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Autore: emychan    10/09/2011    5 recensioni
3 classificata al contest 'Il minestrone della nonna' indetto su Efp!
Arthur trova Merlin una notte e, senza sapere perché, se lo porta a casa, scoprirà qualcosa sul passato del ragazzo? O non c'è modo di conquistarne la fiducia? Forse il nuovo fidanzato di Morgana potrebbe svelare qualcosa di inaspettato su Merlin... merthur ovviamente!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Scusate il terribile ritardo!!!! Avevo due contest in scadenza e ho un esame da preparare per settembre!xD
Il prossimo arriverà prestissimo!!!!xD A chi interessa saperlo: mancano solo un capitolo e l'epilogo!:P

Grazie un mondo ad Aleinad ed Elfin emrys!!!xD




Cap.4 : Rinascita



Il locale si rivelò un piccolo posto un po' fuori mano, nascosto in un vicolo di Londra in cui da solo Arthur non avrebbe mai osato entrare.
Aveva una vetrina laterale con la scritta Mozart in corsivo, all'interno c'erano un paio di lampadine dalla luce arancione e un uomo curvo sul bancone intento a fissare nel suo bicchiere mezzo vuoto.
Arthur non era molto felice all'idea di entrare, ma prima che potesse dire qualcosa, Merlin aveva già spalancato la porta facendo tintinnare il campanello.
«Hey Lance!» esclamò all'indirizzo del barman, un ragazzone dai folti riccioli neri e le guance coperte da un alone di barba «Merlin!» gli sorrise felicemente «Era da tanto che non ti si vedeva qui».
«Già, ho avuto molti impegni» sviò Merlin guardando verso Arthur «Questo è Arthur, un amico» lo indicò e Arthur lo salutò con un cenno del capo.
«Accomodatevi pure allora, la strada la sai già... e se vuoi suonare…» lasciò cadere le parole con aria speranzosa.
«Magari un'altra volta, stasera preferirei starmene ad ascoltare e magari mangiare qualcosa» gli rispose Merlin, uno nota quasi seccata nel tono.
Arthur iniziava a capire cosa aveva tentato di spiegargli al cimitero.
Tutti intorno a lui cercavano di farlo andare avanti, di fargli continuare la sua vita, ma nessuno si chiedeva se lui fosse pronto a farlo.
Era una storia già vissuta per lui.
«Come preferisci» gli rispose il ragazzo in tono un po' deluso.
Senza attendere oltre, Merlin lo trascinò giù per un paio di gradini, in un'altra area del locale dove un gruppo si esibiva su un piccolo palco, niente più di una parte di pavimento rialzata di qualche centimetro, ma a loro sembrava non importare, vista la grinta che ci mettevano.
La cantante centrale aveva magnetici occhi verdi e una voce molto sensuale. Il modo in cui fissava il pubblico rendeva difficile a chiunque distogliere lo sguardo.
Il chitarrista sembrava seguirla a dovere, aveva un bel tocco e un buon senso del ritmo, ma il batterista e il bassista sembravano seguirli entrambi a fatica, come se fossero costretti a corrergli dietro sulle note.
Nel complesso il risultato non era malvagio, forse ancora lontano dal successo, ma cambiando qualche elemento... Arthur scosse la testa.
Non stava lavorando quella sera.
«Va bene qui?» Merlin lo distrasse dalla sua silenziosa analisi, gli indicò un basso tavolino nero verso il centro della sala «La musica si sente meglio» gli spiegò, accomodandosi su uno dei divanetti di pelle nera.
Non appena fu seduto, si voltò a guardare la band, tenendo il ritmo con il capo e le dita che picchiettavano a ritmo sul tavolo. Un sorriso beato dipinto in volto.
Gli aveva già visto quell'espressione, quando portava le cuffie del suo ipod.
Aveva pensato che fosse un'altra delle sue infinite stranezze, ma adesso capiva che c'era qualcosa di più nel suo amore per la musica.
Merlin era musica. Era strano che proprio lui, non l’avesse capito subito.
