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Autore: LucyToo    09/09/2011    10 recensioni
Kurt aiuta Dave a trovare la via d'uscita dal suo nascondiglio. Quando le cose prendono una piega peggiore di quanto potesse aver mai immaginato, è compito di Kurt aiutare Dave a rimettere insieme i pezzi. Non-con, violenza, omofobia.
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"Allora pensa a questo: se lo fai, qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere? Onestamente, non voglio essere impertinente, ma dovresti pensarci sul serio. Perché se immagini la cosa peggiore che potrebbe succederti e la confronti con l'inferno in cui stai vivendo adesso... vedrai qual è la scelta migliore e potrai prendere una decisione in modo più semplice.
E per quel che conta... anche se non sceglierai la strada che penso dovresti, sono comunque abbastanza fiero di te."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dave Karofsky, Kurt Hummel
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Beta Reader: Kurtofsky.
GRAZIE a tutte le persone che hanno letto il primo capitolo, l'hanno recensito e inserito la storia nei preferiti :)

 
The Worst That Could Happen

-Capitolo 2-
http://www.fanfiction.net/s/7109340/2/The_Worst_That_Could_Happen

 


Erano passati forse tre giorni da quando Kurt si era scambiato quelle e-mail con Dave Karofsky, quando decise di mettere al corrente di tutto Blaine scrivendogli qualche messaggio.

Questo non perché avesse una vera reale preoccupazione nel rendere il suo ex bullo uno pseudo-quasi-amico, ma giusto perché desiderava sapere esattamente quanto fosse pazzo su una scala che partiva da Rachel Berry e arrivava a Joan Crawford, per dire.

Non gli importava di essere folle, voleva solo essere in grado di godersi la cosa per ciò che era.

Però Blaine si era comportato in maniera strana su tutta la faccenda. Aveva fatto un sacco di domande su come Dave si era comportato in aula e se avesse sorriso in modo strano oppure no e se Kurt si fosse sentito tranquillo. Cose del genere.

Era chiaro a Kurt che Blaine stesse pensando ciò che Kurt stesso non aveva considerato, ovvero che Dave volesse trovare un altro modo per tormentarlo, come d'altra parte aveva pensato lui stesso quando nelle mail gli aveva detto di non preoccuparsi se l’avesse visto in giro.

Kurt ridacchiò di questa sua apprensione. Sapeva che non era questo il caso. “Comunque”, disse al telefono quando ormai aveva finito di rincorrerlo per messaggi e voleva parlare sul serio, “non mi ha nemmeno mai veramente tormentato prima. Voglio dire, sì, ogni volta che mi vedeva era come se volesse farmela pagare, ma non era come se andasse in giro a cercarmi. Ho dovuto inseguirlo per urlargli contro”.

È una tua scelta” disse Blaine con un piccolo sospiro controllato. “È solo che non riesco a fare a meno di pensare ai bulli che conoscevo e ai tiri mancini che possono giocarti”.

Kurt rise, anche se non avrebbe dovuto farlo.

"Non penso che ci sia permesso avere dei luoghi comuni sui bulli, quando noi stessi lottiamo così duramente contro quelli che fanno di noi degli stereotipi. Dave non è come quei tipi con cui andavi a scuola. A meno che anche loro non fossero tutti casi non dichiarati, comunque."

Non fu sicuro del perché avesse contestato Blaine così duramente a meno che… nella sua mente Karofsky si stesse comodamente definendo come Dave e Kurt stesse iniziando a sentirsi al sicuro quando vedeva del rosso per i corridoi della scuola. Quello era un nuovo passo in avanti a cui voleva aggrapparsi.

Sai”, disse al silenzio dall’altra parte della cornetta, “Penso che lui avrebbe anche potuto ballare con me al ballo se io non l’avessi trasformato in un momento di coming out. Voglio dire, l’avrebbe preso come uno scherzo, ma penso che avrebbe davvero potuto.”

Sono strane le cose che le persone rimpiangono col senno di poi.

