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Autore: Val    09/05/2006    1 recensioni
Questa Fanfic è ispirata ad "Highlander" la serie TV, e in particolare al personaggio di Methos, l'immortale più antico (ha al suo attivo appena 5000 anni di vita tra malefatte e dolcezza). Un incubo che ritorna e un Immortale che forse ha trovato il modo di sconfiggere la morte anche dopo la decapitazione. E ormai Methos sa che quell'uomo è il suo peggior nemico... ...io ci provo ad inserirla... ;< ;)
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5





Capitolo 5


anche per Witchchild che come me, ha subito il fascino delle splendide orecchie a sventola e del nasone di quell'uomo fantastico che è Peter Wingfield


Quando arrivò a Saint Severin, Methos si infilò senza esitazione nel cunicolo, ma di lì a poco, Megan arrivò.
- Speravo di trovarti…- gli disse.
Lui non rispose, né smise di sfogliare i volumi polverosi.
- Voglio sentire il resto…- aggiunse lei.
- Non ti faccio già abbastanza ribrezzo?- domandò lui in risposta.
- Voglio sentire il resto…- ripeté Megan a bassa voce – Cassandra e i Cavalieri…-
- Dell’Apocalisse, sì, Cassandra e le sue idiozie…- mugugnò Methos.
Megan gli si avvicinò cautamente.
- Non è stata un’idiozia incontrarvi per lei a quanto pare…-
Lui allora si voltò, sospirò passandosi una mano sul viso e la guardò.
- Assaltammo il suo villaggio, uccidemmo tutti, anche lei…quando si svegliò io la presi prigioniera, rimase con me finché non ebbe l’occasione di scappare e io la lasciai andare –
- Generoso da parte tua…- commentò freddamente Megan.
Lui accennò un sorriso sarcastico e chinò leggermente il capo.
- E l’Apocalisse?- chiese lei.
Methos si alzò in piedi e si avvicinò ad un lucernario che dava sulla strada.
- Quella è una sciocchezza…i Cavalieri dell’Apocalisse sono e rimangono un simbolo, poco importa che questo o quel villaggio li vedesse nei suoi aggressori: chiunque venga aggredito e brutalizzato incontra la sua personale Apocalisse…a Kronos l’appellativo piacque, quando Giovanni l’Evangelista lo usò…e ci si è crogiolato per qualche tempo, tutto qui –
- Tutto qui?- sibilò Megan – è tutto qui per te?- gridò poi costringendolo a guardarla strattonandolo per una spalla.
- No! No, non è tutto qui, Meg, ma cosa vuoi che faccia? Pensi che con qualche scusa ipocrita le cose migliorerebbero? No! Cosa te ne faresti di un mea culpa? Volevi sapere ciò che ero, te l’ho detto! Volevi la verità e hai avuto la tua stramaledettissima verità ed è Tutta Lì!- urlò lui ribaltando la sedia su cui sedeva fino a poco prima.
Megan era impietrita.
- Non volevo dirtelo! Non volevo rivedere quell’espressione nei tuoi occhi, avrei preferito morire!- aggiunse sbattendo anche il libro che teneva in mano sul pavimento.
Meg lo guardò e lo raccolse riponendolo sul tavolo.
- Quale espressione?- gli chiese.
Lui non rispose.
- Methos!- lo chiamò aspramente lei.
Lui allora si voltò, la afferrò per le braccia e la sbatté contro il muro.
- Quella che hai adesso, quella che vidi quando ti conobbi, quella che ho rivisto dopo Washita…- ringhiò – il terrore dipinto negli occhi! L’orrore! Lo sgomento di fronte alla tua paura più profonda! Io non volevo essere il tuo incubo, è così disumano da parte mia?-
Aveva gli occhi accesi di rabbia e lucidi, una guancia rigata da una lacrima.
Lei rimase senza parole.
- Io non ti ho mai ingannata…il mostro che credi che io sia, non esisteva già più da molti secoli, quando ti ho conosciuta…-bisbigliò lasciandola andare – e non è mai tornato -
Meg si strinse le braccia dove l’aveva afferrata Methos.
- Washita…- bisbigliò con aria assente.
Ricordò il massacro.
Dopo era stata presa prigioniera e deportata con altre squaws in un forte.
Era lì che si erano ritrovati lei e Methos dopo il loro primo incontro, erano passati tanti anni.
Lui aveva ancora in mente l’immagine di Megan che, tenendosi il vestito di pelle arrotolato intorno alle cosce per non bagnarlo, muoveva piccoli passi incerti nell’acqua gelida del fiume per guardare lui che si allontanava a bordo di una canoa.
L’avevano lasciata con un gruppo di Mohawk , tra i monti più alti.
Lui e Connor erano dovuti scappare perché qualcuno, per i disertori, aveva importato la ghigliottina.
Megan aveva capito che Methos l’amava e lo voleva anche lei, ma ancora era troppo spaventata…anche solo da sé stessa.
Così lo aveva guardato sparire in lontananza, col cuore in pezzi e un polso cinto da un antichissimo braccialetto d’argento che lui le aveva donato prima di andarsene.
Poi era arrivato il 1868 e la strage sul Washita River e le loro strade si erano incrociate di nuovo: lui medico militare tra i soldati blu, lei di nuovo sopravvissuta.
Methos era riuscito a persuadere i suoi superiori a lasciarla con lui come interprete, benché lui parlasse benissimo la lingua dei Cheyenne.
