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Autore: Breed 107    11/05/2006    10 recensioni
Lei è una schiava, la sua schiava... lui è un principe, il suo padrone. Due vite che si incontrano, due destini che si intrecciano... Capitoli dal 1° all'11° revisionati
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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It takes me higher

di Breed 107

 

Capitolo decimo.

Era il momento del giorno che preferiva. Quando il sole non era ancora sorto eppure la luce dominava il cielo, quello spazio apparentemente infinito tra il sonno ed il risveglio del mondo… quando tutto era pace e il tempo era suo, completamente e totalmente suo.

Seduta a terra, la schiena poggiata alla sponda laterale del letto del suo padrone, Akane assaporava quei minuti con animo placato. Indossava ancora la leggera veste da notte; i piedi erano scalzi, incrociati sotto di lei a saggiare la concretezza del pavimento a ricordarle d’essere ancora lì, sulla terra, nonostante la luce che la circondava sembrava esser perfetta per la sua concezione di paradiso.

I capelli le ricadevano sulle spalle, abbandonati come un lucente manto e ribelli per non esser stati ancora addomesticati dalla spazzola; la loro lucentezza sembrava voler gareggiare con quell’impareggiabile luce, mentre il colore cupo risaltava ferocemente sulla pelle candida.

Il momento stava per finire; aveva imparato a riconoscere i segni di quando quell’attimo purissimo stava per sfumare e trasformarsi in una giornata uguale alle altre, a quelle che l’avevano preceduta e probabilmente a quelle che l’avrebbero seguita, chissà fino a quando…

Gli occhi color caramello tentavano vanamente di catturare le amate sfumature indefinite della luce per trattenerle, per godere ancora del senso di pace che le rimandavano, ma ormai la luminosità già cambiava, rinvigoriva indorandosi per i raggi del sole che avevano ormai superato la barriera dello stretto orizzonte costituito dalle mura del palazzo. Il giorno a gran voce reclamava il suo tempo ed Akane sapeva che fin troppo presto avrebbe dovuto lasciare quel giaciglio momentaneo poiché anche la vita avrebbe reclamato la sua attenzione con i suoi ritmi cadenzati, le sue abitudini, i suoi piccoli gesti che avevano avuto il tempo di trasformarsi in riti.

Quell’ultimo pensiero, fugace come la bellezza dell’alba, la portò ad aggrottare le ciglia… Riti? Possibile che la sua vita tra quelle mura fosse già diventata abitudine? Era assurdo… Viveva lì da così poco, così poco…

Due mesi, giorno più o giorno meno…

Due mesi che erano stati caratterizzati dalla vita più normale che avesse mai condotto e che anche quel giorno, c’era da aspettarselo, avrebbe presentato il solito copione: presto il suo padrone si sarebbe svegliato, avrebbero fatto colazione insieme, parlando il meno possibile di tecniche di combattimento, di insegnamenti marziali e chissà, forse di qualche altra cosa, se lui fosse stato di buon umore… e se lo fosse stata anche lei. Non lo sapeva ancora, non aveva ancora piena coscienza di quale sarebbe stato il risultato di quelle elucubrazioni…

Dopo colazione avrebbe raggiunto la principessa per allenarsi con lei, o forse per studiare l’etichetta se la regina Nodoka la sera prima si fosse lamentata dell’educazione della ragazza… E poi via, in un susseguirsi di gesti, parole, inchini… insomma, la vita… Avrebbe lottato quel giorno come sempre, chiacchierato con Sayuri ed Obaba, o avrebbe accompagnato la Regina nella sua passeggiata pomeridiana per il piccolo giardino dalle aiuole magnifiche…

Un lieve tremito percorse le labbra di Akane a quel pensiero: quello era il momento peggiore della giornata. E non perché la sovrana non fosse adorabile, anzi, proprio la sua dolcezza così innocente ed ingenua la terrorizzava più di tutto… A volte quell’atmosfera di materna amabilità la riduceva sull’orlo delle lacrime, al pensiero di ciò che avrebbe potuto essere e non era: quando Nodoka le parlava con grazia e trasporto, come non chiedersi se anche la propria madre le avrebbe trasmesso quel senso di pace profonda? Forse anche sua madre avrebbe amato passeggiare con lei e raccontarle del significato dei fiori, oppure avrebbe ridacchiato ai pettegolezzi di corte di cui magari sarebbe stata una famelica ascoltatrice pur abiurando, a parole, tale civettuola abitudine?

Mille domande assalivano Akane e mille pensieri le si affollavano in testa quando si trovava con la madre del principe, tanto che doleva ammetterlo, ritrovarsi la sera a cena sola con lui era quasi un sollievo.

Di solito litigavano, cioè… lui la stuzzicava divertendosi un mondo a vederla irritarsi e lottare contro la voglia di malmenarlo, storcendo appena il naso al sentirsi chiamare signore con la solita ironia.

Non sempre il ragazzo restava con lei per cenare, spesso doveva raggiungere i suoi per non suscitare l’ira del padre, ma faceva sempre in modo di rientrare presto nelle sue stanze, così da poter ancora scambiare qualche chiacchiera con lei. Akane aveva da tempo ormai la sensazione che come la propria, anche la vita del principe a volte gli andasse stretta e forse litigare con lei era come ritrovarsi in un posto più ampio dove allargare le braccia e respirare più profondamente. Strano ragazzo, quel principe…

Due mesi… due mesi da quando nello spiazzo nel bosco il principe aveva imparato la tecnica del Dragone in un modo che lei ancora definiva fortunoso… due mesi da quando era stata impunemente usata come posta in palio in una sfida tra parenti. Eppure Akane non era offesa al ricordo, non lo era stata nemmeno allora… In verità era accaduto così in fretta da non averle dato il tempo d’arrabbiarsi per bene.

Quel giorno per la prima volta Akane aveva però provato un’emozione nuova. Un sentimento sconvolgente ed innaturale, almeno per lei. Quando il suo padrone l’aveva guardata negli occhi da vincitore e con voce sicura aveva affermato che non avrebbe permesso a se stesso una sconfitta, Akane aveva come scoperto la posizione del proprio cuore. Non sapeva come altro trasformare in parole quel sentimento invero indescrivibile che aveva provato.

Proprio il cuore le aveva battuto come un forsennato sotto lo sguardo ceruleo di lui, si era stretto al suono di quelle parole altisonanti e forse un tantino teatrali… beh, anche più di un tantino, ma lui era fatto così. Esagerato in ogni aspetto del suo essere, nell’arroganza, nella sicurezza in sé, nell’orgoglio che quel giorno l’aveva spinto a vincere una sfida per il gusto di non perderla.

