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Autore: Il_Genio_del_Male    09/09/2011    12 recensioni
Di maghi pasticcioni, filtri d'amore, oscuri intrighi e risultati inaspettati. Tutta colpa (?) di un drago slasher...
Genere: Comico, Parodia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
Capitoli:
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DEDICA: A Cloud, che non ringrazierò mai abbastanza per il suo sostegno, a feyilin perché sì e a G, che per fortuna non saprà mai di questa dedica.

NOTE: Beh, come potrete constatare tra poco questo è il capitolo della svolta: d’ora in poi le cose si complicheranno a non finire! *risata maligna* Con ciò si chiude il luuuuuungo excursus cominciato nel capitolo 1, che narra gli avvenimenti verificatisi prima del prologo. L’ho scritto di getto in meno di dieci ore, e il risultato sta a voi giudicarlo. Come al solito ci sono citazioni e riferimenti random-e-alla-cazzo (si può dire?) che ci stanno sempre bene. Le fan di Gaius -se ce ne sono- mi linceranno viva, a proposito. Ah sì, colpo di scena: l’ultima parte del capitolo è una sorta di POV Arthur.

Ci risentiamo nell’angulus dell’autrice, as always.
Buona lettura!

 

 

 

 

 

“Perché il volere bene non si compra, non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si può evitare: il voler bene succede”. (Jorge Amado)

 

 

Il medico di corte se ne stava bello tranquillo per i cavoli suoi, circondato da provette ed alambicchi e maneggiando con cura distillati di erbe medicinali più o meno legali, quando uno sconvolto Merlin fece irruzione nel suo laboratorio. Tale fu l’impeto con cui il giovane spalancò la porta, sbattendola violentemente contro il muro, da far sobbalzare il pover’uomo, che teneva in mano una fiala colma di liquido scuro.

“Merlin, che Lady Gaga ti benedica! Quale urgenza ti conduce da me con il tuo bel faccino spaurito?”

Il ‘bel faccino’, ansimante per la corsa, si limitò a rantolare alcuni versi incomprensibili. Non appena ebbe recuperato almeno in parte la capacità di eloquio, esalò un “Gaius!” appena appena sfiatato. Il suo sguardo cadde sul contenuto della boccetta che l’uomo stringeva possessivamente: che fosse il suo tessssoro?

“Non sarà mica Pozione Polisucco, quella?” domandò aggrottando le sopracciglia e al tempo stesso spalancando gli occhi, dando mostra della sua incredibile mimica facciale.

L’altro arrossì vistosamente, colto in flagranza di reato, e istintivamente nascose la pozione incriminata dietro la schiena, quasi a cercare di negare l’evidenza del suo misfatto.

“Oh, Gaius. Non ditemi che ci siete cascato di nuovo!” si disperò Merlin, schiaffandosi una mano in faccia. 

Alcune lune prima il giovane mago era venuto a conoscenza di un segreto che il cerusico era riuscito a celare per più di vent’anni. Nei weekend, invece di accamparsi nel Fantabosco ad ubriacarsi di Blumele in compagnia di Tonio Cartonio e a fare scorta di erbe e fiori rari come aveva sempre sostenuto, egli aveva l’ignominioso hobby di assumere, grazie alla Polisucco, le fattezze di una procace trentenne mora e popputa quanto basta e di recarsi alla taverna dei Due Soli ad adescare uomini. Tralasciando come e in quali circostanze Merlin avesse scoperto quella scandalosa verità, egli era convinto che Gaius avesse ormai smesso con quella... cosa. Gliel’aveva giurato sulla tomba di Bilbo Baggins, maledizione!

Passarono alcuni minuti carichi di tensione, durante i quali il ragazzo inveì contro il destino che gli aveva affiancato un mentore aspirante donna, come se non fosse bastato già quell’asino del suo principe a causargli problemi. Gaius ne approfittò per mettere al sicuro la preziosa fialetta e per infilarsi in tasca una giarrettiera finita chissà come tra le sue riserve di calendula e semi di papavero in polvere. Il primo a rompere quel silenzio fu Merlin, con una luce grave negli occhi.

“…Come non detto. In fondo la vostra vita sessuale”, represse una smorfia di raccapriccio, ”non mi tange, e poi non sono nessuno per giudicarvi. Vi chiedo soltanto la massima discrezione e di non disseminare in giro per il laboratorio la vostra biancheria intima speciale, intesi? Adesso passiamo al vero motivo per cui mi sono scapicollato fin qui”.

