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Autore: Emily Kingston    09/09/2011    2 recensioni
Hermione Granger non ha mai ricevuto la sua lettera per Hogwarts e Ronald Weasley ha sviluppato un innato interesse per la Londra Babbana.
“Che c’è? Io sono cosa?” domandò la ragazza, gesticolando.
Ron deglutì, sbattendo le palpebre.
“In mezzo al tavolo.”
Ed era così. Hermione, la strana ragazza che appariva nel suo appartamento, si trovava in mezzo al tavolo, il suo corpo metà sotto e metà sopra.
Ci era passata attraverso.
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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 Do it all again

Ronald Weasley non avrebbe mai pensato di trovarsi nel luogo in cui si trovava.
Alzò il naso verso il cielo, seguendo con gli occhi la silhouette dell’alto palazzo di fronte a lui. Era un elegante stabile moderno, con la facciata tinta di azzurro spento e dalle rifiniture in bianco. Non era molto alto, cinque, sei piani al massimo, ed ogni appartamento aveva un piccolo terrazzino semi circolare che dava sulla strada.
“Allora, cosa gliene pare?” la signorina Mildred, una consulente dell’agenzia immobiliare alla quale si era rivolto, gli sorrise incoraggiante.
Ron storse il naso, guardandosi intorno.
L’appartamento nel quale l’aveva guidato la signorina Mildred era sì ampio, con una bella vista e dotato degli adeguati comfort, ma non sapeva per quale ragione sentiva che non avrebbe mai voluto vivere in un posto del genere.
Forse perché Oxford Street era una via troppo trafficata. Forse perché voleva un posto che fosse più nei pressi del suo ufficio. Forse perché il divano era scomodo.
Sì, doveva essere decisamente colpa del divano.
“E’ carino, dico davvero,” lo sguardo negli occhi della signorina Mildred lasciò intendere a Ron che aveva capito ciò che stava per dire. “Però non…diciamo non soddisfa le mie esigenze.”
“E’ troppo lontano dal suo ufficio?” domandò la ragazza.
Ron si strinse nelle spalle.
“Non è un problema d’ufficio, mi creda, è…è il divano, ecco, il divano è scomodo!” farneticò e la signorina Mildred lo guardò come se fosse pazzo.
Tornarono in strada e Ron guardò con una punta di rammarico la palazzina che aveva appena lasciato.
“La chiamo non appena so qualcosa,” assicurò la ragazza, sorridendo.
Ron annuì, voltandole le spalle ed incamminandosi lungo il marciapiede. Imboccò un vicolo secondario, abbastanza nascosto alla vista dei passanti e, dopo essersi guardato intorno con circospezione, tirò fuori una bacchetta di legno dalla tasca del giaccone e sparì nel nulla.
 
