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Autore: Francine    28/06/2003    3 recensioni
Che ci faceva lì?
Ma, dov’era
?
Forse al Santuario? Ma da quando in qua ad Atene c’è necessità di coprirsi tanto?, pensò sgranando gli occhi di colpo, E poi quando mai Mask mi ha portata con sé?
Fece per alzarsi di scatto, quando un lancinante dolore al fianco le mozzò il respiro nei polmoni e la costrinse ad accasciarsi sul pavimento, un braccio posato sul letto.
Si toccò istintivamente la parte, notando la punta delle dita sporca di sangue.

Che cosa?, si chiese allibita, mentre la stanza attorno a lei cominciò a girarle vorticosamente intorno e a scurirsi.
Il narciso, bianco nel nero puro della stanza, si allontanava piano piano, svanendo all’orizzonte.
Rimase qualche secondo a fissare l'oscurità; sbatté le palpebre, per sincerarsi di avere gli occhi aperti.
Era nel buio più profondo e silenzioso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Un, deux, trois' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Sogno
 
Morire, dormire, non altro,
e con il sonno dire che si è messo fine alle fitte del cuore,
a ogni infermità naturale alla carne:
grazia da chiedere devotamente.
Morire, dormire.
Dormire? Sognare forse.
( William Shakespeare, Amleto, atto II scena I)

 
 
Milo uscì dalla stanza di Françoise, chiudendosi la porta alle spalle. Raggiunse Tonio in salotto e posò sul piccolo tavolino il piatto che aveva portato via dalla stanza della ragazza.
L’uomo guardò il giovane da sotto gli occhiali, senza togliere lo sguardo dal giornale, stampato su carta rosa, che stava leggendo.
«Ha mangiato tutto?», chiese come una chioccia premurosa voltando pagina.
«Sì…», rispose Milo guardando quel curioso vecchietto: a primo acchito sembrava proprio un comunissimo pensionato, non un ex Gold Saint in circolazione.
«Quando avete intenzione di partire?», chiese Tonio, come se stesse parlando del tempo.
«Sii serio…», gli fece Milo, seccato per quella domanda. «Françoise ha due costole incrinate, non credo potrà muoversi per un bel pezzo! E anche ammesso che riuscisse a farcela, costituirebbe un bersaglio troppo facile, non credi?», concluse il ragazzo tornando a guardare davanti a sé.
L’uomo si aggiustò gli occhiali, scesi sulla punta del naso, e alzò lo sguardo verso il suo ospite.
«Ma, anche restando qui, sarebbe ugualmente un bersaglio facile, non credi?»
Milo, che accarezzava uno dei gattini di Françoise, pensò che le parole di Tonio avessero un loro senso: sia che fosse rimasta, sia che fosse partita, la sua compagna sarebbe stata facilmente sconfitta dai sicari di Loki.
Tuttavia, il ragazzo dai lunghi capelli viola non poté far a meno di ricordare le parole di Saori al momento della sua partenza.
«Se Françoise è ancora sana e salva, conducila qui: parla con dolcezza al suo cuore, e vedrai che ti seguirà. Ma se Loki fosse già riuscito a catturare la ragazza, ti ordino, ripeto, ORDINO di riferire al più presto e di aspettare in loco i rinforzi! Non intraprendere azioni personali, intesi?»
Teoricamente, Françoise era ancora salva; magari non sana, ma almeno era riuscito a limitare i danni. Loki, aveva, tuttavia, fatto la sua comparsa sul luogo, aggredendo la ragazza per mezzo di un suo sicario.
Che cosa avrebbe dovuto fare?
Condurre Françoise al Santuario sarebbe stata una pazzia, date le condizioni in cui versava la ragazza; d’altro canto, restare in casa di Tonio equivaleva a gettarsi in pasto al nemico: se Françoise era stata attaccata, evidentemente i seguaci di Loki erano già arrivati in Sicilia.
Il ragazzo strinse le mani fino a ché le nocche non sbiancarono.
