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Autore: virgily    07/09/2011    1 recensioni
-NO! Tu menti! Lei e’ viva... tu non l’hai fatto sul serio!- mai era arrivato a tanto,inginocchiarsi e prostrarsi ai suoi piedi, poggiando un'orecchio sul suo ventre, sperando che non fosse freddo e sterile; ma non gli importava nulla se i passanti lo avrebbero preso per disperato... no lui voleva soltanto avere la conferma che non tutto era perduto, che non era veramente finita...
-si invece Ron. E sei stato tu a fare di me un’assassina- il gelo sel suo sguardo, il pallore delle sue goti. Ronald si senti’ morire, era riuscito a preservarla gia’ una volta, ma stavolta, ne era certo, l’aveva persa per sempre.
[seguito di "converse borchiate, sigaretta e gin sotto bracio"]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ronnie Radke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’ora prima:

 -Cosa hai detto?!- i suoi occhi ardenti e irati si puntarono sulla ragazza che timidamente teneva lo sguardo basso, i preda alle lacrime. Tremava come una foglia, ma aveva la sua migliore amica al fianco, ed era proprio la presenza di Amelie a darle la forza di reagire contro la folle idea di suo padre

-Ho d-detto che non voglio abortire...- con un filo di voce Juliet ripete’ quella frase che aveva tanto sconcertato l’uomo

-Juliet sei troppo giovane per...-

-E’ MIO FIGLIO!- rispose la moretta alterandosi. Sentiva l’adrenalina pulsarle nelle vene, e il cuore esplodergli nel petto. Non aveva mai urlato contro suo padre... Infondo non ne aveva mai avuta l’occasione; perche’ lui non c’era quando lei e Ronnie si scambiarono il primo sguardo a scuola; non c’era quando le confessava il suo amore e tanto meno LUI NON C’ERA quando Ronnie Radke era venuto a salvarle la vita. No, lui non era mai stato presente nel periodo truce della sua vita... E non aveva il diritto di portargli via l’unica cosa che la teneva ancora salda al suo amore. Jilian osservo’ per qualche secondo l’ardore con cui sua figlia lo stava fissando in cagnesco, e ci vide se stesso dentro quello sguardo. Dopotutto neanche lui amava idea di togliere la vita a suo nipote prima ancora di nascere. Eppure un modo per tenere la sua bambina lontana da quel Radke doveva pur esserci. Ed esisteva il piano perfetto; e per quanto subdolo e meschino potesse essere oramai non gli importava piu’ dei sentimenti del figlio del suo migliore amico. Ora la priorita’ era la sua July

-Bene. Puoi tenere il bambino...- comincio’ accendendosi un sigaro, lasciando che il fumo si propagasse per l’intero salotto. Sia la giovane Hanroe che la sua amica arricciarono il naso a quell’odore acre e asfissiante; tuttavia un grande sorriso si dipinse sulle loro labbra fine e rosee. Juliet non riusciva a crederci, aveva affrontato faccia a faccia suo padre, ed era tutto merito di Amelie. Si abbracciarono fortissime stringendosi l’un l’altra. La gioia era tale che non immaginava che invece il “bello” doveva ancora venire:

-Pero’ ce ne torniamo in Alaska. Oggi stesso-

Un silenzio spaventosamente inquietante calo’ per l’intero soggiorno, spezzando il cuore alle fanciulle anche ancora si stavano tenendo strette

-C-Come?-

-Prepara le valige. Tra un’ora partiamo- freddo e dalla loquela austera il signor Hanroe rispose a quella domanda come se fosse del tutto “normale” che da un minuto all’altro si potesse decidere di trasferirsi

-Se vuoi che il bambino viva sotto il mio stesso tetto allora dovrai seguire le mie regole signorinella. A partire da adesso hai mezz’ora per preparare le tue cose. E per Ronald Radke tuo figlio non c’e’ piu’. Mi sono spiegato?-

-Jilian!- sussulto’ Vicky sbucando dalla cucina. Era gia’ da un bel po che origliava quella conversazione, ma a quelle pretese folli e prive di alcun senso logico la donna aveva deciso di intervenire

-Anche tu Vicky. Prendi le tue cose... Io penso a rifornire la macchina, ci sara’ parecchia strada da fare...- sembrava non preoccuparsi minimamente delle facce pallide e inorridite delle ragazze, e tanto meno della faccia sconvolta di sua moglie

-Ma lei e’ un Mostro- soltanto a quelle cinque paroline l’uomo decise di degnare la sua attenzione, sopratutto alla giovane che fiancheggiava la sua bambina. Proprio dalle labbra della piccola Amelie quel’affermazione usci’ fastidiosa e pungente. L’uomo sollevo’ un sopracciglio verso l’alto, stupendosi dello spudorato coraggio con cui quella ragazzina aveva osato parlargli