L’uomo sospirò sollevato, ringraziando mentalmente il suo protetto. Gli fece cenno con una mano di accomodarsi e preparò al volo due Apple Martini per rinfrancare lo spirito di entrambi.

 

 

Mezza clessidra dopo, Merlin aveva reso edotto Gaius del grave pericolo che correvano i Pendragon, e con essi l’intera Camelot. L’anziano medico non perse tempo e prese a consultare, con l’aiuto dell’altro, il tomo di magia cui erano ricorsi in situazioni simili, alla ricerca di un incantesimo, filtro od arcano rituale che potesse cascare a fagiolo. Inutile dire che non trovarono alcunché (non ci piace vincere facile).

Proprio quando i due stavano per perdere la speranza, al nostro eroe si accese la provvidenziale lampadina in testa. Dopo essersene uscito con un “Accipigna!”, ordinò a Gaius di smetterla di ubriacarsi col Martini e di prestargli attenzione.

“Rammentate Kilgharrah, il drago tenuto segregato nelle segrete del castello (marcondirondirondello) fino a qualche mese fa?”

“Come potrei dimenticarlo! Poverino, era l’unico esemplare sopravvissuto della sua specie ed è stato così barbaramente ucciso dal principe... Capisco che aveva in pratica messo sotto assedio Camelot, ma non si poteva cercare di renderlo inoffensivo e metterlo al sicuro, impedendogli così di nuocere ad anima viva? Ah, ma non finisce mica qui: lo farò presente a quelli della WWF, altroché”.

Doveva mettere fine a quello sproloquio ambientalista, subito.

“Non ci sarà bisogno di informare chicchessia, Gaius: il drago è vivo e vegeto, sono stato io a salvargli quella pellaccia dura che si ritrova. Ho addormentato Arthur modificandogli la memoria e l’ho lasciato fuggire. Ci teniamo in contatto telepaticamente, anche a distanza”.

“Connessione bluetooth, eh? Di certo molto più comodo così che mandarsi messaggi tramite piccioni viaggiatori” rifletté l’altro.

Batté la palpebre, metabolizzando la notizia ed illuminandosi tutto: “Allora si è salvato! Qual gaudio e tripudio, dovrò comunicare la lieta novella all’Associazione Amici dei Draghi: ti nomineranno membro honoris causa” esultò lievemente commosso. Poi si voltò verso Merlin, finalmente focalizzato sulla questione.

“Intendi dunque chiedere aiuto a Kilgharrah?”

“L’idea è questa, sì. Mi ha letteralmente salvato il culo in diverse circostanze, chissà che non lo faccia anche stavolta. Mi deve la vita e la libertà, un consiglio potrà pure darmelo”.

Presa questa decisione, lo stregone si sentì un poco meglio e bevve un sorso del suo drink. Avrebbe aspettato che calasse la notte, e solo allora si sarebbe diretto verso la radura nei pressi del castello (marcondirondirondello) per chiamare a rapporto il suo amico lucertolone.

 

 

Senza sapere neanche lui cosa esattamente stesse dicendo, Merlin articolò alcuni gorgoglii sconnessi e gutturali e, dopo un’attesa relativamente breve, sentì uno spostamento d’aria familiare, dovuto all’altrettanto familiare frullare d’ali di Kilgharrah.

L’imponente drago chinò il testone in un gesto di saluto e sottomissione nei confronti dell’ultimo Signore dei Draghi ed il suo vocione rauco investì la mente dell’umano.

“Salve, giovane mago. Era da parecchio che non mi tartassavi con le tue richieste di aiuto, cominciavo a preoccuparmi” esordì amabile come al solito.

Tuttavia Merlin non aveva né tempo né particolare voglia di scambiarsi schermaglie con lui.

“Kilgharrah, piantala di flirtare e veniamo al sodo. Camelot è nei casini, per usare un garbato eufemismo, ed io ho seriamente bisogno che tu mi aiuti. Pliz”.

“Che sorpresa! Non l’avrei mai immaginato, pensa te” rispose con un grugnito che somigliava tanto ad una risata. Fu però in rispettoso silenzio che ascoltò il resoconto di Emrys e fu senza l’ombra di sarcasmo nella voce che gli fornì la soluzione al problema.

“Quello che ti sto per rivelare è un rimedio della cui esistenza sono a conoscenza ben poche creature magiche, quindi ti esorto ad imprimertelo per benino nella memoria perché non lo ripeterò”.

Merlin annuì compunto, pronto a scrivere con il block notes e la BIC in mano.