Akane non si faceva illusioni: il principe mal avrebbe sopportato l’umiliazione di perdere contro Ryoga, il cugino perennemente sconfitto, colui che era destinato ad esser battuto ogni giorno che le divinità inviavano in terra almeno nella concezione dell’erede al trono. Lei non c’entrava nulla, anzi, più e più volte il ragazzo si era lamentato nei giorni successivi di non aver colto l’occasione per liberarsi della sua personale piaga, di questa schiava sgraziata e null’affatto femminile. Quante volte le aveva ripetuto che avrebbe fatto meglio a perdere? Ne aveva perso il conto…

Ed Akane era ancora lì, dopo tutto quel tempo, a chiedersi perché fosse sollevata al pensiero che avesse vinto.

Ryoga sarebbe stato un padrone gentile, certo più gentile di quell’arrogante; l’avrebbe trattata con maggior riguardo e di certo non l’avrebbe apostrofata con epiteti che la facevano infuriare. Se fosse stata la schiava di Ryoga a quel punto forse sarebbe stata già liberata… Eppure nonostante tutto ciò, Akane era lieta che le cose quel giorno non fossero cambiate. Forse che dentro di lei si nascondesse una natura masochista?

Sorrise al pensiero, inclinando il capo e spostando lo sguardo al soffitto dove lo fece vagare. Già, forse lo era davvero… o forse la verità era che per quanto detestabile potesse essere il principe, solo con lui poteva permettersi di esser se stessa, seppur brevemente: quando litigavano Akane era veramente se stessa, quasi più di quanto lo fosse con Obaba. Forse anche per lei le loro liti erano come uno spazio ampio dove agitare le braccia…

Inspirò a fondo, notando che l’aria andava rapidamente riscaldandosi, l’estate era nel suo pieno rigoglio. Se stessa… Chi fosse nel profondo del proprio cuore Akane ancora non lo sapeva con certezza, poteva giusto intuirlo.

Lo sgraziato maschiaccio dal temperamento violento che faceva scattare la lingua per offendere, e nemmeno tanto velatamente, il proprio padrone… Per ora era quella la veste in cui si ritrovava più a proprio agio, per quanto assurdo fosse. O per lo meno era la veste che la vita in quel posto stava cucendole addosso, ma sarebbe stato insultante per se stessa limitarsi a questo.

Era qualcosa in più, qualcuno di più, lei! Era come quella luce, ricca di più sfumature di quante se ne vedessero! E di certo…

Buuu!”

L’urlo spaventato di Akane lacerò la quiete del mattino. Terrorizzata e con i pensieri ormai in disordine, la giovane scattò in piedi, cozzando violentemente contro qualcosa di duro… che a sua volta gridò, un Ahi!di dolore.

Ormai ritta sulle gambe tremanti, la schiava si volse verso il letto, le mani per istinto poggiate sulla sommità del capo dove la fitta per l’urto andava dilatandosi in onde dolenti. Attraverso gli occhi velati di lacrime, osservò il proprio padrone tenersi il mento, mentre era ancora sdraiato sul letto, sul viso un’espressione non meno sofferta di quella che doveva aver anche lei.

Ranma imprecò più volte, massaggiandosi il punto dove la testaccia dura lo aveva beccato; la fulminò con lo sguardo, pronto ad aggredirla verbalmente per aver reagito da bimbetta impaurita ad uno scherzo innocente, ma osservando la sua espressione sofferente, si placò. “Ci spaventiamo per un nonnulla, eh?” borbottò, mettendosi seduto e continuando ad accarezzarsi il mento.

Cosa?! Ma… ma… mi ha terrorizzato! Ero soprappensiero e lei…”

Tsé, artista marziale dei miei stivali! Ti ho potuta osservare per un pezzo prima di urlare, se fossi stato un nemico a quest’ora saresti morta!”

Lui era il suo unico nemico adesso! Razza d’imbecille! Averle rovinato così impunemente l’unico momento della giornata tutto suo era imperdonabile, senza contare il dolore alla testa dove certo sarebbe spuntato un bernoccolo eccellente, tutto a causa di quella trovata balorda!

E poi… non dovevano essere pensieri molto allegri, i tuoi, a giudicare dall’espressione della faccia…” mormorò Ranma dandole le spalle.

Akane restò interdetta a tali parole, confusa sulle reali intenzioni di quel ragazzo che sempre più sfuggiva ad ogni sua capacità di analisi. Che l’avesse spaventata per distrarla da quelli che riteneva fossero pensieri angosciosi?

Non era la prima volta che scopriva in lui un aspetto gentile, sovente nascosto dietro atteggiamenti irritanti. Da quando dividevano la camera, si era più volte chiesta se anche lui, quell’essere indefinito, possedesse più sfumature di quante ne mostrasse per timidezza.

Ora la stava guardando con la coda dell’occhio, in attesa di una reazione… Il sospetto che dietro quello scherzo idiota ci fosse la volontà di arrecarle un beneficio si rafforzò in lei che sorrise, non potendoselo impedire. “Sto bene… davvero” gli disse, lasciando scivolare la mani lungo il corpo. Il sorriso divenne più dolce quando Ranma si volse a guardarla dritto in faccia, un po’ perplesso. Probabilmente aveva compreso che dietro quelle parole vi fosse la risposta alla domanda implicita che voleva porle.

Era vero che l’aveva osservata.

Si era svegliato prima di quanto previsto e non vedendola coricata sui soliti cuscini, l’aveva cercata con lo sguardo; sapeva che si svegliava molto prima di lui ogni mattino, ma si era sempre chiesto che facesse mentre aspettava che anche lui si destasse…

Era stato un po’ sorpreso di vederla lì, poggiata alla fiancata del proprio letto. Probabilmente le piaceva guardare il cielo e da quel punto poteva farlo agevolmente… Di soppiatto le si era avvicinato, sporgendo appena il capo oltre il soffice materasso, ma la cautela con cui s’era mosso era stata inutile: era troppo distratta… Ne aveva osservato il bel profilo serio, fin troppo serio, anzi; teneva le sopracciglia aggrottate e le labbra appena schiuse erano state attraversate da un lieve tremito, mentre il resto del suo corpo sembrava pietrificato.

