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Autore: Lisa_Pan    10/09/2011    7 recensioni
Fin da quando mettiamo piede per la prima volta in questo mondo riceviamo
miriadi di sensazioni al secondo, quando si è piccoli e non
si conosce nulla del mondo, ci guardiamo intorno interrogandoci su
tutto ciò che ci circonda dandoci risposte sensazionali che
risentendole quando si è grandi fanno venir da ridere. Barry
ha raccontato di un bambino unico, che non cresce mai, che resta sempre
meravigliato da quel parcogiochi che è il mondo, la domanda
allora sorge spontanea: com'è il mondo per Peter? Quanto
può essere meraviglioso entrare per un momento in quella
mente così speciale? In questi capitoli passo passo
troverete la risposta.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 11




Epilogo-Giorno dell'incontro:

Quella mattina mi svegliai, reduce di un sogno fantastico. Mi alzai e mi misi a sedere sul letto. Ero storidito e stanco. Davanti ai miei occhi si srotolavano le immagini di quel sogno fuori da ogni immaginario. Presi il mio quaderno e cominciai a scriverne.

Aprii gli occhi in una stanza buia, la mia. Accesi li lume posto di fianco al mio letto e mi guardai intorno. C'era qualcosa che non quadrava. Di fianco a me Peter dormiva beato, il suo respiro caldo e dolce riempiva la stanza.
Mi alzai infilandomi il cappotto. Sentivo un bisogno irrefrenabile di raggiungere l'esterno della mia abitazione, di respirare l'aria fredda della notte. Aprii la porta e in pochi passi fui fuori dall'enorme abitazione dalla facciata accogliente.
C'era una strana atmosfera nell'aria, le luci erano accese ed emanavano un'illuminazione soffusa, sull'arancione. Dalle abitazioni, ai fianchi della strada, si percepiva la flebile fiamma giallognola dei lumini accesi nelle camere dei bambini. Le stelle in cielo brillavano più forte che mai, contribuendo all'illuminazione generale di quella strana serata, con la loro luce bluastra. Avvertivo dei movimenti attorno a me, strani campanellii risuonavano nelle mie orecchie. In ogni direzione. Ogni tanto scorgevo un mucchietto di quelle che mi sembravano lucciole e le rincorrevo tentando di afferrarne una delicatamente.
Continuavo a camminare senza badare minimamente dove stessi andando. Lasciavo che fossero i miei passi a condurmi.
Mi ritrovai davanti alle fantastiche porte rosse dei Giardini di Kensington. C'era un lucchetto a chiudere le porte tra loro. Mi avvicinai, desideroso di sfiorare quel ferro che immaginavo esser freddo come la notte.
Tesi una mano verso le porte e sfiorai delicatamente un ricciolo in ferro battuto. A quel tocco, il cancello emise uno strano rumore. Dopo pochi secondi le porte si aprirono.
Attorno agli stipiti c'erano enormi lucciole che emettevano strani scampanellii.
Non mi stupii, in qualche modo sapevo che sarebbe successo.
Le lucciole mi condussero al centro del parco. Mi misi seduto su di una panchina dello stesso colore delle porte dei giardini. Rosso fuoco. Non erano fredde, anzi, la temperatura in quel posto era calda e accogliente.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo l'aria che c'era intorno a me. Aveva un odore fresco e dolce allo stesso tempo. Sembrava sapere di gelsomino. Rimasi ad occhi chiusi a cercare di dare un nome a quel grazioso profumo. Non so se fosse possibile ma, giurai di sentire del gelsomino fuso all'odore fresco della neve candida.
La temperatura, l'aria e lo scampanellio intorno a me contribuirono a lasciare che la mia mente abbandonasse il mio corpo. Sentii il mio peso svanire, sentii che mi stavo librando in aria grazie ad una forza sconosciuta.
Aprii gli occhi e notai che quelle lucciole erano, in realtà, esseri graziosi con ali sulle spalle. Erano più luminosi di quegli insetti fantastici e lo scampanellio era in realtà la loro dolce voce.
Le loro voci tintinnavano al di sopra  di ogni altro rumore, erano musica. Alcune fate danzavano sotto i miei piedi. Altre mi sfioravano con le loro dolci manine lasciando scie di polvere sulla mia pelle.
Erano creature che avevo solamente immaginato, sembrava che il mio libro stesse diventando realtà. Che ogni mia parola stesse prendendo vita in quella notte così piena di magia.
