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Autore: Claire Marie Blanchard    10/09/2011    10 recensioni
Questa che pubblicherò, è una storia nuova. Un avventura, un viaggio tutto nuovo, in cui Usagi avrà dei bisogni speciali e affronterà tante cose. Forse, la odierete o, forse, la amerete. Forse, invece, potrete immedesimarvi in questa Usagi stessa. Detto ciò, vi auguro una buona lettura.
[Dal capitolo 1]: Preferì, inoltre, sotto suggerimento-obbligo di sua madre, spogliarsi di quegli abiti che puzzavano di aereo, ma che profumavano di viaggio. Avevano il profumo del ritorno, quello che, appena torni a casa, si butta nel cesto della biancheria sporca. E a malincuore. Ma non perché si è troppo stanchi per allungarsi e farlo, ma perché si pensa “Diamine! Ho appena affrontato questo viaggio e voglia già buttarlo via così?”. Perché ogni viaggio ha il suo odore, il suo profumo. E Usagi aveva provato addosso tanti odori, tanti profumi. Ora, voleva sentirsi addosso un solo odore, un solo profumo: quello di casa sua, quello della sua vita.
Storia sospesa a tempo indeterminato.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kiss the rain'
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Premessa: prima di lasciarvi alla lettura di questo capitolo, ci terrei a chiedervi nuovamente scusa. Non è un bel periodo per la mia vita reale, ma sono sicura che il sereno tornerà anche per me. E con un bellissimo arcobaleno, ne sono convinta. Ringrazio tutti coloro che mi hanno aspettata e capita. Ma soprattutto, vorrei ringraziare una persona, una splendida persona, che ha saputo ascoltarmi e consigliarmi. Mi hai detto le parole che avevo bisogno di sentirmi dire, e mi hai spronata a non mollare, ma ad andare avanti. È grazie a te se sono riuscita a pubblicare questo fatidico secondo capitolo in un tempo accettabile. Perciò, un sincero grazie a te: Miss Demy. Questo capitolo è per te.
Se non avessi avuto te, forse, a quest’ora mi starei ancora disperando. Se non ci fossi tu, bisognerebbe inventarti… ;)
Ti voglio bene. :)

Bene, ora posso lasciarvi al capitolo. Buona lettura! ;)





Cap. 2 – Insicurezze e piccole bugie




Usagi fissò quella persona tutto il tempo. Non riusciva a capire chi fosse, né cosa volesse, né da dove saltasse fuori.
Il suo intuito femminile le diceva che quella donna fosse qualcuno di importante. E non era solo il suo abbigliamento a farglielo pensare, bensì il suo sguardo.
Una volta che le passò a fianco, sentì il suo profumo. Era menta. La freschezza e la dolcezza, che quell’essenza emanava, le sfiorarono delicatamente il viso. Era davvero un buon profumo.
Vederla passare le aveva dato la possibilità di vederla in faccia. Il viso era scarno, ma abbellito dai suoi occhi color rubino. I suoi capelli lunghi, scuri come la notte e con delle leggere sfumature verdi, le accarezzarono il braccio, sfiorandolo. Indossava un tailleur rosso bordeaux. Sembrava una donna adulta, matura, ma sofferente.
Per qualche istante, i suoi occhi azzurri e limpidi incontrarono due occhi color rubino tristi e spaventati.
Non era riuscita, però, a capirne il motivo.
Usagi tornò a guardare Michiru, che le sorrise. Ricambiò il sorriso, ma non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che Michiru le nascondesse qualcosa.
Un sorriso può avere una miriade di significati: con un sorriso si può dire tante cose in modo diverso; si può tentare di nascondere qualcosa, oltre che mostrarla semplicemente. Non tutti i sorrisi sono veri, sinceri. Molti sono finti, falsi.
Con un sorriso si può dire che va tutto bene, ma non ci si può nascondere in eterno. E se si fa schifo come attrici… Allora si può stare certi di venire scoperti al primo passo falso.
Un sorriso può avere una miriade di significati, c’è poco da fare.


Seiya aveva detto a Michiru di non passargli nessuna telefonata, né nessuna visita. Erano passati due mesi. Anzi, per l’esattezza, sessantaquattro giorni. Doveva passare del tempo con lei; doveva recuperare il tempo perduto.
Non appena venne chiusa la porta, Usagi si accorse del cambiamento estetico che aveva fatto il suo fidanzato allo studio in sua assenza.
Lo studio di Seiya era grande, spazioso. La sua scrivania era in ciliegio, molto più grande di quella precedente in noce. La sua sedia in legno, sempre color noce e con tanto di cuscino rosso, aveva ceduto il posto ad una in pelle nera, coordinata con il divano nuovo. La libreria in acciaio era stata sostituita da una grande il doppio, sempre in ciliegio. Stessa cosa era valsa per l’armadio.
Guardandosi intorno, pensò che quell’arredamento, a dir poco lussuoso, era identico a quello che si vedeva negli studi degli avvocati delle serie televisive.
Ad un tratto, lo studio di Seiya le sembrò… vecchio. Vecchio, antico. Come se si fosse trasformato tutto d’un colpo. Ed effettivamente, lei era rimasta sorpresa di questo cambiamento. Anche per questo, gli rivolse una domanda spontanea:
-“Hai cambiato l’arredamento, o sbaglio?”
-“No amore. Non sbagli.”


