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Autore: SFLind    07/09/2011    1 recensioni
VECCHIO TITOLO: La Terra ha le dimensioni di Cuba
Una trentina di persone, amici e non, conoscenti e non, con i loro problemi, i loro mestieri e le loro ragioni, storie, tante storie diverse intrecciate (per caso) tra loro. Chi per scelta, chi per un caso fortuito, chi per errore, condivideranno un periodo della loro vita con persone che mai si sarebbero aspettate di incontrare. Si conosceranno nuovi intrighi, mentre vecchi elemosineranno chiarimenti. Tra notti di fuoco e altre in cui si pianificherà di appiccarlo, una cosa è certa, ciò che accadrà , non lo scorderanno facilmente.
FrUK; GerIta, UsUK; Germancest; Spamano; Bad Trio; Nordic5; SuFin; PruAus; TurEgi; RuLat; Rochu; LietPol; Asian Countries e tanti(issimi) altri..
Vi prego di leggere e commentare, grazie :) Mi farebbe piacere!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6 – Il capitolo degli invitati;
 
 
4 Luglio;
Era mattina a New York City. Il sole splendeva dietro gli immensi vetri, ornati da tende che qualcuno si era già preoccupato di aprire.
La luce entrava accecante, illuminando l’intera camera.
Il disordine che aveva abbandonato su pavimento e mobili la notte prima si era dissolto nel nulla.
 
E’ stato veloce…” costatò.
 
Un dolce profumo di cialde entrava dalla porta socchiusa, contribuendo a decorare la stanza moderna con un tocco di romanticismo.
 
Devo ammettere che a volte si rende utile” pensò allegramente, lasciando che uno spontaneo sorriso facesse involontariamente brillare i suoi denti ben sbiancati.
 
Udì dei passi farsi più vicini e vide la porta spalancarsi piano.
Vi fece capolino un ragazzo dai lunghi capelli color miele e dai tondi occhiali da lettura, dietro ai quali si celavano due occhi dalla tonalità che aveva sempre definito strana.
Con sé aveva un vassoio di plastica nero.
L’aroma del caffè caldo e l’odore mieloso dello sciroppo d’acero penetrarono nei suoi polmoni quasi con violenza.
 
- Buon compleanno, Al! –
Sorrise.
Un sorriso così dolce e inutilmente sprecato.
 
Certamente, per lui lo era.
 
Ma no, aveva già deciso. Oggi si sarebbe sforzato.
Aveva deciso che oggi, almeno oggi, sarebbe stato grato per tutto.
 
- Grazie fratello –
Sfoggiò la smorfia più dolce di cui fosse capace.
 
L’altro lo guardò torvo.
 
- Al… perché fai quella faccia? –
 
- Che c’è? Non posso essere felice nemmeno il giorno del mio compleanno? –
 
Il ragazzo si avvicinò, poggiando il vassoio sul letto.
 
- Non è quello… Semplicemente non è una faccia che ti si addice –
 
“Perfetto…”.
 
Allungò la mano sinistra per prendere la tazza della scura bevanda fumante.
Ne bevve un sorso.
 
- Beh, allora qual è la faccia che mi si addice? – chiese mentre metteva due cucchiaini di zucchero nel caffè.
 
Il fratello sembrò pensarci su.
 
- Non saprei… Quella che hai di solito – disse con aria vaga.
 
- …ma sei scemo o cosa? –
 
Tutto ciò che ricevette fu un occhiata offesa.
Sospirò.
 
- Non mi pare di andare in giro con una faccia poco felice –
 
- Infatti il punto non è che fosse una smorfia felice o  meno, è che nessuno ti prenderebbe sul serio.. Tanto meno io che sono tuo fratello –
Si sedette sul bordo del materasso.
 
- Già, già Math – fece un segno di non curanza con la mano libera – ma non hai risposto alla mia domanda. Che faccia ho di solito? –
 
Come sono arrivato a fare una domanda del genere proprio a Matthew?”.
 