Pensai di essere felice e sotto la forza di quel pensiero abbandonai definitivamente il mio corpo volando nel cielo al fianco delle stelle.
La raggiunsi. La seconda stella a destra. La toccai. Sentii la sua forza sommergere la mia anima, entrare nella mia mente, sfondare le porte del mio cuore e lasciare che rimanessi spiazzato davanti alla forza di quella stella immensa.
Non vedevo più nulla, solo luce bianca intorno a me. Le fate erano sparite, il cielo e la terra con loro. Mi girai e il respiro mi si gelò in gola.
Guardai quella scena senza capire realmente cosa stava accadendo. Peter Pan era davanti ai miei occhi, esattamente come lo avevo immaginato, i suoi occhi, i suoi colori, persino il suo sorriso...era lui. Era esattamente lui. Mi guardava, oserei dire, quasi più confuso di me, cerava spiegazioni, sicuramente si stava chiedendo chi fossi. Se gli avessi detto che quello li davanti ai suoi occhi era..beh si, si potrebbe dire che ero suo padre. Se gli avessi detto che ero suo padre, conoscendolo sarebbe fuggito. Si ma dove? Solo in quel momento cominciai a guardarmi intorno, eravamo in un' enorme e tonda bolla, che si colorava dei più differenti riflessi in base all'angolo con cui la luce si poggiava suulla sua parete. Sembrava di essere in un arcobaleno. Non sarebbe potuto fuggire quindi, nessuno dei due si sarebbe potuto muovere da li dentro, perciò eravamo costretti a rimanere li, a guardarci per ora, a studiarci. Capii che anche lui era giunto a quelle conclusioni, e in sincrono ci sedemmo sul pavimento curvo di quello strano mezzo di fortuna sul quale ci trovavamo.
Il suo viso mutava espressione in base a ciò che gli passava per la testa. Era spaventato, no curioso. Ora si guardava intorno confuso. Adesso spazientito. "Quante domante avrà da farmi?" pensai, chiudendo gli occhi e sorridendo.
Non sarei stato io a cominciare la conversazione. Avrei aspettato che prendesse confidenza e che cominciasse a parlare lui. Ero impaziente di sentire la sua voce. Volevo scoprire se era davvero così melodiosa come l'avevo immaginata. Volevo sapere se sentendo la sua risata si riuscivano a sentire le mille risate di ogni singolo bambino esistente sulla faccia della terra. Avevo speso anni a sognare di quel fanciullo così speciale, ora che era davanti ai miei occhi avrei voluto sfiorarlo e sentire che fosse vero, che era realtà.
"Chi sei tu?" Chiese imbronciato. Come se tutto quello lo avessi combinato io! Era indisponente, non gli risposi.
Lui mi guardava arrabbiato e indispettito. Io facevo finta di guardare fuori dalla bolla, eravamo sospesi su qualcosa di magnifico. C'era un'isola proprio sotto di noi, circondata da un'infinita distesa di acqua blu. Immagginai fosse l'oceano ma poi un'idea mi balzò per la testa.
Mi misi in piedi e posai i palmi delle mani sulla superfice della bolla. Avevo paura che scoppiasse facendoci cadere nel vuoto. Quando però toccai quella parete lucida scoprii essere soffice e flessibile.
Posai il mio sguardo su ogni singolo angolo di quel magnifico spettacolo. Non ci volevo credere. Era...era...
"E' l'isola che non c'è. Non ci sei mai stato?" Era lui. Non più indisponente ma curioso e divertito. La sua voce, melodiosa, entrò prepotente nelle mie orecchie e lasciò che tutto di me si beasse di quell'infinita felicità mascherata in suono.
"Non l'avevo mai vista sotto questa prospettiva"!
Gli risposi consapevole che non avrebbe capito cosa intendevo realmente. Cominciò a darmi delucidazioni sull'isola.
"Li, quella è la Baia dei Pirati. La mattina risalgono l'ancora e si fermano a largo. Hanno paura degli indiani e preferiscono stare in mare. Scendono solo per seguire le mie tracce e quelle dei bambini che erano con me. Quella è il campo indiano, ci abita la mia amica..."
"Giglio tigrato" sospirai quel nome, rendendolo impercettibile. A lui non sfuggì, mi guardò interrogativo. Gli feci cenno di continuare.
"Al centro della foresta c'è la Tana è.."
"sotto terra, la si raggiunge scendendo all'interno di un tronco di un albero secolare. Poco più avanti c'è la foresta delle fate dove, all'interno dell'albero più grande della foresta, c'è la sede ragale. La regina e il re ballano ogni sera sotto la musica dolce ed unica delle fate. Conosco questo posto."
"Come fai a conoscerlo? Tu sei adulto, non puoi ricordarti dell'isola!"