Kurt non rimpiangeva di aver accettato il consiglio, in verità stupido, di Blaine di affrontare il suo bullo psicotico e violento tutto da solo, almeno non adesso che il trauma del suo primo bacio era abbastanza lontano da poterlo rimuovere.

Ma rimpiangeva di aver portato Blaine ad affrontare Dave in pubblico sulle scale tra il cambio delle lezioni, perché proprio mentre lo faceva si era reso conto che “in pubblico” e “affollato” erano due cose che un rabbioso caso di ragazzo non dichiarato avrebbe voluto evitare se forzato a una chiacchierata di quel tipo.

E rimpiangeva di aver chiesto a Dave di fare coming out al ballo, perché pensava davvero che Dave avrebbe potuto ballare con lui. Stava al fianco di Kurt sul palco, scendendo con lui quei gradini fino alla pista da ballo e non aveva esitato fino a quando Kurt non aveva aperto la sua bocca per uno stupido Dai-questo-è-il-momento-che-ti-cambia-la-vita.

Anche un breve ballo preso come scherzo avrebbe avuto un enorme impatto su qualcuno spaventato come Dave.

Blaine interruppe il flusso dei suoi pensieri prendendolo in giro riguardo il fatto che il suo effettivo compagno di ballo non fosse abbastanza bravo per lui e lasciarono perdere l’argomento.


Kurt era seduto in una stanza di colore bianco con delle stampe Currier e Ives enormi e senza alcuna personalità appese ai muri. Pensò di chiamare Blaine, ma non voleva dover rivolgersi a Dave come “Karofsky” in quel momento e Blaine sembrava troppo teso quando invece lo chiamava Dave.

Inoltre, le sue mani non avrebbero mai smesso di tremare abbastanza per comporre un numero.

Mr. Schue era dietro una fila di telefoni pubblici, e stava camminando curvo con la schiena girata. Finn sedeva vicino Kurt, dato che si era rifiutato di lasciarlo solo dopo la palestra. Sue Sylvester sedeva davanti Kurt e Finn, la sua spina dorsale eretta e i suoi occhi affilati puntati su chiunque e qualsiasi cosa che si muovesse attorno. Aveva gli occhi più spalancati del normale.

Kurt non riusciva a pensare a quanto fossero strane le sue reazioni paragonate a quelle della Coach Sylvester che conosceva. Perché ciò significava pensare all’eventualità che fosse stata lei ad entrare nello spogliatoio. Significava chiedersi se fosse stata lei a mettere quegli asciugamani su Dave, e se così fosse stato, cosa aveva visto? Significava domandarsi se lei fosse intervenuta mentre quel… quell’aggressione era in corso o se Dave fosse rimasto sdraiato sul pavimento nello spogliatoio delle ragazze, solo, ferito, aspettando di essere trovato…

Significava pensare a cose che gli facevano accelerare il respiro.

Tranquillo”, gli disse Finn mentre iniziava ad avvertire la tensione. Si chinò e tirò dei colpetti al braccio di Kurt.

Kurt lasciò uscire un sospiro e tentò di liberarsi di quelle immagini nella sua testa, allontanandosi dalla Coach Sylvester e fissando una stampa a pastelli di cattivo gusto rappresentante un cottage nei boschi.

Arte ospedaliera. Onestamente.

All'improvviso Mr. Schue sbatté il telefono, così forte che non solo Kurt e Finn sobbalzarono al colpo. Ritornò verso di loro con l’espressione rabbuiata e la Coach Sylvester si alzò per incontrarlo a metà strada.

Le porte dell’ascensore si aprirono prima che potessero scambiarsi qualche parola e Kurt venne distratto dall’unica cosa che avrebbe potuto riportare un po’ di stabilità nel suo universo.

Papà?”

Si alzò ancor prima di capire di averlo fatto, e improvvisamente le braccia di suo padre lo avvolsero e provò così maledettamente a non singhiozzare di nuovo, che dovette serrare gli occhi così forte da farsi del male.

Ehi, figliolo”. Suo padre sembrava vagamente confuso, molto preoccupato, ma lo abbracciò di nuovo senza indugiare.