-Prego?- domando’ fingendo di non aver sentito

-Lei e’ un mostro. Con quale coraggio dice a sua figlia delle cose del genere...-

-A-Amelie...- tento’ di zittirla la sua amica, ma oramai sembrava non esserci piu’ nulla da fare, la bomba era innescata e stava per esplodere

-No Juls, non restero’ con le mani in mano mentre ti ricatta cosi’-

-Amelie e’ l’unico modo che ho per tenere il bambino-

-Si ma non e’ giusto!-

-Non ho altra scelta... – rispose stringendo la piu’ piccola nuovamente tra le braccia, era ufficiale: quello era il loro addio, e Amelie non poteva far altro che arrendersi

-P-perdonami- singhiozzo’ celando il viso tra i capelli della sua migliore amica

-Non hai nulla da farti perdonare. Non e’ colpa tua...- sorridendole dolcemente la piu’ bassa asciugo’ con le punte delle dita le lacrime amare che sgorgavano dagli occhi di Juliet. Si fissarono per l’ultima volta negli occhi e in quell’istante ambe due si ripromisero di non paingere, ma bensi’ di sorridere. Perche’ era cosi’ che volevano ricordarsi, felici.

-Ti voglio bene...- sussurro’ la spilungona facendosi scappare una ennesima lacrima

-Anche io, abbi cura di te e di mio nipote- ridacchio’ cercando il piu’ possibile di sdrammatizzare. Soltando dopo averle baciato una guancia Amelie si avvicino’ a passo lento verso l’uomo che sostava accanto all’uscita, e per quel breve attimo Jilian Hanroe si senti’ inchiodato da uno sguardo ferito e rabbioso

-Lei, signor Hanroe... Mi fa vomitare- e orgogliosa di aver finalmente messo nero su bianco tutto cio’ che pensava riguardo quell’uomo, usci’ sbattendo la porta. Rimasto a bocca aperta suo padre si volto’ a fissare allibito sua figlia, ma tutto quello che vide furono soltanto le spalle che Juliet, che nel frattempo aveva cominciato ad avviarsi in camera. Jilian rimase solo, immerso nel silenzio di quella casa che oramai sembrava essere diventata una tomba.

 

Finalmente, poco piu’ tardi:

 

“Ed e’ proprio quando pensi che tutto sia finito che, invece, ti accorgi che e’ soltanto l’inizio di quello che realmente ci aspetta. Juliet Hanroe, conosciuta da tutti i suoi amici come Armony, lo sapeva bene. Con la coda tra le gambe e una borsa sotto braccio osservava quell’abitazione biana con il grande tetto verde a sormontarla: la sua casa. Nello stesso modo furtivo e tenebroso con cui era arrivata adesso se ne andava. Come una ladra adesso lasciava tutto quello che aveva amato, abbandonava i suoi amici e il suo fidanzato senza dire una parola. Per tornare nella sua vera casa, con la sua dolce famigliola che, da pochissimo, si era appena ricongiunta. Non che le dispiacesse il fatto che suo padre fosse finalmente ritornato dopo diciotto anni, ma se c’era un rimpianto nella sua vita era proprio quello: allontanarsi da Ronald Joseph Radke, il fautore del suo piccolo sogno, la parte mancante del suo piccolo e fragile cuore; la ragione per cui, purtroppo, doveva andarsene.

-Julie, dobbiamo andare...- l’uomo vestito in mimetica scura la stava aspettando con sguardo severamente freddo e quasi spietato. Gli piangeva il cuore vedere la sua adorata figlia ridotta in quello stato: sola, spaventata e insicura... ma dopotutto era quello che le era rimasto da fare.

-ne sei sicuro? M-magari Ronnie cambiera’ idea...- sussurro’ la seconda mora cercando, per quanto poteva, di persuadere il generale Hanroe

-Viky, conosco i Radke da molto tempo... sarebbe capace di cambiare idea per poi sparire dopo un mese. E’ molto meglio cosi’...- e sospirando fece qualche passo in avanti, cingendo per le spalle la sua piccola e adorata figlia, l’unica ragione della sua vita

-vieni, il viaggio e’ molto lungo e non devi affaticarti troppo...- le sussurro’ dolcemente. La piu’ giovane sorrise tra se e se, smise finalmente di viaggiare a ritroso nel tempo, a quando era veramente felice. Sbuffo’ appena e senza fiatare comincio’ ad avviarsi verso la macchina, oramai gia’ bella che riempita delle loro valige.

Proprio a qualche dozzina di metri un ragazzo, dall’aria affaticata e assonnata, ma sopratutto dallo sguardo umido e fervido, correva come mai aveva fatto prima. Eccolo li, Ronald, che forse si era accorto troppo tardi della stronzata che stava per compiere.