«Se accetti un consiglio da un vecchio brontolone», disse Tonio alzandosi dalla poltrona, «partite con le prime luci dell’alba. Sarà meglio che non vi trovino…»
Milo alzò la testa verso il suo ospite.
«E tu che cosa farai?», chiese in un sussurro all’uomo, che piegò il giornale e lo inserì in un cesto pieno di vecchie riviste.
«Me la caverò benissimo, tranquillo…», rispose Tonio sorridendo. «Ma adesso è tardi! Ti consiglio di andare a dormire. Resterò io di guardia», concluse l’uomo indicando al ragazzo un letto ricavato stendendo delle candide lenzuola sul divano.
«Non è bello a vedersi, ma ti assicuro che è molto comodo!» affermò Tonio chiudendo a cerchio pollice ed indice della mano destra. Milo sorrise e ringraziò il vecchio Saint per le premure che aveva usato nei suoi confronti.
«Grazie, ma vorrei prendere una boccata d’aria, prima di coricarmi..», disse il giovane alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la porta.
Tonio annuì con il capo e salutò il ragazzo dirigendosi verso la sua stanza.
Milo, visto scomparire il vecchietto nell’ombra, scrollò le spalle e uscì in giardino. Il profumo delle rose bianche si spandeva per l’aria tersa di quella serata di fine Settembre. Lo sciabordio delle onde arrivava attutito alle orecchie del ragazzo, che raggiunse il centro del vialetto e si sedette per terra, incrociando le gambe.
Chiuse gli occhi, cercando di assaporare con tutto se stesso gli odori e i sapori di quel luogo: la voce delle onde, lo stormire delle fronde cullate dal dolce vento della sera, il profumo delle rose e dell’erba tagliata di fresco.
C’era calma nell’aria, la stessa calma che precede la tempesta, ma si sentiva sollevato, rispetto a quando si trovava ancora a casa sua, sull’isola di Milo.
Sebbene una sua compagna si trovasse a qualche metro sopra la propria testa con due costole malmesse e tutta una serie di lividi sul corpo, era più sereno di quando non sapeva che fine avesse fatto.
Sorrise.
Tutto ciò non aveva niente di logico: la situazione in cui si trovava era complessa e spinosa, ma nonostante tutto non era preoccupato.
Sollevato.
Era sollevato al punto che si lasciò cadere a terra, rimanendo per un po’ di minuti a fissare il cielo stellato.
In quel momento capì perché mai la ragazza avesse riprodotto sul soffitto della sua stanza la mappa del cielo: lo spettacolo che si poteva godere dal giardino della casa di Tonio era alquanto misero, rispetto alla moltitudine di stelle che era possibile vedere dal Santuario.
Improvvisamente, la tensione e la stanchezza accumulate fino a quel momento ebbero la meglio sul ragazzo, che s’avvide di non riuscire a tenere gli occhi aperti.
Ecco… sono arrivato al limite, pensò Milo stropicciandosi gli occhi e mettendosi a sedere. Sarà meglio andare a dormire dentro.
Si rialzò da terra, si scrollò la polvere dai vestiti e si diresse verso casa.
Posò i vestiti su una sedia, indossò un pigiama di cotone blu, prestatogli dal suo ospite, spense la luce e si sdraiò sul divano del salotto di Tonio. La stanchezza accumulata nei giorni precedenti chiuse, una volta per tutte, gli occhi di Milo, sebbene il ragazzo volesse spendere parte della sua solitudine per decidere cosa fare.
Tornare o non tornare… questo è il dilemma!, pensò il ragazzo scimmiottando un celebre verso di Amleto di Shakespeare, prima di scivolare in un sogno senza sonni.
 
Un’esplosione di colori si mostrò generosa ai suoi occhi: fiori multicolori rallegravano di vivaci sfumature il crinale a picco sull’azzurro Mar Egeo.
L’aria salmastra del mare arrivava a lambire le sue narici, inebriandola e dandole una sferzata di energia, mentre la leggera carezza del vento sulla sua schiena la faceva sentire leggera come una foglia, pronta a spiccare il volo.