Non c’era niente che Burt potesse fare per farlo sentire un po’ meglio, così Kurt infossò il viso nel petto del padre, annusando le tracce di sudore e olio per motori che rimanevano sulle sue tute da lavoro da quando Kurt riusciva a ricordarsene.

Suo padre non si staccò, non allentò la presa.

Fece scivolare da dietro una mano sul collo di Kurt e gli batté la schiena con l’altra. Kurt desiderò che questo migliorasse le cose, ma non fu così.

C’erano voci attorno a lui, sopra la sua testa. Sembravano come un rumore di sottofondo. C’erano dei movimenti e si sentì un po’ sballottato, ma non si concentrò su nessuno di questi. Ci volle suo padre, che parlava sopra la sua testa, per renderlo consapevole. Il “Cosa?” secco e sorpreso di Burt gli fece sollevare il capo e sbattere le palpebre come se si stesse risvegliando da un incubo.

Mr. Schue e Finn erano in piedi, furiosi, pallidi e a disagio a loro volta. Dietro di loro, la Coach Sylvester camminava tesa, in allarme, come se stesse cercando la possibilità di avventarsi su qualcuno.

Mr. Schue iniziò a parlare e Kurt fu costretto a strizzare gli occhi e a focalizzarsi sulla sua bocca prima che il suo cervello registrasse le sue parole. “-non pensa di venire. È tutto ciò che so”.

Gesù”, mormorò il padre di Kurt.

Kurt si accigliò. “Cosa? Cosa è successo? Ci sono novità?”

Suo padre lo lasciò andare, ma la mano attorno al collo di Kurt scivolò alla sua spalla e la strinse. Sorrise, ma i suoi occhi erano furiosi. “Siediti, figliolo. Fammi capire cosa sta succedendo e te lo farò sapere.”

Kurt voleva discuterne, ma vide dalla faccia di Finn che questi aveva ascoltato tutto. Si allontanò silenzioso, per niente imbarazzato quando vide la macchia fresca che aveva lasciato sulla maglia del padre.

Finn lo riportò alle sedie e Kurt parlò prima che potessero sedersi. “Cosa è successo?”

Abbastanza sicuro di quello che fosse successo, Finn non mostrò esitazione. “Mr.Schue ha chiamato il papà di Karofsky. Penso che non verrà qui.”

Cosa?”

Finn alzò le spalle goffamente, ma i suoi occhi erano turbati. “Kurt… amico, sapevi che Karofsky è gay?”

Kurt si incupì, rifletté sulla domanda e i suoi occhi tornarono a Mr. Schue, a suo padre e alla loro conversazione solenne. “Cosa?”, domandò di nuovo, avendo bisogno di tempo per incastrare tutti quei frammenti.

Sì. E’ ciò che Mr. Schue ha detto. Immagino che il papà di Karofsky lo abbia cacciato di casa perché é gay e che adesso stia recitando la parte del Io-non-ho-un-figlio. Penso che Karofsky sia stato da alcuni amici nell’ultimo paio di notti. Non lo so, ho solo ascoltato ciò che Mr. Schue ha detto.”

"Ma…" Kurt spostò lo sguardo dagli adulti a Finn e viceversa. Si sentì ammutolito e minuscolo. “Ma noi abbiamo incontrato suo padre. Era addirittura dalla mia parte riguardo… riguardo tutto.”

Finn si limitò a scrollare le spalle. Gli occhi di Kurt ritornarono dietro la piccola scrivania dove un paio di infermiere erano sedute. Le porte a due ante dietro di loro erano quelle dove avevano portato Dave.

Lo sapevi.”

Kurt guardò nuovamente Finn.

L’espressione di Finn era scioccata, ma era difficile da stabilire quale fosse la causa. C’erano troppe cose scioccanti che stavano succedendo attorno a loro. “Non sei nemmeno sorpreso, tranne riguardo suo padre.”

Kurt annuì. Finn già lo aveva capito, negarlo non sarebbe stato di alcun aiuto.