"So anche come ci sia arriva su quest'isola Peter, so molte più cose di quante ne immagini!"
Distolsi lo sguardo dal panorama e piantai i miei occhi nei suoi. Mi stava guardando. Non aveva paura, era curioso. La mia sapeva di storia fantastica e voleva ascoltarla.
Risi e mi rimisi a sedere poggiando la schiena alla superfice tonda della bolla.
"Io sono uno scrittore Peter. Scrivo da quando ero bambino, soprattutto dopo la morte di mio fratello David. La sua morte cambiò molte cose: il rapporto con mia madre, il modo in cui io vedevo il mondo e le persone, i rapporti che avevo con essi. Tutto non era più lo stesso. Così cominciai a viaggiare con la fantasia e ad immaginare molti posti fantastici. Solo uno però aveva il potere di farmi sentire speciale. Solo in un posto riuscivo a sentirmi realmente libero da tutto e da tutti. Viaggiavo continuamente lì, immaginavo di portare qualcuno, ma non avevo nessuno a cui rivelare il mio segreto. Nessuno avrebbe capito. Così, da solo, mi rintanai in quel luogo così ricco di magia. Sono cresciuto ma non ho mai lasciato che qualcuno mi privasse di ciò che la mia immaginazione aveva creato. Ho conosciuto una persona, Una persona fantastica. Le ho raccontato di quel posto e disse che sarebbe stato magnifico se, un giorno, io l'avessi portata lì con me.
Aveva dei bambini, magnifici bambini. Ho scritto di tutti loro, Peter, ho scritto delle loro avventure in quel posto. Ho scritto delle magnifiche creature che lo abitavano ed ho immaginato i numerosi pericoli ai quali sarebbero andati incontro."
"Come si chiamava quel posto?"
Mi guardava curioso, si era avvicinato a me come se stessi per svelargli un segreto che non sarebbe dovuto uscire assolutamente da quella bolla. Sorrisi e lo guardai.
"L'isola ch non c'è Peter."
"Cosa???"
Era stupito, quasi indignato. Realmente confuso.
"Quando ero piccolo immaginavo un posto dove tutte le leggi a cui era stato abituato svanissero e dove un solo sentimento avrebbe regnato sovrano: la felicità. Le diedi un nome impossibile, L'isola che non c'è, nessuno avrebbe sospettato della sua esistenza, se non c'è, non c'è e basta. Ma per me esisteva, ogni sera viaggiavo verso di lei. Avendola creata io Peter il ricordo di essa non sparì nel tempo. Anzi, aumentò il desiderio di raggiungerla frequentemente. Quando morì la donna di cui ti prlavo la vidi volare su nel cielo, vidi la sua enorme luce affiancarsi a quella della luna. Lei divenne la seconda stella a destra e porta diretta verso l'isola. Una porta fantastica, dal potere immenso di eliminare preoccupazioni e responsabilità dal petto delle persone, lasciando posto alla più disumana delle felicità"
"Ho scritto anche di te Peter. Tu, il fantastico bambino rimasto chiuso nei giardini di Kensington. Ho scritto della tua infanzia tra i volatili, ho scritto di re corvo, di Maimie. Ogni tua avventura l'ho vissuta in prima persona scrivendone. I personaggi di Wendy e dei bambini sperduti sono realmente ispirati a persone che ho conosciuto, Peter, e che  hanno fatto parte della mia vita un pò fuori dal comune. Il tuo stesso nome viene da un bambino fantastico che ha scritto delle tue avventre sull'isola che non c'è. Se lo conoscessi ritroveresti molte cose che vi accomunano. Tu sei una favola, la più bella per me."
" Vuol dire che io non esisto?"
"No Peter, vuol dire che non ho mai immaginato nulla e che tu ci sei realmente stato nella mia mente in tutti questi tempi. Ti sto guardando e sto cercando di spiegarmi come tutto questo sia possibile e l'unica possibilità che mi viene in mente è questa..."
Passai ore a parlare con Peter di quello che pensavo. Gli svelai cosa fosse realmente. Mi stupii con lui a riconoscere la realtà delle cose. Sentivo il cuore esplodermi nel petto ogni volta che una verità nasceva nella mia testa. Sollievo e conpiacimento prendevano il posto di delusione e rassegnazione. Felicità, di essa il cuore era pieno. Sentivo le ali sulle spalle sbattere veloci tra loro e condurmi a terra. La bolla stava via via scendendo.
La trasparenza della sua superficie stava aumentando dal lato di Peter, come se stesse per esplodere sotto il peso dell'esile corpo del bambino. Il suo viaggio stava per concludersi e prima di scendere si girò verso di me e disse: "Siamo la stessa persona io e te."
