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Autore: LaMicheCoria    09/09/2011    7 recensioni
Solo dopo qualche ora Arthur si accorse di essere rimasto con in mano un libro francese.
A farlo fermare non era stato la consapevolezza di non aver capito nulla di quello che doveva aver letto, ma una frase sottolineata -e poi tradotta in inglese- nella grafia aggraziata di Francis.
Il faut bien que je supporte deux ou trois chenilles si je veux connaître les papillons.
“Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle”

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, a contare la Vita.
[Ispirata alla canzone "Whiskey Lullaby" di Brad Paisley] [FrUk] [Rating Arancione e avviso "Non per Stomaci Delicati" non per presenza di scene Hard o violenza, ma per la tematica trattata dalla canzone] [Angst]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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beoamc

Titolo: Burning End of a Midnight Cigarette
Autore:  Nemeryal
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Arancione

Genere: Slice of Life, Drammatico, Introspettivo
Avvertimenti: OneShot, Missing Moments, Shonen-Ai, Au, Non per Stomaci Delicati
Personaggi: Arthur Kirkland/Inghilterra, Alfred F. Jones/ America,Francis Bonnefoy/Francia

Pairing: FrUk
Musica: Whiskey Lullaby – Brad Paisley
Trama: Solo dopo qualche ora Arthur si accorse di essere rimasto con in mano un libro francese.
A farlo fermare non era stato la consapevolezza di non aver capito nulla di quello che doveva aver letto, ma una frase sottolineata -e poi tradotta in inglese- nella grafia aggraziata di Francis.

Il faut bien que je supporte deux ou trois chenilles si je veux connaître les papillons.
“Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle”
Dedica: a Silentsky
Note: Sì, potete odiarmi. Ho raggiunto l’apice dell’Angst. Odiatemi, davvero. Se vorrete insultarmi per la quantità di dramma che ho cacciato qui dentro, davvero, non ve ne porto rancore.
Io..non lo so. E’ uscita da sola, mentre ascoltavo la canzone. Ditemi se è OOC.
Scusatemi.  

 

 

 

Burning End of a Midnight Cigarette

 

Fu strano rivedersi in quel bar, solo pochi giorni dopo che tutto era successo.
Eppure, non sembrava che la cosa ai due interessasse più di tanto: Arthur si limitò ad alzare gli occhi dalla tazza di tea, Francis a guardarlo di sbieco mentre sorbiva un caffè.
Forse le mani del francese tremavano un po’ più del dovuto e la faccia dell’altro aveva uno strano colorito terreo, ma erano particolari talmente minimi che loro due furono gli unici ad accorgersene. Non lo diedero a vedere, comunque.
Continuarono ad ignorarsi reciprocamente, a lanciarsi un’occhiata di tanto in tanto, senza dire una parola.
Non che ne avessero sprecate troppe, qualche giorno prima; anzi, a dire la verità, Arthur si era aspettato qualche grido in più da parte di Francis, viste le sue manie da attricetta di quart’ordine. Peccato che, come aveva poi scoperto, questo suo lato il parigino lo dimostrasse solo nei loro litigi scherzosi, che finivano ogni volta in una buona dose di coccole, sesso, vino e rhum. Era stato strano per l’inglese vedere gli occhi dell’altro divenire freddi come specchi e riflettersi dentro di essi, vedersi mentre lo cacciava di casa e gli diceva di andarsene e non farsi più rivedere. Forse gli aveva fatto anche un po’ male. Ma questo non l’avrebbe mai ammesso neppure a se stesso.
-Come va, Arthur?-
Una domanda come tante, forzata come poche.
-Tutto bene-
Lapidario. Come non aveva versato lacrime, Arthur non aveva intenzione di sciorinare parole su parole per colmare quel silenzio cristallizzato.
-Ho un appuntamento, stasera- lo informò la voce beffarda di Francis e per un solo, maledetto istante, l’inglese fu sul punto di lasciar cadere la tazzina. Si ricompose immediatamente, assumendo l’espressione più disinteressata che riuscisse a mettere insieme in una manciata di secondi –e a detta del francese, erano davvero molte.
-Con chi?-
Tono monocorde, un accenno di sbuffo, labbra piegate in una smorfia annoiata. Avrebbe ingannato chiunque, e ne era consapevole. Solo, si chiese se fosse stato abbastanza da ingannare Francis.
Forse sì, perché il ghigno sul suo volto si incrinò e gli occhi si tinsero di nero. La sua espressione ferita non durò molto, anzi, scomparve quasi subito. Posò il mento sul palmo della mano destra e lo guardò con un sopracciglio inarcato.
-Con una vedova- soffiò, schioccando la lingua contro il palato.
-Sei disgustoso-