Finn si avvicinò. “È…uhm.” Lanciò uno sguardo al loro padre e alla Coach Sylvester e abbassò la voce. “È una cosa tipo gay-radar?”

Kurt rimase a bocca aperta sul momento, poi improvvisamente si avvicinò e si schiacciò contro il sottile braccio della sua sedia in finto legno in modo da poter stringere Finn in un abbraccio.

Finn sospirò sorpreso. Batté dei colpi sulla schiena di Kurt non molto sicuro.

Mi hai fatto quasi ridere”, disse Kurt all’altezza della sua spalla ossuta. “Persino ora, mi hai fatto quasi ridere. Grazie, Finn.”

Oh. Sì. Non c’è di che.”

Lasciò andare il suo confuso fratellastro e il suo tenue sorriso svanì. Guardò di nuovo le porte a due ante dietro le infermiere.

Alla fine, suo padre si avvicinò e si sedette accanto a lui. Kurt poteva sentire l’odore di olio per motori e questo gli faceva venir voglia di voltarsi verso di lui e piangere, gemere, balbettare su come fosse stato orribile e di come non avesse mai visto niente del genere al di fuori dei film…

Ma non riguardava lui. Non ancora. Avevano bisogno di capire cosa stesse succedendo dietro quelle porte a due ante, e dopo sarebbe potuto andare a casa e farlo.

Aveva davvero pensato che Paul Karofsky fosse una brava persona. Una persona migliore di suo figlio, almeno. Ecco perché Kurt era tornato pensieroso dai due incontri con loro. Si aspettava che il padre di Dave fosse un disgustoso bullo ignorante. L’aveva quasi sperato, per potersi dare una spiegazione sensata al comportamento di Dave. Ma non gli era apparso proprio in quel modo.

In quel momento Dave era disperso dietro quelle porte a due ante e suo padre non veniva nemmeno a visitarlo.

Dei dottori uscivano di tanto in tanto, causando uno stato di tensione e di attesa perenne in Kurt, la Sylvester e Mr. Schue. Forse due ore dopo l’arrivo di Burt Hummel uno di quei dottori parlò con calma all’infermiera della scrivania e lei annuì verso il gruppo che attendeva.

Kurt si rizzò in piedi in un secondo, ma Sue Sylvester lo batté sul tempo.

Allora?”

Il dottore non sorrise con sollievo, né scambiò due parole o nemmeno si preoccupò di chiedere se fossero lì per Dave. Si guardò attorno e parlo gravemente. “C’è qui qualcuno della sua famiglia?”

Kurt non ebbe nemmeno il tempo di entrare in panico riguardo il fatto che nessuno di loro fosse un suo parente o di pensare di mentire per poter ottenere notizie, prima che una voce rispondesse con sicurezza. “Io.”

Dovette stringere le mani a pugno per evitare di rimanere di sasso nei confronti della Coach Sylvester.

Si allungò per sfiorarle il braccio e le annuì indicando le porte dietro di lui, e chissà come lei gli prestò attenzione.

Kurt spalancò la bocca troppo tardi per aggiungersi alla bugia, ma Mr. Schue lo raggiunse e gli sfiorò la spalla. ”Ci dirà tutto ciò che scoprirà.”

Sembrava così sicuro di quelle parole, ma Kurt conosceva la Coach Sylvester. Perché avrebbe dovuto dire qualcosa? Perché era lì? La cosa più vicina a un lato soft che avesse mai visto in quella donna era stato – se si escludeva tutto quello che aveva a che fare con sua sorella - quando lei aveva preso le sue difese contro Dave.

No. Non poteva domandarselo. Non poteva nemmeno pensarci. Gli faceva tornare in mente gli asciugamani insanguinati sul pavimento dello spogliatoio. Gli faceva domandare cosa avesse visto, quanto dovesse essere stato terribile da scioccare qualcuno come lei così profondamente.

Serrò gli occhi e si allontanò dalle porte. Non riuscì a fare a meno di rivedere una mano distesa con le unghie dilaniate e tagli lunghi e profondi tra le nocche. Non riuscì a fare a meno di pensare alla quantità di sangue che venava grandi gambe nude.