Non le diede nemmeno il tempo di girarsi nella sua direzione che la intrappolò in un bacio carico di passione, oltre che di amore.
L’amava. L’amava da morire.
Impazziva all’idea che qualcun altro potesse rubargliela, potesse portagliela via. Già, come se lei fosse una cosa, un oggetto, una bambolina di sua proprietà. Una bambola con la quale solo lui poteva giocarci. Sapeva che era egoistico pensarlo, ma non riusciva a fare altrimenti. La voleva. La voleva per sempre.
L’amava come si ama la dea del proprio tempio. L’amava come un ateniese amava la sua dea Atena.
Usagi non era solo la sua dea. Era anche la sua musa, il suo supporto, la sua forza. Era la sua migliore amica. Sì… peccato, però, che le tenesse nascosta una cosa importante. Forse, la più importante.

Il ragazzo, dopo aver concesso qualche minuto a quel bacio, iniziò a parlare, o meglio, a sussurrare:
-“Ciao… ben tornata.”
Usagi sorrise istintivamente e stette al gioco.
-“Ciao anche a te. Grazie.”
Non ci volle molto, però, per ricordarsi della donna che prima era uscita dall’ufficio del suo futuro marito. Cominciava a sentire, dentro di sé, il bisogno di soddisfare quella piccola curiosità. Ma non perché ne fosse gelosa. Si fidava di Seiya, ma perché proprio non riusciva ad associare quel viso a qualcuno che lei conoscesse, iniziava a volere una spiegazione. Voleva un chiarimento da lui.
-“Seiya, chi era quella donna?”
Ed era stata diretta, era arrivata dritta al sodo. Lui non poteva negare. Lei l’aveva vista. Se avesse negato, lei avrebbe subito intuito che qualcosa non andava. I fatti parlavano chiari: quella donna era uscita dal suo ufficio. E Seiya non avrebbe potuto né negarglielo, né tantomeno mentirle. Lo conosceva troppo bene. Se ne sarebbe accorta subito.
-“Di chi parli?”
Non aveva scelto né la strada della negazione, né quella delle bugia. Aveva scelto quella della recita. Faceva il finto tonto, faceva finta di non capire. In realtà, aveva capito benissimo a chi si stesse riferendo Usagi. Voleva farle credere di non aver capito. Così, forse, lei avrebbe pensato che a lui non importasse nulla di quella donna. Usagi avrebbe pensato che quella persona non fosse nessuno di importante e, quindi, avrebbe lasciato perdere. Non voleva dirle chi fosse in realtà. Un po’ per paura, un po’ per vigliaccheria.
Paura perché non si sa mai come può reagire una persona davanti alla verità. Paura perché lui sapeva benissimo che era sbagliato tenergliela nascosta. Paura perché pensava che, se gliel’avesse detta, lei si sarebbe allontanata per sempre. La verità aveva seminato la paura, e la paura semina, a sua volta, la vigliaccheria. E la vigliaccheria, dopodiché, causava molte altre bugie, ecc… Era una reazione a catena. E poi, non era né il momento né il luogo adatto. No.
-“La donna che è appena uscita dal tuo ufficio.”

Si sbagliava. Usagi era il tipo che non mollava l’osso tanto facilmente. Era insistente. Insistente, ma allo stesso tempo discreta.
Però, ormai aveva deciso. Aveva rimandato a se stesso, oltre che ad Usagi, l’appuntamento con la verità. Perché, dopotutto, era stato difficile anche per lui digerirla.
-“Ah… quella donna.”
Certo. Quale altrimenti?
-“Beh, non che ce ne siano altre, a quanto vedo.”
Era evidente che si riferisse alla donna di pochi minuti prima. Non c’era nessun altro, a parte lei, nel suo ufficio.
-“Amore, dai. Non pensiamo a lei, adesso… pensiamo a noi.”
Usagi lo guardò dritto negli occhi e non ebbe nemmeno il tempo di replicare che Seiya la baciò. La baciò tanto da farle perdere il senso dell’orientamento. Era un bacio avido. Uno di quelli che evoca altri baci. Un altro, un altro ancora…
Sapeva che dovevano parlare. Ma, dopotutto, non si vedevano da due mesi.
A lei mancavano le sue attenzioni, i suoi baci, il suo modo di calmarla quando era nervosa.
A lui mancava la sua dolcezza, la sua voce, il tocco delicato delle sue mani.
Sentivano il bisogno di aversi accanto, si mancavano. In tutto.
Da oltre due mesi, sentivano la necessità di starsi accanto. Ma lì, in quello studio, si desideravano, con la consapevolezza di potersi avere l’un l’altro.
E così, senza che nessuno dei due se ne accorgesse, si ritrovarono sdraiati sul divano nero in pelle, mezzi nudi…




