Note: Questi due testoni mi mancavano, perciò
eccomi qui. Godetevela, per quanto possibile :D
Alexiel-che-ora-ha-voglia-di-gelato-alla-fragola-Fay.
Impossibile
“Dove sei?”
“Sulla Luna!”
“Buon per te, qui
il caldo ci sta uccidendo tutti.”
Sana ride dall'altra
parte del telefono e lui sente le labbra distendersi automaticamente.
Si dimentica sempre che non serve a niente chiederle dove si trovi, e
che ci vorrà almeno un'ora per carpirle quell'informazione, anche se
si sono dati appuntamento vicino l'università circa... mezz'ora
prima.
“Allora
raggiungimi.” propone lei, la voce squillante e divertita. Il suo
tono sembra così allegro, leggero, privo di qualsiasi ombra, che per
un attimo Akito pensa che sia davvero sulla Luna, a galleggiare nel
vuoto. Strano – oppure no – non è difficile immaginarlo.
“Dovrei cambiare
facoltà, diventare un genio, andare a lavorare alla NASA, convincere
il Presidente degli Stati Uniti che siamo pronti per organizzare una
seconda capatina sulla Luna, salire su uno shuttle e atterrare su
quella palla bianca?”
Sana sbuffa e
comincia a darsi arie da sapientona, rimproverandolo per la sua
mancanza di fantasia.
“Rendi sempre le
cose difficili, tu. Guarda che ti basta salire di nascosto su un
missile, atterrare su un satellite artificiale insieme agli
astronauti e poi buttarti giù e cominciare a nuotare nello spazio.
Tanto galleggi. In un poof
arrivi sulla Luna, da me.”
“Tu le rendi
sempre impossibili.”
Akito si riscuote
all'improvviso, quando sente qualcosa di freddo colpirgli le labbra.
Chissà perché, gli è tornata in mente quella vecchia telefonata.
E' una delle tante che gli fanno dubitare, prima che della sanità
mentale della sua ragazza, della propria.
Comunque, quel freddo
che ha percepito appartiene al gelato alla fragola che Sana sta
mangiando e che ora, poof, è finito tra le sue labbra insieme
al sorriso di lei.
“Avevi la testa tra
le nuvole.”
“Pensavo alla
Luna...” risponde vago lui, non che senta il bisogno di
giustificarsi. Il tono di lei non era neanche accusatorio. Più
divertito, in effetti.
“Dovremmo andarci.”
medita Sana.
“Mmmh.” non sono
conversazioni così strane dopo che ci hai fatto l'abitudine. Akito
potrebbe continuare a sfogliare la rivista medica che sta leggendo
e parlare di alieni con le antenne rosa senza far vacillare il suo
cipiglio serio.
Intanto Sana l'ha
costretto a mandare giù un altro boccone di gelato alla fragola, e
ora se ne sta appoggiata alla sedia, le mani allungate sul tavolo,
con l'aria di qualcuno che sta per dire qualcosa.
E così fa.
“Dimmi un po',
Hayama, quand'è che ti sei innamorato di me?”
Akito si strozzerebbe
con il gelato se solo avesse il tempo di reagire; ma con Sana ha a
stento il tempo di respirare, e l'apparato respiratorio funziona per
conto proprio, lui non dovrebbe neanche starci a pensare. Questo, per
sottolineare quanto detto su.
“Insomma, mi è
venuto in mente mentre giravo la scena del nuovo film... In realtà
non c'entra davvero niente con innamoramento, amore e batticuori.
Stavo prendendo a pugni il tizio che cerca di fermarmi mentre corro
all'aeroporto senza biglietto... e mi sei venuto in mente tu. E poi
la domanda.”
Akito ingoia con calma
il gelato e si gela un dente. E' carino che la sua ragazza si ricordi
di lui mentre riempie di botte qualcun altro.
“Perché vuoi
saperlo? E' passato tanto tempo.” replica il ragazzo.
Sana si stringe nelle
spalle e comincia a giocherellare con una ciocca di capelli rossicci,
l'aria pensierosa. Ha delle tracce di gelato rosa, alla fragola,
vicino alle labbra e Akito si irrigidisce un attimo dopo averlo
notato. Ha l'aria più innocente del mondo, con quella maglietta
troppo larga, grigia, e con una scritta ormai sbiadita. E dire che
fino a cinque minuti prima giocava con il cucchiaino di plastica rosa
del gelato. Ora ha le labbra sporche di gelato alla fragola e lui
vorrebbe solo baciarla e dirle che, probabilmente, si è innamorato
di lei proprio in quel momento – di nuovo. Suona stupido anche a
lui, però quell'energia che lei gli comunica, che fa rifluire
attraverso i loro corpi continuamente, lo riporta di continuo al
punto di partenza, al primo istante in cui ha voluto seriamente
averla tutta per sé, alla gelosia, alle stupidaggini che ha fatto e
al giorno in cui l'ha lasciata andare. Torna al punto di partenza
amandola di più, perché solo così può ricordarsi di non smettere
mai di farlo. Come se potesse.
Se glielo dicesse,
comunque, non eviterebbe la domanda.
Lei insisterebbe e
Akito finirebbe per riportare la mente a quel giorno di tanti anni
prima, quando lei l'aveva incontrato al parco e cullato come fosse
sua madre, ricorderebbe la febbre che saliva piano, insieme alla sua
voce e alle parole, le sue mani sulla testa, le carezze dolci e
materne, il suo calore che piano piano l'aveva invaso, le coperte
calde e la colazione preparata da sua sorella; penserebbe con una
strana malinconia allo stomaco che non ne voleva sapere né di
saziarsi né di piantarla di infastidirlo con quei dolori strani. E
alla fine ricorderebbe come, quello stesso giorno, aveva finito per
consumare il nastro della videocassetta solo per guardare Sana
ripetere la stessa frase, con quegli occhi pieni di sentimento e
passione, tristezza, e si renderebbe conto, ancora una volta, che lei
guardava lui. Tra i milioni di persone là fuori, che la guardavano,
lei aveva fissato gli occhi su di lui e gli aveva parlato.
