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Autore: Marguerite Tyreen    08/09/2011    2 recensioni
Francesca, trent’anni, insegnante d’inglese, continua a sfuggire dal fantasma del suo ex, Enrico, tra i compiti da correggere, i disastri della collega Emma e qualche buon caffé al “James Joyce Irish Pub” di Sean. Le cose si complicano quando Enrico, bello quanto egoista, torna da lei, dopo mesi di promesse e illusioni, con il proposito di riconquistarla. Ma se Francesca per orgoglio non vorrebbe mai ammettere con l’ex di essere rimasta single aspettandolo vanamente e Sean avesse bisogno di una finta fidanzata da presentare al matrimonio del fratello in Irlanda, cosa potrebbe accadere? Può la magica Isola di Smeraldo far vibrare corde dell’animo di cui nemmeno si conosceva l’esistenza?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mie Carissime!!!

Questo è l’ultimo capitolo prima dell’epilogo ç____ç 
Ma no, non immalinconiamoci già da adesso, altrimenti chissà alla fine!
Qualcosa mi dice di aver reso felici parecchie di voi, con la scena finale, date le vostre recensioni. Ad ogni modo, era il momento che anch’io – da donzella romantica – attendevo da tempo di scrivere. Spero davvero che vi piaccia ^^
Rimando i saluti “ufficiali” all’epilogo, dunque. Sto facendo di tutto per posticipare la conclusione, perché mi sono affezionata … Nel frattempo vi ringrazio tutte di cuore, come sempre, e vi abbraccio una per una!!!
Un bacione e a presto, sempre vostra

Marguerite



Imprevisti d'amore


 

                                                                                                                                                    
Sunset.
Another sunset.
I know it looks undistinguishable from the last  
but I remember the difference.


(R. Harris, Slides)

 
 