“Trova quel fiore che dalle fanciulle vien chiamato viola del pensiero e del suo succo ricava il prezioso nettare. Mescici assieme una ciocca dei tuoi capelli e cinque gocce d’essenza di digitale e nel mentre recita codesto incantesimo:

«Fiore di viola,
la vita è una sola:
donami ciò che tutti i dispiaceri consola».

Lascia poi mantecare la mistura per almeno cinque giri di clessidra. Una volta ultimata, versala in una boccetta con pratico diffusore spray e domani, quando ti sarai intrufolato nella Sala del Consiglio senza farti sgamare, spruzzala sugli occhi di entrambi i re. Hai preso nota di tutto?”

“Sillaba per sillaba. Ti ringrazio dal più profondo del cuore, Kilgharrah” sorrise Merlin pieno di gratitudine. Poi tossicchiò esitante.

“Un’ultima cosa, se posso”.

“Chiedi pure, giovane mago”.

“E’ solo una curiosità mia, niente di che: come è chiamato l’idioma di voi draghi, di cui mi servo anche io per comunicare con quelli della tua specie?”

“Serpentese”.

“Sul serio?” ribatté Merlin accigliandosi.

“Fidati di me, Emrys. Adesso va’, che la notte non è poi così giovane e tu hai un compito da portare a termine. Tienimi aggiornato sugli sviluppi futuri, d’accordo?”

“Ma certo, amico mio. Grazie ancora”.

L’ingenuo giovanotto si incamminò in direzione del castello (marcondirondirondello), lasciandosi alle spalle il drago senza voltarsi indietro. Fu un errore, giacché se l’avesse fatto avrebbe notato l’espressione ghignante e vagamente malefica della creatura.

 

 

Il giorno seguente Merlin si presentò al cospetto di Cenred con due occhiaie da fare invidia ad un procione. La notte passata aveva fatto le ore piccole, ma non tanto perché impegnato nella preparazione del filtro magico (con l’aiuto di Gaius e le sue inesauribili scorte d’ingredienti di ogni tipo era stato come bere una coppa d’acqua fresca), quanto piuttosto per l’agitazione che non gli aveva concesso tregua fino alle prime luci del mattino. Da lui soltanto dipendeva la buona riuscita della missione e di conseguenza la salvezza di Camelot e dei suoi regnanti: mica bruscolini, Santo Gandalf!

La mattina stessa venne ufficialmente sollevato dall’incarico di valletto personale temporaneo di Cenred. Egli in persona, al momento di congedarlo, gli rivolse gentili parole di commiato e gli fece addirittura dono di un bracciale di cuoio abilmente intrecciato che, secondo le parole dell’uomo, era un manufatto artigianale piuttosto in voga nel suo regno.

Il mago arrossì un poco, piacevolmente toccato dall’inaspettata delicatezza del re, e gli sembrò del tutto irreale che avesse intenzioni così turpi e malvagie; sentiva che nella congiura c’era lo zampino di quel maledetto luogotenente dallo sguardo spiritato. E si dispiacque, perché gli era ormai chiaro che il povero Cenred non era che un semplice burattino manovrato dall’altro.

Riuscì comunque a non tradire nessuna emozione e dopo un breve inchino ottenne il permesso di tornare al suo vecchio incarico. Merlin tuttavia, durante la nottata insonne, aveva elaborato un piano di sicura efficacia: tendere un agguato ad uno dei consiglieri di Cenred, addormentarlo e nasconderlo in un armadio random del palazzo ed infine sottrargli un capello da aggiungere alla bottiglietta di Pozione Polisucco che aveva sgraffignato a Gaius mentre questi dormiva. Tutto andò come sperato e fu così che poté unirsi indisturbato alla piccola folla diretta verso la Sala del Consiglio con l’aspetto di un decrepito ma simpatico nonnino.

 

 

Riunitasi che fu la corte con tutto l’ambaradan, fecero il loro maestoso ingresso nella Sala Uther ed il figlio, seguiti da Cenred e i suoi uomini –tra cui Morgause e il nostro impavido eroe. Arthur si guardò intorno, cercando quell’idiota del suo amico, ma pose fine a quest’attività non appena ebbe realizzato che a Merlin, in quanto semplice servitore, non era concesso presenziare a cerimonie così importanti e delicate.

Il principe sbuffò contrariato. Erano ben cinque giorni che non lo vedeva, figurarsi riuscire a scambiarci quattro chiacchiere. Non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma quell’impiastro gli mancava più di quanto pensasse. Gli sembrava fosse trascorsa un’eternità dall’ultima volta che l’aveva sbeffeggiato per la sua imbranataggine o gli aveva ingiunto di preparare la tinozza di acqua calda per il bagno. E comunque, pensò l’erede al trono soffocando uno sbadiglio sul nascere, ben presto se lo sarebbe ritrovato tra i piedi, con le sue buffe orecchie e la risposta pronta. Quell’immagine, non sapeva spiegarsi il perché, gli parve in un certo senso confortante. Familiare.

