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Autore: VaniaMajor    10/09/2011    1 recensioni
In un mondo in cui gli Dei sono impostori che hanno sottratto il potere al Drago, un Paladino consacrato dal sangue sarà costretto a tornare a combattere. Episodio pilota di una saga in costruzione!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Author's note: Questo è l'episodio pilota di una saga fantasy che ho in mente. Fatemi sapere cosa ne pensate, potrei decidere di anticiparne la stesura :) Grazie a tutti per l'attenzione!

«L’ordinazione per il prossimo mese?»
«Il solito, amico. Secondo il padrone questa roba basta e avanza.»
«Bene…» Il mercante borbottò tra sé, facendo i conti su una tavoletta cerata, poi annuì. «Allora ci vediamo il mese prossimo, Wiran. Sempre che tu sia ancora qui.»
«Ci sarò. Dove vuoi che vada?» disse l’uomo di fatica della taverna, sorridendo. Il mercante salì a cassetta e gli indirizzò un cenno di saluto, a cui Wiran rispose già per metà rivolto alla successiva incombenza. Fischiettando un’aria allegra, afferrò la prima botte di birra e la sollevò da terra.
La strada principale del paese, su cui la taverna si affacciava, era un via vai di gente che si dirigeva al mercato o ne tornava. Il villaggio era di modeste dimensioni, ma animato. Passò un gruppo di fanciulle intento a confrontare nastri per capelli. Wiran le sentì mormorare e ridacchiare alle sue spalle mentre sollevava la seconda botte, ma non vi badò. Era abituato ad attirare gli sguardi delle donne. Wiran era in effetti un uomo avvenente. Dimostrava trent’anni a voler essere severi nel giudizio, sfoggiava disordinati capelli biondo miele e i suoi occhi di ghiaccio gli avevano sempre procurato più donne di quante ne potesse, o volesse, gestire. Il Drago sapeva quanti contratti di matrimonio gli erano stati offerti dal giorno in cui si era installato laggiù…
Indifferente, quindi, portò il suo terzo carico fino all’ingresso posteriore della taverna per cui lavorava.
«Ti invidio.» brontolò il garzone, appoggiato allo stipite della soglia in penombra, osservandolo con un broncio da adolescente frustrato. Wiran ridacchiò, scuotendo il capo e posando la botte, che produsse un tonfo sordo sul pavimento cosparso di segatura.
«Potresti darti da fare, invece di invidiarmi.» lo schernì, premendosi le mani sulle reni e facendo schioccare la colonna vertebrale.
«La fai così facile, tu…Oh, ecco che arriva qualcosa che mi tira su il morale. C’è giustizia a questo mondo! Buon divertimento!» tagliò improvvisamente corto il garzone, dileguandosi con una risatina. Wiran si voltò verso la via. La vista della persona che si stava avvicinando lo fece gemere di disappunto, inducendolo a rimpiangere di non potersi dare ad una fuga precipitosa.
In realtà, il nuovo venuto non aveva nulla di minaccioso. Era un giovane chierico, poco più di un novizio a cui affidare al massimo la pulizia del tempio. Portava la veste bianca degli adepti del dio Pteru, e mancava poco che sfoggiasse un cartello con la scritta: “Pteru dominerà il mondo”. Era gracile, pallido, con un volto sottile in cui spiccavano grandi occhi castani pieni di timidezza. Lunghi capelli neri e lisci gli incorniciavano il viso. Si avvicinava a lui a passi esitanti, facendo guizzare lo sguardo tutt’intorno come se non sapesse dove appuntare la sua attenzione…o temesse di renderlo manifesto.
Quando incontrò i suoi occhi arrossì e si fermò, incerto.
«Buongiorno, Wiran.» mormorò. La sua voce era esitante.
Wiran lo guardò fisso con espressione corrucciata e il chierico si affrettò a riportare la sua attenzione alla strada polverosa, avvampando. Soddisfatto del risultato, Wiran prese un respiro profondo.
«Cosa vuoi, Nadir? Devo lavorare.» disse. Il chierico alzò nuovamente gli occhi sul suo viso.