Lo spettacolo di quell’angolo della collina del Santuario, che solo lei conosceva, aveva il potere di lasciarla sempre senza parole, tanta era la bellezza della natura le si mostrava, di volta in volta, in tutto il suo splendore. L’esplosione di fiori in Primavera, il dorato colore degli aranci e delle messi in Estate, la ruggine delle foglie degli alberi in Autunno, la solitudine contemplativa del Mar Egeo in inverno: ogni stagione le regalava attimi di bellezza che avrebbero fatto bella mostra di sé sulle tele dei pittori e nei versi dei poeti.
La gonna, gonfiata dall’alito caldo del vento di Maggio, danzava nell’aria in un’ipnotica coreografia.
«Che caldo che fa, oggi!», sbuffò stendendosi sotto l’ombra di un grande olivo secolare. «Non oso pensare a cosa accadrà quando arriverà Luglio!»
Volse gli occhi verdi ad osservare il cielo azzurro, screziato da nuvole bianchissime, ponendo una mano a schermo davanti agli occhi. Seguì la lenta ma inesorabile corsa delle nuvole, cogliendo quali curiose forme potevano assumere.
 Toh… quella assomiglia alla Gran Bretagna…, pensò, notando un ammasso simile all’estensione del Regno Unito.
Sorrise, decidendo di riposare per un po’ sotto l'ombra dell’olivo, cullata dallo stormire delle fronde e dal prematuro canto delle cicale.
Aveva appena chiuso gli occhi, quando si sentì chiamare da una voce che le fece sobbalzare il cuore.
«Che ci fai tu qui, gaviota? Eppure, lo sai che non dovresti trovarti qui, vero?»
Si alzò prontamente a sedere, volgendo lo sguardo verso il ragazzo che le aveva rivolto quel rimprovero bonario, col tono di chi sa già che sta conducendo una battaglia persa in partenza.
«Allora?», insistette lui, le mani chiuse a pugno sui fianchi.
«Avevo voglia di starmene un po’ per i fatti miei», si giustificò lei, arrossendo. «E questo posto è così bello…»
Il ragazzo sospirò, scrollando il capo.
«È inutile…», riprese continuando il suo rimprovero. «Sai bene che alle ragazze è tassativamente precluso l’accesso al campo d’addestramento maschile! Eppure te ne freghi altamente!», concluse facendo la voce grossa.
La ragazza abbassò la testa, preparandosi all’ennesimo scapaccione; invece, il ragazzo posò una mano sul suo capo, con fare amichevole, carezzando quella testa matta, che amava agire secondo i propri desideri, incurante dei divieti e delle regole.
«Non imparerai mai, vero?», le chiese lui sorridendole.
«Non è giusto, però!», pigolò la ragazzina, gonfiando le guance. «Il vostro campo ha gli scorci più belli di tutto il Santuario! Il nostro, invece, fa letteralmente schifo!», protestò incrociando le braccia al petto e voltando la testa dall’altra parte.
«Ma tu non ti alleni qui, in Grecia», rispose guardandola seriamente. «Cosa te ne cale della bellezza del campo femminile?», continuò sedendosi accanto a lei, sotto l’ampia chiazza d’ombra.
«Che io mi addestri qui o altrove, fa lo stesso!», riprese lei, piccata. «È un’ingiustizia, punto e basta!»
Il ragazzo la fissò perplesso; quindi chiuse gli occhi e si lasciò andare ad una sonora risata.
«E adesso che ho detto per farti ridere tanto?!», gli chiese inviperita, lanciandogli uno sguardo infuocato.
«Sei buffa!», rispose lui tornandola a guardare con quei suoi occhi scuri.
Restarono qualche minuto in silenzio, quindi il ragazzo si alzò e si scrollò la polvere ed un po’ di terriccio dai pantaloni color kaki.
«Adesso devo andare…», fece lui volgendosi ad osservare il mare. «Farò finta di non averti visto qui, oggi; ma bada che non diventi un'abitudine! Siamo intesi?», concluse allungando il suo indice destro verso di lei, con fare ammonitore.
