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Autore: Kiyomi    09/09/2011    4 recensioni
Ma che bel gioco, quello degli adulti!
Incredibile è la gioia che desta fingersi grandi
in un mondo in cui tutti si inventano nuovi.
Una festa in maschera è questa in cui ognuno ha il suo ruolo

Non c'è molto da dire, questa è solo una banalissima "RoyEd", come banale può essere definita ogni storia d'amore. Non ci sono particolari sorprese, eventi e soprattutto pretese, solamente la semplice presenza dei delicati sentimenti dei protagonisti. 
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo cinque: Thanatos ed Eros

 

 

Oh l’orgoglio!

Nemico della ragione, rifugio dell’autostima

Quanti dolori porta negli animi affranti,

Privando di numerosi piaceri i deboli cuori.

In pochi sin oggi son riusciti

Ad allentare questo thanatos fatale,

Ma c’è forse forza più grande

Che arresti i tuoi desideri?

La risposta, giovane, devi ancora trovarla.

 

 

 

Quella notte Selene troneggiava nel cielo nella sua forma migliore: piena, chiara, splendente. Sin dall’alba dei tempi aveva primeggiato tra gli astri, ma in quel momento la sua bellezza faceva invidia persino ad Era, regina dell’intero firmamento. Nonostante la sua bella presenza però, anche se ormai erano trascorse ore da quando Elios si era inabissato concedendosi il meritato riposo, ancora non era riuscita a svolgere il suo compito, o per lo meno quello che da anni era diventato routine. Il giovane Elric infatti le volgeva occhi sognanti ed al contempo dubbiosi, sperando di riceve un po’ di sicurezza dalla sua malinconica luce. Da lungo tempo ormai si rivolgeva a lei nelle notti più insonni, quando neanche Alphonse poteva aiutarlo, riferendole i segreti più inconfessabili, trovando conforto nella sua sola presenza.

Mai avrebbe immaginato che persino la luna gli avrebbe voltato le spalle, facendolo sentire così maledettamente solo.

Non era passato neanche un giorno da quando aveva lasciato la casa del Colonnello e possibile che già ne sentisse la mancanza? Il suo orgoglio lo precedette, rispondendo al posto suo.

Dopotutto conosceva Mustang già da qualche anno, ed anche se era costretto a vederlo molto più frequentemente di quanto il suo giovane animo avrebbe voluto, ogni volta che andava in missione non ne aveva affatto nostalgia, e non era deciso ad iniziare proprio adesso. Il Colonnello era solamente un suo superiore e non nutriva il benché minimo affetto per lui, ne era fermamente convinto.

Quella notte però, quando si intrufolò nel letto del fratello, quando trovò per la prima volta quella armatura estremamente scomoda e quando le sue mani risultarono molto più fredde del previsto, quella sua convinzione suonò solamente come una patetica bugia.

 

Non c’era angolo del Quartier Generale in cui quella mattina potesse vigere un po’ di silenzio, poiché anche nei piani più alti e nei corridoi più nascosti ogni orecchio attento avrebbe potuto udire quelle angosciate urla di protesta. Erano richieste disperate gridate da un animo abbattuto, che tanto si stava dimenando per impedire che ciò che era inevitabile avvenisse.  Nonostante regnasse nel suo cuore la consapevolezza della vanità di ogni suo gesto lui continuava a combattere, la determinazione nel cuore, la sconfitta vicina, perché mai si sarebbe arreso senza lottare.

«No Al! Ti ho detto che non ci entro lì dentro!»

Un esaurito Alphonse, forse fin troppo paziente, stava letteralmente trascinando l’Alchimista d’Acciaio per i diversi androni dell’Headquarters, ignorando i calci, i pugni e le imprecazioni che quest’ultimo gli lanciava. In certi casi arrivava persino ad apprezzare la sua armatura forte e resistente, per loro simbolo di sbagli e debolezze.