Era infelice? Triste? A cosa pensava? A chi?…

A Ranma non piaceva ammetterlo, ma una risposta affermativa alle prime domande aveva il potere di turbarlo, e molto. Preferiva di gran lunga vederla in preda alla rabbia, preferiva osservare i suoi grandi occhi accendersi per le fiamme dell’ira piuttosto che languire, velati dalla tristezza. E così aveva deciso di riportarla, a modo suo, in quella stanza. Di riportarla da lui…

Aveva agito d’istinto come sempre e alla fine c’era riuscito… certo, ne aveva guadagnato una gran botta, ma forse ne era valsa la pena se ora lei gli sorrideva. Era tanto carina quando sorrideva, quando sorrideva a lui…

L’imbarazzo che subito sovvenne per quel pensiero lo fece arrossire di colpo e, allarmato, scattò in piedi ridandole le spalle. “Io invece mi sento come se avessi appena urtato contro un muro! Hai la testa più dura di quel cretino di Ryoga!” l’apostrofò, facendo quello in cui privilegiava subito dopo le arti marziali: rovinare ogni bel momento che si creava tra loro. Era davvero un maestro in questo!

Spinto dal panico e dall’impaccio, riusciva sempre a trovare le parole per farla infuriare, anche se bisognava ammettere che il carattere non proprio docile di Akane gli facilitava il compito. Anche quella volta naturalmente fu così: il bel sorriso svanì per far posto ad una smorfia irritata e la voce perse la dolcezza che per poco l’aveva ammorbidita.

“La prossima volta che mi spaventerà allora la colpirò con qualche altra parte del corpo, come un pugno… sono certa lo troverà più morbido ed adatto alla sua regale faccia, padrone!”

Ranma sparì oltre la porta del bagno ridacchiando tra sé e sé.

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Quando ne uscì, l’umore di Akane non era molto migliorato; ritta davanti al piccolo tavolino dove consumavano gran parte dei loro pasti, praticamente lo linciò con lo sguardo più cattivo del suo repertorio di occhiatacce, ma vi era così avvezzo ormai da non farci più caso.

“Oggi farò colazione qui – le comunicò mentre finiva di allacciare il colletto della blusa completamente bianca che aveva scelto quella mattina – puoi usare il bagno mentre do gli ordini necessari.”

Akane si limitò ad annuire con il capo; sapeva che quello significava restare lì con lui. Era come un ordine, sebbene lui non l’avesse mai concretizzato a parole, ma ogni qualvolta decideva di non voler dividere i pasti con la sua famiglia, soprattutto a causa del padre, la diretta conseguenza era che lei restasse lì invece di unirsi alle altre schiave. Non gliel’aveva mai ordinato, per l’appunto, né chiesto come favore personale e d’altro canto non l’aveva mai allontanata… Akane pensò che anche quello fosse un rito ormai consolidato nella propria esistenza.

Stava per raggiungere la piccola sala da bagno, quando all’improvviso una saetta dai capelli ramati attraversò le pesanti porte della stanza aperte di colpo, richiamando a gran voce il nome del ragazzo. Ranma né Akane furono sorpresi da quell’ingresso alquanto irruente della principessa: erano ormai assuefatti alle sue entrate trionfali, come le definiva ironicamente suo fratello. Quel giorno però vi era qualcosa di diverso nella ragazzina che attirò subito l’attenzione degli altri due: sembrava sconvolta ed agitata. Indossava ancora la camicia da notte e quel particolare unito al fatto che i suoi capelli fossero alquanto scompigliati dava l’impressione che dovesse essersi precipitata lì appena uscita dal letto.

“Ranko, che succede?” chiese Ranma sinceramente preoccupato: non era uno spettacolo solito vederla in tali condizioni. Quando lei lo guardò, si rese conto che era sul punto di piangere.

“Nostro padre è un mostro!” urlò la ragazza per tutta risposta, il viso arrossato e i pugni stretti tremanti. Le lacrime che tratteneva a stento erano quindi di rabbia, pensò Ranma tutto sommato sollevato. In fin dei conti le liti con il sovrano non erano una sua esclusiva prerogativa e nonostante la piccola Ranko fosse la prediletta dei genitori, il suo carattere impossibile sovente si scontrava con quello rigido del capo famiglia.

Sospirando, il ragazzo si precipitò a chiudere l’uscio, non volendo offrire altro spettacolo ai vari occhi curiosi che affollavano il corridoio… pensò a quanto già ne doveva aver offerto sua sorella correndo da lui in camicia e a piedi nudi.

Che ha detto? Ti ha impedito di nuovo di allenarti con Akane?” le chiese con voce annoiata, ritornando poi a guardarla. Di solito era quello il motivo principale delle furiose litigate tra padre e figlia, entrambi s’intestardivano sulle proprie posizioni cocciutamente, anche se di solito Ranko riusciva a disobbedire a Genma senza molti problemi.

La ragazza scosse il capo e di colpo perse tutta l’animosità che l’aveva spinta fin là; si avvicinò al letto ancora in disordine e vi si lasciò cadere, come priva di forze. Si morse il labbro inferiore, mentre gli occhi vagavano incerti, probabilmente cercando le parole giuste per spiegare quanto accaduto. La videro sospirare, più calma, ma notevolmente più rattristata. “Il mio fidanzato è morto…” mormorò infine, poggiando entrambe le mani sulle ginocchia.

Akane spalancò gli occhi e solerte le si avvicinò, pronta a darle conforto “Oh, sua grazia… mi spiace, deve essere un gran dolore per lei!”

Ranko corrugò le sopracciglia fin quasi ad unirle, osservando l’altra ragazza con stupore, poi tornò a scuotere il capo. “Non lo conoscevo nemmeno… Tutto quel che so di lui è che era un principe di non so dove – spiegò – L’ho visto solo in ritratto…”

Akane batté le palpebre, confusa. Con tutta evidenza per la principessa, la cattiva sorte del futuro marito non era esattamente causa di sofferenza. Lanciò un’occhiata a Ranma che non sembrava stupito “Cosa ha detto nostro padre?”

Che vuoi che abbia detto? E’ venuto nelle mie stanze per darmi la notizia che il sole non era ancora sorto e poi, come se nulla fosse, mi ha detto di non preoccuparmi, di aver già pensato a come risolvere la situazione. Non più tardi di oggi pomeriggio una sua missiva partirà per il regno di Riujenzawa, pare che il futuro erede al trono non abbia ancora una fidanzata e vista le condizioni di salute di suo nonno, l’attuale sovrano, vi sia una certa urgenza affinché si sposi… Ci pensi, fratello? Il mio fidanzato non è stato ancora sepolto, che nostro padre me ne ha già trovato un altro, naturalmente senza chiedere il mio parere!”