Il suo rientro a casa non era stato come se l’era immaginato. O meglio, si era immaginata la chiacchierata con le sue migliori amiche, non si aspettava, però, di trovare sua madre presa, turbata, da qualcosa a lei ancora ignota. Né si aspettava di vedere il suo fidanzato in difficoltà con una sua semplice domanda, perché se ne era accorta immediatamente.
Si continuava a chiedere chi fosse quella emerita sconosciuta, del perché Michiru e Seiya fossero stati strani nei suoi confronti.
Mentre tornava a casa, Usagi ne approfittò e fece una lunga passeggiata attraversando il parco di Ueno, il parco che attraversava ogni mattina e ogni pomeriggio da casa a scuola e viceversa.
Ebbe, così, l’opportunità di respirare nuovamente il profumo dei ciliegi in fiore.
Le piaceva stare lì, davanti al laghetto di quel parco, e restare per ore a pensare, a riflettere, a ragionare.
Era piacevole quella sensazione di abbraccio che quell’aria le donava. Era così presa dai suoi pensieri, che non si accorse nemmeno che qualcuno le stava andando incontro.


-“Immagino che a New York non ci siano molti ciliegi. O sbaglio?”
La voce di Rei la fece sobbalzare.
-“Oh… Rei, sei tu. Non ti ho sentita arrivare, scusami. In effetti, no. Non è una città ricca di ciliegi.”
Dopo questo breve, anzi brevissimo scambio di informazioni, il silenzio cominciò a regnare su di loro. Ma erano amiche. Quasi sorelle. I silenzi tra di loro non erano pesanti, perché si capivano, si comprendevano, si ascoltavano. Anche con un solo sospiro, riuscivano a capire lo stato d’animo del proprietario di quella boccata d’aria cacciata fuori mascherata da segno di stanchezza.
Dopo qualche minuto, però, fu Rei a farsi avanti: “Ti va di parlarne?”
-“Tu vuoi parlare dei ciliegi?”
Era davvero una risposta degna di Usagi. A volte era ingenua, a volte, invece, fingeva. E quella risposta ebbe il potere di far sorridere l’amica.
-“No... voglio parlare di te.”
Usagi si girò di scatto, come se fosse stata scoperta. La guardò, sorridendo dolcemente. Dopodiché, tornò a fissare il laghetto.
-“Credi che non me ne sia accorta?”
Il tono di Rei era tranquillo, come se avesse già saputo. La sua amica era testarda, cocciuta. Ma anche lei non scherzava, anche lei sapeva il fatto suo.
Usagi era indecisa se confidarsi, o se tenere per sé quei pensieri che, nonostante non fossero stati confessati, erano come urla assordanti nella sua testa.
Poi, riflettendoci bene, pensò che Rei, dopotutto, era la più saggia, la più empatica. Le avrebbe consigliato molto volentieri, e soprattutto nel modo più giusto. A lei, non poteva nascondere niente.

Decise, così, di ascoltare quella vocina, quella che le suggeriva di sfogarsi.
Rei, nel frattempo, interpretò il silenzio di Usagi come un consenso.
Chi tace acconsente…
Quest’ultima, nonostante avesse la voglia di parlare, non ne trovava la forza. Si sentiva una stupida, una vera sciocca. E abbassò lo sguardo, prima di chiudere occhi.
Fu Rei a toglierla dall’imbarazzo, precedendola: “Che ti succede, Usagi?”
A quella domanda, Usagi aprì gli occhi e alzò lo sguardo verso il laghetto.
-“Piacerebbe scoprirlo anche a me.”

La sua amica restò giusto qualche secondo a guardarla. La conosceva. Eccome se la conosceva. La conosceva tanto da poter indovinare anche i sui pensieri più segreti, anche quelli più contorti.
Prese coraggio, e cercò di arrivare dritta al sodo.
-“Avete deciso la data?”
Usagi sgranò gli occhi, incredula, voltandosi di scatto vero di lei.
-“E tu come…”
-“… Come ho fatto a scoprirlo? Beh, vediamo… l’anello c’è, il comportamento ambiguo pure. Basta fare due più due.”
Sorrideva, Rei, mentre le rispondeva. Sorrideva come se fosse la cosa più ovvia. Anche lei, poi, aveva posato lo sguardo verso il laghetto. E, in attesa che la sua amica continuasse a sfogarsi, lo fissava ancora più intensamente.
Usagi continuava a guardarla, e riprese:
-“No. E, forse, è meglio così…”
Rei corrugò la fronte, mostrando un espressione confusa, aspettando che Usagi finisse di parlare.
-“… perché… la verità è che… non sono più sicura. Sì, insomma. Lo amo, ma…”
-“… ma non sei sicura di amarlo a tal punto da sposarlo. Giusto?”
Rei aveva terminato la frase al suo posto, e non ne rimase per nulla basita.
Rispose annuendo. Dopodiché, tra le due ci fu qualche altro minuto di pausa.
Usagi si sentì sollevata, come si fosse tolta un peso troppo grande. Poi, sentì Rei prendere fiato, per poi dirle: “Usagi… ci conosciamo dalle medie. Sei una sorella minore, per me. Voglio essere sincera con te: come le altre, non ho mai fatto il tifo per Seiya e per la vostra storia, ma l’ho sempre tollerato perché credevo ti rendesse felice. Hai sempre cercato di tirare fuori tante verità. Verità altrui. Ora, però, è arrivato il momento di tirare fuori la tua verità, Usa-chan: lui ti rende felice?”