 

Francis aveva imparato che la dolcezza non era in alcun modo prerogativa di Arthur. O almeno, non la dolcezza come l’aveva sempre pensata. Era stato una persona estremamente romantica, in fondo, di quelle che non si fanno problemi con l’Amore, perché basta che l’Amore sia tale perché non vi sia bisogno di giustificazioni.
Ritrovarsi a dividere la propria vita con un inglesotto di prima categoria, tutto Regina e sopracciglia –
soprattutto queste ultime- era stato un colpo, all’inizio.
Insomma, si aspettava qualche parola dolce ogni tanto, un abbraccio, una carezza, qualcosa. Nella sua romantica e rosea visione della vita, ci aveva messo qualche tempo prima di capire che non era un caso quando le dita di Arthur scivolano sulle sue spalle o sul suo viso durante i loro –finti- litigi, che quando lui gli appoggiava la testa in grembo mentre guardavano un film non era sempre perché si era addormentato. Che non c’era alcun negozio di fiori da lì al posto dove lavorava Arthur, e quindi nessuna graziosa fioraia che gli regalava dei bellissimi mazzi di rose o non-ti-scordar-di-me oppure gigli solo per ingraziarselo.
Aveva imparato, Francis, che Arthur era un po’ come il whiskey che gli piaceva tanto: amaro sulle labbra, ma con un dolce retrogusto, tanto tenue da essere impossibile da scovare se bevuto tutto d’un fiato.
Chissà, forse fu proprio per quello che allontanò quel collo troppo sottile, quella bocca troppo zuccherosa.
Forse fu proprio per quello, per soffocare i ricordi in una patina seppia dentro cui non avrebbero più potuto ferirlo, che cominciò a contare la vita al gocciolare del
whiskey nel bicchiere di cristallo.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia…

 

Solo dopo qualche ora Arthur si accorse di essere rimasto con in mano un libro francese.
A farlo fermare non era stato la consapevolezza di non aver capito nulla di quello che doveva aver letto, ma una frase sottolineata -e poi tradotta in inglese- nella grafia aggraziata di Francis.

Il faut bien que je supporte deux ou trois chenilles si je veux connaître les papillons.
“Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle”
Oh, al diavolo! Lui, il suo Petit Prince, al diavolo tutto!
L’inglese chiuse il libro con uno schiocco secco ed entrò in cucina, con la fredda intenzione di gettare il libro nella spazzatura per non rivederlo mai più.
Rimase con la mano ferma a mezz’aria, senza il coraggio di buttarlo. Perché anche se lo avesse fatto, i ricordi non sarebbero mai andati via. Non la voce di Francis, non la sua risata irritante, non il suo vizio di chiamarlo chenille.
Retaggio del suo passato Punk, pensò Arthur passandosi inconsciamente la mano libera fra i capelli; non si accorse nemmeno di star sorridendo nel ripensare a quando Francis lo aveva trovato mezzo ubriaco anni prima, alla fine di un concerto-tributo dei Sex Pistols.

Sembri tanto uno chenille, un bruco gli aveva detto scattandogli una foto Con quei capelli lunghi tutti pieni di indecente roba inglese!
God, ma quanto l’aveva odiato? Quanto lo aveva maledetto, quanto avevo inveito contro di lui e la sua francesità? Quanto lo aveva am...
Fu lo squillo del cellulare, la voce di Sid Vicious che cantava God Save the Queen, a trascinarlo via da quel vortice di ricordi, di voci, di profumi, di mani, di labbra, di respiri.
Gettò il libro nella pattumiera e tornò in salotto, afferrando il telefonino e portandoselo all’orecchio.
-Qui Kirkland-
-Arthur..-
L’inglese inarcò un sopracciglio.
-Alfred? Sei tu? Perché quella voce?-

 

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, finché ogni ricordo non si fosse fuso al seguente, ogni profumo reso vivo e vero, talmente vero e vivo da rendere incolore la realtà, vago ogni rumore, vuota ogni parola.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, finché l’ambra del
whiskey non fosse divenuta rossa come le rose, come le labbra, come il sangue.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..