Ranma osservò il viso indignato di sua sorella, dispiaciuto per lei, ma affatto sorpreso. Nemmeno lei avrebbe dovuto esserlo: fin da bambini ad entrambi era stato detto e ripetuto quale fosse il loro compito, vale a dire il bene e la sopravvivenza del casato. Sposare uno sconosciuto faceva parte di questo compito… ma né lui, né Ranko avevano accettato simili imposizioni passivamente.

Il principe spostò lo sguardo su Akane, ora seduta accanto all’altra ragazza… Lei non era stata forse la sua più grande ribellione, fino a quel momento? Non passava giorno in cui suo padre non gli ordinasse di disfarsene, di lasciarla a chi era stata destinata in principio, ma Ranma non aveva intenzione di cedere su di lei, il vecchio poteva minacciare e urlare quanto voleva...

La situazione di sua sorella era però molto più complessa: se il re era bene o male disposto a tollerare che suo figlio dividesse la propria camera con una schiava, non poteva certo permettere che Ranko gli disubbidisse su una questione così vitale come un matrimonio di stato. Erano in gioco alleanze importanti e l’amicizia di altri regni era vitale per Solaris, soprattutto in un periodo così contrastato: Nerima era ancora un possibile nemico, nonostante non fosse più il regno florido e potente di un tempo. L’arroganza e la brama di potere del suo Reggente erano una minaccia troppo incombente per ignorarla e la corsa ad alleanze sempre più solide valeva ogni sacrificio, persino il consegnare la propria amatissima figlia in sposa a degli estranei.

“Non ha un briciolo di cuore! Non può impormi chi sposare, non è giusto! Nonno Happosai non l’ha fatto con lui, non gli ha ordinato di sposare nostra madre ed il regno è sopravvissuto!” protestò Ranko, riacquistando parte della rabbia di prima.

“A nostro nonno non importava granché del futuro del nostro regno…” commentò saggio Ranma, beccandosi per quello un’occhiata furiosa della sorella.

“Gli dai ragione?! TU?!” domandò esterrefatta: si era recata lì proprio perché credeva che suo fratello l’avrebbe appoggiata, come ogni qualvolta c’era da opporsi a Genma.

“Non ho detto questo, calma, però non capisco perché tu sia tanto arrabbiata. Cosa cambia a questo punto? Anche il precedente fidanzato ti era estraneo…”

Akane non avrebbe mai voluto prenderlo a calci come in quel momento! Possibile che non comprendesse i sentimenti della ragazzina? Era talmente evidente che il cuore di Ranko appartenesse già a qualcuno! Che il suo stesso fratello non se ne fosse reso conto? Probabilmente no, insensibile com’era…

Ad Akane quel sentimento era parso evidente fin quasi da subito. L’atteggiamento ostile di Ranko non era che una cortina, un tentativo goffo di mascherare il proprio amore per timidezza, forse, ma più presumibilmente per paura di esser rifiutata. L’altero capitano delle guardie reali continuava ostinatamente a considerarla una mocciosetta e a trattarla di conseguenza, Akane poteva solo immaginare quanto doloroso fosse un simile atteggiamento per la ragazza!

Se Taro fosse consapevole o meno d’esser l’oggetto delle attenzioni della sua principessa, Akane lo ignorava. Quell’uomo era criptico in maniera irritante, era impossibile comprendere a pieno cosa pensasse… ogni qualvolta il suo sguardo freddo ed imperturbabile si posava su di lei, istintivamente si sentiva irrigidire per il disagio: sembrava che quelle due iridi ti attraversassero ogni volta, scrutandoti e leggendo la tua anima.

Cosa cambia?! Tutto cambia! Potrei finire in sposa a questo tipo prima ancora che l’anno finisca, ecco cosa cambia! – Ranko si alzò di scatto dal letto per fronteggiare suo fratello – Se il re di Riujenzawa è davvero malato, il suo successore dovrà esser pronto a prendere il suo posto e questo vuol dire che dovrà sposarsi presto! Ed io non potrò mai realizzare il mio sogno! Mai!”

“Non diventeresti un’amazzone nemmeno se non ti sposassi… e lo sai. E’ venuto il momento che tu la smetta di illuderti.”

Ma la maestra Obaba mi sta allenando e…”

“La maestra Obaba non ti ha accettato come sua allieva, pur allenandoti. Non può e non vuole fare di te un’amazzone, più volte ha cercato di fartelo capire e sarebbe ora che lo accettassi.”

Akane abbassò lo sguardo nel sentire quelle parole dure di Ranma… dure, ma vere. Era chiaro che la maestra non avrebbe fatto della principessa un’amazzone, nonostante lei avesse mostrato talento e predisposizione per le arti marziali più di ogni altra donna avesse mai incontrato prima.

Le motivazioni che erano dietro al sogno della giovane avevano fatto propendere Obaba per la scelta di non accettarla come allieva; Ranko voleva essere un’amazzone per amore, ma proprio questo sentimento sarebbe stato il primo prezzo da pagare per la sua vita da guerriera.

“Stai dicendo che devo rassegnarmi? E’ questo che vuoi dirmi fratello?” la voce tremante di Ranko, resa insicura dalle lacrime, strappò la schiava a quei pensieri.

La ragazza era ancora dinanzi a Ranma, a capo chino. La lotta contro il pianto ora era così evidente che Akane si sentì il cuore stringere per lo sconforto ed anche il principe dovette provare lo stesso a giudicare dalla sua espressione. Con un affetto che quasi mai manifestava per la sua pestifera sorellina, le carezzò il capo fulvo e le parlò con quanta dolcezza potesse.

“Tu non sai cos’è la rassegnazione Ranko… Sei molto più testarda di me o di nostro padre, il che è tutto un dire! Non sai ancora se il principe di Riujenzawa acconsentirà a questo matrimonio, chi può dirlo? Magari le voci sul tuo carattere impossibile sono giunte fin là e quel poveretto ci penserà due volte prima di prenderti come moglie, se ci tiene alla tranquillità del suo piccolo regno…”

“Non devi mica farmi dei complimenti solo perché sto piangendo…” borbottò lei, anche se un piccolo sorriso si fece largo sul broncio del viso.

