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Autore: Candice Hazel    09/09/2011    0 recensioni
Quando non hai niente non hai nulla da perdere.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wet


A loro che hanno reso la mia vita, un miscuglio di note.
 
« Saluto con la mia mano, tale innocenza contro l'accendersi dell'oscurità, la vedo scomparire imminente di tutto ciò, in un futile giorno d'inverno. Non resta che fuoco e cenere, non resta che l'eco lontano di una vita spezzata; Non resta che l'urlo di una fenice senza voce. Non rimane nulla nella mia mano nuda, nulla da ricordare, nulla da tenere stretto al cuore. Muore la luce, ma la via è troppo lontana. Oramai il cuore di colei che amava è ammollo in un bicchiere di whisky. »


L’umido della notte penetrava dentro la mia pelle con tale facilità che dovetti sciogliermi i capelli e amalgamarli sopra le spalle per poter sopportare il freddo. Non avevo bagagli e nemmeno soldi. Tutto quello che restava nella mia tasca erano dieci miseri dollari che non bastavano nemmeno per affittare una stanza. Mi strinsi le spalle, godendo di quel poco calore che la mia felpa mi regalava. Avevo lasciato mia madre a terra dopo averla sorpresa per l’ennesima volta in un bar a bere vodka e a fare battutine di poco gusto con il barista, che sembrava intento a portarsela a letto. Ero stanca della vita che avevo, ero stanca di tutto quel trambusto, ero stanca di essere giudicata. Non sapevo ne leggere e ne scrivere, e questo lo sapevo. Avevo una madre alcolizzata e un padre in galera, sapevo pure questo. Eppure la decisione di scappare via mi sembrava l’unica cosa in grado di salvarmi. La notte era stellata ma la luna in cielo non fece capolino da nessuna parte, così in preda allo sconforto mi misi a vagare per le strade di New Orleans con la speranza che qualche audace vecchietta mi venisse incontro e mi offrisse il suo cappotto caldo. Ma nessuno lo fece, anzi tutti sembravano guardavano come se fossi una pezza o uno fottutissimo animale. Ma era anche vero che il mio aspetto non era tra i migliori: i capelli castani lunghi e sfibrati ricadevano sulle mie spalle come un superfluo maglione d’estate, i miei occhi erano rossi e gonfi e le mie labbra screpolate, il mio viso era pallido e senza colore e le borse sotto i miei occhi erano sempre più evidenti. Indossavo una grossa felpa nera e dei jeans macchiati e scoloriti, le mie converse erano sporche di fango e il mio odore assomigliava alla terra o agli alberi. Camminai lentamente ignorando i loro sguardi sprezzanti e rivoltanti. Dovevo trovare alla svelta un luogo dove appartarmi e soprattutto avevo bisogno di mangiare qualcosa. Il mio corpo stava impazzendo dalla fame, così entrai in una rosticceria e non badai a spese. Avevo solo dieci dollari no? Li avrei spesi per saziare il mio stomaco. Comprai due hot-dog con maionese e patatine, un fetta di torta e un frullato alla fragola. Il brontolare del mio stomaco si interruppe alle prime avvisaglie del cibo. Ingoiai quasi tutto in un colpo, e il gruppetto di ragazzi vicino a me risero così forte che per parecchi minuti sentii ancora le loro risate nelle orecchie. Ma non mi importava molto del parere delle persone, e nemmeno di cosa potevano dire. Non parlavo molto ed ero isolata dal mondo da sempre, per questo non avevo un buon rapporto con le persone, anzi le odiavo del tutto e odiavo me stessa e quello che ero. Mi alzai velocemente e pagai. Mi sentì sollevata quando la signora mi diede il conto: solo cinque dollari. Uscì a grandi passi e mi ficcai il cappuccio della felpa sulla testa, tanto per far riscaldare le orecchie ghiacciate. Dormì in un cassonetto, almeno quello era caldo. L’odore d’immondizia mi accompagnò per tutta la giornata successiva e non avevo la minima intenzione di gettarmi nel fiume con tale temperatura. Così non potetti far altro che tenermi quell’odore malsano e dirigermi verso la prigione di New Orleans dove mio padre abitava ormai da cinque anni. Andavo lì in esilio solo per salutarlo forse per l’ultima volta o forse per la prima. Mi fecero entrare senza problemi visto il mio vestiario e il mio odore. Pensavano fossi una povera barbona in visita al suo amato padre. E forse stavo diventando una barbona. L’aspetto e l’odore erano simili. Quando mio padre si sedette dietro il vetro, un ondata di rabbia mi stroncò e mi fece stringere i pugni dentro le tasche. Mio padre, Tom, mi sorrise cordialmente ma nei suoi occhi non c’era nessuna traccia d’amore o di compassione. «Sei cresciuta, Aria!» Esclamò silenziosamente, poiché vicino a noi c’erano altre persone tra cui i poliziotti che tenevano sempre sotto controllo tutti e tutto. Non dissi nulla, mi limitai a fissarlo negli occhi. Non avevo voglia di parlare a lungo, anche perché era l’ultima cosa che sapevo davvero fare. «Come sta la mamma?» Chiese per incassare una conversazione. Non risposi nuovamente e lui dovette scostare lo sguardo altrove. «Papà non ho più una casa. Volevo dirti addio.» Risposi così infine, dopo molti minuti di silenzio. Mio padre stava per dire qualcosa, ma si disperse nell’aria perché io ero già andata via.
  
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