 

-Bastardo!-
Arthur si chiese se le foglie del salice stessero tremando per un qualche spostamento d’aria o perché il pugno appena ricevuto da Gilbert gli avesse regalato una commozione cerebrale in piena regola.
-E’ colpa tua, è colpa tua, è colpa tua..!
L’inglese non aveva fatto in tempo a rialzarsi che subito l’altro gli si era avventato contro, prendendolo per il bavero e cominciando a scuoterlo, sputando saliva –e veleno- ad ogni parola.
Fu l’intervento di Antonio a salvargli la vita.
-Calmati, Gilbert..!- esclamò lo spagnolo, prendendo il tedesco per la vita e tirandolo indietro –Ti prego, basta..-
-Smettetela tutti e due- sibilò Lovino, lanciando a Gilbert e ad Arthur un’occhiata omicida –Siete in un cimitero, cazzo-
L’inglese si rassettò stizzito il completo nero, evitando a tutti i costi di guardare Feliciano inginocchiato davanti alla tomba, le spalle scosse dai singhiozzi, la bocca storta dalle urla, il corpo che si dondolava avanti e indietro mentre Ludwig tentava inutilmente di calmarlo, carezzandogli la schiena.
Ma più voltava la testa, più tentava di estraniarsi da quella situazione, più cercava in ogni modo di sciogliere il nodo che gli stringeva la gola, più gli occhi correvano all’iscrizione sulla lapide, alle lettere d’ottone che rilucevano tra le foglioline de salice.

Plus encor que la Vie, la Mort nous tient souvent par des liens subtils.
“Assai più della Vita, è la Morte a tenerci sovente con lacci sottili” .
-Aveva un appuntamento con una vedova..- mormorò Arthur, forse a se stesso, forse al mondo, forse a nessuno –Aveva sempre un appuntamento con una vedova..-

 

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, a contare la Vita.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, ad incontrare la Morte.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, a Vivere, Morto, nei Ricordi.

 

Veuve Clicquot, la Vedova Clicquot.
A sentirla nominare, Arthur si era immaginato una vecchietta raggrinzita, un ragno rugoso avvolto in taffettà e pizzi stantii di naftalina, col volto oblungo macchiato di chiazze, di trucco rancido e polveroso.
Mentre girava la chiave nella toppa –perché, perché Antonio gli aveva dato la chiave? Perché voleva che vedesse?- aveva pensato ad una figuretta pietosa messa in qualche cornice di argento sbeccato, magari in bianco nero, a ricordare una bellezza svanita nello sgocciolio impietoso degli anni.
Aveva girato per l’appartamento in lungo e in largo, cercando in ogni dove, in ogni luogo, ma le uniche foto che aveva visto erano state le sue, quelle che Francis gli aveva rubato con uno scatto improvviso, quelle che Francis gli aveva pregato di fare mettendosi in una particolare posizione con una particolare luce, quelle che Francis definiva “oscenamente deliziose”, quelle che Francis aveva fatto a loro due con l’autoscatto.
Era entrato nella camera del parigino col fiato conficcato nei polmoni, ormai incapace di respirare.
Aveva visto la chiazza sul muro e aveva immaginato i cocci a terra, il collo della bottiglia spezzato, il corpo del francese riverso sul letto sfatto.
E finalmente aveva fatto la conoscenza della Vedova Clicquot: una bottiglia di champagne ancora piena, dolce e zuccherino, cui Francis aveva preferito l’amaro del whiskey.

 

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..

 

Goccia dopo goccia, eccome come passa il tempo.
Scivola lungo il Cielo dell’Eternità e si mescola alla precedente nel gran Mare del Mondo.

 

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..

 