-Armony!!- quel nome, quella piccola parola che per amore si er fatta incidere sulla pelle; quella voce a cui non riusciva a non fremere. La moretta punto’ i suoi fari verdi contro quella chioma corvina e spettinata che aveva smesso di ondulare, penetrando quelle iridi cosi’ scure che la facevano vacillare nei meantri di un pozzo profondo

-R-Ron...- non lo fece apposta, ma una lacrima le scese dagli occhi, rigandosi il viso. Non poteva crederci, non voleva.

-non andare. Parliamone amore mio ti prego...- il moretto fece un’ulitimo ed esasperato passo in avanti, con le braccia protese per afferrarla, portarla al suo petto e sentire il suo calore. Quasi era riuscito a sfiorarla, a toccare quel viso che tanto amava; ma una figura prestante e austera gli si paro’ davanti, ostacolandogli il passaggio:

-non avvicinarti a lei. Hai gia’ rovinato la sua vita abbastanza non trovi?-

-signor Hanroe. Capisco che lei possa odiarmi. Ma ho deciso di prendermi le mie responsabilita’... E faro’ di tutto affinche’...-

-affinche’ niente... Siamo stati in ospedale ieri. E’ finito tutto adesso- Ronnie non aveva capito, o almeno stava ben fingendo di non aver capito. No, mai avrebbe pensato che la sua amata avesse trovato il coraggio di fare una cosa cosi’ atroce

-A-Armony?- se ne stava immobile, con lo sguardo basso, la frangetta mora che mascherava i suoi occhi oramai colmi di lacrime amare

-n-non l’hai fatto davvero...- affermo’ il giovane riuscendo a sgusciare dalle grinfie del burbero soldato, giungendo finalmente dalla sua donna. L’avolse stretta stretta, cercando per quanto potesse di far si che quel gesto facesse tornare indietro il tempo... Quando ancora non aveva preso una decisione sul da farsi, quando ancora poteva migliorare le cose

-l-lasciami Ron. Sei libero adesso...- sussurro’ tremante la donna tra le sue mani, cominciando a far pressione con le dita sul suo petto, cercando di allontanarlo da lui

-NO! Tu menti! Lei e’ viva... tu non l’hai fatto sul serio!- mai era arrivato a tanto, ma non gli importava nulla se i passanti lo avrebbero preso per disperato... no lui voleva soltanto avere la conferma che non tutto era perduto, che non era veramente finita...

-si invece Ron. E sei stato tu a fare di me un’assassina- il gelo sel suo sguardo, il pallore delle sue goti. Ronald si senti’ morire, era riuscito a preservarla gia’ una volta, ma stavolta, ne era certo, l’aveva persa per sempre.”

 

**circa quattro anni dopo**

 

Domenica pomeriggio e per la citta’ tutto tace. Via vai continuo di gente annoiata a spasso, negozianti stanchi che finalmente si godevano il loro meritato riposo, e infine lui, che non avendo niente di meglio da fare si era messo a passeggiare senza una meta precisa. Eh gia’, per Ronnie Radke la vita era diventata piuttosto noiosa e monotona, come se fosse tornato indietro nel tempo; quando niente sembrava aver importanza per lui. Max, al contrario, sembrava cosi’ fottutamente raggiante che spesso e volentieri, quando Amelie era presente, la visione delle loro tenere affusioni lo stomacavano. E poi c’era Stephanie, una ragazza simpatica con un bel paio di gambe, non era il massimo per una storia... Ma dopo tutto lui non voleva una storia, soltanto qualcuna con cui passare un po tempo sia fuori che dentro la camera da letto. E proprio quella domenica pomeriggio, quando sapeva bene che doveva andare da Stephanie, qualcosa invece lo indusse a cambiare strada, ad entrare nella via dove per quattro anni non aveva piu’ avuto in coraggio di passare. Cosi’ prese un respiro profondo, e man mano che superava le altre abitazioni di quella zona, osservava come quel tetto verde si faceva sempre piu’ pericolosamente vicino. Non era cambiata affatto, come se per tutto questo tempo non fosse mai stata disabitata: il prato ordinatamente tosato, i fiori ancora sbocciati e colorati sulla veranda, c’era persino una macchina davanti al garage.

