto?”
“Non può bere Coca cola” si risvegliò Paolo immediatamente, benché stesse ancora palesemente riavendosi dalla sorpresa “Cioè, grazie per l’offerta, se hai un succo di frutta o un’aranciata, magari…”
“Dovrebbe esserci tutto. Vieni con me? Ti porto a vedere Sancho e Byron, se tuo fratello approva, naturalmente.”
“Si!” si illuminò Dante prevenendo le proteste di Paolo “Sancho! Ma chi è Baion?”
“Te lo spiego strada facendo.”
“Ma… tu vieni così nudo?”
“L’hai detto tu che a noi della Torre piace stare nudi, no? Beh, avevi perfettamente ragione.”
“Si, rimani nudo” ringhiò Veronica a labbra strette “Così potrebbe venirti un malore o, se siamo davvero fortunati, una pleurite fulminante.”
“Ti ricordo che la tempra fisica e morale dei della Torre è proverbiale” replicò Tebaldo di ottimo umore “Vieni Dante: voi due pervertiti siete pregati di non guardarci il sedere mentre ce ne andiamo.”
Naturalmente glielo guardarono entrambi, Paolo con imbarazzo e Veronica con puro odio: girò a sua volta le spalle stizzita, rimandando a breve il compito di torturare a lungo e dolorosamente il cugino, terminata la spinosa lezione con il di nuovo distante e remoto Bianchi.
*          *          *
Fu una lezione tutto sommato sopportabile: il giardino era quieto, finito il martellare inquietante di Salvatore, la temperatura gradevole e la solitudine una vera e propria manna dal cielo. Villa Scarlini era un luogo senz’altro più adatto di casa Bianchi per studiare: dopo i trascorsi delle ore prima Inocencia si sarebbe lasciata bruciare viva piuttosto che disturbarli, e anche se le visite moleste di nonna Adalgisa risultavano tutto sommato divertenti, la quiete risultava sicuramente più propedeutica allo studio. Ogni tanto in lontananza Veronica sentiva abbaiare o uno scoppio di risa o i rumori attutiti della palla di Dante: e la voce di Tebaldo, divertita ma per una volta scevra dalla solita grondante ironia. Veronica si trovò più volte ad allungare l’orecchio per cercare di carpire qualche parola, un po’ per timore di quello che Tebaldo poteva tramare nell’ombra per minare i suoi già traballanti piani, un po’ perché sembrava che quei due in fondo si stessero divertendo e non le sarebbe dispiaciuto trovarsi là.
Bianchi era estremamente cortese, calmo, professionale ma anche evidentemente freddo. I piccoli, timidi passi che Veronica aveva fatto nella sua direzione sembravano di colpo insignificanti di fronte al deserto che si estendeva tra loro in quel momento. Colpa di Gladi, pensò Veronica con rabbia repressa: anche senza profferire una parola, anche se conciata come una profuga afgana, anche se apparentemente purulenta, Gladi riusciva a scavalcarla nell’immaginario di Bianchi e questo Veronica proprio non riusciva a digerirlo!  
“Va bene, che succede?” sentenziò a un certo punto, nel bel mezzo di un complicato esercizio sulla rifrazione della luce.
Bianchi alzò lo sguardo celeste e sorpreso su di lei e incontrò una Veronica troppo seria e determinata per fingere che non ci fosse niente di strano.
“Succede che a volte non riesco a sopportarlo.” rispose quindi pacato, gettando la biro sul libro e incrociando le braccia.
Ma quella volta Veronica era troppo esasperata per demoralizzarsi.
“Che cosa non riusciresti a sopportare, di grazia?”
“Il tuo snobismo esagerato. Anzi, il vostro snobismo esagerato: tuo e di quel gioiello di tuo cugino.”
“Togliendo Tebaldo, che fa storia a sé e al momento preferirei avere legami di parentela con un branco di foche monache piuttosto che con lui: spiegami dove avrei dato prova di snobismo.”
“Dovunque!” sbottò Paolo arrossendo leggermente “E’ per come tratti il personale, come tratti gli ospiti, persino come tratti Tebaldo! Tu… sei…”
Veronica, per un meraviglioso, esaltante, liberatorio momento, ci vide rosso: si alzò di scatto in piedi facendo ribaltare la sedia di pelle con un tonfo attutito e si sporse furiosamente verso Paolo appoggiandosi con le braccia rigide al tavolo.
“Cos’è che sarei, sentiamo! Privilegiata? Sì, lo sono, grazie al cielo! Perché dovrei vergognarmene e fingere di non esserlo?”
“Ma Tebaldo…”
“Tebaldo! Sono fin troppo educata e cortese nei confronti di quello stronzo! E i miei dipendenti sono miei dipendenti, non sono miei amici e non voglio essere così ipocrita da fingere con loro qualcosa di diverso! E per quanto riguarda te… tu sei…”
“Un tuo dipendente?” ruggì Paolo alzandosi in piedi a sua volta con la faccia corrucciata, senza però ribaltare la sedia “Avanti, dimmi anche questa, Grimilde!”