E aveva ragione. Rei aveva ragione. Si era sempre preoccupata perché la verità altrui venisse a galla. Ma la sua? La sua verità? Aveva mai provato a tirarla fuori sul serio?
Era giunto il momento di fare i conti con se stessa. Non aveva più scampo, non poteva più scappare da se stessa.

-“Sì…”
A Rei, però, quella risposta sembrò tutt’altro che sincera. Non le sembrò sufficientemente convincente, anzi, le sembrò del tutto affrettata.
-“… ma tu cosa mi consigli di fare?”
Se l’aspettava quella domanda. Era pur sempre Usagi, la più insicura. In quello non era affatto cambiata. La risposta le venne spontanea: “Parlane con lui… e se, per caso, le cose dovessero andare male… sappi che noi saremo ben liete di consolarti.”
Usagi si girò immediatamente verso di lei per poterla fulminare con uno sguardo assassino, ma non era sorpresa della sua risposta. Sapeva benissimo che avrebbe dovuto parlare con lui.
-“Ok! Scusa… sei sicura, però? No, perché avresti a tua disposizione un’intera squadra. Per di più, perfetta.”
-“Rei…”, mentre la chiamava ridacchiava divertita.
-“Pensaci: avresti me che gli lancerei malocchi e maledizioni… poi, ci sarebbe Makoto che ti preparerebbe pranzetti degni di un re!... Motoki ti offrirebbe tutti i frullati che vorresti…”
Mentre Rei distribuiva i compiti, Usagi rideva di gusto. Anche se faceva sul serio, la sua amica sapeva come metterla sullo scherzo.
-“… Ami, invece, ti porterebbe in giro per la città ogni singolo giorno per poter ammirare musei e mostre… e, infine, Minako ti porterebbe con sé in qualche posto strano, tipo Tijuana!”
Usagi, smise di ridere solo per chiederle un chiarimento.
-“Perché proprio Tijuana?”
-“Non lo so. Ammetto di aver tirato a caso. Però… ti stiamo offrendo un pacchetto completo!”
-“Rei…”, il suo tono divertito fece sorridere la sua amica.
-“Ok, la smetto!”
Quella battuta ebbe il potere di far ricominciare a ridere di gusto Usagi, e Rei la imitò dopo qualche secondo.
Durò qualche istante. Dopodiché, Usagi prese fiato e si rivolse all’amica: “Grazie… davvero.”
-“Non c’è di che.”
Rei le sorrise delicatamente, prima di stringerla in un caldo abbraccio.
Usagi ricambiò la stretta, riconoscente. Era vero: nessuna delle sue amiche era d’accordo riguardo la sua storia con Seiya. Nemmeno Motoki era riuscito a legare con lui. Ma lei lo amava. Punto. Loro dovevano restarne fuori.




Arrivò l’ora di cena, era seduta sul suo letto e sua madre l’aveva appena chiamata per sedersi a tavola e mangiare.
-“Arrivo subito. Voi iniziate pure, scendo tra un secondo.”
Sua madre le rispose con un sorriso. Uno di quelli che solo lei poteva donarle.
Subito dopo, rilesse quel messaggio, salvato come bozza. Era la tredicesima volta che lo faceva. Il Blackberry bianco che stringeva tra le mani si era notevolmente riscaldato.
Era affamata. Ma prima di raggiungere la sua famiglia, voleva togliersi quel peso.

“Oggi avremmo dovuto parlare, ma non l’abbiamo fatto.
Possiamo farlo, appena puoi? Ti prego, è importante.”

Aveva scritto quel messaggio venti minuti prima dell’arrivo di sua madre, ma non riusciva proprio a premere il tasto “Invio”.
Erano le venti e trentatre, aveva un po’ fame e voleva superare l’ostacolo che rappresentava quel maledetto tasto.
Pensò che, però, scrivergli un banale messaggio non era come parlargli.
Fece un lungo respiro, come se gli infondesse coraggio, e fece una leggera pressione sul tasto centrale del Blackberry.
Ci era riuscita. Gliel’aveva inviato. Era riuscita a superare quel’ostacolo. Dopodiché, appoggiò il cellulare sul comodino, accanto al letto, e si diresse dalle uniche persone con cui voleva davvero stare: la sua famiglia.