Capitolo 16: Slides
 
 
Mik leggeva il giornale sotto il portico, dopo cena.
Aveva ragione Sinead a dire che quella casa era davvero un luogo fortunato. Pochi potevano vantare lo stesso privilegio di vedere il sole affondare nel mare arancione della Baia.
Ma, adesso, aveva poco tempo di pensare al tramonto e, a dire il vero, anche alle notizie del quotidiano. Continuava a girovagare tra la cronaca di Limerick, dove tutti sembravano impegnati a cercare una collocazione ad una statua alla memoria di Richard Harris e quella di Dublino, dove un tale era stato multato per non aver condiviso la propria cena con un leprechaun, come stabilito dalla legge locale. Tuttavia la sua mente era ben lontana sia dalle beghe celebrative degli abitanti di Limerick, sia dalla improponibile vicenda del leprechaun dublinese.
Suo fratello era di ritorno: forse avrebbe fatto in tempo ad arrivare quella sera stessa. Questa volta senza Fran: se solo non fosse stato tanto riservato da nascondergli cosa diavolo era successo! Andava tutto bene, era andato tutto così perfettamente, dannatamente bene, fino a domenica mattina, quando aveva trovato Sean a dare la colpa della sua malinconia ad Erin e Fran a meditare sulla Galway Bay assieme a Malachy.
E dire che, per sopportare mio padre, bisogna essere proprio messi male con l’umore!
Darei quattro botti di whisky per sapere cosa diavolo è successo tra quei due. È  stata lei a lasciare lui. Ok, Sean non è uno facile con cui convivere: ha i suoi momenti, meglio i suoi secoli di silenzio, e i suoi lampi improvvisi d’incavolatura. Ma con lei è stato sempre gentile, fin troppo gentile. E che adesso non mi vengano a dire che per farsi amare dalle donne bisogna trattarle male e lasciarle aspettare sotto la pioggia, perché altrimenti se la devono vedere con Sinead.
E se lei l’ha lasciato con la solita scusa che lo amava troppo, veramente, io non so cosa dire… sarebbe la storia peggiore, più ridicola che io abbia sentito, ancora più ridicola dell’obbligo di servire la cena al leprechaun.
- Notizie interessanti? – gli chiese Sinead, appoggiandogli le mani sulle spalle.
- Non lo so…
- Stai pensando ancora a Sean, vero?
- Era distrutto, quando l’ho chiamato. Non stento a crederci: dev’essere davvero una questione seria per decidere di prendere in mano l’azienda. È dai tempi dell’università che non voleva nemmeno sentirne parlare. Poi, vendere il “Joyce” così, al primo venuto, senza nemmeno pensarci… Era un’attività redditizia, dopotutto.
- Non penso che a tuo fratello sia mai interessato molto il denaro. – sbuffò per ricacciarsi indietro una ciocca di capelli.
- Non lo capisco. Ti assicuro, sono anni che credevo di non capirlo, ma adesso ne ho la conferma.
- Oh, insomma, Mik! Quando due si lasciano, sono questioni loro. Voglio dire, come fai ad essere certo che tutto andasse bene? Non eri nella loro camera da letto, dopotutto. E, non fraintendermi, anch’io adoro Fran, profondamente. E sognavo di averli entrambi qui con noi, con i nostri e i loro bambini, un giorno. Però ci sono cose che non possiamo essere noi a comandare, che riguardano solo loro due. Le persone hanno un diritto ai segreti.
- Già… e Sean ne ha fin troppi, di segreti. Ci sono cose che non mi tornano. Dodici anni di fidanzamento senza mai incontrare questa misteriosa ragazza e senza mai mettere piede in Irlanda. Poi, all’improvviso, l’apparizione: loro due, insieme, a Galway. E noi che conosciamo lei, appena in tempo, prima che si dilegui…
- Oh, smettila, Mik: stai diventando come tuo padre! Fa tutto parte di quei segreti che ognuno si porta con sé. – sospirò.
- Che ragione può esserci per fuggire da Erin per così tanto tempo?
- Mik, santa pace! Ma non lo so, ci possono essere tante ragioni…
Dal portico videro una figura con una valigia avanzare lungo il viale.
- Sinead, credo sia Sean, quello.
- Penso anch’io. Fammi un favore: non tormentarlo, povero ragazzo. Davvero, non riempirlo di domande, se non vuole parlare. Vi lascio soli.
Era rientrata con passo lento, scrollando appena la testa fulva.
Sean aveva spinto con un attimo di esitazione il cancello aperto, trascinandosi la valigia.
- Ciao, Mik.
- Ciao, Sean. Sentivo che saresti arrivato. Ti aspettavo, sai. – si slanciò verso di lui, per abbracciarlo – Mi dispiace, davvero, per come è finita.
- Mik, fra me e Fran non è mai cominciata. – ammise, abbassando lo sguardo e posando a terra la valigia.
- Che significa: “non è mai cominciata”?
- Posso sedermi? – accennò alle poltrone di vimini sotto il portico.
- E’ naturale. Senti, vuoi mangiare qualcosa? Bere un tè, almeno. Sei in viaggio da stamani e…
- Lascia perdere, ho lo stomaco chiuso.
- Una Guinness! Quello che non si cura col whisky non si cura con niente, come dici sempre tu. Ci ubriachiamo e non ci pensi più.
- Sì, bravo! Così domani, oltre alle mie sofferenze, dovrò anche litigare col mal di testa. Poi non ci torno a bere birra a Galway, magari proprio dove ho portato Fran.
- Anche questo è vero. Se ci fosse qualcosa, qualsiasi cosa che potessi fare per non vederti in questo stato, giuro che la farei.
Sean guardò lontano, facendo qualche passo nel giardino. Tra le altre piante e l’erba c’era un piccolo cespuglio di trifogli. Ne spiccò uno e rimase a fissarlo lungamente.
- Siediti, Mik. Siedi e ascolta tutta la storia, com’è andata veramente. È l’unica cosa che puoi fare per me.
Attese che il fratello prendesse posto su una delle poltrone, prima di fare lo stesso. Posò con decisione il trifoglio sul tavolino.
- Guarda. Cosa vedi?
- Un trifoglio, Sean. Per favore, sii diretto e non parlare per metafore. Tu sei l’artista e in queste cose ci sguazzi, ma io non riesco mai a seguirti.
- Cosa vedi, Mik? – ripetè, con veemenza.
Forse sarebbe stato meglio tentare di comprenderlo, in un momento simile, si disse Michael.
- Un trifoglio, Sean.
- Erin. Quello che io vedo è Erin: la ragione per cui non sono riuscito a tornare, fino ad ora.
- Non riesco a collegare Francesca con Erin, per quanto mi stia sforzando.
- Ti racconterò tutto dall’inizio.
 