«Ok…», rispose lei sbuffando ed alzandosi da terra.
Il ragazzo la guardò sorridente, ma triste, come se quella fosse stata l’ultima volta che si sarebbero incontrati.
«Che cos’è quella faccia scura?», gli chiese lei preoccupata.
«Nulla…», rispose scuotendo il capo e assumendo un atteggiamento distaccato, «Ora devo andare… Adios!», disse voltandosi ed agitando una mano in segno di saluto.
La ragazza vide la sua schiena allontanarsi a poco a poco, e, allo stesso modo, si sentì invadere dall’ansia al pensiero che, forse, non l’avrebbe più rivisto.
Avanzò verso di lui, cercando di raggiungerlo, ma accadde qualcosa di strano: la luce attorno a lei era sparita assieme al ragazzo, lasciandola nell’oscurità.
Più tentava di raggiungerlo, più lui si allontanava, finendo per divenire irraggiungibile, sebbene fosse ben visibile ai suoi occhi.
Assalita dall’ansia, chiamò il suo nome, non accorgendosi di stare, invece, gridando.
«SHURA!!»
Il ragazzo proseguì, incurante della sua voce accorata.
«SHUUUUURAAAAAAAAAAAAA!!!»
Si risvegliò nel suo letto, madida di sudore, con un dolore lancinante alle costole: si era alzata all’improvviso, come si era risvegliata, del tutto dimentica dell’agguato di cui era stata vittima nel pomeriggio.
Portò istintivamente una mano sulla parte dolorante, mentre i denti erano serrati in una morsa. Che cretina… si disse, mentre riacquistava lentamente un regolare ritmo di respiro.
Sorrise, ma questa volta di disappunto.
Era solo un sogno! Come potevo avere l’aspetto attuale, se l’ultima volta che l’ho visto avevo dodici anni?, si disse asciugandosi una lacrima dal viso.
«Tutto a posto?»
La voce concitata di Milo le fece alzare il capo in direzione della porta: vide il ragazzo appoggiato sullo stipite bianco della sua stanza, visibilmente preoccupato. Doveva aver urlato a pieni polmoni, perché sia Milo che Tonio fossero accorsi prontamente al suo capezzale.
«Picciotta, è tutto a posto?», le chiese Tonio, avvicinandosi al letto con fare premuroso.
«Sì, sì…», li rassicurò asciugandosi furtivamente una lacrima. «Ho solo fatto un brutto sogno, scusatemi…»
L’uomo le accarezzò la testa con fare premuroso, gesto che contribuì a commuovere la ragazza, che riprese a piangere, senza freno.
Milo entrò nella stanza, restando, però, lontano dai due, come se non volesse interferire in una riunione di famiglia.
Famiglia.
Non era sicuro di sapere cosa significasse quel termine, ma lo spettacolo che aveva davanti agli occhi si avvicinava molto all’idea che si era fatto crescendo.
Quando Françoise si fu calmata, narrò nel dettaglio il sonno fatto poco prima: il Gold Saint riconobbe il luogo descritto dalla ragazza, posto in cui era solito recarsi anch’egli a riposare durante la calura estiva, sovente accompagnato da Aiolia o Shura, ma più spesso da solo.
Ad un tratto, Françoise riprese la parola.
«Credo… credo che questo sogno non sia stato casuale, sapete?», disse la ragazza, dopo essersi soffiata il naso con un fazzoletto di carta.
«Sciocchezze, sciocchezze!», le disse Tonio aiutandola a sdraiarsi e coprendola con il lenzuolo. «Era solo un brutto sogno! Anche quando tornasti, non facevi altro che sognare di tuo fratello; saranno state le emozioni che hai avuto in questi giorni a farti quest’effetto.»
«Credo che abbia ragione Tonio, anche se con Loki e i suoi scagnozzi, non è da sottovalutare l’ipotesi che il sogno di Françoise sia stato indotto…», concluse Milo, appoggiandosi al muro, una mano sotto il mento, a riordinare gli eventi.
