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Autore: Macchia argentata    10/09/2011    15 recensioni
In un soleggiato pomeriggio primaverile, un duello tra Oscar e Andrè prenderà una piega inaspettata, cambiando le loro vite. Su gentile richiesta dei lettori, ho deciso di trasformarla, da one-shot, in una raccolta di Flashfic con una sua trama.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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26 Caldo, un caldo innaturale invade l’ambiente. Mi slaccio il nodo della cravatta, arrotolo le maniche della camicia, ma non basta. Lunghe gocce di sudore mi colano dalle tempie.
Il fumo è dappertutto, invade i miei polmoni e mi impedisce di vedere oltre. La nebbia mi avvolge e vedo il mio corpo consumarsi lentamente, i vestiti tramutarsi in cenere, le ossa candide delle braccia ardere come tizzoni ardenti…
Mi sveglio di soprassalto, la guancia mi scivola dal palmo. Ansimo.
E’ buio, intorno, e fresco.
L’aria è nitida e pura, e profuma di fiori. E’ il gelsomino che si arrampica lungo i muri e corre intorno alla finestra a impregnare di profumo la stanza in cui dormi, ora ricordo.
I miei occhi si posano sul tuo letto sfatto e lo trovano vuoto. Ma non devo guardarmi a lungo per scorgerti accanto alla finestra.
La camicia da notte, di un tessuto impalpabile, non lascia molto all’immaginazione, ma non è quello a catturare la mia attenzione. Ti muovi piano davanti al riflesso della luna, dolcemente, cullando nostra figlia.
Nostra figlia…
Solo poche ore fa non avrei mai creduto che tanta perfezione potesse esistere. Che avrei amato così prepotentemente qualcuno dopo un solo sguardo.
Quando sono arrivato alla villa avevo paura. Una maledetta paura.
Sono state le tue urla a distogliermi dal mio egoismo, dal mio stupido egocentrismo.
Gridavi il mio nome. Lo sguardo che Girodelle ha lanciato alle scale ha fatto il resto.
Ho salito i gradini due a due, senza chiedermi come e perché, senza badare al dolore sordo che sentivo alla gamba lesa.
A interrompere la mia corsa, davanti alla tua porta, la nonna.
La nonna sbigottita. La nonna confusa, meravigliata, stupefatta.
La nonna che reggeva tra le braccia nostra figlia.
E’ bastato uno sguardo, ed ero suo. Perso in quel piccolo volto vermiglio e congestionato di grida, in quegli occhi spalancati e curiosi, attenti.
Ho allungato le braccia e lei era lì. Un peso dolcissimo, deposto per sempre sul mio cuore.
Ho vissuto a lungo con te, Oscar, prima di comprendere quale fosse la reale portata del sentimento che mi lega a te.
Con Victoire è bastato un secondo. Ed è giusto così, perché lei è parte di te, che sei parte di me.  Lei è fatta del nostro sangue e dei nostri respiri. E’ intessuta di sogni e colma d’amore.
Osservo la tua figura snella camminare dondolandosi. Mi pare di sentire, biascicata in sottofondo, l’eco di una nenia che cantava la nonna quando eravamo bambini.
Sei insicura, lo capisco da come farfugli, un po’ stentatamente, facendo lunghe pause. Ma ai miei occhi, sei perfetta.
Vent’anni di dura educazione maschile nulla hanno potuto contro la saggezza atavica del tu sesso.
Certe cose si hanno dentro e basta.
Ti osservo e il mio animo si rasserena. Mi rimetto comodo sulla poltrona sul quale mi sono addormentato per lasciarti riposare, e mi lascio cullare dalle tue parole.
Continuerò a sognare il fuoco a lungo, forse per sempre, e una parte di me seguiterà a brancolare senza requie tra le tenebre.
Ma tu sarai il balsamo su queste ferite e la luce nelle notti buie della mia esistenza.
Tu mi salverai, Oscar.
Tu mi hai già salvato. E io non voglio chiedere più nulla a questa vita.

“Buon Dio, cosa mi tocca sentire!” Esclama la nonna, al colmo dell’indignazione.
Un tiepido sole illumina le pareti, bagnando il pavimento di macchie di luce.
Passeggio per la stanza muovendo piano la mano sulla schiena delicata di Victoire. Immagino minuscole vertebre e una impercettibile colonna vertebrale correre sotto le mie dita, attraverso la sua pelle profumata e non smetto di sorprendermi di quanta perfezione ci sia, anche nelle cose più piccole.
Seduta sul letto, stringi i nastri sciolti della camicia aperta sul seno con uno sguardo pensieroso.
“La prozia Adeline? Ma come ti è venuto in mente, Andrè?”