Appena la vide, suo padre mollò il giornale e si alzò per abbracciarla forte. Riuscì solo a sussurrare: “Ben tornata, piccola.”
Suo fratello, poco dopo, rientrò in casa. Mentre guardava la scena del ritrovo tra padre e figlia, non poté fare a meno di sorridere e avvicinarsi alla sorella.
-“Comincio ad essere geloso. Quasi quasi, anch’io mi allontano per qualche mese, se al mio ritorno siete così anche con me!... Oneechan*, ben tornata!”
Mentre diceva quest’ultima frase, Shingo stava rubando, letteralmente, sua sorella a suo padre, per poter abbracciarla anche lui. Avevano solo tre anni di differenza, ma a volte sembrava lui il più grande tra i due.
-“Shingo, sei sempre il solito!”
Sua madre sorrideva divertita, mentre fingeva di rimproverare il secondogenito.


Durante la cena, tra un racconto e l’altro, Usagi buttava l’occhio su sua madre. Era convinta che si sarebbe tradita, prima o poi, e che lei sarebbe riuscita finalmente a capire cosa le passasse per la testa.
Ogni tanto, guardava anche suo padre e suo fratello. Magari pensava, avrebbero fatto intendere qualcosa. Ma nulla. Niente di niente. Nel frattempo, raccontò loro esattamente quello che aveva raccontato alle sue amiche. Le stesse identiche cose. Non voleva che si preoccupassero, proprio come non voleva che si preoccupassero le sue amiche. Inutilmente, poi.
Dopo aver soddisfatto le loro curiosità, in quella sala celò il silenzio.
Fu Shingo a ricominciare la conversazione, rivolgendosi a sua sorella.
-“E Seiya? L’hai visto? Sta bene?”
-“Veramente… sì. Sta bene.”
Per averlo visto, lo aveva visto, effettivamente. Ma non sapeva se la passasse bene. O meglio, fisicamente lo sapeva. Ma il comportamento l’aveva un po’ inquietata.
-“Sono contento.”
Non sia aspettava una risposta simile da suo padre. Anche lui non era favorevole a quel fidanzamento, ma amava sua figlia. E lei era molto più importante del suo orgoglio.
-“Ti ringrazio, papà.”
-“Ci sono novità? Con lui, intendo…”
Suo fratello indicò col capo la sua mano, riferendosi all’anello che portava all’anulare sinistro. Era riuscito a spiazzarla. Sua sorella assunse un’espressione impaurita. Ma Shingo la guardò con uno sguardo complice, come per infonderle coraggio. E, così, lei si tranquillizzò.
-“Shingo! Che modi sono questi? Chiedi immediatamente scusa a tua sorella!”
Tipico di sua madre: difenderla a tutti i costi se veniva violata la sua privacy. A volte, però, inutilmente. Perché Usagi sapeva benissimo che, prima o poi, avrebbero dovuto saperlo. Erano i suoi genitori, dopotutto.
-“No, mamma. È tutto ok, davvero. Effettivamente, Shingo ha ragione. C’è una cosa che non vi ho detto…”
Non riusciva a guardarli in faccia, anzi, stette tutto il tempo a fissare il piatto, giocando con la forchetta. Sentiva i loro occhi puntati addosso, e il loro silenzio era la dimostrazione che stessero aspettando che lei proseguisse.
Cominciava a non farcela più. Il rumore della forchetta cominciava a infastidirla.
-“… Seiya mi ha chiesto di sposarlo e… io ho accettato.”
Nel dire l’ultima frase, alzò lo sguardo, incrociando gli occhi castani e diffidenti di suo padre e quelli verdi e complici di suo fratello.
Sua madre, invece, si era alzata dalla sedia per andarle incontro e abbracciarla.
-“Tesoro, ma è una così bella notizia! Perché non ce l’hai detto subito?”
Perché non l’aveva detto subito? Sua madre, e nessun altro a parte Rei, non sapeva dei suoi dubbi e delle sue paure. Anzi, avrebbe voluto nascondere il più possibile la notizia, se non fosse stato per Shingo.
Si era sentita costretta a confessarlo, era con le spalle al muro.
-“Vedi, mamma… devo ancora abituarmi all’idea. Non è una cosa da poco crearsi una famiglia.”
Sua madre era tornata a sedersi, guardandola felice. Era la sua bambina, e stava per sposarsi. Insomma, il sogno che ogni mamma ha per la propria figlia stava avverandosi.
-“E avete già deciso la data?”
Sua madre era elettrizzata, eccitata. Come se fosse lei a sposarsi, per la seconda volta, con Kenji.
-“In realtà, no… sai, vogliamo fare tutto con calma.”
-“Allora, congratulazioni.”
Suo padre non aveva detto nient’altro, si era limitato a sorriderle. Tutto ciò che ripeté suo fratello qualche secondo dopo.





La cena era finita e, stranamente, Usagi non volle il dolce. Ciò diede da pensare ad Ikuko, ma si rispose, nei suoi pensieri, dicendosi che era normale che sua figlia fosse ancora un po’ scossa. In fondo, la sua vita stava per cambiare da un momento all’altro.