Dave era così forte. Kurt era magro e di certo non il ragazzo più alto del mondo, ma non era cedevole. Quando Dave era Karofsky avrebbe potuto lanciarlo in giro come se non pesasse più di un’oncia. Era forte ed enorme. Avrebbe dovuto combattere. Chi avrebbe mai potuto prendersela con uno come Dave Karofsky? Chi avrebbe mai potuto immobilizzarlo, resistendo ai suoi pugni?

Era stata più di una persona? Qualcuno lo teneva fermo mentre qualcun altro…?

Dio.

Aveva urlato aiuto o era rimasto disorientato? Era stato per terra da solo o, tra tutte le persone, Sue Sylvester era riuscita a entrare lì dentro giusto in tempo per fermare qualsiasi cosa stesse succedendo? Perché aveva pronunciato il nome di Kurt? Perché le aveva domandato di Kurt? Perché era successo tutto questo, cazzo?

Tremava, tantissimo, e improvvisamente suo padre fu proprio lì e Kurt non aveva capito di ster piangendo di nuovo fino a quando non sentì la maglietta bagnata di suo papà contro la sua guancia. Si strinse ancora di più a lui, afferrando suo padre, vedendo nella sua mente gli occhi vitrei di Dave e il suo sorriso timido nel corridoio e pensando che vedeva sempre un accenno di rosso nei dintorni quando ultimamente si muoveva per la scuola.

Non avevano più parlato, non da quelle mail. Avrebbero dovuto. Kurt aveva il suo indirizzo - avrebbe dovuto scrivergli. Kurt avrebbe dovuto sapere che era stato cacciato di casa. Non avrebbe dovuto lasciarlo solo ad affrontare tutto.

Nessuno aveva più insultato Kurt nell’ultima settimana. Dave lo aveva tenuto al sicuro, con o senza berretto. Anche prima delle e mail. Anche al ballo. L’elezione era stata una umiliazione, ma gli studenti avevano applaudito quando Kurt aveva preso la sua corona e si erano uniti a lui quando aveva ballato con il suo ragazzo.

E Dave era scappato via solo, perché Kurt non era riuscito a tenere chiusa la sua bocca da compiaciuto.

Dio. Dio, Kurt non era religioso e sapeva che nessuno rispondeva a quel nome, ma altre persone mettevano così tanto potere in quella parola e così lo pensò anche lui. Dio, Gesù. Cristo. Perché, perché, perché?


Suo padre aveva cominciato a lamentarsi del fatto che dovessero andarsene, parlando della cena e dei compiti e dell’intero mondo che all’apparenza esisteva fuori dalla sala di aspetto dell’ospedale.

Ma le porte a due ante si aprirono e una impallidita Sue Sylvester vi marciò fuori e si diresse verso Kurt senza chiedere a nessuno se stesse bene. “Ho detto loro che dovrebbero far entrare uno dei suoi amici.”

Kurt si allontanò da suo padre e da Finn, mettendosi in piedi senza essere consapevole che il suo corpo si stesse muovendo. La fissò, lei era ancora pallida e la sua bocca era sigillata, così distese la mano quando lei gli offrì la sua e lo trascinò via dalla sua famiglia, verso quelle doppie porte.

Suo padre fece un suono soffocato di incerta protesta alle loro spalle, ma Kurt non titubò.

Si bloccò quando le porte si chiusero dietro di lui, quando fu al sicuro dentro il corridoio interno. La Coach Sylvester si fermò e lo guardò, lasciando cadere la sua mano come se in quello stato lei fosse ancora impaurita di sembrare troppo delicata.

È… sveglio?”Si rabbuiò. “No. È pompato completamente di medicine al livello della Lohan. Andiamo, Porcellana.”

Perché… perché io?”

Sembrò irritata al fatto che non le si obbedisse, o forse era solo impaziente di tornare indietro. Guardò verso il corridoio e sibilò un respiro.

