I giorni e i mesi passarono e la mia voce tornò a
tuonare più forte e potente di prima, ormai libera dal nodulo e grazie alle
lezioni di canto che avevo preso sapevo gestirla molto meglio di prima.
Era diversa dalla mia vecchia voce, ma almeno secondo
il mio parere e quello di altri, era migliore. Ero più potente e graffiante,
forse per qualche strano effetto dell’intervento o per via del fatto che adesso
era finalmente libera.
Erano stati i mesi più brutti della mia vita, in cui
stavo sul palco in silenzio e sentivo Jake cantare al posto mio, ma finalmente
ero tornata più forte di prima e questo mi piaceva parecchio.
Io per prima dovevo prendere l’abitudine alla mia
nuova voce, soprattutto registrata, visto che risuonava del tutto diversa, ma
la preferivo a quella vecchia.
Quando recuperai del tutto le mie facoltà vocali
facemmo una festa in puro stile Sevenfold con un sacco di gente che non
conoscevamo nemmeno, ma fu davvero bello.
Forse di tutto questo, la cosa che mi sorprese di più
furono i fan, perchè scoprii di avere dei fan tutti miei che mi avevano spedito
medicinali e quant’altro. Non me lo aspettavo, proprio per questo mi iscrissi
su twitter (con tanto di link inserito su sito e Myspace officiale) proprio per
loro i cosiddetti Little Obscure.
Li avevo ringraziati in una lunga lettera esprimendo
tutto quello che provavo nei loro riguardi e che mi avevano davvero aiutato nei
momenti peggiori in cui sembrava che la cosa non sarebbe andata avanti.
Caricai anche una foto della mia gola cucita ed era
bello avere gente che non ti conosceva nemmeno, ma che si preoccupata per me.
I
fan, quasi sicuramente, sono la parte migliore dell’essere famosi.
Brian P.O.V.
“Haner! Muoviti! Abbiamo un aereo da prendere!” “Si, un
secondo” c’è da dire che la nuova voce di Cass mi piaceva parecchio. Era più
graffiante sexy di quella di prima e fare l’amore con lei, una volta recuperate
a pieno le facoltà vocali, era stato davvero da brivido. Quella voce mi faceva
eccitare in modo inaudito.
Mi fiondai giù dalle scale e la trovai ad aspettarmi
nel mio salotto, insieme a JD.
“Allora? quanto ci metti?” mi rimproverò, con un mezzo
sorriso “Scusa” la salutai con un bacio, poi mi voltai a salutare JD “Brian,
molla la chitarra, rischia di fare brutta fine” commentò la riccia, quando si
rese conto di quello che avevo in mano, oltre alla valigia “Non posso, l’ho
promesso ad Angie” Cass alzò gli occhi al cielo. “Perché non ti metti con lei?”
“Ci avevo pensato, ma è troppo piccola” “Dai andiamo e muoviti” “Agli ordini, capa!” mi piaceva come
suonava l’italiano, anche se forse sbagliavo qualcosa.
Caricai i miei bagagli sul limone (la chitarra non
entrò nel bagagliai e dovetti metterla vicino a me, sul posto dietro) e poco
dopo partimmo diretti all’aeroporto, alla volta di Roma.
Arrivati dopo non so quante ore a Roma, prendemmo
trovammo Antonio e Mattia ad aspettarci.
Il padre mi metteva soggezione, l’avevo già visto in
web cam, ma quello era il nostro incontro ufficiale. “Piacere, io sono Brian” mi guardò come se fossi un serial killer e
cominciai a bestemmiarmi addosso per aver messo la maglietta maniche corte
(anche se ero abbastanza sicuro che non gli sarei piaciuto nemmeno con un
maglione). “Antonio” “Allora, andiamo?”
disse Cass dopo aver abbracciato sul fratello e suo padre, diretta verso
l’uscita.
Appena arrivati, (dopo aver percorso una strada che
faceva invidia alle montagne russe di Disneyland) andammo a salutare Angie (che
sequestrò la mia chitarra) e Lucia. Dopo aver accompagnato me in albergo,
andammo a portare il regalo di nozze a la spaccapalle troia e al nano insulso (o almeno così li aveva
definita Cass).
Sapevo che era qualcosa d’argento e cristallo e anche
che pesava parecchio, ma non sapevo cosa fosse. Lo aveva preso Cass
“Ma che gli
abbiamo regalato?” dissi mentre andavamo a casa dei quasi sposi.