Ronald Weasley era un mago, nato tra i maghi e cresciuto tra i maghi. Aveva venticinque anni ed una carriera come Auror al Ministero della Magia e, per qualche strana ragione a lui ignota, aveva un innato interesse per babbani e tutte le cose a loro collegate.
Non gli era risultato strano, quindi, il desiderio di abbandonare il suo appartamento in subaffitto a Diagon Alley, per cercarsi una casa decente nella Londra babbana.
Con uno sbuffo si lasciò andare contro il cigolante divano del suo salotto ed afferrò una copia della Gazzetta del Profeta di quella mattina; aprì svogliatamente il giornale, trovando la prima pagina occupata interamente dalla foto del suo migliore amico, che sorrideva in modo tirato all’obbiettivo, accompagnata da una testata a grandi lettere: Harry Potter e Ginevra Weasley, sposi entro l’anno, seguita da un introduzione a caratteri più piccoli: Il giovane Potter e la più piccola di casa Weasley hanno deciso di mettere su famiglia; per l’articolo di Betty Warmwright a pagina 3.
Scosse il capo con un mezzo sorriso e ripose il giornale, certo che, se la notizia più importante del giorno era il matrimonio di Harry Potter, non fosse successo nulla di interessante.
Un lieve pop attirò la sua attenzione, seguito dallo sbuffo scocciato di una voce a lui fin troppo familiare.
“Sono degli avvoltoi, ecco cosa sono!” sbottò il nuovo venuto, sedendosi al fianco di Ron sul divano.
“Ciao anche a te Harry, com’è andata la tua giornata?” domandò il ragazzo, nascondendo un sorrisetto.
Harry sbuffò, affondando tra i cuscini del divano.
“Uno strazio,” rispose. “E’ stato un vero inferno, Ron, dico davvero,” ripeté, incappando nello sguardo scettico dell’amico. “Rita Skeeter tra poco inizierà a sbucare anche dal water del bagno di casa mia!”
Ron trattenne a stento una risata quando, nella sua mente, apparve l’immagine della testa riccioluta della giornalista che sbucava da sotto la tavoletta del water.
“In ufficio?” Harry si strinse nelle spalle.
“Tutta roba di amministrazione,” spiegò. “La cosa più emozionante della settimana è stato il processo di Malfoy.”
Ron trattenne una smorfia; sentire il nome di quello che era stato uno dei loro più acerrimi nemici ad Hogwarts, e con il quale era passato molto spesso alle mani, gli procurava uno strano senso di fastidio che non era mai riuscito ad eliminare.
“L’anno rimandato a giudizio, il prossimo processo ci sarà tra un paio di mesi.”
“In tempo per me, allora,” ridacchiò il rosso, facendo l’occhiolino all’amico.
Harry rispose alla sua risata con un sorriso divertito, prima di lanciare un’occhiata al giornale ripiegato vicino al divano.
Alla vista della sua foto fece una smorfia.
“Sei riuscito a trovare casa?” chiese poi, scacciando dalla mente la sua immagine che gli sorrideva dal pezzo di carta stampata.
Ron scosse il capo, mutando la sua espressione da allegra in sconsolata.
“Penso che rimarrò in questo buco puzzolente ancora per un po’.”
Harry gli batté una pacca sulla spalla, prima di annunciare che sarebbe dovuto volare a casa prima che Ginny venisse a cercarlo, molto sicuramente armata di ira e bacchetta.
Ron rise, concordando sul fatto che sua sorella arrabbiata e armata metteva abbastanza i brividi.
“Ultimamente, poi, somiglia sempre di più a tua madre per quanto urla,” aggiunse Harry, prima di fare a Ron un cenno di saluto e sparire nel nulla.
 
Londra era affollatissima quel pomeriggio, nonostante il cielo coperto da una fitta coltre di nubi ed il fastidioso frusciare del vento a tratti violento, a tratti delicato.
Ron aveva afferrato il suo giaccone, si era infilato la bacchetta nella tasca sul dietro dei jeans e si era Smaterializzato dal suo salotto, diretto non sapeva bene dove.
Aveva semplicemente pensato di andare in un posto che lo facesse sentire meglio e meno in ansia, ed era sbucato in un vicolo della Londra babbana.
Con un sorrisetto aveva affondato un po’ il mento nella sciarpa ed era sbucato in strada, affrontando il mutevole clima del mese di Ottobre, combattendo contro le foglie secche gli sbattevano contro le caviglie ad ogni folata di vento e concedendosi il piacere di vagare tra una folla di persone che non gli prestavano attenzione.
Gli piaceva fare lunghe passeggiate nella zona di Londra abitata dai babbani, camminare per i parchi, prendersi un caffè in qualche bar. Gli piaceva il fatto che nessuno avesse idea di chi era né di che cosa avesse fatto.
Non che nella Londra magica la gente lo assalisse come faceva con Harry, ma c’era stato un periodo in cui lui e il suo migliore amico erano stati costretti in casa per una settimana e, tutt’ora, era per loro più comodo non farsi vedere assieme in giro.
Dopo la vittoria di Harry su Voldemort lui, in quanto sua spalla, suo braccio destro e suo migliore amico, aveva con lui condiviso buona parte della sua fama e, dopo un primo periodo di gioia e giubilo, erano iniziate a girare strane voci su una loro presunta relazione.
Anche adesso, nonostante il rapporto del giovane Potter con Ginny fosse di dominio pubblico, qualche giornalista si divertiva a fotografarli insieme mentre prendevano un caffè o quando parlavano durante una pausa lavorativa.
Con uno sbuffo s’infilò in una strada secondaria poco trafficata. Si strinse un po’ nel cappotto quando una folata di vento un po’ più potente delle altre gli fece entrare qualche spiffero sotto i vestiti.
Si guardò intorno incuriosito, si trovava in un quartiere del West End dove non ricordava di essere mai stato. Era una strada abbastanza tranquilla composta da alte palazzine tutte simili tra loro.
Stava ancora camminando con il naso per aria quando un foglietto fucsia gli si attaccò alla gamba a causa del vento.
Con noncuranza lo staccò e lo rilanciò nell’aria, vedendolo giocare con le correnti d’aria mentre saliva alto nel cielo.
Sorrise appena alla vista del puntino colorato che si faceva sempre più lontano. Dopo pochi attimi, però, lo stesso foglietto gli si attaccò alla manica del giaccone, premendo con insistenza contro il suo braccio.
Scocciato Ron lo staccò di nuovo e lo rilanciò ancora una volta nel vento, ma quello, dispettoso, tornò indietro, sbattendo sul suo viso.
Ron era abituato a vedere cose strane, come oggetti che volavano o creature, che molti credevano inesistenti, camminare per strada. Era abituato alla magia, alle pentole che si pulivano da sole, alle lettere che parlavano, ai fantasmi ed alle persone che potevano viaggiare attraverso i camini.
Ma mai, in venticinque anni, gli era capitato di incappare in un post-it colorato che rincorreva le persone.
Sembrava quasi che quello stropicciato pezzo di carta desiderasse essere letto da lui, come se lo stesse cercando.
Scuotendo appena il capo, nella speranza di allontanare dalla mente quei ridicoli pensieri, Ron stese alla bell’è meglio il foglio e lesse il contenuto.
I suoi occhi s’illuminarono, s’infilò il foglio in tasca e tirò fuori il suo telefonino babbano dalla tasca della giacca, componendo il numero della signorina Mildred.
 