Quando si mosse più vicina, non poté fare a meno di irrigidirsi. “Pensava che tu fossi il prossimo della lista. Ne era sicuro. Ecco perché ha chiesto di te a scuola, ecco perché hai bisogno di dirgli qualcosa adesso. Non lo so e non mi importa quando vuoi due avete iniziato a legarvi l’uno all’altro. Non mi importa se tu lo odi ancora o se tutto ciò che è successo tra voi era una questione di depravati abusi domestici. Tutto ciò che mi importa è che quando l’ho trovato lui era spaventato che potesse succederti qualcosa. Ora vai, prima che ti prenda e ti ci porti di peso.”

La seguì mentre gli faceva da guida. Il suo respirò tornò a essere corto, non era riuscito a frenarlo nemmeno a scuola.

La corsia d’ospedale non era come quella che aveva sempre visto in Scrubs. C’erano un sacco di apparecchiature ma le stanze non erano propriamente stanze, solo piccoli stanzini divisi da sottili tendine. Alcune delle tende erano state lasciate aperte e vi vide persone sdraiate su brande leggere e donne preoccupate tenere la mano di vecchie signore e dovette immaginare cosa potesse esserci dietro le tendine rimaste chiuse.

La Coach Sylvester si fermò davanti a una delle tende tirate. Frenò la sua camminata convulsa e inspirò. Rubando il respiro a se stessa.

Kurt non ebbe il tempo di fare lo stesso, dato che le sue dita magre e piene di calli gli afferrarono il polso e venne spinto dietro la tenda assieme a lei.

Avrebbe voluto farlo lentamente, ma non c’era nient’altro da osservare che il letto e fu lì che i suoi occhi si diressero all’istante.

Dave faceva sembrare piccola la branda. Un piede penzolava fuori dal letto, le sue spalle erano troppo ampie per starci bene. C’era un sottile lenzuolo appoggiato vicino alle braccia e le spalle che lasciava scoperta solo la sua testa. Respirava, una macchina dietro di lui si muoveva ritmicamente e uno schermo faceva dei bip a causa del battito cardiaco, c’era un display con dei numeri che aumentavano e diminuivano, aumentavano e diminuivano, ma a differenza di quello che Kurt conosceva grazie alla televisione era tutto completamente immerso nel silenzio.

La sua testa era coperta da una benda e Kurt si ricordò come i suoi capelli luccicassero bagnati sotto la fioca luce dello spogliatoio. Le sue labbra erano gonfie, la sua mascella rossa e c’erano un paio di punti escoriati sulla pelle del mento. I suoi occhi erano entrambi neri a causa dei lividi. C’era un tubicino che scendeva giù per la sua gola e Kurt avrebbe voluto chiedere il perché. Avrebbe voluto chiedere se aveva smesso di respirare o se aveva qualcosa a che fare con le medicine che gli avevano dato, o altro ancora. Avrebbe voluto sapere tutto.

Si avvicinò al lettino, guardando quell’enorme testardo e il suo volto tumefatto e slavato.

Tutto ciò a cui riusciva a pensare era Dave che gli sorrideva nel corridoio il primo giorno dopo le loro email. Ripensò a se stesso, così soddisfatto, così luminoso, avendo deciso che i tempi fossero maturi abbastanza da poter chiamare il ragazzo per nome e Dave che gli sorrideva di rimando perché gli piaceva l’idea ma era troppo timido da dirlo ad alta voce.

Non conosceva per niente Dave Karofsky.

Avrebbero dovuto parlare. Avrebbero dovuto sentirsi per e-mail. Avrebbe dovuto ringraziare Dave per averlo scortato in giro, per avergli coperto le spalle, anche se non pensava che glielo dovesse.

Avrebbero dovuto ballare assieme.

Deglutì e lo sfiorò. Le braccia e le mani di Dave erano sotto il lenzuolo così Kurt si accontentò di lasciare che la sua mano andasse delicatamente sulla sua spalla. Forse lì non era ferito, probabilmente era un posto sicuro da toccare.