- Beh, vediamo… -
Si prese il mento tra le dita, pensieroso.
- Questa è più o meno l’espressione che ti vedo di solito sulla faccia.. –
Tirò gli occhiali sulla punta del naso e il suo viso esplose in un largo sorriso idiota a trentasei denti. Gli occhi chiusi e stretti con forza scomposta.
 
- Ma davvero… – commentò acido.
Poggiò uno mano sulla sua spalla.
Il ragazzo accovacciato sul bordo del letto fece appena in tempo ad aprire gli occhi bluacei che una leggera pressione lo spinse all’indietro, facendolo rotolare a terra.
Mentre questo lo insultava in tutte le lingue di cui aveva conoscenza, Alfred riportò la sua attenzione sull’invitante colazione.
Beveva il suo lungo caffè pregustando già il momento in cui avrebbe azzannato i pancakes sciroppati.
 
Matthew tornò a sedere sul letto. Aveva un’espressione contrariata, i capelli in disordine.
Prese in mano il piatto che aveva preparato e impugnò la forchetta.
 
Alfred smise di bere per lanciargli uno sguardo ripugnato.
 
- Pensavo che quelle fossero per me – disse.
 
Il fratellino, con fare rassegnato, rimise il piatto sul letto. Quasi si fosse aspettato una frase del genere.
 
Sforzati con il tuo fratellino, solo oggi..”.
 
- Guarda che se le vuoi, puoi averne un po’.. –
 
Matthew lo fissò per un momento.
Era forse sorpreso?
 
- No.. Oggi è il tuo compleanno, io ne mangio fin troppe – disse.
 
- Già… -
 
Per un momento invidiò l’abilità che aveva suo fratello nel cucinare.
Lui non era mai stato molto portato. Non era il tipo capace di apprezzare le delicatesse della vera cucina. Aveva sempre preferito le schifezze e tutto ciò che fosse veloce da ingurgitare.
 
- E’ proprio bella questa casa – commentò Matthew guardandosi intorno – non sarà grande ma è davvero bella.. E pensare che ci hai messo tanto per finire la progettazione –
 
Per poco non si strozzò col caffè.
 
- Ah già.. La progettazione.. – tossì, battendosi un pugno sul petto.
 
- Quando ti sei trasferito? –
 
Aveva temuto quella domanda, ma ormai…
 
- Cinque mesi fa –
 
Il ragazzo fece due calcoli con le dita.
 
Direi che la matematica non fa per lui..”.
 
Poi sbottò.
- Cosa?! Fino a due settimane fa hai detto a mamma che la casa era inagibile per lavori! –
 
- Infatti tu sei il primo a vederla.. – disse pensando ad una scusa da inventarsi per non ammettere di aver mentito solo per non ritrovarseli a casa.
 
- Perché tutta questa segretezza? –
 
I due motivi più validi erano stampati nella sua testa.
 
- Avevo le mie ragioni – disse.
 
Un anno prima aveva iniziato a studiare legge all’università di New York.
Pensava che sarebbe diventato giudice un giorno, ma con i contatti di cui era entrato in possesso la via della politica gli era sembrata ben spianata, breve e fruttuosa.
Nonostante non avesse ancora finito gli studi, era entrato nel giro.
Uomini importanti lo invitavano alle loro feste e gli parlavano dei loro programmi.
Lui aiutava come poteva.
Semplicemente, si era accorto troppo tardi che tra i pesci grossi che frequentava ci fossero anche degli squali. Si era accorto troppo tardi di essere entrato nel mirino, di essere il bersaglio.
Adesso aveva due pezzi grossi della mafia a controllare ogni sua mossa.
Erano chiamati gli Antichi. Loro erano le radici, coloro da cui dipendeva tutto. Un italiano ed un tedesco, in attesa di un suo passo falso.
Un pensiero che lo angosciava.
Ma grazie alle sue conoscenze in fatto di legge, era riuscito a tirarsi fuori il più possibile.
Doveva tenerli buoni ancora un po’ e non fare cazzate.
 
Semplice..
 
- Ho i miei problemi – concluse.
Non avrebbe detto una parola di più in proposito.
- Tu invece? Hai quasi diciannove anni fratello.. Pensi di continuare a vivere con mamma per sempre? -
Per un momento temette che gli avrebbe infilzato la forchetta nella mano.
Lo guardava con occhi incandescenti.
 