 
Sinead si era premurata di preparare per l’arrivo del cognato una delle stanza del terzo piano. Almeno sarebbe stato sufficientemente in solitudine quando non avesse sopportato la compagnia e abbastanza vicino a loro quando il silenzio gli avesse messo addosso troppa tristezza.
Aveva riempito la camera con le cose che egli aveva spedito e, tutto sommato, non pareva nemmeno una sistemazione tanto improvvisata. Qualche giorno e, forse, gli sarebbe sembrato di essere lì da una vita.
In giardino, i due uomini continuavano a discutere ma, attraverso i vetri chiusi, le voci non riuscivano ad arrivarle.
Chissà cosa si stavano dicendo…
Di sicuro, Sean stava soffrendo. Anzi, ad essere sincera, lo aveva trovato davvero giù, uno stato di prostrazione che non si sarebbe mai aspettata di vedere in un discendente degli O’Brien, di solito dotati di un’immancabile ironia anche nei momenti peggiori.
Doveva amarla proprio tanto. E Malachy ha il suo bel da dire che quei due stavano insieme per copertura. Per una copertura, mica piangi così!
Sean, di sotto, con i gomiti appoggiati al tavolino e la testa tra le mani, raccontava e piangeva. Forse piangeva di più di quanto raccontava.
Si spostò dalla finestra, facendo ricadere la tendina sui vetri, per una sorta di pudore.
Povero ragazzo. Sospirò, mordendosi appena il labbro. E povera Fran. Anche lei sta soffrendo.
Lo so, lo so che l’ha lasciato lei, ma me lo sento che sta male. Intuito femminile.
Sinead si asciugò una lacrima che aveva preso a scorrerle sulla guancia.
Mi mancherai, Fran. Mi mancherai tanto.
 
 
- Adesso avrai capito, Mik. Era tutta una finzione, fra noi due. E sarebbe andata bene, se solo io… non mi fossi innamorato come un ragazzino. – Sean rise di sé, tra le lacrime, col solito amaro sarcasmo degno di un vecchio irlandese.
- Non sono cose che si possono programmare, ragazzo mio.
- Grazie, fin qui c’ero arrivato da solo.
- E tutto questo solo per nasconderci che, da giovane, hai avuto qualche esaltazione patriottica? Mio Dio, Sean, smetterai mai di essere tanto melodrammatico? Quante sbornie pensi che io mi sia preso, a quell’età? E se mamma e papà lo sono venuti a sapere, amen.
- Mik, non si trattava di farsi una pinta in più o di aver marinato la scuola un paio di volte al mese. Io ho rischiato di sfiorare la sorte di nostro nonno Liam. – si alzò di scatto – Come puoi prendere tutto così alla leggera?
- Come fai a prendere tutto seriamente, allora? Troppo seriamente.
- Erin è stata una questione seria, allora. Anche adesso, ma in modo diverso. Avanti, dillo pure cosa stai pensando! Che se vi avessi detto tutto fin dal principio, non mi sarei trovato in questa situazione, a innamorarmi della donna che non potevo avere e che ho perso perché sta per sposare un altro.
- Sai che non lo direi mai.
- Invece lo pensi! Bene, sai cosa ti dico? Che sono felice di quello che ho fatto e non solo perché ho risparmiato a nostra madre un patema d’animo lungo dodici anni. Ma soprattutto perché se non me ne fossi andato in Italia, non avrei incontrato Fran.
- Bella consolazione! L’hai avuta solo per otto giorni.
- Gli otto giorni migliori della mia vita. Avrei potuto non incontrarla mai, ci pensi? Otto giorni con lei mi hanno ripagato di dodici anni lontano da Galway.
Mik… - lo abbracciò nuovamente – Che diavolo! Perdonami, Mik: tu sei qui ad ascoltarmi ed io ti tratto in questo modo. Sono un cretino.
- Lascia stare. Scusami tu, piuttosto. Mamma non saprà nulla, per l’amor di Dio: ha ancora in testa la storia dei suoi nonni e, sinceramente, so che passerebbe il resto della sua vita a temere che tu possa occupare il Post Office per la seconda volta. – sorrise.
- La amo, Mik. La amo tanto, anche se l’ho perduta.
- La dimenticherai, prima o poi. È brutto da dire, ma il tempo cura tante cose. Rimani con noi, almeno non sarai solo. Riuscirai a cambiare vita e a pensare a lei, un giorno, con più serenità. – gli diede un’affettuosa pacca sulla spalla – Vuoi che me ne vada?
- Senza offesa, Mik, ma sì. Ho bisogno di riflettere.
- Lo so, ti conosco. Rientra, tra un po’, ok?
Annuì.
- Un’altra cosa, Sean. Non lo pensavo davvero. Che prendi le cose troppo sul serio, intendo. Sei sempre stato quello più sensibile di noi due, fin da bambini. Quello che ha visto più lontano e che ha capito le cose più in profondità. Io… io sono troppo superficiale per intuire quello che hai passato, quanto ti è costato questo esilio. Ma sono contento che ne abbia parlato con me.
- Smettila, sai che non è vero. Is breá liom tú. Ti voglio bene, Michael.
 