Arthur cominciò a sentirsi proprio come quelle gocce di tempo: stille di secondi che si mescolavano a gocce di settimane, unite a lacrime di mesi impastate a grumi di anni.
Perse la cognizione di tutto, persino di se stesso. Aveva coscienza di sé come labbra incollate alla bocca della fedele bottiglia di whiskey, come prolungamento di quel liquido ambrato che gli bruciava la gola e lo faceva annegare in una scivolosa fanghiglia di alcool e memoria.
Si sentiva affogare da quelle onde fumose che si crogiolavano incandescenti nel suo stomaco, e gli facevano perdere gli appigli non solo con la realtà, ma anche con la propria mente.
Quella matassa informe di whiskey, oleosa, che puzzava d’alcool e vomito e rose putrefatte, sembrava addensarsi e solidificarsi solo negli apici dell’alienazione, quando Francis gli appariva accanto e lo guardava e scuoteva la testa e diceva Chenille, basta chenille, mon cher, se continui morirai, basta chenille..e allora lui gli gridava, gli diceva di andarsene, perché se non si fosse ammazzato, lui e quelle sue maledette manie di protagonismo, se non si fosse sbronzato fino a non distinguere più la realtà dai ricordi, se non si fosse fatto fottere interiormente da quel suo cazzo di Amour, allora lui, Arthur, lui non ci sarebbe mai finito con una bottiglia in mano ad inveire contro muro e contro il nulla, perché lui, Francis, non era vero, non era vivo, era morto, era falso, non c’era, non c’era, non c’era, non c’era, non c’era..

 

 

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, finché ogni ricordo non si fosse fuso al seguente, ogni profumo reso vivo e vero, talmente vero e vivo da rendere incolore la realtà, vago ogni rumore, vuota ogni parola.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, finché l’ambra del
whiskey non fosse divenuta rossa come le rose, come le labbra, come il sangue.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..

 

God, gli sembrava così vero, così reale, poggiato contro il muro, con le braccia incrociate al petto ed il volto piegato di lato. Poteva contargli i capelli biondi con le dita, posandoli sulle spalle e sfiorando la camicia candida, salendo lungo la linea del collo fino ad accarezzare gli zigomi, le labbra, le ciglia..
Ma era così freddo, così freddo, freddo come i ricordi, amaro come il whiskey che tracannava senza sosta, perché se il whiskey gli scaldava lo stomaco e gli bruciava la gola, perché non poteva rendere più caldo quel corpo così gelido, quella visione appena accennata ed evanescente, che il muro, bianco, così bianco, troppo bianco, risucchiava senza pietà, inglobava senza un singulto, o un gemito, quando avrebbe dovuto lasciarlo lì, quella visione, perché più whiskey beveva più i grumi ambrati della sua testa si addensavano, e più si addensavano loro più si coagulavano i ricordi, e allora anche il volto fumoso di Francis diveniva reale, sì, sì, se solo il muro non l’avesse inghiottito ogni volta..?

 

 

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, a contare la Vita.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, ad incontrare la Morte.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, a Vivere, Morto, nei Ricordi.

 

 

Posò la fronte, sul muro. Era freddo. Un brivido che gli corse nella gola arsa dall’alcool e lo scosse un istante da quel torpore brumoso che lo stava soffocando. Stringeva tra le dita una foto accartocciata. Era solo.
Di nuovo, la visione svanita. E la bottiglia era vuota. E lui non c’era.
Un colpo. Non c’era. Un colpo. Non c’era. Un colpo. Non c’era. Un colpo. Non c’era. Un colpo. Non c’era.
Un colpo. Un baluginio di dolore. Non c’era. Un colpo. Stupido francese. Un colpo. Non c’era. Rosso e bianco. Un colpo. Non c’era. Un colpo. Idiota. Un colpo. Non c’era. Francis, sei un idiota. Un colpo. Non c’era. Francis. Un colpo.
Non ci sarebbe stato.
Un colpo.
Non ci sarebbe stato mai più.

 

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..

 

-Mettersi una citazione di Baudelaire come epitaffio- Arthur sbuffò, scalciando un po’ di neve davanti alla lapide –Solo a te poteva venire in mente una tale buffoneria-
-Disse Monsieur “
To die, to sleep; to sleep: perchance to dream”- lo sbeffeggiò Francis, con un ghigno stampato sul volto.
-E’ Shakespeare, frog- ringhiò l’inglese, scoccandogli un’occhiata omicida –Non un poetastro francese qualunque-
-Poetastro francese qualunque?!- strillò l'altro, inorridito, levandosi in piedi –Hai presente il Decadentismo? Hai presente i bohemienne? Hai presente i Dandy? Hai presente..?-
-Sì sì, continua pure a gracidare- Arthur sventolò una mano, come a scacciare un insetto fastidioso –Tanto non ti ascolto-

 

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..

 

Il sole scintillò tra le fronde del salice. Sulle due lapidi vicine, l’una accanto all’altra.

 

Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..

 

 

 

 

{ We laid her next to him beneath the willow
While the angels sang a whiskey lullaby } 

 

 

 

   
 
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