- Veramente – scandì, fissandolo diritto negli occhi azzurri – ho affittato un monolocale a Vancouver –
 
- Vancouver?! – scoppiò a ridere – In Canada?! Bella merda! –
Si stava sganasciando dalle risate.
- Non hai proprio stile Math! Vieni a vivere con me qui a NYC a questo punto! –
 
Il ragazzo dal viso dolce, sorrise.
 
- A dire il vero, l’ho scelto proprio per stare il più lontano possibile da te –
Sorrideva senza ritegno.
 
Coglione.. questa me la segno”.
 
- Forse averti trattato da schifo per diciotto anni ha finalmente dato i suoi frutti – ammise.
 
- Già, un sentimento di profondo fastidio mi sale dallo stomaco ogni volta che sento quella tua risata idiota –
 
2 a 0 per il canadese..”.
 
- Fanculo! Comunque, devo ammettere che sembri meno sfigato di come ti ricordavo –
 
L’altro si sistemò gli occhiali sul naso con non-chalance.
 
Alfred prese la pallina da baseball che aveva sul comodino accanto al letto.
La lanciò dritto contro il fratello.
 
Si sforzò di schivarla, ma come d’abitudine lo colpì dritto in faccia.
 
- Ok, no, mi rimangio tutto – riprese in mano il suo caffè – non sei cambiato affatto –
Abbassò la testa, schivando la palla che era arrivata a tutta velocità contro di lui.
- Lento –
 
Il fratello avrebbe voluto piangere.
 
 
*
 
 
- Chi ci sarà stasera? – chiese Matthew, stiracchiandosi sul divano.
 
Alfred infilava una T-shirt dalla testa.
- Beh, un bel po’ di gente… - biascicò – quelli di cui ho ricevuto conferma sono Ivan, Yao, Heracles, Gupta.. – mise fuori la testa dal collo della maglietta.
 
- Il regista egiziano? –
 
- Esattamente, poi verranno Carriedo e famiglia…-
 
- Famiglia? –
 
- Nel senso che mi ha avvisato si porterà dietro il manager e la ragazza –
 
- Manager?! Ma che razza di gente hai invitato?! –
 
- Non è niente di speciale.. L’attore e il manager sono inseparabili e tutta la sua vita gira intorno a questa “Lovi” di cui parlava tanto al telefono –
 
I due si scambiarono uno sguardo perplesso.
 
- Ho invitato anche i due Kirkland.. – sussurrò poi, quasi non fosse importante che quella notizia si sapesse.
 
Matthew sbatté le palpebre sorpreso.
 
- Verranno? –
 
- Non ne ho idea.. Credo che se Arthur avesse qualcosa in contrario, impedirebbe anche al fratello di venire –
 
- La cosa non sembra turbarti più di tanto.. – commentò l’altro, con un tono di chi si aspetta una spiegazione.
 
Alfred sembrò pensarci su seriamente mentre, vestito, sedeva sulla poltrona accanto al divano.
- Sinceramente non saprei.. – iniziò – ovviamente il non avere il rancore di Arthur a gravarmi addosso per tutta la serata sarebbe una seccatura in meno, ma mi dispiacerebbe se il piccolino di famiglia non dovesse venire, mi è tanto simpatico e gli avevo promesso che gli avrei fatto provare il mio nuovo videogioco – sorrise sovrappensiero.
- E poi.. – riprese, concedendosi una pausa per organizzare le parole.
- Voglio che la situazione con Arthur si risolva.. E’ stato un amico troppo caro in passato –
 
-Io non lo conosco come invece lo consoci tu, nemmeno lontanamente, ma è così orgoglioso che, mi dispiace per te, dubito lascerà correre –
 
- Per quel che può valere, a me questa situazione spiace –
 
Poi il fratello sembrò essere sul punto di dire qualcosa, qualcosa che aveva avuto l’impressione avesse voluto dire sin dall’inizio.
 