«Io dico di no», intervenne Tonio allontanandosi dal letto della ragazza. «Ci stiamo solo facendo suggestionare! Ora è meglio che voi due torniate a dormire, sarete stanchi, immagino. Io resterò di guardia qui, nel caso che le vostre supposizioni siano fondate, va bene?», disse con un tono che non ammetteva repliche.
Milo seguì l’uomo fuori della stanza, annuendo alla proposta fattagli poco prima: lanciò uno sguardo preoccupato a Françoise, che si stava riaddormentando.
«Kalinikta…», sussurrò Milo all’indirizzo della ragazza, già scivolata nel mondo dei sogni.
I due uomini si ritrovarono nel corridoio, e, dopo che Tonio chiuse la porta di legno bianco alle sue spalle, Milo lo fissò dritto negli occhi grigi.
«Tu resta qui, io pattuglierò il pian terreno», disse al compagno, il quale scrollò le spalle e replicò: «Non c’è nulla di preoccupante! Non avverto alcun microcosmo nei paraggi, stai tranquillo!».
«Sarà»,disse Scorpio scendendo le scale. «Ma sarò più tranquillo dopo che avrò personalmente ispezionato la casa ed il giardino.»
Senza attendere repliche da parte di Tonio, il ragazzo si rivestì ed infilò la porta principale.
L’esterno della casa si presentava avvolto ancora nella notte, mentre non una mosca turbava la quiete di quel posto. Milo volse lo sguardo tutt’intorno, accorgendosi solo in quel momento del fatto che la casa sorgesse sulla sommità di una collinetta. Completamente isolata.
Durante il giorno non ce ne si accorgeva, data la presenza delle piante, che riempivano il vuoto abitativo attorno alla costruzione. Tuttavia, di notte, quelle stesse piante, che incorniciavano la casa, creavano una sorta di intricata barriera contro qualsiasi aggressione esterna.
Uscì sulla strada, aprendo il cancelletto di legno bianco, per osservare i movimenti sulla strada: non c’era anima viva.
Stava per voltarsi e rientrare, quando sentì un rumore provenire dalle sue spalle: si girò, pronto ad estrarre il suo ago venefico, avvicinandosi alla fonte del rumore.
Dietro un cassonetto, vide solo le iridi di un gatto che si stava procacciando la cena frugando tra i rifiuti.
Milo scrollò la testa, sollevato dal fatto che si trattasse solamente di un innocuo animale.
Tanto rumore per nulla, pensò, tornando sui suoi passi. Ma subito, però, si accorse che qualcosa stava cambiando: le piante, che costituivano un ornamento della casa, sembrava che stessero stringendo la loro morsa attorno alla costruzione.
Milo scosse il capo, convinto si trattasse di uno scherzo del buio o della stanchezza: quando riaprì gli occhi, tuttavia, si accorse che la sua impressione corrispondeva paurosamente alla realtà. Le piante stavano ripiegando su loro stesse, a formare un bozzolo inespugnabile attorno alla casetta a due piani. Corse verso la costruzione, cercando di guadagnare l’accesso all’interno di quel muro di vegetali; le spine delle rose bianche, una sottospecie della Bloody Rose d’Aphrodite, graffiarono le braccia del Gold Saint, costringendolo ad emettere dei lamenti soffocati dalle imprecazioni che si stava lanciando contro.
«Maledizione!!», ringhiò contro quei rovi che si stavano stringendo sempre più, separandolo dai suoi compagni.
Fu a quel punto che vide qualcosa uscire dall’intrico di rami e spine. Si avvicinò a quello che riconobbe essere un corpo, quando notò con orrore che si trattava di Tonio. Immediatamente, il suo cervello gli porse la soluzione all’agghiacciante quesito che il ragazzo se era immediatamente posto: Tonio era stato assassinato, ed il suo sicario aveva preso il suo posto all’interno della casa.
«Françoise!!», gridò il ragazzo volgendo lo sguardo verso la finestra della ragazza; l’urlo di terrore lanciato dalla sua compagna confermò le sue ipotesi.
 
   
 
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