Starà bene?”, domandò, sperando che gli occhi di Dave si aprissero così avrebbe potuto vedere quel verde che non aveva mai notato prima di quel giorno. Aveva pensato che non fossero nient’altro che marroni. Non aveva mai visto quel sorprendente color nocciola.

La Coach Sylvester rispose con lentezza, come se si stesse agitando a causa dei suoi stessi pensieri interiori. “Non sta morendo”, disse con durezza.

So cosa è successo”, affermò Kurt, accarezzando la spalla di Dave con la punta delle dita ansiose, come se questo potesse offrirgli un qualsiasi tipo di conforto.

Ho visto. Quando l’asciugamano è caduto…” deglutì.

Allora cosa vuoi che ti dica?” rispose seccata e in qualche modo capì che la tensione nella sua voce non era pericolosa. Non per lui, almeno.

Qualsiasi cosa abbia detto il dottore” replicò e non riuscì a spostare gli occhi da Dave.

Ha una commozione cerebrale”, dichiarò veloce e indignata. “Gli hanno colpito duramente la testa con qualcosa”.

Annuì, figurandosi in testa l’ammaccatura nel muro.

Naso rotto. Entrambe le spalle disarticolate. Costole incrinate, nessuna rotta per miracolo. Molti tagli e lividi.”

Dopodiché esitò.

Non riusciva a guardarla, cosa che probabilmente aiutò entrambi.

“Gli hanno lacerato il … hanno strappato il muscolo in modo abbastanza orribile, ma il dottore non pensa che lui abbia alcun… alcun danno interno…” emise un sospiro.

Allora capì quale muscolo avevano lacerato. Chiuse gli occhi, ricordando gambe enormi e il sangue. Non comprese di tremare fino a quando la mano di Sue non gli si poggiò sulla spalla per calmarlo.

Siete amici?” chiese, nonostante la precedente dichiarazione che non gliene importasse.

Non erano davvero amici. Non erano niente. Tutto ciò che erano per l’altro non era più utilizzabile. Annuì di nuovo.

Allora prenditi qualche minuto e parla al tuo amico. Non mi importa se ti possa sentire o meno.” La sua mano scivolò via e si allontanò camminando, ma Kurt si girò improvvisamente prima che lei potesse chiudere la tendina.

Cosa ha visto?” le domandò improvvisamente, stupendo anche se stesso.

Si irrigidì. Non lo guardò. “Stavano scappando quando sono arrivata”, disse semplicemente, dopodiché sparì dall’altra parte della tenda.

Stavano. Più di uno. Loro, ma… ma Kurt era felice che Dave non fosse stato lasciato solo, ferito e spaventato, prima che lei lo ritrovasse.

Si girò verso il letto. C’era una sedia vicino al muro, persa nelle apparecchiature attorno, e la mise accanto a un lato del letto.

L’atmosfera non era abbastanza silenziosa. Le macchine non facevano più beep vari o altro, ma poteva sentire passi, voci. Quella tendina non era una reale barriera tra loro due e il mondo.

La Coach Sylvester gli aveva ordinato di parlargli, ma non aveva niente da dire. Non c’era assolutamente niente, dato che si ricordava come mai lei avesse chiesto di lui in primo luogo.

Sono qui,” disse, sussurrando verso il volto svigorito di Dave.

Sto bene. Nessuno mi ha inseguito,” sospirò e cercò di fermare il tremore nella sua voce. “Mi hai tenuto al sicuro, proprio come avevi promesso.”

Se fosse stato un altro giorno, sarebbe stato inorridito dalle sue lacrime. Singhiozzare in modo costante e drammatico era uno di quei stereotipi gay che non gli piaceva incarnare. Aveva pianto molte lacrime in diciassette anni di vita, ma ognuna era stata provocata. Ognuna di esse era stata per qualcosa di importante. Ed ecco perché non era imbarazzato, perché suo padre che aveva mandato via Finn di casa per aver chiamato le decorazioni della stanza da letto di Kurt “da finocchio” era niente in confronto a tutto quello. Pur con tutto il dramma e la tensione del liceo McKinley, quello era un livello che avrebbe fatto sbiancare qualsiasi altra cosa al confronto.