«L’ho sognato di nuovo, stanotte.- mormorò, e nell’udire lo sbuffo di stanchezza di Wiran la sua espressione si fece disperata - Oh, ti prego! Perché non mi ascolti? Se solo mi permettessi di spiegarti…ma non qui. Non si può, mi metterebbe in pericolo. Dobbiamo andare a casa tua.»
«Nadir.» disse Wiran, posandogli le mani sulle spalle. Il chierico si zittì di botto. «Sai quante volte abbiamo fatto questo discorso?» chiese l’uomo, con calma. Il chierico scosse la testa, mormorando qualcosa di intelligibile. «Te lo dico io. Dieci. Con questa, undici. Ora, vediamo se hai capito qualcosa. Il mio lavoro è…»
«Caricare e scaricare merce per la taverna.» rispose il chierico, mormorando.
«E non ho intenzione di…» continuò Wiran, imperterrito.
«Avere a che fare con le lotte di potere di Astagh.» mormorò Nadir. Sul suo volto apparve un’ombra di impazienza che a Wiran non piacque affatto. Era lui ad essere perseguitato da quello scricciolo, non viceversa!
«Allora, se mi hai capito, smettila con questa storia.- ribadì Wiran, lasciandolo e andando a prendere una nuova botticella- Non combatto per una causa, non affronterò le forze di Asahi per stare dietro ai tuoi ideali. Io ho la mia vita tranquilla; non ho intenzione di buttarla alle ortiche.»
«Sarai costretto a farlo.» brontolò Nadir.
Wiran gli lanciò un’occhiata ammonitrice e Nadir si voltò come se girasse su un perno, incamminandosi di nuovo a passi rapidi. Wiran, sospirò, scuotendo la testa. Fece per sollevare la botte, poi la riappoggiò. Si sedette sul recipiente di legno, guardando la figura sottile del chierico allontanarsi.
Si trovò a ricordare la prima volta in cui aveva fatto conversazione con lui. Era un anno ormai che dal nord giungevano voci preoccupanti. Le forze di Pteru e quelle di Asahi sembravano convergere in un unico punto, in cui si sarebbe scatenato l’inferno. Wiran aveva fatto orecchie da mercante a tutte le chiacchiere sulla questione. Poi, sei mesi prima, un giovane chierico l’aveva timidamente avvicinato. Si era presentato come Nadir Azul, fedele servo del dio Pteru, Signore della Luce. Bah, Signore della Luce…come faceva presto la gente a lasciarsi fuorviare!
Dopo una stentata conversazione fatta di balbettii, il chierico era giunto al punto.
Aveva avuto una visione. In essa lo vedeva combattere al suo fianco, spada e fede uniti in una formidabile squadra. Perché questa battaglia? Chi era il nemico, Asahi? Nadir non aveva voluto scendere nei particolari, ma aveva sussurrato una sola parola che, a suo dire, avrebbe dovuto convincerlo: Drago. A Wiran erano venuti i brividi. Cosa poteva sapere un moccioso cresciuto tra preghiere e incenso del Drago?! Wiran aveva abbandonato il campo di battaglia, appendendo al chiodo la spada, ormai da ventiquattro anni. Aveva cercato un lavoro normale e senza pretese, e il nome del Drago era stato cancellato dalla sua mente. Era riuscito a gettare nel dimenticatoio tutto ciò che lo riguardava e il suo inglorioso e terribile passato, ma improvvisamente quel gracile ragazzo gli aveva scaricato addosso tutti i suoi spiacevoli ricordi.
Controllando a malapena l’ira, l’aveva cacciato, imponendogli di non farsi più vedere. Nadir era fuggito, rosso di vergogna. Ma, benché profondamente timido, il chierico era tenace. Una o due volte al mese si ripresentava, annunciandogli che la visione si era ripetuta, con sempre più urgenza ora che le chiacchiere sulla marcia cieca e devastante dei due eserciti erano diventate fatti provati. Wiran, rammentando il proprio ardore giovanile, aveva cominciato a trattarlo con più gentilezza, ma le sue risposte erano sempre dei rifiuti categorici. Non voleva parlare di certe cose. Nadir aveva però una testardaggine sovrannaturale.
«Io non combatterò mai più. Punto e basta.» borbottò, scacciando i pensieri e caricandosi in spalla la botticella.