 
- Sean, non vuoi rientrare? Si sta facendo freddo, qui fuori.
Sinead era uscita con una coperta e una tazza di tè.
- Fra un poco. Solo un momento, Sinead.
- Tieni. – posò il vassoio sul tavolino e la coperta sulle spalle di Sean.
- Sei un tesoro. – le disse, mentre lei spostava la poltroncina per sedersi di fianco a lui.
Ai suoi piedi c’era un album di fotografie, scattate nel corso degli anni. Tra le mani, ne stava scorrendo alcune.
- Sono stupende. Sei molto bravo, sai.
Sean annuì distrattamente. Il ritratto di Fran era capitato in cima alle altre immagini e vi era rimasto a lungo, senza che lui riuscisse ad evitare di guardarlo.
- E’ bella, non è vero, Sinead? E no, il merito non è nella mia abilità di fotografo. Ho la presunzione di credere che fosse davvero felice. È stata felice, in quei giorni.
- E’ bella, sì. Ma dovresti smettere di tormentarti.
- Mi manca. Vorrei tanto che fosse qui, adesso. Che prendesse un dannato aereo, corresse a Galway e mi dicesse che ha sbagliato tutto, che mi ama. Ma mi sto solo illudendo. – fece scivolare la foto di Fran sotto il plico.
- Ecco, fammi un po’ vedere... Wow, ma questa è la Galway Bay al tramonto.
- Già. – fece una rapida carrellata - Tramonto. Un altro tramonto. Lo so che sembra identico all’altro, ma io mi ricordo la differenza. A vedere quest’ultimo c’era anche Fran.
- Dear, dear, dear... – sussurrò lei, abbracciandolo.
- Sinead, non voglio che queste immagini siano tutto quello che mi rimane di lei. Non voglio ritrovarmi tra dieci, vent’anni a riguardarle, a rimpiangerla, a rimpiangere quello che non ho fatto per tenerla con me. – le confessò all’orecchio.
- E cosa potevi fare? Hai fatto tutto quello che hai potuto. Devi avere fiducia in lei, adesso, che si ravveda, sempre che la speranza non ti aggiunga altro dolore. O devi dimenticarla.
Per il momento, propongo di dormirci su. Hai avuto una giornata faticosa. – sorrise, con amarezza – No, non è la stessa camera, Sean.
- Grazie, Sinead.
 
