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Autore: Hidden Writer    07/09/2011    2 recensioni
"Vorrei chiedertelo, il perché, ma non ce la faccio.
Ho più o meno dieci secondi prima che tu sparisca.
Più o meno due minuti prima che pianga.
Ed un'eternità prima che mi dimentichi di te."
Un'altra storia da Hidden Writer, signore e signori!
Mi butto sul genere romantico, al pubblico piace... ;)
Spero che a voi piaccia!
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

L'inizio della fine

 

È bello sapere che va tutto bene, in fondo, mi fa capire che questa è la vita che voglio. La mattina una colazione e un bacio, poi vado al lavoro, mangio un panino e torno a casa nel pomeriggio. Poi cena e nanna.

Nanna, si fa per dire...

Ad ogni modo, tu mi fai capire ogni singolo istante che mi ami sempre di più, non potrei mai dubitare di quello che provi per me, ma ultimamente ti comporti in modo strano, sei più fredda, distaccata, come se tutto d'un tratto non mi amassi più come prima.

Non voglio farci caso, ci saranno dei problemi al lavoro...

La chitarra si è anche rotta qualche giorno fa perché era caduto un libro che la aveva fatta sbilanciare... Diciamo che ora mi toccherà ricomprarla... mi dispiace.

Con quella chitarra ti avevo conquistato. Ti avevo fatto innamorare. Non è bello sapere che si era spezzata.

Comunque vorrei che questo limbo non finisse mai, questa stasi in cui ci troviamo, innamorati come il primo giorno.

Stamattina, però, tu sei più strana, più seria. In genere sei divertente, carismatica, oggi mi sembri addirittura a disagio. Se c'è qualcosa che non va vorrei almeno sapere cosa. Voglio saperlo.

-Gwen?-

-Si, Trent?-

Non è possibile. Questa non è la tua voce, è la voce di una ragazza su cui è passato sopra un camion. O un treno

-Ti devo parlare-

-Non adesso, Trent, mi sento sotto a un treno-

Appunto.

-Beh, ok. Perché, c'è qualcosa che non va?-

-Ho dormito malissimo.-

Non è la verità. Ne sono sicuro.

-Mi dispiace. Posso fare qualcosa per te?-

-No, guarda, non...-

-Sei sicura?-

-Senti Trent, lasciami in pace. Non voglio altro che stare da sola ora, chiaro? Voglio un po' di silenzio!-

Da dove viene tutta quella aggressività?

-Ok. Scusa, amore.-

-E chiamami Gwen, che diamine.-

E questo nervosismo? Un mal di testa? No, ti conosco troppo bene. Anche se questa non è la Gwen che conosco io...

Non ho il coraggio di aprire bocca. Perché mi tratti così? Non mi sembra di aver fatto qualcosa di sbagliato.

-Riposati un po', vedrai che andrà meglio.-

-No. Non andrà meglio.- Dici gelida.

Ti lascio in camera da letto. Decido di lasciarti sola per un po'. Vado al lavoro.

 

-E così è alquanto strana, eh?-

-Sì, ma da un po' di giorni. Stamattina poi...-

-Non saprei, guarda.-

-Già...-

Sono in ufficio, ma Duncan è meno loquace del solito, oggi.

Ha un'aria strana, come se avesse rubato le offerte in chiesa. Certo, non mi stupirei se lo facesse.

Immagino di dovermi dare una mossa, se non voglio subire l'ira funesta del capo, poiché sono venti minuti che sto alla macchinetta del caffè.

Domani vado direttamente in cantiere a vedere come procede il lavoro che sto progettando. A noi i manovali ci reputano colletti bianchi bastardi, perché noi programmiamo e loro sgobbano. Non vogliono capire che se usassero quel poco di cervello che si ritrovano e avessero una laurea in architettura sarebbero al posto nostro senza meno.

-I bastardi sono loro. Fanno andare male l'azienda.-

-Perché?-

-Perché sì.-

-Contento te...-

-E con loro va anche quello là, il colletto bianco per eccellenza.-

-Duncan...-

-È un bastardo assoluto, e poi...-

-Duncan...-

-Puzza! Sì, nel suo ufficio c'è un fetore che...- Lui nota la mia espressione.

-È dietro di me, non è vero?- E detto questo si gira di scatto, sudando freddo.

-Capo! Oggi sta benissimo con quello smoking pieno di forfora... no! Cioè, lei sta benissimo...-

-Nel mio ufficio.-

-Non che ci sia niente di male nella forfora, anzi, è...-

-Nel mio ufficio, ho detto.-

Lui mi guarda con aria disperata e lo segue. È un talento naturale per cacciarsi nei guai.

Ho finito il turno, torno a casa.

La strada del tragitto mi sembra infinitamente lunga, chissà se ti sei calmata. Non mi aspetto che tu sia andata al lavoro, poiché ti sentivi male, ma comunque mi stupisco quando ti trovo seduta in soggiorno.

Ti saluto, ma tu hai una faccia strana. Vado in camera per appendere le giacca, ma qualcosa non mi quadra quando apro l'armadio. Mancano tutte le tue cose. Un brivido mi percorre la schiena.

Di colpo capisco. Tu in soggiorno nascondevi con le gambe una valigia. Una valigia piena, sembrerebbe.

Mi guardi. Hai capito. Ti alzi e ti avvii verso la porta. Io vorrei parlare, ma tu fai un cenno inequivocabile, zittendomi e ti chini per raccogliere la borsa. Ti cade qualcosa. La collana che ti avevo regalato per compleanno. Quasi manco la presa quando me la lanci addosso. Tu mi guardi con occhi pieni di vergogna e freddezza.

Apri la porta.

Non capisco cosa ti abbia spinto a prendere questa decisione.

Vorrei chiedertelo, il perché, ma non ce la faccio.

Ho più o meno dieci secondi prima che tu sparisca.

Più o meno due minuti prima che pianga.

Ed un'eternità prima che mi dimentichi di te.

  
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