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Autore: _Lethe    09/09/2011    7 recensioni
"Non sarò certo io a presentarvi il mio capo.
Voi tutti lo conoscete certamente già, ma anche se ciò non fosse accaduto, non sperate di potermi estorcere informazioni sul suo conto.
Vi dirò solo il suo nome, Dylan.
Vi dirò solo il suo indirizzo, Craven Road numero 7.
Vi dirò solo le sue credenziali, indagatore dell’incubo"
Genere: Comico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Groucho
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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dylan LA SFILATA DELLE ZINGARE DIMENTICATE

Non sarò certo io a presentarvi il mio capo.
Voi tutti lo conoscete certamente già, ma anche se ciò non fosse accaduto, non sperate di potermi estorcere informazioni sul suo conto.
Vi dirò solo il suo nome, Dylan.
Vi dirò solo il suo indirizzo, Craven Road numero 7.
Vi dirò solo le sue credenziali, indagatore dell’incubo.
Sì, i mostri sono il nostro mestiere. Sembra uno stupido slogan aziendale e forse lo è, ma è la pura e semplice verità. O almeno, i mostri sono il suo mestiere, io mi occupo delle battute.
Se non vi sembro molto comico al momento non fatemene un cruccio, anche io posso rimanere serio qualche volta; certo, poco tempo, ovviamente, e qualche battutina puntigliosa ed irritante potrà scappare dalle mie labbra. Ma non oggi, non oggi.
Che dovrò parlare di Dylan, che dovrò parlare per Dylan, che dovrò parlare, Cristo, Dylan...
Perché sto aggiornando il suo diario? Per adempire ad un mio dovere, prendere nota degli ultimi avvenimenti, siano questi deliziosamente leziosi o cupi, tragici.

Dylan non è più.

Alla fine il buio ha inghiottito anche l’ultimo faro rimasto, lasciando a tutti un po’ l’amaro in bocca.
Ho smesso di fumare, sono tre giorni ormai che la notte si anima di grida, il campanello non sta zitto un attimo, lasciandomi invaso dalle chiromanti, chiromanti arrabbiate per giunta, il peggio del peggio.
Vengono qui nel cuore della notte, agitando carte, mettendomi sotto il naso file di sfere di cristallo fumose, tazzine di caffè sbeccate e macchiate dai fondi ammuffiti e si mettono a gridare “È vivo!”
Dovei credere loro, ma quando alzo lo sguardo vedo solo una pistola inutilizzata e inutile che stazionerà nel cassetto dei calzini per molto tempo, sola e fredda, nera e fredda, fredda e basta.
Le streghe non mi fanno dormire, non mi fanno fumare, non mi fanno bere, non mi lasciano fare nulla per cercare di dissolvermi il più velocemente possibile. Stanno lì, fisse, a guardarmi con occhi appannati dalla compassione e dalla pena, mentre camminano per casa, non facendo caso alle cose che rompono appena le loro lunghe e pesanti gonne colorate sfiorano uno dei tanti cimeli che riempiono l’appartamento. Rimangono lì, nel turbinio di scialli colorati, nel calore della loro pelle olivastra, nei bagliori nerastri dei loro lunghi capelli (quelle che, fortunate, ne hanno ancora da vendere intendo).
“È vivo, è vivo”

Dopo tutto questo tempo, non ci credo più. Quell’uomo... sparisce, ricompare, sparisce di nuovo, mi torna tra i piedi minacciando un licenziamento che mai avverrà e tenendo tra le braccia una nuova fiamma, possibilmente svenuta o posseduta dal demonio.
Bionda, bruna, rossa, alta, bassa, non c’è differenza, Dylan le ama tutte.
L’espressione più estrema di poligamia, beato lui, invidiato perfino da quei strani sceicchi che viaggiano sui cammelli con quaranta mogli al seguito vestite Chanel. burqa compreso, s’intende, della collezione inverno-inverno.
Se lo invidio (invidiavo, Groucho, invidiavo) mi chiedete? No. La mia vita in mezza solitudine mi va benissimo così, senza donne tra i piedi si vive meglio, lo dico (dicevo) sempre a Dylan che mi rispondeva con un laconico “Dai, Groucho, fai questa battuta e vattene”

“È vivo, è vivo!”

 
Basta vecchie cornacchie, Dylan è morto e non tornerà, l’ho visto accasciarsi a terra, con la grazia dell’ubriaco che fu, scivolato su un gradino (l'immortale, pfui). Caduto dalle scale, salutando la vita con un gesto così distratto e così poco da lui. Scivolare... ancora non ci credo.

“È vivo, è vivo!”


Ma se ne ho portato il feretro, a spalla, fin sulla collina, per poi deporre la bara nella tomba, lanciandogli sopra un pungo di terra che fiorirà un giorno.

“È vivo, è vivo!”

Silenzio, silenzio. Vi voglio fuori di qui, vi voglio subito fuori, non m'interessa, non m'interessa.
“Devi aspettarlo”
Una vecchia, ma che dico, vecchissima zingara mi si avvicina appoggiata ad una bambina come i vecchi nel parco si aggrappano al bastone. Il viso coperto di rughe nasconde gli occhi a chi li cerca, lasciando solo le sopracciglia rade e il naso adunco, affossato anch'esso nella faccia cannibale.
Mi mostra la carta della morte, uno scheletro... falce, martello, il solito insomma. La guardo ma non la vedo.
“Guarda” mi esorta, spingendomela fin sotto il naso.
Al braccio destro la morte tiene appeso un cartello.
ASPETTAMI
Maledetto, me l'ha fatta un'altra volta!
  
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