 
Non aveva dormito, quella notte. Non vi era riuscito, nonostante la stanza non fosse quella che avevano diviso per una settimana. Tutto, in quella casa, gli parlava di Fran.
Ho fatto male a non andare dai miei, anche se avrei dovuto sottopormi al triplo di domande che mi sono state rivolte qui.
Aprì la stanza del bambino, quella che avevano dipinto assieme, e il fiume di ricordi si fece inarrestabile.
La camera da letto, invece, continuava a parlagli, impietosamente, del sabato notte in cui avevano fatto l’amore.
Chissà quanto riuscirò a durare qui. Se continuo così, dovrò cambiare aria entro tre giorni. Possibile che una settimana, una misera settimana, sia riuscita a ridurmi in questo stato.
Francesca… Francesca, dove sei adesso? Con lui, non è vero?
Dov’è la tua mente? Cosa darei per sapere se accanto a quell’Enrico o accanto a me, se mi hai seguito con il pensiero per tutto il viaggio oppure se non hai conservato di me nemmeno un’immagine sbiadita.
Si portò alle labbra il claddagh per baciarlo.
E sono soltanto le tre, Sean. Cosa farai nei prossimi giorni, nelle prossime sere? Speri che il dolore sia meno accentuato?
Si diresse nella biblioteca, ma anche lì non vi era alcuna possibilità di dare tregua al cuore. Aveva davanti ogni istante di quel pomeriggio in cui lui, seduto a leggere, l’aveva confortata tenendosela vicina, sulle sue ginocchia. E le ore seguenti erano state quelle della passeggiata a Galway, della sosta nel pub a bere Guinness e aspettare che spiovesse. L’aveva riparata con il proprio impermeabile e, al momento di salire in macchina, aveva desiderato per la prima volta di poterla baciare.
Mi stavo già innamorando. Mi ero già innamorato di lei.
Ti amo, Francesca. Ti amo e sono passate solo due settimane da quando eravamo qui, in questa casa, a confidarci le nostre vite, a confessarci i nostri sentimenti, le nostre paure, a fare l’amore, Francesca. Due settimane e mi manchi. Ed è un dolore sordo, continuo, quello della tua assenza.
E più mi manchi, più non riesco a smettere di amarti. Assurdo.
Due settimane! E dopo? Cosa verrà dopo?
Aprì il primo libro che trovò sugli scaffali, tanto sapeva che non sarebbe riuscito a leggere nulla.
Si sedette sulla poltrona e respirò profondamente.
Erin. Aveva lei, ora. La sua Erin. Anche per essa aveva sofferto la nostalgia. L’aveva amata e gli era mancata quanto Fran, a suo tempo, eppure era sopravvissuto.
Doveva trovare il modo di farsela bastare.
Dalle imposte socchiuse filtrava la luce della luna, penetrante come una lama.
Erin, mia dolce, verde Erin… Sono tornato per te.
 
 
Il campanello di casa O’Brien suonò alle sei e cinquantasette, quella mattina. Un orario che sarebbe rimasto, assieme alla data, nei ricordi di famiglia.
Sinead, mattiniera come sempre, aveva posato la caffettiera, prima di uscire a controllare chi fosse.
No, non può davvero essere…
E dire che la vista l’aveva sempre avuta buona.
- Sinead. No, non rimproverarmi, per favore. So che ho combinato un sacco di casini. – lei l’aveva guardata con aria supplice. In piedi, davanti al cancello, con l’aspetto scarmigliato di chi aveva affrontato un lungo viaggio piuttosto improvviso, il viso di chi non dormiva da parecchie ore, senza nemmeno una valigia: sarebbe stato impossibile rimproverarla, anche volendo.
- Fran, tesoro. Entra, per favore.
Francesca le si gettò tra le braccia: - Sinead, dimmi la verità: l’ho perso, vero? È furioso con me?
Sinead scrollò la testa: - Ti aspetta. Ti ama, Fran.
Vide i lineamenti dell’altra distendersi, improvvisamente.
- E’… è qui?
- Sì, è di sopra, in biblioteca. Ci ha passato la notte, sai? E ieri non ha fatto che parlare di te.
- Posso… posso andare?
Le carezzò lievemente i capelli: - E me lo chiedi? Vai, Fran. Questa volta non voltarti indietro. Segui il tuo cuore.
 