La bolla si posò a terrà e lasciò che Peter infrangesse la sua parete soffice.
Risalì veloce in cielo lasciando che i miei pensieri mi sommergessero riempiendo l'aria intorno a me di suoni e parole.
Ripensai a ciò che avevo detto a Peter.
Mi ritrovai di fronte ad una realtà disarmante, avrei voluto scriverne, avrei voluto che tutti conoscessero il reale significato che si celava dietro la storia di Peter Pan che io stesso avevo scritto.
Volevo urlare a tutti che quella storia parlava di un uomo.. Un uomo che portava innumerevoli nomi, innumerevoli volti e voci. L'isola che non c'è, in realtà, era quel cassetto pieno di sogni che ognuno ha nelle proprie case, quello che apriamo di notte quando sentiamo il bisogno di sentirci vivi e liberi. Quel cassetto che nasconde il nostro vero essere proteggendolo dalle innumerevoli costrizioni che ci opprimono. Vorrei dire a tutti che quell'innato bisogno di essere felici, di cercare qualcosa che ci faccia stare bene e che ci riporti ai puri e semplici sentimenti che caratterizzano i bambini e il loro essere così speciali. Ognuno di noi dà un nome a quel posto che si cela in noi, ognuno ci mette quello che vuole, che siano sogni, che siano desideri, speranze emozioni. Che siano semplici istantanee di un mondo che non vorremmo mai sparisse. Io lo chiamo Isola che non c'è. Sbagliate a dire che essa non esiste, sbagliate a credere che sia solo una favola. Non lo è. Non lo è e non lo sarà mai fino a quando ognuno di noi avrà la capacità di sognare. Il bambino che si nasconde in noi sa quanto sia reale quel posto e quanto caratterizzi la nostra esistenza. Peter Pan si chiama quel bambino. E' la rappresentazione generale di quei sentimenti che nel tempo dimentichiamo di provare. E' la rappresentazione di tutto ciò che dimentichiamo di saper fare.
Peter Pan non è una favola e la necessità di leggere su di lui ne è una coferma. Se ognuno di noi fosse solo nero nn saprebbe farsi coinvolgere dal bianco. Ognuno di noi è una leggera sfumatura di grigio capace di accogliere in se ogni singolo elemento di bianco. Il bianco fa parte di noi e ne farà parte per sempre, così come quella strana figura che è Peter Pan.
Ho scritto che solo i bambini possono conoscerlo e tornare in quel posto fantastico ogni volta che vogliono ma mi sbagliavo. Certo per loro è più facile, loro simbolo di purezza e fanciullezza, sono molto più vicini alla felicità di quanto lo possa essere un adulto.
Questo non toglie che agli adulti sia privato l'accesso a questo mondo. Se ognuno di noi avessi il coraggio, una volta tanto, di aprire quel cassetto e lasciare che un pò del suo contenuto ci coinvolga e diventi realtà allora saremmo in grado di percepire ogni singola emozione rimossa, ogni singolo attimo di felicità di cui ci siamo privati. Riusciremmo a sentire il nostro corpo leggero. Certo non si può volare ma perchè privarci della sensazione che si prova ad essere leggeri come uccelli?
L'uomo così ottuso ed incapace di lasciarsi trasportare dagli elementi più piccoli e semplici che lo circondano. L'uomo un essere così estremamente occupato a raggiungere la felicità che non si accorge che tutto ciò che fa in realtà è il mezzo più diretto per allontanarsene per sempre. Poi quando il tempo finisce, quando sai che è troppo tardi, tutto ti si para davanti senza veli e senza maschere e tu ti senti infinitamente stupido. Hai avuto la verità davanti agli occhi per tutta la vita e non sei mai stato capace di osservare attentamente. Hai guardato solo superficialmente. Hai avuto bisogno delle parole di un ignoto scrittore, di una favola che raccontava ciò che tu potevi essere così facilmente, bastava solo che avessi la giusta forza di volontà per aprire gli occhi, quelli veri.
Sapevo fin dall'inizio che tutto questo fosse reale ma sfuggivo con tutto me stesso da questa considerazione.
La parole di Peter riecheggiarono nella mia mente.
"Siamo la stessa persona io e te."
Aveva tremendamente ragione. Avevo fatto della mia vita la sua vita. Ogni mio sogno, speranza, desiderio, ricordo, era perfettamente riadattato al suo personaggio.
Ricordai delle sue parole, delle parole di quella donna che avevo sempre giudicato speciale, unica.