§°§°§


Quella sera, Nadir si ripresentò. Wiran era comodamente seduto sul retro della taverna a godersi l’aria fresca con un boccale di birra in mano, quando un’ombra gli sottrasse la luce della luna.
«Sei cocciuto.» mormorò Wiran, bevendo un lento sorso. Nadir strinse nei pugni la sua veste bianca.
«Stanno arrivando.» disse, con voce soffocata. Wiran lo guardò, perplesso e stanco. Gli occhi del chierico brillavano di una luce febbrile.
«Chi?» chiese Wiran, distogliendo nuovamente lo sguardo. Sbuffò, digerendo la birra.
«Una sezione di avanscoperta dell’esercito di Asahi. Questa notte il villaggio verrà attaccato.» rispose il chierico, la giovane bocca contratta in una smorfia. «E’ per stanotte, Wiran. Stanotte devi fare la tua scelta tra la spada o il disonore.» disse, nascondendo il viso dietro la cortina dei capelli neri. Wiran sbatté rumorosamente il boccale sul bracciolo della sedia, facendo sobbalzare il giovane, e si alzò.
«Finiscila con questa storia!- sibilò- Io non ho responsabilità di nulla. Le vite degli abitanti di questo villaggio non dipendono da me. E’ inutile che ti inventi queste storie, perché non c’è niente al mondo che potrà costringermi a combattere di nuovo. Tu servi Pteru, no? Allora vacci tu a fare il martire! Sono troppo intelligente per fare due volte lo stesso errore!»
Ci fu un momento di silenzio teso, poi Nadir alzò lo sguardo su di lui.
«Allora getterò questa una volta per tutte.» mormorò, liberando dalle pieghe della veste un fodero che conteneva una spada dall’elsa cesellata in forma di drago. Wiran perse il fiato. Quella era la sua spada! Il suo segreto, che conservava in un pannello nascosto nella parete della sua camera da letto. Nessuno sapeva dell’esistenza di quella lama perché Wiran non l’aveva mai mostrata ad anima viva!
«Come…- disse con voce strozzata- come diavolo l’hai trovata?!»
«Non ha importanza! Non ti soffermare sui dettagli.- esclamò Nadir, con straordinaria veemenza- Perché la conservi con tanta cura se non vuoi più combattere? Non trovi sia una cosa senza senso? Se la figura sull’elsa non è più nel tuo cuore, cosa la tieni al tuo fianco a fare? Tu vuoi che io la smetta di assillarti con le mie richieste, non è vero? Bene: allora, per farla finita una volta per tutte, getterò la spada nel fiume.»
Così dicendo si voltò e cominciò a correre. Wiran rimase un attimo immobile, sbalordito, poi il pensiero dell’affronto subito e della sua spada in balia della corrente lo fecero ribollire d’ira. Quel chierico aveva esagerato.
«Nadir!» urlò con voce rombante. Fece un passo, inciampando nella sedia e rovesciando il boccale, che si infranse al suolo. Imprecando, si mise a correre a sua volta, seguendo la svolazzante veste bianca nell’oscurità. «Nadir!- gridò di nuovo- Fermati, bastardo!»
Non ci fu risposta, naturalmente, ma la cosa servì solo a farlo imbestialire ancora di più. Superarono il limite del villaggio e si inoltrarono nel bosco, verso il fiume. Wiran, con un sorriso contorto, si accorse di aver recuperato terreno. Il ragazzo era veloce, ma aveva poca resistenza. Presto giunse abbastanza vicino da sentirlo ansimare.
«Sei mio!» esclamò, saltandogli addosso. Gli abbrancò le gambe, facendogli perdere l’equilibrio. «Hai finito di correre!»
Con un’esclamazione soffocata, Nadir crollò al suolo, ma non mollò la presa sulla spada. Wiran la afferrò, contendendogliela.
«E molla…» digrignò Wiran, forzando le dita del chierico.
«Perché la rivuoi?!- gli gridò in faccia Nadir, sorprendendolo per l’inconsueta luce di sfida e rabbia che gli brillava negli occhi- Tu non vuoi combattere, no? Allora perché tieni vicino a te questa spada?»
«Perché è la mia vita!- gli sfuggì dalle labbra- E poi, che te ne importa? Non devo certo rendere conto a te dei fatti miei!» ringhiò Wiran, estraendo la spada e lasciando nelle mani del chierico il solo fodero. La puntò alla gola di Nadir, sovrastandolo col suo fisico imponente. I due rimasero immobili, ansimando per la lunga corsa. Nadir si schiarì la gola, guardando con incertezza la punta della spada.
«Tu non servi affatto i tuoi ideali.- mormorò- Capisco il tuo disgusto per gli uomini e i loro sentimenti subdoli, per le loro guerre, ma questo non giustifica il fatto che tu abbia smesso di combattere per il Drago. Esso non ti ha mai abbandonato.»