 
Due colpi leggeri alla porta della biblioteca giunsero a svegliarlo, dopo appena qualche ora di assopimento, anche piuttosto agitato.
L’odore di caffé gli chiuse lo stomaco.
- No, Sinead, ti prego, il caffé no . Non posso farcela.
Fran aprì piano la porta, entrando con la tazza: - Nemmeno se te lo porto io?
Sean sobbalzò sulla poltrona: - Francesca! Non sto sognando?
Sorrise: - No, non stai sognando. – gli passò la tazza del caffé che lui si affrettò a posare per terra, in modo da tenerle le mani nelle proprie.
- Quando sei arrivata?
- Adesso. Ho cercato di raggiungerti alla stazione, Sean, di fermarti, ma tu eri già partito. Perché non hai voluto rivedermi? No, non è un rimprovero, ci mancherebbe. Hai tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiato con me, ti ho fatto tanto soffrire. – prese a parlare a raffica, come sempre, quand’era agitata. E avrebbe divincolato anche le mani, se non fossero state nella presa salda di Sean: - Ho preso il primo volo. Sono partita così, senza nemmeno una valigia. Guarda: l’unica cosa che mi sono portata appresso è la borsetta, proprio io che parto sempre con mille cose. Sono venuta qui appena ho potuto. Mi chiedevo, allora, se per caso tu… se noi… Che casino! Avevo in testa mille discorsi e non riesco a concluderne nemmeno uno. Voglio dire se tu mi amassi ancora, Sean… No, non dire niente! Vuoi che me ne vada? Hai il diritto di cacciarmi via, perché io mi sono comportata da stupida, ti ho illuso e…
- Francesca, per favore: respira.
- Sì.
- Fran, nessuno ti ha chiesto di andartene. – la trasse a sé, con ferma dolcezza.
- No? Davvero tu non sei in collera con me? – gli chiese, inginocchiandosi sul pavimento, ai suoi piedi.
- E come potrei? Francesca… - non riuscì a finire la frase, perché già stava cercando con le proprie labbra quelle di lei.
La sollevò dolcemente, facendo aderire il proprio petto al suo mentre la baciava. La sentì abbandonarsi alla dolce resa di quel contatto, venuto a ripagarli all’improvviso, inaspettatamente, di tutte le lacrime spese.
- Ti amo, Francesca. Ti stavo aspettando, mo ghra. – le sussurrò, passandole le mani sul viso.
- Anch’io e mi spiace averlo capito solo così tardi. Ma adesso non me ne vado. Non ci sarà nessuna ragione che riuscirà a separarmi da te. L’ho lasciato, Enrico. Lui e le mie assurde illusioni sono rimasti in Italia. Lontano, tanto lontano.
- Pensa che sarebbe potuto non accadere mai. – rise appena – Stai tremando: hai freddo, Fran? Come quella sera a Galway?
- No, non ho freddo. Sono felice, Sean. Tanto felice. – lo abbracciò, tenendolo stretto al seno – Felice di averti ritrovato.
- Non me ne sono mai andato, Fran. Anche qui, in Irlanda, pensavo a te.
Francesca respirò profondamente il suo profumo, misto all’odore dei libri e alla salsedine della baia: - Dicono che esista una patria del sangue e una patria dell’anima, Sean. Ma ho capito che la mia casa non è dov’è il mio cuore, bensì dov’è il tuo. Cercami nei luoghi in cui egli si rifugia e mi troverai lì. Sposami, Sean O’Brien. – trasse dalla tasca il claddagh che aveva portato con sé.
Sean fece scorrere le mani sulle sue spalle, guardandola a lungo, come per timore di avere dimenticato qualche particolare, qualche dettaglio del suo volto, in quei giorni.
Percorse i suoi lineamenti con la punta delle dita, le sfiorò le labbra prima di baciarla un’altra volta.
- Può essere una valida risposta? – le soffiò, mentre le infilava l’anello al dito.
- Decisamente no, mi serve una conferma. – replicò, riappropriandosi della sua bocca.
Sean si alzò e, sempre continuando a tenerla vicina e a baciarla, la condusse in camera da letto.
Chiuse la porta alle loro spalle.
- Non te ne andrai, questa volta? Non è vero, Fran?
- Non me ne andrò, Sean. Né questa volta né quelle che seguiranno.
Il leprechaun di ceramica fischiò, da sopra il comò.
- Anche lui ne è convinto.
- Dopotutto, Sean, ci sono poche certezze nella vita. Fra cui un leprechaun che fischia. Erin go bragh! – disse, rivolta al soprammobile.
- E a me? Non dici nulla nel tuo pessimo gaelico? – scherzò.
- Se ci tieni tanto a sentirtelo ripetere: Erin go bragh.
-  Sbagliato… Io preferisco: Tá grá agam duit. Ti amo, colleen.
- Tá grá agam duit, Sean. Tá grá agam duit. – sussurrò, dando un giro di chiave alla porta.
   
 
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