“No, un momento... Una macchina?!” si domando’ impetrando quando vide il portone d’ingresso spalancarsi di colpo. E il cuore gli arrivo’ in gola, cominciando a pulsare freneticamente. Tremava, come una foglia, spaventato da chi potesse uscire da quella casa, spaventato dalle emozioni che avrebbe potuto provare se fosse stata “lei” a varcare quella soglia. E trattenne il fiato, solo per pochi secondi, il tempo che gli bastava per guardare, incuriosito ma sollevato, la gracile figura, che saltellando usci’ dalla casa: con dei lunghi boccoli corvini e le guanciotte paffute, la bambina che usci’ nel giardino zompettava a passo di danza portando tra le mani un peluches a forma di pinguino e una palla blu. Con delicatezza posiziono’ il suo pupazzo seduto sull’erba e non curante del fatto che una manica della salopette di jeans si fosse slacciata, la bimba si posiziono’ proprio davanti il suo amichetto di pezza e comincio’ a tirargli la palla, incitandolo ingenuamente a ripassargliela

-Signor Pingu ma insomma! Non vuoi giocare?- e constatando che questo si rifiutava perfino di rispondere, la piccina aggrotto’ le sopracciglia e mise il broncio, guardando irata il suo peluches

-Sei proprio cattivo! Prendi!- Ronald osservo’ quasi addolcito quella bambina che alterandosi’ tiro’ quasi con cattivera la passa contro il povero pinguino che fini’ a terra, mentre la palla blu era giunta poco distante dai suoi piedi. Fece un sorriso, pensando che magari una nuova famiglia si era trasferita li’e che le sue paure erano soltanto vani trip mentali, dove “lei” era tornata da lui

-Ciao!- a farlo tornare con i piedi per terra una vocetta squillante e dolce lo istigo’ a chinare il viso perso il basso, per guardare finalmente in faccia la bimba che si era avvicinata a lui: il visetto pallido, le labbra fine e infine due grandi occhi scuri e profondo che lo guardavano con intrepida curiosita’. Inizialmente Radke rimase un po sulle sue, c’era qualcosa nel suo sguardo a cui non sapeva da un nome... tuttavia sorridendole si chino’ appena raccogliendole la palla che aveva smarrito

-Ciao piccola. Ecco tieni la tua palla...- affermo’ ridacchiando appena mentre timidamente la piu’ piccola riprendeva cio’ che era suo

-C-Come ti chiami?-

-Ronnie, e tu?-

-Armony- ridacchio’ sorridendogli gioiosamente, mentre il viso dell’uomo impallidiva di colpo. Era strano come dopo tutto questo tempo quel nome gli facesse ancora un certo effetto

-C-Che bel nome...- rispose bofocchiando appena

-Attie...- lo ringrazio’ la piu’ piccola fissandolo nuovamente negli occhi. Le sue iridi sembravano quelle di un cerbiatto: grandi e profonde come due buchi neri, di un castano che gli pareva familiare

-Armony? Dai vieni che ti faccio il bagnetto!- una voce femminile e squillante giunse fino a loro, e sollevandosi di scatto il moretto punto’ il suo sguardo contro la figura che era appena fuoriuscita dalla porta

-Arrivo mamma! Ciao Ronnie- lo saluto’ con la manina prima di correre tra le braccia della giovane donna che le corse incontro: un paio di occhiali da sole rossi a forma di cuore quasi incorniciavano il viso; lunghissimi boccoli scuri ondulavano a destra e sinistra mentre saltellava in contro a sua figlia indossando un paio di singolari converse borchiate. Ronald rimase sbalordito, era una mamma molto giovane. Poi i suoi occhi scivolarono nuovamente su quel paio di scarpe; si diede del folle, ma le aveva gia’ viste. La ragazza sollevo’ la bambina tra le braccia e la strinse forte al petto baciandole una guancia. Di rimando la piccola allaccio’ le braccia al collo della ragazza, che incuriosita dalla presenza di quanlcuno, comincio’ a fissare il ragazzo che era rimasto impalato dinnanzi casa sua. Non ne era certo, ma Radke senti’ chiaramente che dietro le lenti di quei grandi occhiali, due iridi lo stavano studiando dalla testa ai piedi: i jeans strappati, i tatuaggi sulle braccia, quei grandi occhi scuri... Fu piu’ forte di lei ma la giovane mamma ebbe un fremito

-Mamma tutto bene?- domando’ la piccina riemergendo dalla sua clavicola

-Si amore. La mamma sta bene. Pero’ adesso entriamo okay?- e dopo aver annuito sua figlia torno’ a nascondersi nella chioma della genitrice, che dopo aver fissato nuovamente negli occhi un confuso Radke, corse all’interno della casa, chiudendosi frettolosamente la porta alle spalle.

Era da pazzi pensarlo, ma per qualche secondo Ronald penso’ di aver ritrovato la sua Juliet perduta ormai da tempo.

*Angolino di Virgy*

O mio dio, non ci credo... Ce l'ho fatta alla fine!

Vi chiedo di perdonarmi per la mia assenza, e spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo.

Mi rivolgo in particolare alla mia Anzu (Armony perdonami!)

Ringrazio inoltre tutte coloro che si sono fermate a leggere fino a questo punto!

Spero di non tardare con il prossimo capitolo XD

Un bacio

-V-

  
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