“Le ho detto di essere testarda e di avere un carattere impossibile, a te pare che le abbia fatto dei complimenti, Akane? Avanti, smettila di tirare su con il naso e vatti a rendere presentabile, o a nostra madre verrà un colpo vedendoti a tavola in questo stato così poco femminile.

Stavolta Ranko rise apertamente e asciugò gli occhi umidi con un braccio, con un gesto che parve molto tenero ed infantile agli occhi del fratello “Lo immagino… Tu cosa fai fratello? Resti qui a fare colazione?”

Ranma annuì “Sì, avevo già deciso di stare alla larga da nostro padre ed ora poi ne sono ancora più convinto, visto che grazie a te sarà d’umore ancora più insopportabile.”

Se è questo che ti preoccupa, allora sta’ tranquillo. Il nostro sommo sovrano è rinchiuso nel suo studio a redigere la convincente missiva con la quale mi concederà in sposa e pare ne avrà per un bel pezzo, quindi la sua amabile presenza a colazione ci sarà risparmiata” spiegò la ragazza alternando alcune smorfie significative alle proprie ironiche parole.

“Oh, davvero? – rapidi gli occhi blu si posarono su Akane, soffermandosi su di lei per un lungo istante – Non importa, farò comunque colazione qui… Non si sa mai che finisse prima del previsto, non ci tengo a che si sfoghi su di me!”

“Mmm, sul serio? O piuttosto non vuoi lasciare Akane? Proprio oggi poi che è il vostro anniversario…”

“Che cosa?!” esclamarono all’unisono il principe e la schiava, così sorpresi da non aver nemmeno il tempo di arrossire.

Ranko li guardò a turno, stupita a sua volta. “Ma come, non lo ricordate? Sono due mesi esatti oggi che Akane è qui a palazzo! In questi casi si dice comunque anniversario o si dovrebbe usare l’espressione mesiversario? Mmm, non mi pare suoni molto bene…”

Ad Akane non importava granché quale fosse la formula più adatta e corretta ad esprimere il concetto. Sapeva benissimo da quanto tempo si trovava lì, proprio quella mattina ci aveva riflettuto prima che l’idiota del suo padrone la spaventasse a morte, solo che fino a quando Ranko non lo aveva sottolineato, il tutto le era parso, come dire… meno ufficiale. E poi il fatto che la ragazza suggerisse sotto sotto una qualsiasi sorta di festeggiamento privato tra loro due era imbarazzante da morire!

“Due mesi? Accidenti… mi sembra che tu stia qui dentro da molto più tempo: ho come l’impressione di sopportarti da una vita!”

Per fortuna la gentilezza del padrone sapeva sempre venirle in soccorso nei momenti più imbarazzanti…

Quando Ranko lasciò la stanza, l’eco delle loro voci accese la scortò per un pezzo: entrambi facevano a gara a chi fosse sembrata più lunga e causa di sofferenza quella convivenza.

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Genma si grattò il capo liscio e lucido nella luce del sole ormai sorto. Guardò la lettera che aveva appena finito di scrivere e ne fu soddisfatto.

Sorridendo tra sé e sé, ripensò ad un’altra lettera scritta poco meno di due mesi prima. Sperava che anche in questo caso la risposta sarebbe stata altrettanto positiva.

Il messaggero allora era tornato a palazzo dopo soli dieci giorni, era stato davvero rapido e a giudicare dai toni entusiastici della risposta, anche molto accorto. Contento, il Re aveva chiesto a Taro di ricompensare il soldato così capace, pur non spiegandogli il perché; per fortuna il capitano non era un uomo da molte parole e non aveva fatto domande.

Era andato tutto incredibilmente bene! Nessuno aveva scoperto nulla, nemmeno Nodoka…

Genma si guardò in giro, scrutando il suo studio in ogni angolo per accertarsi di esser solo, poi con cautela lasciò lo scrittoio e si avvicinò al camino alle sue spalle, naturalmente spento in quella stagione afosa. Un ultimo sguardo circospetto alle spalle e poi, con rapidità, infilò la mano su per la grande cappa e ne frugò a tentoni la superficie, fino a trovare il mattone smosso che cercava. Lo scostò e con destrezza estrasse il plico nascosto dietro.

Quando lo ebbe tra le mani, lo soppesò un istante, con un sorriso ancor più beato, lo srotolò e lo lesse per l’ennesima volta e, come tutte le volte precedenti, il solo mormorare quelle parole vergate con una grafia ordinata e semplice lo colmò di soddisfazione.

Era incredibile che il destino dei suoi figlioli si dipanasse attraverso due semplici lettere! Quella che aveva appena scritto avrebbe garantito un matrimonio vantaggioso per quella scapestrata di Ranko, mentre quella che ora giaceva tra le sue mani stabiliva il futuro di Ranma.

Sposato all’unica figlia del Re del regno di Kuonji, unica figlia quindi unica erede…

Che potenza avrebbero formato una volta uniti i due regni! A quel punto anche l’alleanza con il regno di Gea messa tanto a repentaglio dal colpo di testa di suo figlio diventava inutile… Che il Reggente di Nerima continuasse pure a minacciarlo, con l’appoggio ormai garantito di Kuonji e con quello imminente di Riujenzawa, la cosa non aveva la ben che minima rilevanza.

Rilesse ancora la lettera del sovrano di Kuonji, nella quale si garantiva la più ampia compiacenza per il matrimonio dei due eredi. Anzi, il sovrano rassicurava che la piccola Ukyo era letteralmente impaziente di convolare a nozze con il virtuoso e certo valoroso giovane Saotome, parole testuali…

Che quest’ultima parte corrispondesse al vero o meno, a Genma non importava: l’approvazione da parte dei giovani promessi non contava in un simile frangente. Che la principessa Ukyo fosse consenziente o che piantasse i piedi e protestasse come Ranko davvero non era affare che lo riguardasse, ciò che contava era il consenso entusiasta del padre della giovane.

Con il sorriso ormai diventato un ghigno, Genma ripose l’amata lettera nel suo nascondiglio e tornò a sedersi allo scrittoio, canticchiando un motivetto allegro tra sé e sé e domandandosi se nella sua proposta di matrimonio dovesse anche scrivere di quanto la sua dolce figliola fosse impaziente di sposare il giovane principe di Riujenzawa, magari prima che giungesse l’inverno…

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“No, no, no! Ragazzo, dov’è la tua concentrazione?!