Veronica, in quel microsecondo mentre riprendeva fiato, immaginava con relativa sicurezza di proseguire il diverbio con toni sempre più accesi; ma aveva fatto i conti senza il suo alter ego segreto, la piccola e indomita Gladi. La quale, con un guizzo inaspettato, prese il sopravvento e invece di vomitare addosso a Bianchi taglienti e grimildeschi improperi, allungò di slancio il viso verso di lui e lo baciò sulle labbra. Si aspettava così tanto di essere respinta che quando Bianchi le prese il viso tra le mani per attirarla a sé, si sbilanciò e gli finì addosso.
Crollarono sulla sedia che miracolosamente non si ribaltò trasformando quel momento da surreale a ridicolo: così, per un secondo sospeso, Veronica e Paolo si baciarono sul serio, con le labbra e gli occhi socchiusi.
Aveva labbra morbidissime, fu il primo pensiero che tagliò come una lama la stupefatta sorpresa che aveva congelato Veronica sul posto. E sapeva di buono, di dolci fatti in casa e di frutta fresca, e… stava ricambiando il suo bacio. Lo stava ricambiando sul serio.
Prima che quel pensiero terminasse la sua parabola luminosa nel cervello, si erano già staccati, Veronica ritta in piedi immobile e Bianchi seduto sulla sedia, col viso rivolto verso lei.
“Bene.” disse qualcuno con voce estremamente impersonale: sorpresa, Veronica si accorse che quel suono era uscito dalla sua bocca senza nessun input da parte del cervello.
Sono sicuramente posseduta, ridacchiò istericamente tra sé e sé mentre Bianchi rimaneva a fissarla con gli occhioni blu spalancati, così grandi che poteva quasi tuffarcisi dentro.
D’un tratto, in chiaro avvicinamento, Sancho abbaiò e Dante rise: a quel suono Paolo sobbalzò, sbatté le ciglia e sembrò svegliarsi da un breve sonnellino.
“Ok” disse distogliendo lo sguardo e sistemandosi occhiali, colletto della camicia e capelli “Bene, allora per oggi a lezione è… finita?”
“Certo.” rispose Veronica con sicurezza: dal prato sbucò la goffa e irsuta figura di un cane intento in una corsa impazzita, seguito da Dante, allegro e ridente, e da Tebaldo, ancora scandalosamente svestito e a suo agio.
Arrivarono vicini mentre Paolo riordinava i libri e Veronica era ancora intensamente intenta a non svenire come una pera matura.
“Pà, Sancho sta bene!” strillò Dante quando arrivò a tiro di timpani “Ha un recinto grandissimissimo, una cuccia a baldacchino e un moroso! Oh, un moroso maschio, eh? Come il cognato di zia Luciana, quello che non si può dire che ha il moroso ma ce l’ha… solo che quello di Sancho è un cane! Devi vedere che roba!”
Mentre Paolo reagiva con un pallido sorriso, Tebaldo girò uno sguardo sospettoso da lui a Veronica e viceversa.
“Che succede?” chiese piuttosto bruscamente.
“Niente.” risposero immediatamente in coro Veronica e Paolo.
Lo sguardo verdognolo di Tebaldo diventò indecifrabile mentre arricciava il naso arrogante.
“Davvero” commentò con voce strascicata “Eppure io sento puzza di bruciato. Di fulminato, per la precisione.”
“Io non sento niente” sentenziò Dante interessato “Hai acceso la griglia, Ve-honica? Perché noi la sappiamo fare la griglia, sai? Potresti chiederci ci rimanere a cena, a noi piacciono un sacco le salsicce e le costine!!”
“Non ne dubito, ma stasera non è possibile.” tagliò corto Veronica: quel giorno era già stato saturo di avvenimenti anche senza metterci in mezzo altro.
“Dante, andiamo.” borbottò Paolo prima che il fratello protestasse: marciò via mormorando saluti sconnessi senza alzare gli occhi da terra, trascinando Dante per un braccio con decisione.
“Ciao, ciao Aldo, ciao Ve-honica, ciao Sancho!” salutò Dante con un sorriso smagliante “Torno presto e facciamo una grigliata, eh? E beviamo anche la coca cola! Attento alla polmonite Aldo! Ciao! Ciao!”
Veronica salutò incerta con la mano mentre Paolo nemmeno girò le spalle, ignorando completamente Sancho che latrò oltraggiato finché i due non uscirono dal cancello.
Per qualche frazione di secondo, Veronica pensò che quel devastante pomeriggio era finalmente finito finché non incrociò gli occhi sospettosi di Tebaldo.
“Allora, mi vuoi dire che diavolo è successo con Bianchi?” ordinò perentorio, e Veronica sospirò, apprestandosi a una nuova, sanguinosa battaglia.
  
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