Mi avvicino a te, scostando la bambina dalla mia spalla. Un filo di saliva si tende dalla mia camicia alle sue piccole labbra a cuore.
“Andiamo Oscar, guardala bene. Adesso immaginala con un turbante di piume di struzzo e un grosso e tremolante neo finto, proprio qua…” Indico la guanciotta piena e rosea di nostra figlia, e lei emette un vagito di protesta.
Evidentemente nemmeno Victoire è molto contenta di assomigliare alla prozia Adeline. La pecora nera della famiglia, nonché motivo di imbarazzo ed eterno cruccio di tuo padre.
Mi guardi con il sopracciglio levato.
“Andrè, devo forse ricordarti che per anni, da bambini, ci siamo chiesti se la prozia Adeline fosse effettivamente una zia e non, piuttosto, uno zio?”
Sbuffo, riprendendo a passeggiare con Victoire stretta al petto.
“Ma solo perché aveva i baffi!”
Il tuo sopracciglio non sembra voler scendere a compromessi.
“Andrè…”
“E fumava la pipa. Beh, era una donna piuttosto emancipata per i tempi. Non vorresti che Victoire lo fosse?”
“Andrè, mia figlia non assomiglia affatto alla prozia Adeline, levatelo dalla testa!”
Sorrido tra me e me, scostando il capo di nostra figlia dal mio cuore.
“La mamma se la prende solo perché a lei la pipa non ha mai donato…” Le sussurro alle orecchie. Due minuscole ali di farfalla.
“Se è per questo nemmeno i turbanti di struzzo…” Puntualizzi, incrociando le braccia al petto e guardandomi di sbieco.
“Mi è sempre stata simpatica la prozia Adeline…”
“Solo perché ti ha insegnato a barare a carte.”
“Mi riempiva le tasche di dolci…”
“Per farsi versare due volte il brandy.”
“…E una volta mi ha anche allungato un Luigi sottobanco.”
“Sì, quando ti ha chiesto di rubare il parrucchino di mio padre e metterlo in testa al suo cavallo.”
“La prozia Adeline era una che sapeva come divertirsi!”
“La prozia Adeline era matta, Andrè.”
Sorrido tra me e me, carezzando la testolina lanuginosa di nostra figlia.
“Tu vorrai bene a papà, vero fragolina? Dovrai volergliene tanto, perché come vedi la mamma non glie ne fa passare una…”
“Oh, insomma!” Esclama infine la nonna, prendendo la piccola Victoire dalle mie braccia e mettendo fine al nostro scambio di opinioni. “Che orrore paragonare questo delizioso frugoletto a…a…quella donna.”
Quella donna è il massimo insulto cui la nonna può arrivare in tua presenza, ma sono certo abbia anche dell’altro nel suo arsenale. Lo so per esperienza.
La osservo divertito cullare e vezzeggiare nostra figlia e vengo a stendermi al tuo fianco, posandoti un bacio delicato su una guancia, che tu ricambi con un buffetto.
“La prozia Adeline…Che idee!” Borbotta la nonna, osservando la bambina con aria beata “Piuttosto, io direi che somigli a…” ma non ha il coraggio di dirlo.
Abbiamo notato tutti la fronte corrugata e il broncio perenne sul visino della piccola Victoire, e i suoi pugni serrati, stretti come morse quando pretende qualcosa.
E non c’è alcun bisogno di aspettare per sapere che i suoi occhi, ora velati d’ombra, saranno azzurri e limpidi.
Ma non come i tuoi, che hanno la dolcezza e il colore vellutato del mare e del cielo. I suoi saranno tersi come acqua di fonte e altrettanto cristallini. Indomiti.
Un rumore improvviso ci distoglie dalle nostre chiacchiere. Una carrozza si è appena fermata nel cortile.
“Victor?” Mormora Oscar, osservando pensierosa la finestra aperta, da cui entra l’odore della primavera. Mi levo dal letto, affacciandomi, e il mio cuore perde un colpo.
Un uomo in alta uniforme scende dal predellino e i suoi occhi si levano intimidatori alla casa. Involontariamente arretro di un passo, deglutendo, senza riuscire a distogliere lo sguardo.
“Andrè?” Mormori, incerta davanti alla mia reazione.
“E’ tuo padre, Oscar.” Deglutisco, incerto. Vedo il Generale scrollare le spalle e voltarsi verso la carrozza, tendendo il braccio. Una mano inguantata si tende dall’abitacolo, posandosi nella sua e una donna completamente velata scende al suo seguito. La osservo incuriosito, ma nella bassa statura e nella corporatura ben modellata non mi pare di scorgere nessuna delle tue sorelle…
“Non voglio vederlo.” Esclami perentoria. Tendi le braccia alla nonna, che ti porge la bambina e la stringi a te. “Non permettergli di entrare, Nanny…”
La nonna è combattuta. Io sospiro. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato. Che sarei dovuto scendere dal paradiso, prima o poi, per tornare nel mondo, un mondo in cui io sono un uomo senza diritti e tu una contessa. Un mondo in cui abbiamo una figlia illegittima che potrebbe esserci strappata via senza troppi complimenti.