Le urla di Obaba riempivano l’aria afosa di quel pomeriggio; la maestra era insoddisfatta e il suo bastone roteava minaccioso, preoccupando non poco Ryoga a cui tale insoddisfazione era da imputare.

Da quasi quattro giorni la donna tentava inutilmente di insegnargli una prodigiosa tecnica, anch’essa frutto della millenaria esperienza del suo popolo e che ella aveva ritenuto particolarmente adatta alla struttura fisica del padrone. Già dal duello con il principe infatti la minuscola vecchietta aveva scoperto quanto resistente potesse essere il ragazzo e dopo un lungo periodo di allenamento durante il quale Ryoga aveva rafforzato ulteriormente il suo già poderoso fisico, l’amazzone aveva ritenuto giunto il momento per progredire ed insegnargli la misteriosa tecnica dell’esplosione.

Misteriosa almeno fino a quando quattro giorni prima, sbalordendo tutti i presenti, aveva mostrato loro in cosa consistesse tale prodigio: con il semplice tocco di un dito, l’anziana istitutrice aveva mandato in briciole un masso enorme, senza sforzo apparente per giunta.

Ryoga si era entusiasmato enormemente ed aveva giurato di impegnarsi al massimo per far proprio l’insegnamento di Obaba; persino Ranma ne era stato impressionato e, con un pizzico di invidia, aveva chiesto di poter anche lui imparare. La richiesta era stata gentilmente, ma fermamente rifiutata, con grande soddisfazione di Ryoga.

La rivalità tra i due cugini era notevolmente aumentata nel corso degli ultimi due mesi; la sempre più evidente infatuazione del povero eterno disperso per Akane era diventata motivo di celia continua da parte di Ranma, che sembrava non annoiarsi mai nello stuzzicare l’irritabile cugino, così come quest’ultimo non pareva mai esaurire i motivi per scontrarsi con l’altro. Non c’era avvenimento che lo riguardasse per il quale Ryoga non incolpasse il principe, spesso con fondatezza, ma altre volte risultava chiaro a tutti come i suoi fossero solo semplici pretesti per manifestare la propria gelosia, sentimento che l’arrivo di Akane aveva involontariamente rinvigorito.

L’unica a non essersi resa conto del proprio ruolo in quella sorta di faida familiare era proprio la giovane schiava, la quale da parte sua provava sempre maggior comprensione per Ryoga; conosceva bene infatti quanto irritante potesse essere la tracotanza del proprio padrone e ciò la rendeva istintivamente solidale con il suo sfortunato parente. Sempre più spesso era consueto incontrare i due a parlottare tra loro, a scambiarsi opinioni sui rispettivi allenamenti; Akane aveva persino consigliato più volte il ragazzo su come comportarsi con alcuni esercizi impostigli da Obaba e se questo da un lato colmava il cuore del poveretto di speranza e rinnovato amore, da un lato non faceva che accrescere i motivi di contrasto con Ranma.

Il suddetto principe sogghignò, lanciando solo un’occhiata rapida al cugino inginocchiato nella polvere; l’invidia provata fino a qualche giorno prima per non esser messo a parte della tecnica dell’esplosione era svanita appena aveva scoperto il metodo d’insegnamento… in confronto imparare la tecnica del Dragone era stata una passeggiata!

Per i quattro giorni precedenti e fino a pochi istanti prima, lo sfortunato Ryoga era stato letteralmente legato come un salame e calato giù da un ramo dei tanti alberi che costeggiavano lo spiazzo dove ormai si allenavamo quotidianamente. L’unica sua parte lasciata libera di muoversi era un dito della mano destra e lo stesso dito costituiva l’unica difesa contro il nemico… un masso enorme che la portentosa vecchia aveva ugualmente sospeso a robuste corde e che con forza instancabile scagliava contro il suo riottoso allievo.

Ranma scosse il capo, provando un minimo di pietà per l’altro ragazzo e tornò ad allenarsi con Ranko: come contentino per averli esclusi dalla tecnica dell’esplosione, la maestra amazzone aveva promesso ai due fratelli di insegnar loro un’altra incredibile mossa; non si era dilungata molto in spiegazioni, specificando solo che per metterla in pratica occorreva molta velocità. Così ora i due si allenavano insieme, sfidandosi a chi fosse il più rapido e a Ranma doleva ammettere che sua sorella gli era in pratica alla pari, se non superiore in quel particolare aspetto.

Ryoga scrollò il capo tentando di rischiarare la vista, offuscata dopo l’ennesimo colpo. Non sapeva quante volte avesse già sbattuto contro quell’odioso masso, aveva smesso di contarle, ma sapeva che con quell’ultimo colpo doveva aver superato il centinaio… Era frustrato ed arrabbiato con se stesso, ma anche con la donna che gli sbraitava contro e che chissà come adesso stava concedendogli un attimo di tregua. Con un colpo netto del suo maledetto bastone aveva tranciato la corda che lo teneva sospeso per aria e l’aveva fatto atterrare con un tonfo, dandogli così l’occasione di riprender fiato.

Odiava quell’allenamento, così come detestava dimostrarsi più lento di Ranma… nonostante sia Obaba che Akane gli avessero detto che paragonare le due tecniche era impossibile, lui non poteva evitare di sentirsi inferiore a lui. Ci stava mettendo troppo, maledizione! Eppure faceva tutto quello che la vecchiaccia gli ordinava!

Con sguardo furente levò il capo impolverato verso l’amazzone e quando l’immagine smise di sdoppiarsi dinanzi agli occhi stanchi, la affrontò senza troppi riguardi. “Io sono concentrato!”

Lo era sul serio! Nella sua testa malconcia non vi era spazio che per la tecnica! La voglia di rivalsa contro Ranma era tale da non permettergli di pensare ad altro… o quasi. C’era il pensiero costante ed onnipresente di Akane, ma quello serviva a fargli coraggio, a dargli la forza di continuare nonostante le tremende botte. Non poteva essere quello il motivo per cui non riusciva, impossibile…

Obaba gli stava dicendo qualcosa di rimando, ma lo sguardo del ragazzo era altrove, qualche metro distante da quella fila d’alberi, diretto oltre Ranma e Ranko che continuavano a lottare tra loro, poggiato lì dove rifuggiva ogni qualvolta potesse, su Akane seduta su una delle rocce che costellavano lo spiazzo.