- …e Francis? – chiese timido infine.
Un rosso tempera gli tingeva il viso, rivolto verso un punto a caso del pavimento.
Gli occhi indaco si socchiusero per un secondo.
 
- Bonnefoy? Parlai con lui poco tempo fa per telefono – spiegava – aveva detto sarebbe venuto senz’altro… Mi era del tutto sfuggito – ghignò al fratello.
 
Egli arrossì indecentemente.
 
- Sei patetico – lo accusò.
 
Ma Matthew non alzò lo sguardo, negandogli la possibilità di ammirare l’espressione che aveva in viso mentre gli diceva tutto ciò che pensava.
 
- Hai diciotto anni eppure ti comporti ancora come un bambino –
 
Il fratello stringeva i pugni contro le ginocchia. I capelli mossi gli coprivano il volto, mentre un lungo ricciolo si ribellava al resto della capigliatura dorata.
 
- Sono passati tre anni, eppure sei sempre lo stesso –
Si diresse verso il divano – Quello “bravo” –
Sedendosi proprio lì, accanto al ragazzo dal viso nascosto.
- Sempre quello che vuole fare contenti tutti –
 
Egli non sembrò badare a quanto fossero vicini in quel momento.
 
- Non capisci che quel tuo salutarlo “candidamente” da lontano non ti porterà altro che un sorriso di rimando… -
Gli prese il mento con la mano sinistra, costringendolo a rivolgergli lo sguardo.
- Non capisci che non lo porterà mai da te? –
 
Il viso del ragazzo rimase imperscrutabile.
 
Forse sono stati un po’ troppo duro” si compiacque nella sua mente Alfred.
Eppure…
 
- Parli proprio tu? –
 
Cosa?
 
Aveva per caso saltato qualche passaggio?
 
- Dì quel che devi dire – tuonò, fulminandolo con gli occhi.
 
- Tu parli tanto, dici che sono “patetico”… Ma lascia che ti spieghi una cosa: Francis continuerà anche a sorridermi “di rimando” come dici, ricorda però che Arthur le spalle te le ha già voltate, e non tornerà a cercarti –
 
Le aveva quasi sputate quelle parole. Schifato da ciò che prima gli era stato detto.
 
Bastardo...!
 
Portò la mano dietro la nuca del fratello e ne afferrò con rabbia i capelli, tirandolo contro di sé.
 
- Come ti permetti?! –
 
Figlio di…
 
- Che c’è? Non te n’eri accorto? Lo avevi dimenticato? –
 
La dolorosa stretta aumentò, le distanze di accorciarono ancora, crudelmente.
 
- Taci –
 
- Come vedi non siamo poi tanto diversi, fratello –
 
Nessuno avrebbe mai osato dire il contrario.
Nonostante l’anno e mezzo di differenza, i due sarebbero potuti sembrare gemelli.
I capelli biondo scuro, gli occhi sul blu, stessa altezza, stesso viso.
Ma niente al mondo era più diverso dei fratelli Jones.
Fiducia e consapevolezza erano le caratteristiche dell’uno, educazione e timidezza quelle dell’altro.
Egoismo e superbia i difetti del primo, fragilità e insicurezza quelli del secondo.
Come due linee parallele erano vicini, ma destinati a non unirsi.
Due dimensioni opposte dello stesso mondo.
Uno stringeva la nuca del fratello, con rabbia.
L’altro drignava i denti, per resistenza.
 
“Drignava i denti”… Gli stava facendo male.
Realizzato l’errore, lasciò la presa.
 
Che cos’era?
 
Matthew lo guardava con disprezzo.
Le parole “non tornerà a cercarti” gliele aveva volute incidere nella carne. Crudeli, com’era stata la mano che gli aveva fatto male.
 
Alfred stentava a credere che fosse stato davvero il fratello a riaprirgli quella ferita.
 
Sentì uno strano sollievo nel chiedergli: Scommetto che adesso tornerai a casa.
Ma la risposta che ricevette non fu altrettanto gradevole.
 
- Ti sbagli, io resterò qui finché servirà –
 
Non servirà…
 
 
*
 
 
Ding. Dong.
 