"Sai...io l'ho conosciuto Peter Pan"

Gli aveva detto una volta, in salotto, mentre lui le raccontava delle avventure sull'isola.
"Davvero? E com'è?"
"Non molto diverso da noi, di aspetto. Ma profondamente lontano da tutto quello che tormenta le nostre menti, lui è unico, lui è fantastico."
"Deve essere stato un bell'incontro!"
"Oh...si...lo è stato!"

Lei lo sapeva. Lo aveva capito prima di ogni altro, prima di me.

La bolla mi aveva riportato davanti ad una finestra. Riconobbi quella finestra e rividi il mio viso di bambino affacciato ad essa. Quanto ero triste, ero triste e sperduto. Mi sentivo rifiutato da mia madre, sentivo il suo disprezzo arrivare dritto al petto. Era quel giorno, il giorno in cui avevo cominciato ad immaginare.
Era il giorno in cui Peter Pan era uscito dalla finestra per non farvi mai più ritorno.

Posai la penna sul tavolo chiudendo quella parentesi di una delle favole migliori che abbia mai scritto. Nessuno mai sarebbe venuto a conoscenza di quelle pagine. Poche e dirette. Nessuno avrebbe mai saputo la verità su quel mondo fantastico.
Mi stropicciai un occhio con il dorso della mano e osservai il sole dall'interno della mia stanza. Un nuovo giorno stava per iniziare. Una nuova favola stava per essere scritta.



Peter Pan, Barrie. Due facce della stessa medaglia. Due volti di una stessa storia.


Note d'autore:

Ho deciso di pubblicare oggi il capitolo finale della storia perchè a lunedì sposterò la pubblicazione dell'altra storia che sto scrivendo.
Barrie meritava di essere ricordato come il vero ed unico Peter Pan. L'interpretazione che io do alla sua favola è esattamente quella che ha descritto Barrie, ho sempre pensato che l'insegnamento ch quell'uomo voleva dare ad ognuno di noi era esattamente quello di non dimenticare mai chi siamo e chi siamo stati, di ricordare quandìto sia importante sognare e di come sia possibile realizzare quello che sognamo.
Ho sempre amato le sue parole, le ho lette fino a consumare le pagine cercando di svelare i suoi segreti.
Ho sempre pensato che la sua non fosse solo una favola, che in ogni sua pagina ci fosse una piccola verità e con il tempo ho scoperto che era esattamente così.
Lo stesso Capitan Uncino non fu scelto a caso e con la messa in scena di quest'opera Barrie ne spiegò il ruolo fondamentale. Egli era la figura che generava il complesso edipico della piccola Wendy.
Ebbene questo è il capolinea. L'epilogo di una storia che mi ha portato via più di un mesetto.
Grazie infinite a chi ha seguito, preferito o semplicemente letto.
Un grazie speciale va a Serena, autrice dell'immagine scelta per questo capitolo, mia amica e compagna di ogni singola giornata e cazzata e attenta consigliera. Ti ho fatto piacere una storia che non rintra nei tuoi interessi, credo di potermi ritenere assolutamente lusngata e soddisfatta.
Grazie a Ilaria che mi ha trovata e seguita. Lei che ha sempre le idee poco chiare su quello che scrive e che ha una scarsa fiducia nelle sue capacita. Eppure sei cpsì brava.
Grazie a Paolo che è sempre pronto a fare complimenti a questa storia e la segue attento. Le tue parole sono sempre ben scelte e pronte a farmi sorridere.
Grazie anche alla nuova recensitrice che prima di arrivare a questo capitolo ci metterà un pò..MeikoMakoto, di cui ancora scopro il nome. Grazie delle tue recensioni e soprattutto dei tuoi complimenti.
Un bacio a tutti. Vi aspetto sull'altra ff..Wish you were here.
Un bacio.
Lisa


   
 
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