Gli occhi della ragazza erano stranamente sfuggenti quel giorno e Ryoga poté quasi leggervi dentro una grande tristezza… Cosa aveva? Di sicuro Ranma le aveva fatto qualcosa! Il pensiero che quel maledetto dividesse ancora la stessa camera della sua amata gli incendiò l’anima: dannato! Di certo quel porco aveva attentato alla virtù della povera schiava! Per questo lei sembrava così distante quel giorno, così abbattuta, così…

Sbonk!

Ryoga si ritrovò a terra, la testa più dolorante di prima. Pensò che forse il masso gli fosse caduto addosso, ma quando rivolse insù lo sguardo nuovamente annebbiato, un paio di Obaba lo guardavano in cagnesco brandendo l’odiato randello. Non era stato dunque il masso a colpirlo…

“Razza di sciocco! Non mi ascolti nemmeno quando ti parlo, come osi affermare di esser concentrato!” l’orribile arma calò di nuovo e stavolta, per sua fortuna, Ryoga svenne, cadendo bocconi sul terreno.

Sospirando, la vecchia istitutrice si avviò verso Akane che l’accolse con un sorriso mesto e con un otre d’acqua che accettò grata. Urlare contro quel caprone le faceva seccare la gola.

Con uno sbuffo sedette accanto alla ragazza più giovane e mentre beveva con calma, ne osservò il profilo; Ryoga non era l’unico ad essersi accorto dello stato della giovane, anzi, gli occhi esperti di Obaba avevano compreso che non era il principe la causa del malumore, o per lo meno non lo era nel modo in cui aveva creduto il ragazzo appena svenuto.

“Non dovresti esser così dura con lui, Obaba… Il signor Ryoga si sta impegnando seriamente.

“La testa di quel marmocchio è altrove, mia cara. Spero che quando riprenderà i sensi sarà più deciso o perderemo ancora altro tempo” sospirò, dedicando uno sguardo rassegnato al corpo esanime al quale stavano avvicinandosi gli altri due ragazzi, poi tornò a guardare la giovane accanto a sé. “Cosa ti rende tanto ansiosa?” le domandò poi diretta, con voce calma e tranquilla.

Akane si morse le labbra, non provò nemmeno a negare e, dopo un momento d’esitazione, si volse verso la sua maestra e la guardò dritto negli occhi. “Sto perdendo tempo, Obaba…”

“Non capisco, cosa significa?”

Che sto perdendo del tempo prezioso in questo posto! – alzò la voce presa dalla rabbia, poi compì uno sforzo per non urlare e richiamare l'attenzione degli altri – Io sono pronta Obaba, lo sai… non dovrei stare qui a… a guardare gli altri allenarsi, ma dovrei compiere il mio destino, il tempo è giunto!”

Obaba annuì mesta col capo, poi le sue spalle si sollevarono in un sospiro. Il volto segnato dagli anni era come scolpito dalla luce intensa di quel pomeriggio, ogni ruga era come un trofeo alla propria sapienza; le piccole mani invece sembravano voler sfuggire alla pacatezza della vecchiaia e con smania giovanile giocherellavano nervose con il bordo mal cucito dell’otre, unico segno tangibile della tensione che la savia amazzone in quel momento stava provando.

“La tua inesperienza è tale da offuscarti la vista, almeno quanto i miei colpi annebbiano la vista del giovane padrone… Tu non sei pronta, Akane.

“Come puoi saperlo? Come puoi saperlo sul serio?! Obaba io qui… impazzisco! Non voglio più restare in questo posto chiedendomi cosa è successo alla mia famiglia! Ogni minuto, ogni ora che passa il dubbio mi tormenta… Devo scappare, come avevamo progettato fin dal principio…”

Obaba non le rispose subito, ma quando lo fece il tono della sua voce fu aspro ed inclemente; le mani, vivaci fino a quel momento, si fermarono in pugni nervosi “Scappare ora significa consegnarti alla morte e non ti ho allevato affinché tu muoia. Non ti ho istruito per esser così debole e fragile… oltre che bugiarda.

Akane sgranò gli occhi, a tal punto colpita dalle parole della donna da sentirsi stordita. Stupefatta la osservò, gli occhi che si colmavano di pianto senza che potesse evitarlo… Si sentiva tradita, per la prima volta nella vita non aveva l’appoggio di Obaba, anzi, l’ostilità delle sue parole era troppo palese per ignorarla. Deglutì, cercando con molta fatica di ritrovare il fiato serrato dalle lacrime che ormai le stringevano la gola.

“Hai cambiato idea, Obaba? Questo posto ti ha talmente rammollito da non volerlo lasciare! Il fatto che tutti si prostrino ai tuoi piedi riverendoti come una maestra, ti ha fatto dimenticare la promessa che mi hai fatto anni fa?!

“E’ questa dunque tutta la fiducia che riponi in me, Akane. Dici che questo posto mi ha rammollito, ma forse la parola che volevi dire è un’altra: rinvigorito… sì, è vero, esser qui è motivo di gioia per me… non lo nego, io. Puoi tu affermare lo stesso?”

Obaba non ottenne la risposta alla domanda che le aveva posto. Troppo sconvolta e furiosa, Akane si allontanò di corsa, da lei, da quelle parole dolorose, ma soprattutto dai dubbi che esse volevano sollevare nel suo animo inquieto.

Corse a perdifiato tra gli alberi, perdendosi tra essi ed ignorando il richiamo allarmato di Ranko, così come ignorò dove stesse recandosi. In verità non le importava, non quanto allontanarsi il più possibile da Obaba, nel futile tentativo in realtà di fuggire da se stessa. Per quanto corresse infatti le domande dell’amazzone le rimbombavano in testa e, con ancora più accanimento, le risposte facevano lo stesso…

Non si accorse quasi di esser afferrata per un braccio e solo quando fu trascinata contro un albero si avvide di Ranma. La presa sulle braccia era forte, ma non fu per quello che Akane non tentò di divincolarsi e sfuggire; anzi, appena le sue spalle aderirono alla ruvida corteccia, le energie la lasciarono e, completamente sfibrata, abbassò il capo per scoppiare a piangere… Quante volte ancora doveva farlo, accidenti? Quante volte ancora avrebbe pianto?! Era già la seconda volta da quando era giunta in quel posto maledetto…

Ranma osservò la ragazza chinare il capo ed abbandonarsi al pianto con un sentimento molto simile al panico. Che diavolo stava accadendo? Non aveva compreso molto, ma a quanto pareva la lite che la propria schiava aveva avuto con Obaba doveva esser stata terribile quanto breve.