Il campanello irruppe bruscamente nel silenzio che nelle ultime ore non aveva abbandonato la casa.
Alfred Jones attraversò in tutta fretta il corridoio.
 
- Apro io! – urlò.
 
Il fratello era sul divano, leggendo il suo libro.
Ignorando ciò che gli accadeva intorno.
 
Aprì la porta. Tre uomini occupavano l’ingresso.
 
- Feliz cumpleaños! –
 
Un avvenente ragazzo latino apriva le braccia in segno di un abbraccio. I ridenti occhi verdi accompagnavano un allegro sorriso.
 
- Antonio! – ricambiò l’abbraccio – Grazie di essere venuto! –
Poi gettò un’occhiata alle spalle dello spagnolo.
Il manager sorrideva mentre accanto a lui un fattorino lo fissava imbronciato.
- Sadiq! – salutò – Da quanto tempo! –
 
L’imponente uomo scuro fece un cenno con la mano e indicò la pesante busta bianca appesa al braccio del minuto ragazzo accanto.
Lo continuava a guardare, come in attesa.
 
- Hai fretta? – gli chiese.
 
- No.. – rispose il fattorino, evidentemente non a suo agio.
 
- Bene, allora ti dispiacerebbe lasciare il regalo su quel tavolo intanto? –
 
Il ragazzo si fece avanti di qualche passo.
 
- Allora? Dov’è la ragazza di cui mi avevi parlato? – disse rivolgendosi di nuovo allo spagnolo.
 
- Ragazza? – chiese quello, confuso.
 
- Dopo tanto che me ne hai parlato te ne sei già dimenticato? –
 
Immagino che la fedeltà non sia il suo forte..
 
Si scambiarono sguardi esasperati.
 
- Ehrm, ehrm.. – tossì qualcuno.
 
Si voltò,  il fattorino gli porgeva il palmo di una mano.
Alfred lo guardò sorpreso.
 
- Perché dovrei pagarti io? E’ il mio compleanno –
 
Il sopracciglio del ragazzo scattò nervosamente.
Aveva spettinati capelli castani e occhi ocra. Un viso affascinante e uno sguardo infastidito.
Rivolse lo sguardo allo spagnolo.
 
- No entiendo! – sbottò – No le gusto? Porquè me està hablando de dinero?! –
 
Antonio alzò le spalle.
 
Ma perché cazzo parla in spagnolo questo?!
 
- Alfred… Che diablo stai dicendo? –
 
- Perché dovrei pagare io il fattorino il giorno del mio compleanno?! –
 
- Fattorino?! – chiese il ragazzino, irritato.
 
- Ma quale fattorino, Alfred! Lui è Lovino! –
 
- Lovino..? – poi ci arrivò, voltandosi verso l’alttore – “Lovi”? E’ quel “Lovi”?! –
 
Lo spagnolo annuì, portandosi una mano alla tempia.
 
Si voltò ancora verso il ragazzino. Lo guardò meglio.
Era un ragazzino bassino e magro.
Indossava una camicia rosa pallido sbottonata sul collo. Poteva intravedere un sottile crocefisso poco più in basso dell’incavo.
Era abbronzato e dall’aspetto esotico. Alcune ciocche dei suoi capelli brillavano di riflessi rossastri, in totale contrasto con le iridi da gatto.
Come aveva fatto a scambiare quella bellezza per un fattorino?
 
- Scusa – gli disse porgendogli la mano – oggi è stata una brutta giornata, sono un po’ distratto –
 
L’altro ricambiò il saluto, ma non un sorriso.
- Non si preoccupi – rispose, con un particolarmente marcato accento italiano – Lovino Vargas.. Mi spiace di essere venuto qui senza nemmeno aver fatto la vostra conoscenza, spero apprezziate il regalo –
Senza un sorrisetto ad alleggerire quell’offeso viso latino, il tutto sembrava solo un’enorme montatura.
Ma lui era più bravo a fingere quando si trattava di maniere.
 