Arthur scosse la testa, spostando la sua attenzione sullo svolgersi della stesura del trattato. Entrambi i sovrani avevano apposto la loro firma sul documento e si apprestavano a scambiarsi una stretta di mano, come era costume, quando dall’esiguo gruppetto dei consiglieri di Cenred si fece avanti quello che sembrava essere il più anziano, i cui occhi blu tuttavia brillavano fin troppo acuti e giovanili.

Il fragile vecchietto, rivelando un’agilità sorprendente, estrasse da una manica della sua ampia veste una fiala di vetro con tanto di tappo spray e, prima che chiunque nella sala potesse presagire le sue intenzioni e fermarlo, spruzzò abbondantemente il liquido sui volti dei due re. Poi, con la stessa velocità con cui aveva agito, rientrò nei ranghi, in attesa. Arthur provò un moto di indignazione. Perché mai le guardie reali non intervenivano a punire quell’irriverente che si era macchiato del delitto di lesa maestà?

La risposta l’ebbe non appena rivolse lo sguardo sui regnanti oltraggiati: erano avvinghiati l’uno all’altro, indecentemente vicini e… si stavano… baciando?! (In realtà, i due uomini stavano limonando allegramente, con tanto di audaci scambi di lingue, saliva e morsi. Riteniamo tuttavia che sia meglio non farlo notare al giovane Pendragon.) Nessuno dei presenti ebbe l’ardire di far qualcosa che andasse oltre lo spalancare la bocca, strabuzzare gli occhi, ammutolire e venir colti da un curioso senso di disagio e imbarazzo.

A mettere fine a quella situazione di stasi impacciata ci pensò Arthur che, ripresosi dallo shock quanto bastava per dare ordini, urlò in preda all’isteria più isterica di arrestare immediatamente l’autore di quel diabolico maleficio –giacché solo un maleficio poteva aver spinto suo padre a ficcare la lingua in gola a Cenred. I soldati si riscossero dal torpore in cui erano caduti e con grida belluine si precipitarono in direzione del consigliere; ma l’uomo, sfuggente come un’anguilla, riuscì a non farsi acchiappare. A quel punto il principe si vide costretto ad intervenire e sprezzante del pericolo si gettò nella mischia. Concentrato come era nell’individuare il malfattore in quel marasma, si accorse di esserci andato a sbattere contro solo quando se lo ritrovò addossato al suo petto.

La dinamica dell’incidente non fu mai del tutto chiarita, poiché le versioni dei testimoni oculari erano alquanto dissimili tra di loro. Ciò su cui concordarono all’unanimità fu che, in una sequenza confusa, l’omino aveva -forse d’istinto- premuto sull’erogatore della boccetta che ancora teneva in mano inondando il volto del giovane Pendragon, il quale aveva strizzato gli occhi irritati mollando così la presa sull’altro, che era caduto col culo a terra. Eppure nessuno avrebbe mai potuto prevedere cosa successe immediatamente dopo.

Arthur batté le palpebre, liberandole con le mani dal liquido che aveva osato aggredirle, e mise a fuoco. Subito sentì nascere dentro di sé un sentimento d’amore profondo, imperituro, intenso, spropositato (eccetera eccetera) per la creatura -o meglio, la visione- che si offriva ai suoi occhi arrossati in tutta la sua sfolgorante, conturbante, indicibile, stupefacente (eccetera eccetera) bellezza. Solo in un secondo momento si rese conto che il proprietario di siffatta avvenenza non era altri che un vecchio.

Tuttavia egli non fece neanche in tempo a stupirsi troppo della cosa, poiché davanti al suo sguardo incredulo quel corpo rugoso ed artritico lasciò il posto ad uno altrettanto esile ma decisamente più giovane e sodo. I capelli riacquistarono la loro sfumatura di ala di corvo, le guance tornarono lisce e leggermente arrossate, le orecchie dannatamente enormi. Solo gli occhi restarono gli stessi, blu e splendenti come zaffiri e -in quel momento- totalmente smarriti.

Merlin.

 

 

 

 

Ri-salve. Trascrivere questo capitolo al computer è stata un’impresa non da poco, perché finora è il più lungo che abbia mai scritto e davvero sembrava non dovesse finire più. 

Un buffetto sulla guancia a tutte le lettrici in generale, hasta luego!

 

   
 
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