Dopocena, suo padre tornò in salotto per sedersi sul divano e riguardare un bozza. Usagi lo seguì pochi istanti dopo.
Aveva appoggiato la spalla destra alla porta, con lo sguardo di chi è indeciso sul da farsi: se restare lì e parlare con lui, o se andarsene…
Kenji era concentrato sul pezzo che uno dei suoi giornalisti più giovani gli aveva consegnato quel pomeriggio.
-“Papà…”
Usagi aveva usato un tono dolce per chiamarlo. E Kenji, girandosi verso di lei, la incitò a sedersi accanto a lui con la mano sinistra, abbellita solo dalla fede nuziale d’oro, sottile, che occupava l’anulare sinistro.
Sua figlia, mentre si sedeva, guardava quella fede, sperando di essere all’altezza di indossarla, da lì a pochi mesi.
-“Interessante. Leggi anche tu…”
-“Papà…”
-“… questo ragazzo è nuovo, ma non è male…”
-“Papà?”
-“… sono convinto che farà molta strada.”
-“Papà!”
Usagi prese le mani di suo padre con le sue. Fu una presa decisa, come se lo stesse risvegliando da uno stato di trance. Voleva sapere la sua opinione, quello che pensava realmente. Il suo pensiero era sempre stato considerato importante. E, in questa occasione, Usagi non volle fare eccezione. Kenji sapeva quanto fosse importante il suo parere, per sua figlia. Anche se questa non si era mai lasciata influenzare da esso.
-“Voglio parlare con te… voglio sapere tu cosa ne pensi.”
Usagi sperava che suo padre le dicesse di pensarci ancora un po’, prima di ufficializzare tutto. Sperava che manifestasse la sua disapprovazione, in modo da avere ancora un po’ di tempo per pensarci. Invece, non fu così…
-“Ormai non sei più una bambina: sei cresciuta. Sei diventata una donna, ormai. E sei abbastanza matura da decidere da sola… certo. Non posso negare che quel ragazzo non mi vada a genio, ma… io voglio solo che tu sia felice.”
Nel pronunciare queste parole, Kenji la guardò dritto nell’azzurro dei suoi occhi. Quegli occhi stupendi, dolci. Quegli occhi che, quando da bambina piangeva, lo guardavano pieni di lacrime, intenta a non lasciare che queste cadessero, perché voleva dimostrargli di essere grande. Ora era grande. Ora era una donna. Ma quegli occhi azzurri, così diversi dai suoi castani, ma gentili allo stesso modo e alla stessa quantità, non erano cambiati. E a lui questo particolare piaceva.
Usagi, come risposta, gli sorrise. Ma dentro di sé, si sentiva ancora più confusa. Suo padre voleva che lei si sentisse libera: libera di fare le proprie esperienze, libera di scegliere, libera di vivere.
A lei piaceva questo suo modo di lasciarla vivere. Ma, ogni tanto, aveva bisogno che tornasse a dirle di no, o che la rimproverasse, come faceva quando andava al liceo.
Appoggiò la testa allo schienale del divano e chiuse occhi. Dopo qualche secondo, suo padre le prese il viso dolcemente, accarezzandole la guancia, per poi posare un bacio paterno sulla sua fronte.
Usagi sorrise a quel gesto. Era il suo papà. E, nonostante l’avesse fatta dannare quando era una ragazzina, non l’avrebbe cambiato con nessun altro papà. Era il suo papà. Solo Kenji Tsukino poteva essere suo padre, e nessun altro.




Shingo era in giardino. Stava fumandosi una sigaretta, seduto sulla panchina di marmo, vicino ai gelsomini.
Usagi rimase ferma, appoggiata al porticato, a guardarlo per qualche minuto, prima di raggiungerlo e sedersi accanto a lui.
Il suo fratellino. Era cresciuto parecchio, doveva ammetterlo. Ed era sempre stato un dongiovanni, sin dalle medie.
Solo quando fu a pochi passi da lui, si rese conto che stesse parlando con qualcuno al telefono.
-“Ci sentiamo domattina, ora devo proprio andare. Buona notte.”
-“Allora sei rimasto un playboy, eh?”
-“Ti sbagli! Ormai, sono due mesi circa che frequento una sola ragazza.”
-“Oh mio Dio! Non posso crederci. Shingo Tsukino che mette, finalmente, la testa a posto. Devi essere proprio cotto, allora!”
-“Sfotti sfotti… prendimi pure in giro.”
Suo fratello fece finta di essere offeso, mentre Usagi sorrideva divertita.
-“Come si chiama?”
-“Chi?”
-“E dai, Shingo… non fare il finto tonto. Sai benissimo a chi mi riferisco.”
Suo fratello si era girato verso di lei, un po’ imbarazzato. E Usagi lo guardò sorridendo, facendogli capire che di lei poteva fidarsi.
-“Si chiama Maya… e tu? Futura signora Kou?”
-“Io cosa?”
-“Non c’è niente che vuoi dirmi?”
Usagi lo guardò negli occhi, prima di distogliere lo sguardo, spostandolo verso la Luna che, quella sera, era piena.
Ammirava la Luna. Aveva sempre voluto farci un salto. Un po’ come fare una gita al Tokyo Disney Resort**.
-“Hai visto? Stasera c’è la Luna piena.”
Suo fratello non le aveva tolto gli occhi di dosso, e capì immediatamente che non voleva parlarne.
-“Sì. È davvero bellissima.”
Passarono qualche minuto a fissare il cielo, finché non Usagi a fargli qualche domanda.
-“E del lavoro? Che mi dici?”
-“Tutto bene. Le solite cose…”
Suo fratello era un ingegnere informatico. Lavorava per una prestigiosa azienda tecnologica giapponese. Nessuno poteva dire che suo fratello non fosse un genio della tecnologia: a soli tre anni, smontò e rimontò un telecomando da solo. Senza creare danni, anzi, al contrario. Da quel giorno, il telecomando funzionò meglio di prima.
Per questo, nessuno si stupì quando, subito dopo la laurea, questa famosa società lo assunse. Avevano avuto la possibilità di valutare le sue capacità grazie ad un tirocinio presso la loro sede centrale, a Tokyo. E, scoprendo il suo talento, non ci pensarono due volte ad assumerlo.