«Andiamo nii-san, non fare il bambino!» disse con voce consumata. Ogni sua forza era concentrata nel trattenersi, poiché fin troppo volentieri sarebbe saltato addosso al fratello.

«Chi è che da quando era un poppante non è cresciuto nemmeno di un centimetro?!» urlò l’alchimista di stato con gli occhi dilatati dalla rabbia.

Si erano improvvisamente fermati nel bel mezzo di un corridoio, pronti a continuare la loro discussione anche sotto tutti gli occhi incuriositi dei militari. Non c’era persona che passando non si fermasse ad osservare la scena, chi infastidito dalla confusione, chi con l’ilarità dovuta alla visione del famoso Alchimista d’Acciaio comportarsi con una tale infantilità.

 «Se ho detto no è no! Non entrerò nell’ufficio del Colonnello, ne tantomeno lo ringrazierò, ne puoi star certo Al»

Una mano si posò sulla sua spalla di acciaio, esercitando una pressione quasi impercettibile. Se non avesse visto la spavalda figura del Colonnello apparirgli di fianco, non si sarebbe neanche accorto della sua presenza.

«Non ti preoccupare Acciaio, puoi ringraziarmi benissimo anche qui» disse guardandolo con occhi furbi e sicuri, carichi di una spudoratezza che diede un gran fastidio ad Edward.

Perché dopotutto, ne era certo, la si poteva ritrovare nel suo stesso sguardo.

«E perché mai dovrei ringraziarla, Colonnello di merda?! Mi ha lasciato anche senza cibo!»

Qualche parola, probabilmente un rimprovero, uscì dalla armatura di Alphonse, ma nessuno dei due riuscì a capire con chiarezza cosa avesse detto, troppo concentrati sui loro corpi che tradivano ogni frase, sui loro gesti che, pensavano, avrebbero ammaliato chiunque, sui loro occhi colmi di quelle fiamme che entrambi, segretamente, amavano.

In quel momento avrebbero voluto dirsi tante cose, chiarire cos’era successo, urlare al mondo le loro emozioni, ma le parole non uscivano, rimanevano intrappolate nel cuore destinate a marcire insieme ai loro sentimenti. L’orgoglio, loro unico scudo, gli impediva di agire, poiché entrambi favorivano la sofferenza all’umiliazione.

Le persone orgogliose allevano le pene tristi dentro se stesse.

Di colpo apparve sul volto del Colonnello una sorriso furbo, mascherato però poi prontamente dalla rassegnazione, atteggiamento inevitabile di fronte a qualunque comportamento del Fullmetal Alchemist. Una folle idea si era insinuata nella sua mente, scacciando tutti gli altri pensieri fuorché quello che da un paio di giorni era diventato un chiodo fisso.

Non si era mai accorto di quanto apprezzasse i fagioli, soprattutto quelli piccoli.

«Hai proprio ragione Acciaio» disse con fare teatrale incamminandosi per il corridoio «All’una presentati nel mio ufficio, mi farò perdonare»

 

Camminava col cuore in gola e il sospetto negli occhi, mentre ad ogni suo passo la porta di quell’ufficio sembrava allontanarsi. La sua andatura si era fatta ad ogni metro più lenta, somigliando sempre più ad una marcia funebre. Aveva passato quella mattina in compagnia di Alphonse e del Tenente Hawakeye, limitandosi però solamente ad osservarli, annuendo di tanto in tanto a qualche loro frase. Mentre quei due parlavano di Alkahestry, Homunculus, e tiravano continuamente fuori archivi da ogni scaffale, lui vagava con la mente, perdendosi nei suoi pensieri.

Cosa diavolo stava architettando quel dannato Colonnello?