Kurt aveva pianto per la Coach Sylvester quando era morta sua sorella. Aveva pianto al capezzale di suo padre dopo il suo infarto. Quelle erano le uniche cose che pensava si potessero paragonare.

Il pensiero che ciò che era successo sarebbe potuto succedere a chiunque era scioccante. Ciò che aveva visto coi suoi stessi occhi, era stato orrendo, aveva visto le conseguenze instabili del tutto. Era qualcuno che conosceva, qualcuno con un carattere duro, una montagna di paura, un sorriso timido e un apparente resistenza nell’usare gli apostrofi nelle sue e-mail… l’unico altro ragazzo gay al McKinley di cui Kurt sapeva qualcosa…

Non c’erano più parole.

Sperava in qualche movimento, sperava che almeno le sue palpebre si muovessero, ma niente. Si sedette per un po’, lasciando ogni tanto sapere a Dave che era lì e che stava bene, nell’eventualità che Dave potesse ascoltarlo. Dopo poco, la tendina venne spostata e una lunga ombra si allungò sul letto.

È ora di andare, Porcellana. Tuo padre pensa ti abbia traumatizzato tenendoti qui.”Kurt sbuffò con un suono cinico e duro. Suo padre era arrivato in ritardo per evitargli il trauma e non era successo in ospedale.

La Sylvester annuì concordando con il suo sbuffo, ma rimase vicino la tendina aperta fino a quando lui non si alzò e lasciò il letto.

Qualcuno dovrebbe rimanere”, affermò Kurt mentre si muoveva per la stanza.

Non preoccuparti, figliolo,” rispose in modo risoluto. “Nessuno caccerà la zia Sue da qui.”

La cosa positiva del conoscere il lato oscuro di Sue Sylvester era che Kurt sapeva che aveva ragione. Nessuno sarebbe riuscito a smuoverla se lei avesse voluto rimanere lì.


Aveva ricevuto due messaggi in segreteria e cinque sms da Blaine quando si ricordò di possedere un telefono e dovette leggere solo il primo sms per realizzare che Blaine aveva capito che qualcosa era successo.

Lo chiamò, sedendo sul letto e stringendo saldamente l’apparecchio.

 

Kurt, grazie a Dio, stai bene? Ero preoccupatissimo."
 

Forse aveva urlato, perché la sincera preoccupazione di Blaine non fece altro che farlo sentire stanco. “Sto bene. Non mi è successo nulla.”

Mercedes ha detto che ha dovuto chiamare la polizia. Che qualcuno ha lasciato la scuola in ambulanza e che tu non sei più tornato in classe.”

Si incupì , appoggiandosi sul muro dietro al letto. “Non ha detto altro?”

Non sapeva niente! Nessuno sa qualcosa, suppongo. Ha detto che c’era una voce riguardo al fatto che un gruppetto di giocatori di football avesse saltato le lezioni ma… dai! Cosa è successo? Hanno provato a fare qualcosa? Qualcuno ti ha fatto del male, o-

Ti ho detto che sto bene, Blaine.” Non intendeva dirlo in modo così secco, ma non si rimangiò nulla.

Guarda, ti dirò tutto domani, promesso. Sono davvero esausto adesso, ok?”

Bene,” disse Blaine e fu un po’ tagliente. Kurt riattaccò con un sospiro, ma un secondo dopo il suo telefono vibrò per un messaggio in arrivo e lo lesse:

Ti amo, ricordatelo. Riposati.”

E sorrise.


Quella notte sognò una partita di football al rallentatore, la folla in delirio e i cori delle Cheerios. Per qualche ragione si svolgeva tutto dentro la palestra e anche se sedeva tranquillamente guardando la partita e applaudendo, per qualche motivo sapeva che dietro le porte che conducevano agli spogliatoi qualcuno stava urlando. Qualcuno chiedeva disperatamente aiuto, e nessuno sulla faccia della Terra riusciva a sentirlo.

  
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