La chiacchierata con suo fratello durò all’incirca una mezz’oretta. Erano pressappoco le dieci, quando decise di andare in camera sua per prepararsi a dormire.
Appena entrata in camera, i suoi occhi si posarono inconsciamente su quel comodino e su quel Blackberry acceso. Emanava una lucina rossa, che lampeggiava lenta. Ciò significava che aveva ricevuto un messaggio.
Prese coraggio, afferrò il cellulare e lesse il messaggio. Era stato inviato alle venti e cinquantotto.

“Hai ragione. Abbiamo ancora tante cose da dirci.
Vediamoci domattina al bar di fianco casa mia per colazione.
Buona notte, amore.”

Guardò la radiosveglia, erano le dieci e quattro. Era stanca, ed assonnata. Non ci pensò due volte a cambiarsi per andare a dormire.



La mattina dopo, si svegliò molto presto. L’orologio della radiosveglia segnava le sette e ventuno. Si alzò per andarsi a fare una doccia e svegliarsi completamente.

Una volta vestitasi, scese di sotto per salutare la sua famiglia e andare da Seiya. Guardò il display del cellulare: segnava le otto e sei.

La sua macchina, una Yaris blu - modello 2006 - regalatole dai genitori per il suo ventesimo compleanno, era ancora in garage. Nessuno l’aveva più usata. Suo fratello aveva la sua nuova Honda Jazz e la sua Yamaha, entrambe nere. I suoi genitori, invece, avevano la loro Mercedes Classe B grigio metallizzata.
Aveva steso un telo verde scuro sulla macchina, prima di partire. La scoprì. Stette un paio di minuti a guardarla. Voleva essere sicura che Shingo non avesse fatto danni con la moto in sua assenza.
Dopo essersi accertata della salute della sua bambina – perché Usagi ci teneva a quella macchina, quasi fosse sua figlia – salì bordo. Non era una macchina costosissima, ma era un regalo. Aveva un valore importante.
Una volta accesa la macchina, guardò la spia che rilevava il livello della benzina. Erano due tacche su otto. Si ricordò che, una volta arrivata a due tacche, la sua macchina scendeva molto presto in riserva.
Pensò che avrebbe dovuto fare benzina il più presto possibile e – guarda caso – il distributore di benzina che affiancava il palazzo dove abitava il suo fidanzato, nel quartiere di Sumida***, aveva il prezzo più accessibile: 131 yen al litro. Il prezzo della benzina stava aumentando ogni giorno sempre di più, era meglio trovarsi un distributore che costasse di meno.

Il ragazzo che le servì fu molto gentile. Dopo averlo ringraziato, si spostò per qualche metro. Giusto per allungarsi al parcheggio del complesso residenziale di Seiya.
Stava per scendere, quando vide uscire dal palazzo la stessa donna del giorno prima.
Che cosa ci faceva di nuovo lì? Che abitasse lì anche lei? Non l’aveva mai vista lì, prima di allora.
Il pomeriggio prima, l’aveva vista nell’ufficio di seiya. Ora sotto casa sua. Che fosse semplicemente una coincidenza?
Se non avesse visto Seiya uscire dallo stesso portone, dopo esattamente trenta secondi, avrebbe creduto che lei non fosse lì per lui.
Cominciava a pensare che Seiya che le avesse mentito, o meglio, le avesse nascosto qualcosa anche lui.
Vide la donna salire su una Colt rossa, come i suoi occhi tristi. Ancora quella espressione triste. Ancora quella paura in viso. Usagi continuava a chiedersi per quale motivo una così bella donna potesse sentirsi così.
Decise, quindi, di seguire il suo intuito femminile. Decise, perciò, di dare buca a Seiya per seguire quella donna e scoprire la sua identità.
Tirò fuori dalla borsa il cellulare, respirò profondamente, e iniziò a scrivere.