- Apprezzerò senz’altro, solo il pensiero mi rallegra – ammiccò – piacere, Alfred F. Jones –
 
Captando lo sguardo assassino che Antonio gli stava lanciando decise che per il suo bene la conversazione con il bell’italiano sarebbe finita lì.
Poteva leggere “Giù le mani da ciò che è mio, cane” scritto sulla fronte dello spagnolo, quindi si limitò a prendere la busta e ringraziare.
 
I tre si avviarono verso il salotto, mentre lui chiudeva la porta alle loro spalle.
Non fece nemmeno in tempo ad attraversare il corridoio che il campanello suonò ancora.
Aprì di nuovo la porta, questa volta erano in due.
Anche se uno di loro valeva il doppio.
 
- Al! – esultò il più piccolo buttandogli le braccia al collo.
- Grattis på födelsedagen! –
 
Il suo aspetto lo fece irrigidire un attimo.
Ogni santa volta che lo vedeva, notava sempre di più la dannata somiglianza con il fratello maggiore.
 
- Grazie Peter! Sei cresciuto tantissimo! – mascherò i suoi pensieri con la solita faccia allegra.
 
- Visto?! Il mio obbiettivo e raggiungere Ber! – disse il ragazzino, introducendo l’enorme uomo alle sue spalle.
Nonostante i capelli biondi, gli occhiali e gli occhi azzurri, emanava un’aura tremendamente inquietante.
 
Porse la mano, timoroso.
- Piacere, Alfred F. Jones.. – si sforzò di sorridere.
 
- Berwald Oxenstierna – si presentò l’altro.
 
La sua mente sobbalzò, alla ricerca di un ricordo.
 
Dove l’ho già sentito?
 
Poi collegò.
- Adesso ricordo! – esclamò.
 
L’uomo lo guardava confuso.
 
- Oxenstierna! Lei è un famoso avvocato! Avevo una conoscenza che aveva affari in Svezia, ho seguito un suo caso! Alcuni dei suoi processi vengono studiati anche all’università! – i suoi occhi brillavano – Complimenti! Lei è uno dei migliori! –
 
Berwald arrossì imbarazzato. Passandosi una mano dietro al collo e tra i capelli cenere.
Alfred lo prese per un braccio e lo tirò dentro.
 
- Devo raccontarle un po’ di cose, magari lei potrà aiutarmi! – spiegava trascinandolo con sé nello studio.
 
Il giovane Peter rimase lì qualche secondo. L’americano gli aveva appena portato via la compagnia, e lui era rimasto solo, ignorato e dimenticato sulla porta.
Profondamente offeso.
- Uffa però…- sbuffò mettendo un piede in casa.
 
Poi qualcuno dietro di lui posò una mano sulla sua spalla.
Si voltò.
Due uomini erano fuori ad aspettare, proprio come lui.
 
- Scusa, è per caso questa casa Jones? –
 
- Yes – rispose il ragazzino.
 
Quello che aveva parlato era un individuo alto e muscoloso. Aveva scuri e disordinati capelli castani e chiari occhi verdi. Un viso inespressivo e stanco.
L’altro era mingherlino, aveva pelle e capelli scuri e occhi gialli come oro liquido. Una coppola bianca a coprirgli il capo abbronzato.
 
- E’ qui la festa? – gridarono entrando.
 
Peter gli seguì a ruota.
Tutti erano in salotto.
Matthew sul divano. Antonio, Lovino e Sadiq parlavano, seduti al bancone della cucina. Alfred e Berwald uscivano dallo studio, discutendo di legge.
I tre entrarono dalla porta principale.
 
- Oh, ma guarda un po’ chi c’è.. – disse Sadiq, rivolto al più minuto dei due nuovi arrivati.
- C’è una finestra da cui possa buttarmi prima che Gupta Hassam mi porti alla depressione? –
 
- Dovresti farlo – rispose questo – così si alzerebbe il livello della festa -
 
Quanta tensione..” pensò Peter, dirigendosi verso lo svedese che gli sorrideva, invitandolo a raggiungerlo.
 
L’egiziano e il turco continuarono a litigare.
 
- Ehi! Ehi! Svegliati! Ti sei sdraiato su di me! – strillava Matthew quando, non notandolo, Heracles si appisolò su di lui.
   
 
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