“Oscar…E’ pur sempre tuo padre.” Mi costringo a mormorare, davanti al tuo sguardo di terrore.
“Andrè, ti stai forse dimenticando quello che ti ha fatto?” C’è una nota stridula nella tua voce.
“No. No…Ma lui ti vuole bene, e anche tu glie ne vuoi. E non è giusto che non vi rivolgiate più la parola a causa mia. Questa situazione andava affrontata, prima o poi…”
“Non lo conosci…”
“Io credo di sì, invece. E poi, c’è una donna con lui…Non credo arriverà a commettere un omicidio davanti a testimoni, non credi?”
“Ma…”
Le tue parole vengono bloccate da un discreto bussare alla porta. La nonna si accosta titubante alla maniglia e io mi avvicino protettivo a te e Victoire. Finché avrò vita giuro che vi difenderò da tutto e da tutti.
Ma non è il Generale quello che ci troviamo davanti, quando la cameriera di Girodelle, a capo chino, si fa da parte per lasciare entrare la donna misteriosa, che avanza in un frusciare di gonne.
La dama scosta il velo, e l’incarnato più bello dell’intera Francia fa capolino dagli strati di pizzo: le guance rosee e i brillanti occhi azzurri la fanno apparire ancora una bambina, e probabilmente Maria Antonietta lo è davvero, con quel modo di fare gioioso e privo di formalismi.
“Vostra Maestà!” Esclamiamo io, te e la nonna, chinando il capo, assolutamente esterrefatti.
“Oh, Oscar! Sono così lieta per voi…ero tanto in pena!” Esclama gaia la Regina, avvicinandosi. Alle sue spalle, tuo padre appare rigido e torvo nel riquadro della porta, osservando la scena senza dire una parola.
Mi scosto per farla avvicinare al tuo letto. Sembra il ritratto della gioia.
“E’ un maschietto o una femminuccia?”
“E’ una bambina, Maestà…” Mormori, perplessa, ma innegabilmente lieta della visita inaspettata.
“E’ deliziosa! Che amore…Posso?” Esclama la Regina, tendendo le mani. Appena Victoire le viene deposta in braccia inizia subito a gorgogliare e farle versetti buffi di ogni sorta, cullandola con amore.
Tuo padre non accenna a muoversi, nemmeno quando la Regina si volta verso di lui con un sorriso.
“Generale Jarjayes, avete una nipotina adorabile! Non venite a vederla? Oh, è un tesoro…Guardate che occhioni, e quanti capelli! Accipicchia Generale, mi ricorda voi in maniera impressionante!”
Io e Oscar sospiriamo lanciandoci un’occhiata.
Maria Antonietta gorgogliando di delizia culla la bambina con amorevole tenerezza.
“Sapete Oscar, mi siete mancata moltissimo. Per fortuna il maggiore Girodelle non mancava di tenermi informata sulle vostre condizioni. Ma sapete, ho dovuto faticare per cavargli le parole di bocca all’inizio: quell’uomo è più riservato di un gufo! Poi, quando ho saputo…Ho praticamente costretto vostro padre a condurmi da voi! Un rapimento in piena regola si direbbe!” Esclama, estasiata dall’insolita avventura. Poi, avvicinandosi, ti sussurra all’orecchio: “Poveretto, credo si senta alquanto in imbarazzo per la situazione. Ma non mi avrebbe negato questo piacere Oscar. Vostro padre è davvero un brav’uomo. E vi ama teneramente, era tanto nervoso durante il viaggio in carrozza…Ah, ma quasi mi scordavo!” Maria Antonietta sembra cercare qualcosa in una piccola borsa che porta appesa al polso. Ne estrae un foglio di pergamena sgualcito e spiegazzato, chiuso da un sigillo di ceralacca. “E’ per voi, Oscar, e per Andrè, naturalmente.” Il suo sorriso è semplice e diretto. Scalda il cuore.
“Cosa contiene, Maestà?” Sei titubante. La Regina sorride.
“E’ un dispaccio reale, vergato dal Re. Un’autorizzazione di matrimonio. Io mi sono permessa di aggiungere una piccola concessione di titolo per Andrè. Non è molto, ma è pur sempre un titolo. E’ stato vostro padre a fare la richiesta…”
La mia bocca si spalanca.