“Purtroppo, non posso fermarmi a colazione. Mi dispiace.
Vediamoci stasera.”




Seiya continuava a chiedersi cosa avesse potuto trattenere Usagi di così urgente da dargli buca. Di così importante, alle otto e mezzo di sabato mattina. Non era mai successo - e questo gli risultò molto strano. “Le donne. Chi li capisce è bravo.” Pensò che mai detto fu più vero.
Erano solo le otto e mezzo. Per di più era sabato: l’ufficio era chiuso. Era seduto al tavolo del bar, e pensava a quello che era successo. Cominciava a sentirsi un verme: Usagi non meritava una cosa del genere.
-“Prego. Vuole ordinare, signore?”
La voce del cameriere lo riportò sul pianeta Terra.
-“Un caffè, grazie…”
Sapeva che stava sbagliando, ma pensò che era meglio pensare al caffè. Dopotutto, erano solo le otto e mezzo del mattino.




La stava seguendo da circa mezz’ora, ormai. Non riusciva a credere quanto traffico potesse esserci, a Tokyo, alle otto del mattino.
Non era stato facile restare sulle sue trace. Soprattutto quando doveva dare una precedenza, o quando c’era un semaforo che le separava. Ma, alla fine, ci era riuscita.
Finalmente, dopo quaranta minuti, la Colt si era fermata in un vialetto, nel quartiere di Suginami***.
Usagi parcheggiò vicino alla casa. Una volta che la donna misteriosa scese dalla macchina, aspettò qualche minuto per andare a leggere il nome sul campanello.

La casa di quella donna confermava il fatto che ella fosse economicamente agiata. Il giardino era ben curato, soprattutto perché l’irrigatore era attivo. L’erba era di un verde acceso. Aveva riconosciuto dei gerani, piantati ai lati del vialetto costruito con pietre.
Lesse il nome sul campanello. Anzi,i nomi.

Meiō Setsuna

Setsuna… Setsuna… non ricordava nessuno con quel nome.
Pensò che era meglio andarsene, prima che qualcuno la vedesse.
-“E lei chi è?”

Si girò. E la vide. Era lei: Setsuna.
-“Noi ci siamo già viste… Usagi, giusto?”

Come faceva a sapere il suo nome? Come faceva a conoscerla?
-“Sì… ma lei… lei come lo sa?”

Setsuna abbassò lo sguardo, come se si sentisse colpevole. Tornò, poi, a guardarla. Era visibilmente dispiaciuta. Usagi si chiedeva come mai la guardasse in quel modo.
-“Vuole entrare?”
Usagi sperava che le venisse fatta quella domanda.
-“Sì… grazie.”
Accettò volentieri… era curiosa di conoscere questa donna. Voleva sapere. Voleva farle le sue domande, e voleva ricevere le sue risposte.
Si sentì meglio, quando la porta dietro di lei venne chiusa da quella donna…













Note:
* = suffisso onorifico. Sta ad indicare “sorella”.
** = è il parco di divertimenti Disney presente in Giappone, come Disneyland Resort Paris per la Francia.
*** = sono due dei 23 quartieri speciali di Tokyo.














I miei pensieri:

Vi chiedo perdono! T_T davvero. Data la situazione, avrei dovuto concentrarmi maggiormente sulla scrittura.
Detto questo… torniamo alla storia:
il ritorno a casa di Usagi risulta molto strano. Rei ha subito inteso il disagio che la sua amica sta provando. Anche perché è l’unica a sapere del suo matrimonio. Nonostante le due litighino spesso, si vogliono comunque un bene infinito. Rei non può fare altro che consigliare ad Usagi di confessare le sue paure e scavare dentro se stessa per scoprire la sua verità, per una volta.
Riguardo al padre di Usagi, in questa fic l’ho disegnato come un papà che lascia vivere la figlia la propria vita, anche se in passato non le ha certo risparmiato le solite ramanzine. Ma, ormai, è un donna adulta e vaccinata. Tuttavia, ha il diritto di scegliere da sola cosa è meglio per lei.
Per quanto riguarda Shingo, invece, qui è definito un “playboy” che (a quanto pare) sta mettendo la testa a posto. L’episodio del telecomando non me lo sono inventata: il fidanzato della mia migliore amica, a soli tre anni, lo ha fatto davvero! (ho la conferma dei suoi genitori)
Infine, Seiya ed Ikuko sembra che stiano nascondendo qualcosa… ma cosa? E chi è Setsuna? Che ruolo ha? Cosa c’entra? Queste sono tutte domande che scoprirete… piano piano.
Nel frattempo, però, voi pensateci e fatemi sapere la vostra opinione su questa due paginette:



*La stanza di Manu*

https://www.facebook.com/pages/La-stanza-di-Manu/153017524770108

&

I Petali Del Tempo

https://www.facebook.com/#!/pages/I-Petali-Del-Tempo/229017633776301


 

Vi abbraccio forte.

La vostra Manu ;)

   
 
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