Si era appena avvicinato a Ryoga per accertarsi che stesse bene, più per interessamento di Ranko a dire il vero, quando la voce concitata di Akane gli era giunta all'orecchio; si era voltato verso le due donne sedute troppo distanti per poter comprendere cosa mai dicessero e quando aveva poi deciso di lasciar perdere Ryoga e avvicinarsi a loro, la ragazza si era allontanata come una furia, in lacrime. Sua sorella aveva provato a chiamarla, ma era stata ignorata… Non volendo subire la stessa sorte, lui aveva preferito correrle dietro, ma ora che l’aveva raggiunta e la teneva contro quell’albero, non sapeva più che fare…

Che fosse una giornata non facile per lei, l’aveva capito fin dal mattino, quel suo sguardo volto al cielo era stato inquietante… e le cose poi sembravano esser peggiorate con l’arrivo di Ranko: il battibecco che avevano avuto era stato solo una pallida imitazione di quello che accadeva solitamente e poi si era trasformata in una creatura silenziosa e pensierosa, proprio come quando l’aveva spaventata.

Solo che farle buuu adesso sembrava alquanto inidoneo…

La sentiva tremare sotto le sue mani, la pelle delle braccia era gelida e il pianto così forte da renderle quasi difficile respirare. Non poteva continuare così, si disse allarmato il ragazzo, non avrebbe retto… e anche lui non avrebbe resistito molto a vederla in tali misere condizioni.

“Smettila… avanti, smetti di piangere…” le disse tentando di infondere convinzione nel proprio tono, ma Akane scosse il capo in un cenno di diniego e provò ad allontanarlo debolmente, non riuscendovi. “Allora dimmi cosa ti fa stare così! Ho già consolato una ragazza piangente oggi e ho finito le idee, per cui fammi capire cosa diavolo fare!”

“Mi… mi lasci andare…”

“Oh, lo farei, eccome, ma ti faccio notare che hai sbagliato completamente direzione: di questo passo finirai per addentrarti ancor di più nel bosco e sappi che non è un posto piacevole… Inoltre data la dimestichezza che hai in posti come questi, finiresti con il farti male o peggio nel giro di pochissimo!”

“Mi lasci andare!” replicò di nuovo lei come se non lo avesse sentito, stavolta infondendo maggior forza nella richiesta.

“No! Non posso!” sbottò Ranma, scotendola per le braccia che ancora le teneva. Ed era vero: non poteva. Semplicemente non poteva lasciarla andare…

Akane alzò il viso e lo guardò, le sopracciglia aggrottate sugli occhi ancora colmi di lacrime, alcune delle quali le rigavano le guance pallide. Ranma sospirò e scuotendo il capo la lasciò, certo che comunque ora non avrebbe più provato a scappare, ed infatti lei restò immobile contro l’albero a guardarlo.

Perché mi ha tenuto con sé?”

La voce era così flebile che quasi non la sentì. Ranma non sapeva se la domanda avesse a che fare con lo stato d’animo angosciato della ragazza, ma capì quanto importante fosse per lei poiché aveva smesso di piangere. “Perché non mi ha allontanato dopo aver imparato la tecnica del Dragone?”

“Lo sai perché… Se non ti tengo con me, mio padre ti manderà via.

“Io non le servo, Obaba è l’unica persona che…”

“E’ questo che ti sconvolge, allora? L’essere la mia schiava ti fa così ribrezzo da ridurti in questo stato? Non scuotere la testa, rispondimi!”

Non poteva crederci, non voleva crederci! In tutto quel tempo che l’aveva avuta accanto a sé si era così abituato alla sua presenza, così assuefatto da non pensare a come Akane vivesse quella convivenza forzata. Non si era mai chiesto se lei fosse felice, se lo fosse davvero, perché stupidamente si era illuso che lo fosse a suo fianco… Era una pia illusione, un pensiero egoistico e superficiale, una convinzione che aveva voluto far propria per non dover affrontare seriamente l’aspetto cruciale di quella storia, vale a dire il momento della separazione.

“Fino a quando mi terrà con sé?” gli domandò ancora con animosità, segno della disperata esigenza di sapere.

Solo che Ranma non aveva risposte da darle… o forse l’unica risposta spontanea che aveva era così sconvolgente da non poterla proferire. “Ti terrò con me per… - Akane lo vide esitare, poi distogliere lo sguardo ed allontanarsi da lei di qualche passo – per tutto il tempo necessario. Quando mio padre non insisterà più nel mandarti via, ti allontanerò da me… e allora potrai stare con le altre donne di corte, o con Ranko… Fino a quel momento dovrai farti forza e sopportare la mia presenza, come io sopporto la tua…”

Sopportare la sua presenza? Akane avrebbe voluto gridare di rabbia, ma si limitò a guardarlo, a guardare il suo volto farsi più affilato e più severo. Ora che lo guardava così, che scopriva quanto doloroso fosse perdersi nel suo sguardo oltraggiato, la ragazza finalmente comprese le parole dell’anziana istitutrice: era davvero una bugiarda!

Il vero motivo per cui voleva fuggire poco o nulla aveva a che fare con la missione che si era prefissata fin da bambina. No, il motivo era in quegli occhi blu di cui non reggeva lo sguardo, nel fatto che presto avrebbe scoperto di non odiarli affatto… cosa ne sarebbe stato di lei allora, quando avrebbe capito di non poter fare a meno di tutti loro… di lui?

Si scostò dall’appoggio momentaneo costituito dall’albero e dopo un ultimo sguardo sofferente al proprio padrone, con lentezza ritornò sui propri passi, diretta di nuovo allo spiazzo dove avrebbe chiesto perdono ad Obaba per il proprio comportamento… e poi avrebbe atteso. Non aveva più voglia di sfinirsi con domande e contando i giorni che diventavano mesi, chiedendosi quando sarebbe durata la loro convivenza… non importava, perché comunque, in un modo o nell’altro, era destinata a finire.

Ranma la guardò allontanarsi. Il cuore gli balzava impazzito nel petto, non si era mai sentito così confuso…

Ti terrò con me per… per tutto il tempo necessario… questo le aveva detto, ma non era ciò che avrebbe voluto dire davvero, non erano quelle le parole che gli erano spontaneamente sorte dal cuore e che quasi a fatica aveva taciuto. Con sgomento, il giovane principe si era reso conto che “per sempre” era ciò che avrebbe voluto dirle.

  
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