Controllò l’orologio appeso alla parete, segnava le 12.59. Non era assolutamente da lui arrivare in orario, ma quella volta era veramente impaziente di scoprire cosa le Moire avevano i serbo per lui: aveva persino un minuto di anticipo. Poggiò la sua mano sulla maniglia di bronzo, ma prima che potesse abbassarla dall’interno della stanza arrivò una voce.

«Entra pure, Acciaio»

Ebbe un sussulto, ma non perse ulteriore tempo. Aprì la porta con irruenza, com’era solito fare con i suoi modi poco garbati, ed una volta dentro si bloccò. La sua irrazionale paura era svanita, come anche quell’ultimo barlume di sanità mentale che gli era rimasto. Il suo animo si riempì inconsapevolmente gioia e di sorpresa, mentre nei suoi occhi dorati si rifletteva una scena che mai avrebbe creduto di poter vedere. Non era tanto per la scrivania sgombera da scartoffie, che – si accorse poi – erano state semplicemente spostate su uno scaffale, o per i due piatti di ramen che ne avevano preso il posto, accompagnati doverosamente da altre numerose portate, bicchieri e posate, ma per il sorriso raggiante del Colonnello, che mai gli aveva visto addosso.

Il mento era poggiato sulle due mani incrociate, facendogli assumere una posizione leggermente ingobbita, ed i suoi occhi lo guardavano con insistenza, aspettandosi una reazione.

«Cosa c’è Acciaio? Non entri?» disse mantenendo il sorriso sulle sue labbra.

Edward rimase fermo ancora per qualche secondo, per poi avvicinarsi, molto lentamente, alla scrivania.

«Perché tutto questo?» chiese ancora visibilmente sorpreso. Mai si sarebbe aspettato che Roy Mustang potesse preparare una cosa del genere –un pranzo, Edward, un pranzo – solamente per lui.

Da dove tutta questa gentilezza?

«Non posso farti un piacere senza volere nulla in cambio? So quanto tu creda nella Legge dello Scambio Equivalente, Acciaio, ma così mi sembri un po’ eccessivo»

La sua posizione era rimasta immobile, solamente i suoi occhi si erano leggermente socchiusi.

Pensava ancora a ciò che era avvenuto quella stessa mattina, il Colonnello, in quel preciso momento in cui questa folle idea aveva preso posto nella sua mente. Era arrivata come un fulmine a ciel sereno, imprevedibile, veloce, luminosa. Un vero lampo di genio. Probabilmente le parole del Fullmetal Alchemist, i lamenti a dirla tutta, lo avevano aiutato, creando le condizioni necessarie perché quel fulmine si scagliasse, ma l’idea era stata sua, frutto di quell’inconscio desiderio di renderlo felice.

Il giovane alchimista si sedette sulla sedia di fronte il Colonnello, continuando ad osservarlo con sospetto, non toccando ancora il cibo.

«Vuole farmi credere che non c’è nulla sotto?» chiese diffidente «Perché mai avrebbe dovuto preparare tutto questo senza alcun motivo?»

Si guardarono per qualche secondo immobili, uno in attesa di una risposta, l’altro delle parole appropriate.

Erano entrambi troppo orgogliosi per ammettere di avere un problema, e, soprattutto, per ammettere che il loro problema era causato da degli inutili, trascurabili e sciocchi sentimenti.

L'uomo è la più infelice e la più fragile fra tutte le creature, e nello stesso tempo la più orgogliosa.

Ormai avevano abbandonato anche la più recondita delle possibilità di ritrovare la loro stabilità, quella fermezza che era sempre rimasta intatta nel loro cervello, e che mai, prima d’ora, era stata ostacolata da una tale confusione.

Ma ora Roy Mustang era deciso a chiarire, non avrebbe potuto continuare nell’incertezza, anche se avesse significato soffrire. Al diavolo l’orgoglio che li aveva sempre resi sempre così simili.

«Ma un motivo c’è, Acciaio» cominciò alzandosi dalla sedia.

«Volevo farmi perdonare» continuò avvicinandosi.