“Ne è sicuro?” domandò la ragazza, apprensiva. “Insomma non è meglio di tutti quelli che abbiamo già visto.”
Ron scosse il capo, incoraggiando la signorina ad accompagnarlo.
Si trovavano davanti ad un alto palazzo in Regent Street, la strada in cui Ron era incappato durante la sua passeggiata, e si apprestavano a visitare un appartamento in affitto all’ultimo piano di quello stabile.
Era un palazzo dalla facciata giallina con rifiniture color crema, tutti gli appartamenti avevano un terrazzino tranne quelli dell’ultimo piano, che avevano invece una grande finestra semicircolare che dava sulla strada.
Sul foglio che aveva trovato – o meglio, il foglio che aveva trovato lui – c’era l’annuncio di affitto per l’appartamento dell’ultimo piano, che l’ultima inquilina aveva dovuto lasciare tre mesi prima a causa di problemi che la famiglia non aveva voluto divulgare.
Non c’era l’ascensore, ma per Ron non era un problema fare le scale.
L’appartamento nel quale gli fece strada la signorina Mildred era non più ampio di quelli che aveva già visto e non meno bello.
Però aveva qualcosa di particolare che gli altri non avevano.
Forse era la panca sotto alla finestra semicircolare. O la cucina in legno di ciliegio. Oppure il grande letto in ferro battuto. O magari era il divano, né troppo morbido né troppo duro, a due piazze, davanti alla TV.
Sì, era decisamente il divano.
“E’ magnifico,” asserì Ron, gli occhi che gli brillavano d’emozione.
La signorina Mildred si aprì in un sorriso, anche se all’inizio fosse riluttante ad accompagnarlo a vedere quell’immobile, sapere che aveva finalmente trovato casa a quello strano tizio dai capelli color carota le aveva fatto crescere dentro un moto di soddisfazione e sollievo.
“Lo prende, allora?” chiese, speranzosa.
Ron annuì un paio di volte prima di confermare a parole che sì, avrebbe affittato quell’appartamento.
“Bene, signor Weasley, benvenuto a casa sua!” esclamò la ragazza e, dopo avergli fatto firmare alcuni fogli, gli consegnò le chiavi, scomparendo dalla porta d’ingresso con un sorriso enorme stampato in volto.
Ron sospirò di soddisfazione andando a sedersi sul divano, non aveva nulla a che fare con il cigolante rottame che aveva nell’appartamento a Diagon Alley.
Con un sorriso compiaciuto si lasciò andare contro i cuscini, socchiudendo gli occhi, avrebbe avuto tempo per il trasloco il giorno seguente.

   
 
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