«E tu che ne sai, ragazzino?» ringhiò Wiran in risposta. In realtà era sconvolto. Di nuovo, quello scricciolo del chierico gli sbatteva in faccia il nome del Drago. Perché? Nadir alzò il mento con commovente orgoglio, tenendo conto della posizione in cui si trovava.
«Io sono Nadir Azul, figlio di Mashim Azul, dei Paladini del Drago.- disse, gelando il sangue di Wiran- Mio padre è morto, ma non potendomi offrire il suo sangue benedetto dal Drago, mi ha perlomeno consacrato ad Esso. La veste che porto è un travestimento. Io non servo Pteru.»
«Cosa…?- balbettò Wiran, facendo due barcollanti passi indietro- Mashim…Azul?!» Il suo comandante! Il suo comandante…aveva avuto un figlio, prima di morire in battaglia contro Asahi?! Nadir annuì.
«So chi sei, Wiran.- mormorò- Sei un Artiglio del Drago, un Paladino consacrato ad Esso nell’Era del Tramonto, duecentoquindici anni fa. Sei immune all’invecchiamento e alla morte naturale perché il Drago ha consacrato il tuo sangue. Hai fatto parte del manipolo che cercò di uccidere Pteru e Asahi quando essi si ribellarono al Drago e lo costrinsero al sonno, autoeleggendosi Dei. So anche che sei l’ultimo. I tuoi compagni sono tutti morti.»
Wiran si coprì il viso con le mani, avvertendo la tentazione di mettersi a gridare. Pensava di essersi lasciato tutto alle spalle…il rimorso per il fallimento, la disperazione per aver perso il proprio Signore e l’armata che era la sua famiglia. Il mondo era diviso da una guerra d’ambizione da cui lui si era sottratto, stanco e convinto di essere indegno. E ora, il Drago tornava a chiamarlo attraverso le labbra di quel ragazzino che gli era stato consacrato chierico. Ma che valore potevano avere le parole del chierico di una creatura che dormiva un sonno eterno?
«Come posso combattere? Non sono un eroe, né un santo.- disse, amaro, togliendosi la mano dal viso- Il Signore per cui combattevo è caduto nel tranello dei suoi servi, che ora dominano il mondo. Solo la loro morte salverà il Drago…ma come posso fare da solo ciò che la mia armata non è stata in grado di fare?!» Si volse di scatto, il volto contorto dall’ira e dal disgusto. «Tu vaneggi, Nadir! Sei giovane, e non sai quanto sangue sia già stato sparso nella lotta contro Pteru e Asahi! Non sai quanto sia grande il loro potere!»
Nadir lo guardò con viso calmo e composto. Si alzò in piedi con qualche difficoltà e gli si avvicinò.
«Il Drago è ancora vivo, Wiran. Dorme, ma è vivo- mormorò- Tu hai giurato di servirlo fino all’ultimo tuo respiro. Lo stesso vale per me. Davvero non vuoi tentare, continuando a spostarti da un villaggio all’altro per non rendere palese la tua immortalità, rodendoti il cuore pieno di rimorsi per ciò che non hai fatto?»
I due si fronteggiarono per qualche istante in silenzio, nel buio. Poi un grido squarciò l’aria, seguito da altri in rapida successione. Wiran si voltò di scatto verso il villaggio. Nadir lo fissò con espressione triste ma decisa.
«L’attacco, Wiran. Ti avevo detto che ci sarebbe stato.- mormorò- Guarda. Hanno già iniziato ad appiccare il fuoco.»
In lontananza si era in effetti levato un chiarore. Presto giunsero alle loro orecchie gli schiamazzi della battaglia e l’acre odore di fumo.
«Si sono spinti così a nord?!» mormorò Wiran, immobile. Nadir si incamminò verso il villaggio.
«Io vado.» mormorò. Wiran lo afferrò per un braccio.
«Sei pazzo?- gli sibilò- Ti farai ammazzare, moccioso!» Nadir volse lo sguardo su di lui. Annuì tristemente.
«Hai ragione, da solo morirò. Ma preferisco morire che fuggire come un codardo.»
«Mi stai dando del codardo?!» ansimò Wiran, quasi incredulo. Nadir arrossì e abbassò gli occhi.
«Io non ho risposte da dare a chi non vuole vedere al di là del proprio naso.» disse Nadir, in un sussurro appena percettibile. Si liberò bruscamente dalla stretta di Wiran e si avviò correndo verso il villaggio. Wiran guardò la sua spada intensamente, poi raccolse il fodero con un ringhio soffocato.
«Quel moccioso…- mormorò- Si farà ammazzare!»
Si girò verso il villaggio, poi fissò nuovamente la spada. Strinse le palpebre, facendo una smorfia.
«Bah! Al diavolo!» esclamò, mettendosi a correre e lanciando un lungo grido di battaglia che gli liberò l’animo da ogni ombra, riportandolo alla sua vera essenza: un Artiglio del Drago. Superò uno sbalordito Nadir e si gettò nella mischia.