«E vedere un tuo sorriso, un sorriso solamente per me» concluse ormai accanto a lui.

Tese la sua mano verso il biondo attendendo una risposta. La domanda che aveva posto era molto semplice, ed era sicuro che Edward l’avesse capita. Ormai si era mostrato nudo davanti a lui, gli aveva dichiarato i suoi sentimenti con quelle semplici parole, dimenticandosi, per quel solo momento, di tutto il resto. Voleva unicamente capire se anche l’Alchimista d’Acciaio guardandolo provasse le sue stesse sensazioni. Gioia, confusione, voglia di vivere.

Nel nulla scorgeva solo i suoi occhi, due fari luminosi che splendevano nel buio, le sue labbra, petali di rosa ancora vergini e pure, i suoi capelli, preziosissimi fili d’oro e spighe di grano, e quel suo corpo di bambino già ben delineato, ma che ancora doveva maturare.

Se ne era scoperto attratto, Roy, e finalmente era riuscito ad ammetterlo, ad Acciaio, a sé stesso.

Il resto venne da sé.

Senza che quasi se ne rendesse conto Edward gli afferrò la mano, tirandolo a sé per alzarsi. Accadde tutto troppo velocemente perché riuscisse a realizzarlo, e quasi si meravigliò di ritrovarsi quel fagiolino tra le braccia.

Prese il suo mento alzandogli leggermente la testa, per fare in modo che i loro sguardi si incrociassero, che i loro occhi si parlassero. Edward rimase immobile a fissarlo, ormai totalmente incosciente delle proprie azioni. Aveva capito l’invito del Colonnello e lo aveva accettato, senza che alcun freno inibitore lo fermasse, ed ora era lì, in attesa di una sua reazione.

Se ne era innamorato, e finalmente se ne rese conto.

Sentì il corpo del suo superiore abbassarsi, le braccia stringerlo maggiormente e le sue labbra avvicinarsi. Chiuse gli occhi lasciando che quel contatto avvenisse, dando così vita al suo primo bacio.

Dopo alcuni secondi di stasi la lingua del Colonnello cominciò a spingere sulle labbra dell’altro, e, senza che questo opponesse resistenza, penetrò la sua bocca. Fu una lotta spietata, una danza elegante ed aggraziata, semplicemente lo specchio dei loro caratteri.

Edward si staccò ansimando.

«Resta con me, sempre» disse in tono quasi autoritario.

Roy sorrise, quel fagiolino non sarebbe mai cambiato.

«Sì, Edward, resterò»

 

 

L’hai sconfitta, giovane, hai sconfitto la Morte!

Numerose volte ti sei ritrovato a fronteggiarla,

Ma ora che la vita ha preso il sopravvento

La gioia d’esistere è risorta, cacciando via la Cessazione.

Il Thanatos è sconfitto, ucciso da una forza più potente

Che tu stesso hai adoperato.

Persino l’orgoglio hai superato, distrutto, sbaragliato,

Trionfando sul peccato che da sempre hai venerato.

Hai vinto, giovane, l’oscurità che ti seguiva,

Abbattendo l’ombra che ti stava distruggendo,

Scoprendo, finalmente, la forza invincibile dell’Eros.






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E finalmente rieccomi dopo *coff coff* tre settimane :D

Ecco, bhe... SCUSATEMI PER IL RITARDO! Davvero, non so come farmi perdonare, spero almeno che il capitolo vi sia piaciuto.

Purtroppo con l'inizio della scuola avrò ancora meno tempo di scrivere (dannato greco) ma vi assicuro che, a meno che non mi venga chiesto esplicitamente, non abbandonerò questa storia, soprattutto ora che si sono "dichiarati"!

Spero di non avervi annoiati con i miei sproloqui, e spero di leggere le vostre opinioni riguardo l'aggiornamento.

Grazie a tutti per l'appoggio, Kiyomi.

  
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