Sentendosi stranamente felice per aver conosciuto quella nuova intima parte dell'altro, Arthur ordinò due birre e, per suo disgusto, due panini imbottiti. Almeno non erano hot dog o hamburger, pensò con un tremito.
«Spero che le loro canzoni non parlino tutte di com'è stata lasciata» commentò all’inizio della terza canzone.
Merlin rise divertito voltandosi verso di lui «Si vede che è sfortunata in amore».
Come accorgendosi solo allora di avere un buon panino piazzato davanti alle mani, lo afferrò divorandolo in pochi morsi.
Arthur temette di vederlo soffocare «Perché hai scelto proprio questo posto?»
Il sorriso scomparve dal viso dell’altro. Arthur desiderò prendersi a calci per la sua stupidità. Perché non si faceva mai gli affari suoi?
«Ci venivo spesso con Will. Lance ci lasciava suonare quando volevamo, era divertente» mormorò.
Arthur si morse il labbro per non ripetergli il mi dispiace che gli aleggiava sulle labbra.
Sapeva che non sarebbe stato apprezzato. Lui non l’avrebbe apprezzato al posto dell’altro.
«Parlare con te mi ha finalmente fatto capire quanto fosse stupido ciò che facevo. Scappare, nascondermi, non è giusto. Ho deciso di smettere di farlo, di riprendermi la mia vita. Questo è il primo passo».
Caddero entrambi in silenzio.
Arthur ne ammirava il coraggio, ma dirlo a voce alta gli era impossibile.
Parlare di sentimenti non era una cosa a cui era abituato. A casa Pendragon i cuore a cuore e i gesti d’affetto erano banditi, a meno di non essere strettamente necessari.
L’ultima volta che suo padre l’aveva abbracciato era stato al funerale di sua madre.
Però, Merlin era diverso dai Pendragon. A suo modo era molto più forte di loro.
Certo era scappato e aveva mollato tutto e tutti, ma adesso era pronto a combattere.
Lui invece se ne stava rintanato in un ufficio al piano terra per evitare di affrontare suo padre, aveva iniziato a fumare perché non sopportava l’idea di pensare a sua madre e non era in grado di difendere le sue idee o il suo lavoro. Di mostrare agli altri che non era un fallimento.
Merlin era dieci volte migliore di lui.
«Presto tornerò a suonare, me lo sento» dichiarò l’altro con un sorriso, alzando il bicchiere verso di lui in brindisi per poi tornare a guardare la band come in trance.
Arthur cercò di seguirla con la sua stessa attenzione, ma onestamente non capiva cosa ci trovasse di tanto meraviglioso. Certo aveva sentito di peggio, ma non erano neppure così bravi, almeno da un punto di vista esperto, eppure Merlin sembrava ignaro dei loro difetti, intento com’era a guardarli.
I suoi occhi stranamente brillanti, il corpo proteso verso il palco quasi faticasse a restare seduto. Solo osservandolo Arthur finalmente capì.
Merlin non amava le canzoni, ciò che seguiva non erano gli artisti, ma la musica.
Erano le note, la melodia, gli strumenti. Merlin voleva suonare.
Una volta, fuori dall’ufficio di suo padre, aveva chiesto ad un giovane pianista il cui orgoglio era appena stato devastato, cosa avrebbe fatto da lì in poi.
Ricordava con nitidezza l’espressione quasi stupefatta dell’altro di fronte alla sua domanda Suonare, che altro? gli aveva risposto come se fosse stato ovvio, come se non ci fosse stata altra scelta. Anche allora Arthur aveva ammirato quel tipo di grinta che solo chi ha un sogno può sfoderare.
Adesso, quella stessa passione, riviveva negli occhi azzurri di Merlin.
E Arthur, quasi con stupore, si scoprì un po’ più innamorato di lui.
«Perché non gli chiedi di farti suonare?» gli chiese chinandosi sul tavolo per attrarre la sua attenzione.
Merlin lo guardò stupito. Aggrottò la fronte soprappensiero, voltandosi a fissare il tastierista con quella che avrebbe potuto descrivere solo come avidità e scosse la testa «Non ancora, non stasera, ma… presto».