§°§°§


«Dannazione!» esclamò Wiran, sedendosi a terra con espressione frustrata. La battaglia era finita e i devastatori erano stati ricacciati. Grazie a Wiran e Nadir le perdite erano state contenute. I danni prodotti dal fuoco, però, erano pesanti.
Sentendo una risatina soffocata, Wiran lanciò al chierico un’occhiata irosa. Si trovavano davanti a ciò che restava della taverna in cui Wiran lavorava fino alla sera prima. L’oste, i camerieri e gli avventori erano fuggiti in preda al panico prima dell’arrivo di Wiran e Nadir, i quali avevano ricacciato gli invasori assieme ai pochi coraggiosi del villaggio. La taverna era uno dei primi edifici a cui il fuoco aveva fatto la festa. Ora non restava che uno spoglio scheletro annerito e un bel mucchio di ceneri.
«A quanto pare non hai più un lavoro.» mormorò Nadir, cercando di trattenere le risa. Wiran lo fulminò con un’altra occhiataccia.
«Ti ho mai detto che non ti sopporto, Nadir?» ringhiò, sollevando la cenere con le mani e stringendola. Il vento la portò via in cascate leggere.
«Immagino che me lo dirai spesso, Wiran.- disse il chierico, sospirando- Hai intenzione di stare qui ancora per molto?»
«Perché, dove vorresti andare?» chiese Wiran, sbalordito. Nadir, sorridendo e lasciando che il vento gli scompigliasse i capelli, guardò verso nord.
«Non ci pensare neanche!» esclamò Wiran, alzandosi in piedi.
«Suvvia, Wiran! Ormai hai cominciato e non puoi più tornare indietro.» disse Nadir, avviandosi. «Le armate si stanno dirigendo verso la Piana di Grusant, perciò dovremmo cercare di oltrepassare le montagne di Judica prima dell’arrivo dell’autunno, e non sarà facile se tu continui a perdere tempo.»
«Mi sono fatto incastrare da un chierico.- borbottò Wiran, senza ascoltare il chiacchiericcio di Nadir- Incredibile.»
Quasi senza pensarci, quando Nadir prese a camminare il guerriero si avviò dietro al giovane, attraversando con lui le strade segnate dal fuoco. Una mano si posò con naturalezza sull’elsa della spada di nuovo legata al suo fianco.
“Mio Signore Drago, davvero c’è ancora speranza per te e per questo mondo?” pensò Wiran, fissando i lontani profili dei monti Judica sotto il cielo azzurro e terso, ricordando la terra promessa che si stendeva dall’altra parte del mondo, la patria in cui era stato cresciuto e addestrato.
«Mi piacerebbe mostrarti il Regno del Drago, un giorno. E i suoi occhi…quello che si cela dentro ai suoi occhi.» mormorò a Nadir. Il giovane sorrise con un’ombra di mestizia.
«Anch’io vorrei vederlo, Wiran.» rispose, e il desiderio nella sua voce fu sincero, anche se del viaggio che li attendeva sapeva più di quanto avrebbe voluto. Wiran, ignaro, gli batté una mano sulla spalla.
«Ti racconterò di Lui, Nadir.- disse- Temo che ne avrò tutto il tempo.»

 

 

   
 
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