Akito era convinto che
quel giorno, quella mattina, qualcosa fosse successo, ma non era
sicuro che si fosse innamorato di lei prima, oppure dopo. Era
difficile da dire, perché lei non stava mai ferma e lui più che
seguirla aspettava di coglierla di sorpresa, di afferrare quel
momento e sentirla fermarsi per un attimo, tra le sue braccia, per
lui.
Però, se ci pensava,
quello era il primo momento che ricordava con chiarezza. E si
ripresentava nella luce abbacinante di un nuovo mondo, nella
tenerezza di una mano che sfiora il sole per la prima volta, in due
occhi ipnotizzati dal volto di una persona che per prima l'aveva
guardato, dopo sua madre, e l'aveva amato ingenuamente, con il
sentimento di un uragano, senza saperlo. Prima era solo un mondo
buio, con la sua anima che galleggiava alla ricerca di un mondo a cui
appartenere, un mondo in cui non ci fosse bisogno di ricoprire rumori
con altri rumori, in cui non ci fosse bisogno di ferire per
dimenticare il dolore. Un mondo in cui ci fosse lei. Non l'aveva
cercata, non aveva sentito di aver bisogno di lei per sostituire
qualcosa di brutto. Sana era lì per riempirlo di colori, di suoni e
per ricordargli che basta solo un po' di forza, di amore e affetto,
per riafferrare nel vuoto la sensazione di volersi bene. Chissà,
pensa Akito, se aveva ripreso a volersi bene prima o dopo aver
cominciato ad amare lei. Chissà, pensa, se non è la stessa cosa.
“Non te lo ricordi?
Ah, ti vergogni!” esclama Sana.
Akito arrossisce più
per il modo in cui lei si lecca via il gelato dalle labbra che per
l'affermazione che gli spara contro. Forse era meglio prima, ora
sente il dovere di alzarsi, chinarsi, e baciarla proprio dove c'era
prima il gelato. Lì, in quel punto preciso, dove si è marchiato
l'ultimo movimento di Sana, che ora invece se ne sta immobile a
fissarlo, come per sfidarlo.
“Ti rispondo se
rimani ferma solo un attimo. Ferma.”
Lei non dice niente, ma
resta immobile. Akito capisce che è un sì, che non si muoverà.
Allora, visto che è piegata un po' sul tavolo, le dita delle mani
rivolte verso di lui, decide che non è necessario alzarsi. Si sporge
verso di lei, fa scivolare le mani verso le sue e le sfiora, gioendo
dentro mentre le sente immobili e aspettando il momento in cui,
finalmente, si intrecceranno alle sue. Si allunga ancora un po' e uno
dei laccetti della felpa finisce nella ciotola del gelato di Sana, ma
lui ha già chiuso gli occhi e non se ne accorge. L'ultima cosa che
ricorda di vedere è lo sguardo sicuro di Sana, la propria immagine
riflessa negli occhi di lei, così pieni di quello di cui lui ha
bisogno.
Nel buio in cui sa
esattamente dove trovarla, nel buio in cui si muove a diecimila
miliardi di chilometri al secondo, lei rimane ferma. Solo le sue
labbra, quando Akito la bacia a occhi chiusi, fremono
involontariamente e poi lo seguono, diventando una cosa sola con
quelle di lui.
Sa di fragola, dovrebbe
essere una cosa ovvia, ma lui rabbrividisce percependo quel sapore
freddo e dolce sulla lingua di Sana. Afferra con le labbra la traccia
di quell'ultimo movimento, brilla dietro i suoi occhi e poi vortica e
gli permette di perdersi dentro di lei.
Diecimila miliardi di
chilometri in un secondo.
Un inizio sempre nuovo.
Luce.
“Quando...?”
Lei si muove, lui la
ferma e ne percepisce il moto infinito tra le mani. Ha le vertigini,
ma cadrebbe mille volte a quella velocità spaventosa per
riafferrarla.
“Quando ho percorso
diecimila miliardi di chilometri in un secondo.”
Non suona per niente
stupido mentre glielo dice, non più stupido di quando lei gli ha
chiesto di raggiungerla sulla Luna.
In effetti, a quella
velocità potrebbero raggiungere luoghi ben più lontani, perduti, e
rimanere sempre lì, capaci di tornare al punto di partenza solo con
uno sguardo.
Capaci di frenare
all'improvviso senza finire scaraventati da qualche parte, divisi, ma
bloccandosi insieme.
Sana sorride.
Diecimila miliardi di
chilometri in un secondo. Più veloce della luce.
Poof.
E' difficile dire
precisamente quando si sia innamorato di lei, ma è impossibile
– ed è felice di ciò – negare che ricomincerebbe ad amarla per
sempre, fino a quando, superando la luce, riuscisse a
raggiungere l'origine di quel sentimento, senza fermarsi mai. Anche
se restasse indefinito, nella nebbia, sulla Luna, in uno sguardo
sfuggente, allora lui sarebbe sicuro di non avere il bisogno di
rimpiangere niente. Mai.
“Niente è
impossibile, Akito, lo sai?”
“Scommettiamo che
ti dimostro il contrario?”