- Ho tentato di impedirlo…- le disse quando rimasero soli.
Lei rimaneva immobile in mezzo alla stanza, sporca di terra, di sangue, distrutta.
Lui si tolse il camice e le mostrò la casacca piena di buchi di proiettile e anche quella imbrattata di sangue.
- Mi hanno ucciso prima che potessi arrivare da voi…è un miracolo che non abbiano scoperto la verità…-
Megan non reagì, ma lasciò che lui la prendesse tra le braccia.
Gli mise le mani sulle spalle, col palmo rivolto verso sé, gli posò la testa sul petto e allora iniziò a piangere lamentandosi debolmente.
- Fu la prima volta che mi abbracciasti…- disse lei allontanandosi dal muro freddo della Chiesa.
- La prima volta che me lo hai concesso…- puntualizzò lui.
Allora Meg capì, ricordò la sensazione.
Si era lasciata abbracciare perché lui era l’unica persona in quel mondo distorto e assurdo che le desse sicurezza e amore dal primo momento che si erano visti, forse anche più di quanto lui stesso volesse dimostrare.
Lo guardò di nuovo negli occhi.
Era confusa, la testa le scoppiava e, per la prima volta da quando si era scoperta immortale, ebbe una forte fitta di dolore alla base del cranio.
Fu come quando avvertì la reminiscenza al suo risveglio quasi quattro secoli prima.
Si portò la mano sugli occhi e si appoggiò incerta al muro.
Methos se ne accorse e la sostenne.
- Stai bene?- le chiese toccandole la fronte.
Tremava.
- Mi…mi accompagneresti a casa?- gli chiese scostandosi da lui.
- Ma certo…- rispose Methos.
Fecero la strada in silenzio, finché lui fermò l’auto sotto casa di Meg.
Megan rimase un attimo seduta prima di aprire lo sportello, poi scese e aspettò che lui la seguisse.
- Nient’altro da dire?- gli chiese andando verso il suo portone.
- Niente che aggiunga alcunché a ciò che già sai…- rispose lui – come stai tu?- le domandò toccandole i capelli.
Lei annuì aprendo.
- Meglio…è stato solo un attimo -
Entrarono e lei si fermò nell’androne.
- Sapevi che Kronos era vivo?- investigò.
Methos fece spallucce.
- Non me ne sono mai accertato, ma in fondo la volta scorsa non ne sono rimasto poi così sorpreso…ora è diverso…lui doveva essere morto invece non lo è, per di più è determinato ad uccidermi senza possibilità di ripensamento perché sa che io non sono più dalla sua parte…-
Megan assentì, gli voltò le spalle e andò verso la porta di casa.
Lui la seguì ancora, ma a distanza.
- Ti rivedrò?- le chiese avvicinandosi lentamente.
Lei chiuse gli occhi e si voltò verso di lui, ma anche quando li riaprì non lo guardò.
- Ascolta Methos io…- mormorò gingillandosi con le chiavi – ti ringrazio della spiegazione, ma cerca di capire, per me è stato come finire sotto una frana e…-
- Oh! Certo che capisco – la interruppe lui – non sprecare altro fiato…lo sapevo che sarebbe finita così, hai voluto tu che finisse così, Meg! – disse con molta rabbia.
Le voltò le spalle e se ne andò sbattendosi dietro il portone.
Meg rimase appoggiata al muro, strizzò gli occhi e sobbalzò leggermente per il fragore dei battenti che cozzavano l’uno nell’altro.
Guardò il pavimento poi, e quello si fece liquido e appannato.
Si strinse nel cappotto lasciandosi andare alle lacrime, reprimendo quel bisogno tremendo che sentì di richiamarlo indietro e di abbracciarlo.
Salì a casa e chiamò Duncan che arrivò subito.
- Ha ragione, Duncan, ha ragione lui: l’ho voluto io che finisse così…-
- Era un tuo diritto sapere la verità – rispose lui.
- Me lo sentivo che era qualcosa di enorme, ma che proprio lui avesse fatto cose del genere…capisci?-
- Anche per me è stato un colpo, te lo assicuro…però...-
- Però?-
Duncan sospirò.
- Meg...io ho sempre potuto dargli il beneficio del dubbio, senza che lui me lo chiedesse e non mi ha mai deluso...- disse - certo ha dei metodi e dei mezzi tutti suoi,è un farabutto doppiogiochista e in un paio di occasioni mi ha anche ucciso, ma...alla fine era sempre a fin di bene-
Megan lo guardò sorpresa.
- In un paio di occasioni ti ha ucciso?- chiese perplessa.
- Mai in modo definitivo- ci tenne a puntualizzare Mac.
- Lo credo bene, altrimenti che ci fai tu qui?-ridacchiò Meg.
Lui la guardò un po 'risentito per non essere stato preso sul serio.
- Beh insomma...ci siamo capiti- tagliò corto.
Megan sorrise, gli andò vicino, lo abbracciò e lo baciò leggermente sulle labbra tenendogli il viso tra le mani.
- Sì, ci siamo capiti...musone-
Lui le accarezzò una guancia.
- Ora devo andare - disse.
Megan annuì e lo accompagnò alla porta, passarono pochi minuti e di nuovo la reminiscenza.
- Ehi scozzese, ti sei scordato qualcosa?- chiese scherzosamente Meg aprendo la porta.
Ma la cicatrice sull'occhio non era una caratteristica di Mac Leod, fu la prima cosa che pensò.
- Salve Megan...- la apostrofò Kronos - che ne dici di una cosa da bere?-

   
 
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