Avrebbe voluto insistere, ma il tono dell’altro, i suoi occhi, lo pregavano così disperatamente di accettare la sua risposta, di capire, che Arthur non poté fare altrimenti «Va bene» sospirò «Prometti di suonare per me prima o poi?»
E Merlin sorrise ancora, lo stesso sorriso che gli aveva donato prima di lasciare il cimitero poche ore prima «Sarai il primo per cui lo farò» gli promise e forse era solo nella sua mente, forse erano le luci intermittenti del locale o la gente tutt’intorno, ma il tono di Merlin gli parve più dolce, quasi affettuoso.

Dal giorno dopo Merlin decise che per guarire, come diceva lui, avrebbe scritto un testo musicale.
Ad Arthur ancora non erano ben chiare le dinamiche, ma da quel poco che aveva capito, Merlin aveva sempre scritto musica, fin da bambino.
Affermava di sentirla, di vederla, come gli altri vedevano il cielo e respiravano l’aria.
Il suo blocco era iniziato così. Fogli bianchi e silenzio.
Se fosse riuscito a scrivere di nuovo, perciò, le cose sarebbero tornate al posto giusto.
O almeno così diceva.
Arthur trovava il tutto un po’assurdo, ma vista la sua determinazione, non osava dire nulla.
In fondo Merlin era piuttosto eccentrico, chi poteva dire con certezza che non avesse ragione?
Da allora, il ragazzo si era rintanato nella sua stanza giorno e notte.
Accanto ai cumuli di vestiti e piatti sporchi erano comparsi fogli accartocciati e mozziconi di matite.
Merlin in genere se ne restava seduto in bilico sulle gambe posteriori della sedia o sul pavimento a contemplare il muro. Altre volte si gettava sul letto con grandi gemiti, neanche stesse morendo, avvolgendosi nelle coperte con aria afflitta.
«C’è qualcosa alla tv?»
Altre volte ancora decideva di uscire dal suo antro di miseria per unirsi a lui sul divano e distrarsi.
Segretamente Arthur amava quei momenti, con Merlin seduto al suo fianco e il vago ricordo del calore che aveva sentito quando l’aveva tenuto tra le braccia.
Più i giorni passavano, più faticava a tenere segreto ciò che provava, ma Arthur non era bravo in queste cose e Merlin non gli aveva mai dato alcun segnale.
Certo, c’erano i sorrisi e i tocchi forse un po’ troppo lunghi, ma lui si comportava così con tutti. Non c’era niente di speciale nel modo in cui trattava Arthur e, sebbene quest’ultimo sognasse ogni notte di averlo con sé, nella realtà le cose non erano così semplici.
Se decideva di farsi avanti e veniva rifiutato, tutto il loro rapporto sarebbe cambiato.
Merlin poteva decidere di andarsene e Arthur non voleva rimanere di nuovo solo.
La solitudine non era mai stata un peso per lui, ma adesso che aveva imparato a stare con qualcun altro, non era sicuro di voler tornare indietro.
«X-men» mormorò gettando il telecomando sul tavolo.
Merlin emise un suono di apprezzamento e si lasciò cadere sul divano.
In mano teneva una bottiglietta di liquido dall’odore orrendo.
«Che roba è?» chiese con disgusto, mentre l’altro v’intingeva un batuffolo di cotone e se lo passava sulle unghie senza battere ciglio.
«Acetone, Morgana non lo usa mai?» gli chiese l’altro come se fosse lui quello assurdo.
«E’ preoccupante che usi le stesse cose di Morgana».
Merlin scosse le spalle «Lo smalto non va via da solo».
Arthur trattenne l’istintivo impulso di tapparsi il naso mentre l’odore si diffondeva per la stanza «Non l’avevi mai usato prima».
«Di solito lo faccio nella mia stanza per evitare questa conversazione» brontolò Merlin, strofinando le unghie con profonda concentrazione.
«Sei davvero una ragazzina».
«Appunto» sbuffò l’altro per poi lanciargli contro un batuffolo di cotone puzzolente ed annerito colpendolo sulla testa. Arthur si toccò i capelli disgustato e quasi nel panico.
Merlin scoppiò a ridere e Arthur fu automaticamente attratto dalle sua labbra.