I tuoi occhi, nel sentire queste parole, si posano nei suoi, a lungo.
E i suoi nei tuoi.
Poi, un colpo di tosse.
“Oscar…Sono lieto di vedere che stai bene.” C’è un’incertezza che non conosco nella sua voce, lui che è sempre tanto sicuro. Il suo sguardo cerca il mio.
“Andrè…”
“Signore.”
“Posso parlarti, in privato?”
Tentenno, solo un secondo. Sento il tuo sguardo su di me.
“Si, signore.”
Ho imparato che le cose vanno affrontate quando è il momento di affrontarle. Perché arriva sempre questo momento.
La porta si chiude alle nostre spalle, il corridoio è silenzioso.
“Andrè io…Ho sbagliato con te.”
“Volevate proteggere vostra figlia. Il suo onore.”
“Si. Si, e lo voglio ancora. Ma…Ho sbagliato nei modi, ecco. Sono stato molto in pena, molto in pena, per te.” I suoi occhi si posano nei miei. “Puoi perdonarmi?”
Si, mia figlia ha ereditato i suoi occhi. Non solo nella fierezza, ma anche nella dignità e nella saggezza.
“Signore, non posso negare di avervi odiato. E per lunghe notti, quand’ero in prigione, vi ho maledetto senza tregua.” Faccio una pausa, lui mi osserva, impassibile. “Poi, lentamente, ho compreso le vostre ragioni. Avete fatto ciò che in quel momento vi è sembrata l’unica soluzione. Perché amate Oscar sopra ogni cosa.”
“Si, è così, Andrè. Amo questa figlia più di quanto mi abbia dato il Signore Iddio nella vita.”
Annuisco.
“Voglio che sappiate che anch’io amo Oscar più di ogni cosa. Più della mia stessa vita. E adesso…Adesso che anch’io sono un padre, riesco anche a comprendere meglio le vostre ragioni. E vi perdono.”
“Voglio che tu sappia che ti ho sempre considerato come un figlio, Andrè.” Fa una pausa “Hai coraggio e umiltà. Sarai un buon padre.”
Sbatto le palpebre. Qualcosa pizzica all’angolo del mio occhio sinistro.
“Grazie, signore.”
“Vieni, rientriamo. Voglio conoscere mia nipote…Ah, Andrè?”
“Si, signore?”
“Sono lieto che la gamba sia salva. Era in condizioni talmente pietose, quando ti ho trovato, che ho avuto paura non ce l’avresti fatta a conservarla. Devo ammettere che le suore sanno il fatto loro però.”

Quando rientriamo nella stanza devo avere uno sguardo talmente stupefatto che mi lanci un’occhiata allarmata, ma subito la tua fronte si distende.
Tuo padre mi precede, sembra si sia tolto un grosso peso dal cuore.
“Posso vedere mio nipote?” Esclama rivolto a Nanny, che ha ripreso la bambina dalle mani della Regina la quale, seduta sulla poltrona che ho occupato questa notte, sta snocciolando una lunga serie di aneddoti e pettegolezzi su quanto accaduto a corte durante la tua assenza senza mai prendere fiato.
Il riso si gela sulle labbra della nonna.
“Vorrete dire, vostra nipote, conte…vero?”
“E io cos’ho detto? Mio nipote, dico bene, no?”
Il silenzio cala sui presenti, interrotto solo dal placido ronzio di una coppia di mosche.
“Non sapete proprio stare allo scherzo.” Conclude il Generale con un accenno di sorriso. “Datemi la bambina, Nanny.”
Victoire viene posata tra le braccia del nonno e lo osserva con una smorfia, mentre tutti tratteniamo il respiro.
E’ una guerra tra Titani.
Poi le rughe sulla fronte di tuo padre si distendono mentre con un dito le sfiora piano una guancia.
“Le donne saranno la mia rovina. Ma è una splendida bambina, Oscar. Le mie congratulazioni. Anche se…” Il suo sguardo pare corrucciarsi. Gli occhi si stringono. “Diavolo, non vi sembra che somigli alla prozia Adeline?”


Nota dell’autore
Un capitolo decisamente leggero ed ottimista. Volevo farmi perdonare tutti i drammi passatiXD
Sfora indiscutibilmente la flashfic, ma mi dispiaceva spezzarlo in due, così l’ho caricato intero^^ Spero che vorrete farmi sapere le vostre, sempre apprezzatissime, impressioni.
A questa storia manca ormai solo l’epilogo, che conto di caricare a breve…
Un doveroso grazie, come sempre, a tutte le splendide parole che avete avuto fin’ora per me. Non penso di meritare tanto, ma grazie. Davvero grazie.
  
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