Più si ripeteva di smetterla, più gli sembrava impossibile smettere di fissarle, di volerle.
Senza nemmeno accorgersene, il suo viso si avvicinò a quello dell’altro.
Sarebbe bastato così poco, sarebbe stato così semplice.
«Arthur, stai bene?»
Il ragazzo si riscosse, allontanandosi di colpo «Benissimo» balbettò in fretta, alzandosi dal divano e rifugiandosi in bagno.
Una volta al sicuro, aprì la finestra e si accese una sigaretta aspirando profondamente.
Doveva mantenere il controllo. Era impazzito?
Eppure, dimenticare quelle labbra e il pensiero di come sarebbe stato anche solo sfiorarle, era quasi impossibile.

«Ciao biondina!»
Da quando il segreto di Merlin era venuto allo scoperto, Arthur era stato tormentato da un problema in particolare: Gwaine.
Contrariamente ad ogni sua previsione, Morgana continuava a stare con lui, ormai erano quasi tre mesi, un vero record per lei.
Questo ed essere amico del suo coinquilino, sembrava essere sufficiente a convincerlo di essere il benvenuto a casa loro.
Se lo ritrovava sulla porta a tutte le ore, senza preavviso e senza motivo.
Più di una volta, se lo era ritrovato addormentato sul divano oppure in mezzo al pavimento.
Per non parlare delle fila di lattine di birra che si lasciava dietro, iniziava ad avere il dubbio che avesse qualche strano problema con l'alcool.
Conoscendo Morgana non si sarebbe stupito affatto. E perché sua sorella lo lasciava libero di andare ovunque? Non stavano mai assieme?
«Allora? Non mi fai entrare?» gli sorrise, ignaro dei suoi pensieri torvi.
Arthur represse il desiderio di chiudergli la porta in faccia.
L'ultima volta che l'aveva fatto, Merlin lo aveva rimproverato aspramente e, di fronte alla sua indifferenza, aveva osato chiamare sua sorella per informarla, lo spione.
Ovviamente si era difeso dicendo che l’aveva fatto per lui.
In fondo doveva concentrarsi sulla sua musica e il continuo blaterare di Gwaine lo avrebbe solo distratto.
Inutile dire che né Merlin né Morgana gli avevano creduto.
«Non vai mai ad importunare la tua ragazza?» buttò un po’ acido guardandolo andare dritto verso la cucina.
«Invece di importunare il tuo ragazzo? Oh, non essere geloso, te lo rubo solo per un paio d'ore in fondo».
Arthur boccheggiò in silenzio, incapace di pensare ad una valida risposta, come faceva a... come poteva…
«Oh, per favore, ti si legge in faccia. E, giusto perché tu lo sappia, la gelosia è cattiva consigliera» rise Gwaine agitando i suoi stupidi capelli «Hai una birra?»
Prima ancora che potesse rispondergli, l’altro era già sparito nel frigorifero.
Arthur andò in nervosa ricerca del suo accendino, altro che smettere, con quei due era impossibile.
Mentre soddisfatto aspirava una boccata di fumo, Gwaine riapparve con un suono compiaciuto e una lattina di birra in mano.
«Non dovresti fumare continuamente, ti verranno le rughe» commentò tranquillamente.
Arthur lo fissò incredulo «Disse l’uomo che beveva fiumi di birra».
«Questa è tutta salute! Quelle invece, ti uccideranno» arrivò la pronta risposta.
«Richiamami quando sarai uguale a Homer Simpson e Morgana ti avrà ucciso».
«Touché amico mio» schiacciò la lattina gettandola nel lavello. Un’altra delle sue odiose abitudini.
«Quali paroloni escono dalla tua bocca».
La battutaccia dell’altro fu interrotta dalla comparsa di Merlin.
Capelli arruffati, occhi arrossati dalla poca luce, pelle pallida e tirata.
Qualcosa diceva ad Arthur che la stesura del testo non stesse venendo bene.
«Volete fare silenzio?» sibilò verso entrambi «Come faccio a scrivere con voi due che vi beccate? Andate fuori, se proprio dovete» con un’ultima occhiata di rimprovero, si sbatté la porta alle spalle lasciandoli stupiti e un po’ intimoriti.
«Wow» fischiò Gwaine «Il genio morde quest'oggi, fossi in te gli starei alla larga» gli passò accanto lasciandogli tra le mani il resto del cartone da sei che aveva prelevato dal frigo «Ci vediamo eh».
«Aspetta, dove stai andando?» improvvisamente la sua compagnia non gli sembrava più così fastidiosa.
«A casa. Non voglio rubarti altro tempo e, detto francamente, gli sbalzi d’umore di tua sorella mi sono più che sufficienti».
«Vigliacco» brontolò Arthur.
«Coraggio, se vuoi qualcosa, devi resistere per ottenerla» gli diede una pacca sulla spalla per poi sparire oltre la porta.
Rimasto solo, Arthur fissò indeciso la porta della stanza di Merlin.
Forse era meglio lasciarlo solo.
Fino ad allora, nonostante le difficoltà che stava incontrando, il ragazzo si era sempre mostrato positivo. Grintoso.
Certo, a volte si demoralizzava e usciva proclamando al mondo intero che non ce l'avrebbe mai fatta, che sarebbe finito a suonare per la strada con un barattolo e un cane randagio, ma in genere gli passava dopo pochi minuti.
Provò ad appoggiare l'orecchio sulla porta, ma non sentì alcun suono.
Preoccupato provò la maniglia e, trovandola aperta, entrò.
Nel peggiore dei casi gli avrebbe gridato contro e, in fondo, quella era pur sempre casa sua, no?
Merlin era sdraiato supino sul letto, un braccio sopra gli occhi e le gambe penzoloni.
«Merlin?» lo chiamò entrando.
Sul pavimento c’erano le rimanenze di un foglio strappato, Arthur provò a leggerne le parole, ma erano brandelli così piccoli che non capì quasi nulla.
«Vattene» mormorò l'altro in tono sconfortato «Lasciami solo».
«C'è qualcosa che non va?»
«Tutto» sbottò Merlin guardandolo «Ogni cosa. Io... non ci riesco, va bene? Non sono più in grado di farlo, tutto qui».
«Allora non farlo» se ne uscì Arthur e Merlin lo guardò inorridito, con gli occhi sgranati, prima di sospirare e ricoprirsi il viso col braccio.
«Dico sul serio» si sedette accanto a lui «Dovresti farlo perché vuoi, non perché devi. Se ti fa stare così, perché continui?»
«Perché non posso evitarlo» mormorò l'altro dopo pochi minuti. Arthur lo guardò incuriosito.
«Non importa quanto mi faccia star male devo provarci... non posso fare altro capisci? Non ti è mai capitato di volere qualcosa al punto da star male? Al punto di dimenticarti di mangiare o dormire perché non riesci a pensare ad altro? Perché non c'è altro che può renderti felice e sofferente allo steso modo?» la voce era tesa, ma decisa.
Arthur rifletté seriamente sulla sua domanda, non credeva di aver mai provato una cosa simile. O forse sì. Solo che non l’aveva provata per qualcosa.
«Sì, mi è capitato» mormorò a bassa voce.
«Davvero?»
Arthur annuì... con te avrebbe voluto dire.
«Allora sai che non posso mollare, per nessuna ragione... anche se fallissi su tutta la linea» rise, ma non era un suono felice, non era il suono che tanto amava.
E sentirlo così gli faceva saltare i nervi, lo feriva e non lo sopportava.
Voleva aiutarlo, ma non sapeva come.
La sua impotenza lo innervosiva. Possibile che non fosse mai in grado di fare nulla?
Un istante dopo le sue labbra si chiusero su quello dell'altro e, se il suo cervello gli diceva che era impazzito e che doveva smetterla, il suo cuore batteva all'impazzata e le sue mani si muovevano senza controllo, alla ricerca della pelle dell'altro.
Lo sentì resistere, forse combattere, ma furono solo pochi attimi prima che si arrendesse sotto al suo assalto e lo ricambiasse con altrettanta passione.
In quell’istante, Arthur fu perso.

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