“E’ un vaso,
Bri. Te l’ho detto” “No, non me l’hai
detto!” “Ok, è un vaso” “Ok, era giusto
per sapere”
La cugina le somigliava parecchio, solo che aveva la
carnagione più scura, i capelli neri e ricci, era alta quanto me e il fisico da
atleta (anche se nemmeno Cass scherzava a muscoli). A suo discapito (oltre
all’altezza spaventosa per una ragazza) aveva un ché di ebete, soprattutto
quando sorrideva e delle spalle che forse erano larghe tipo quanto le mie…
Per quanto riguarda il cosiddetto vaso, io l’avrei più
chiamato ombrelliera: era enorme! Doveva mangiarci una mucca là dentro o cosa?
Era bello si, ma troppo grosso!
“Oh grazie!
Amore, guarda che bello!” il quasi
marito era molto più basso di lei (forse giusto qualcosa in più di Christ) ed
era un tipo alquanto anonimo e che passava parecchio inosservato. Fra tre giorni non avrei più ricordato il suo
viso.
Quello della quasi moglie forse si, visto che mi
guardava come una gatta morta. Era davvero troia come diceva Cass: stai per
sposarti e ci provi col ragazzo di tua cugina, ma fai proprio schifo! Vabbè
parlo io che adesso sto con una delle damigelle della mia ex moglie…
“Grazie! Che
gentili!” disse lei guardando quell’abominio di vaso “Figurati” dissi sorridendo e
intrecciando le dita con quelle della mano di Cass che si voltò a guardarmi un
secondo e mi sorrise.
Quando tornai a guardare Giulia, la cugina, era palese
che sotto la maschera sorridente nascondeva un’angoscia e un’invidia davvero
spaventosa. Anche se i suoi occhi ricordavano molto quelli della cugina più
grande, non erano impenetrabili e illeggibili, anzi era davvero facile capire
cosa pensava, anche per uno come me che non la conosceva per niente.
“Beh, tutto
pronto?” chiese Cass e Giulia
cominciò a parlare e io non capii niente più. Ok che l’italiano mi aveva
affascinato da quando avevo conosciuto Cass molti anni prima, ma non ero mica
un asso!
A stento sapevo qualcosa, figurarsi capire tutto
quello che diceva la spilungona.
Io e Mattia andammo con Pietro che ci portò nel suo
studio. La loro casa doveva essere tipo la metà della mia e Pietro continuava a
vantarsi (in inglese per giunta) sperando in qualche modo di provocarmi invidia
(speranze vane). “Allora Brian, quanto guadagni al mese?” Ma che cazzo di
domande sono? Sembrava un’intervista da quattro soldi e quindi risposi in modo
distaccato e freddo, come quando ci capitava gente che non era proprio molto
capace di metterci a nostro agio.
“Non saprei, guadagno troppo per occuparmene da solo.
Ci pensa il contabile, io vedo solo il mio patrimonio che cresce a dismisura di
giorno in giorno” “Mi sono informato sul tuo gruppo, avete un pubblico davvero
vasto” “Si, riuscire a venire qui è stato quasi un miracolo, siamo davvero
impegnati con il tour” “Ho anche saputo del vostro batterista...” Mattia
fulminò con lo sguardo la nano e io non feci una piega. Brutto bastardo, non mi
ero avventato di lui solo per Cass “Eh si, sono cose che capitano” “Deve essere
stato tremendo…” “Non credo tu possa capire” “No, di certo. Com’è che si
chiamava? Jimmy?” “James, non credo tu fossi abbastanza in confidenza con lui
per poterlo chiamare così, ti pare?” Mattia mi lanciò un occhiata come a dire
“Bel colpo” e Pietro rimase un tantino di sasso.
“Come?” “Jimmy” dissi mettendo una strana enfasi nel
suo nome “si faceva chiamare così solo da amici e fan. Sei per caso un nostro
fan?” dissi incrociando le braccia al petto in segno quasi di sfida.
Quanto mi piaceva mettere in difficoltà chi credeva di
poterci riuscire con me. Spesso lo facevo anche durante le interviste, quando
ci capitavano giornalisti bastardi. Diciamo che facevo finta di essere un
coglione patentato, per poi mettere la gente con le spalle al muro. Quando Cass
se ne era resa conto (tanti anni fa) mi aveva detto che dalle sue parti c’era
un detto sulle persone come me: “Fai il fesso per non andare in guerra” e in
effetti era così. Passare per coglione in modo da stare tranquilli.
Tutta quella cosa sul nome di Jimmy me l’ero inventata
di sana pianta, ma dovevo zittirlo in qualche modo e mi era venuta in mente
quell’emerita stronzata.
“Ah… no. Non sapevo questa cosa” “Non tutto quello che
ci riguarda si può reperire su internet” dissi convinto e tranquillo. “Allora
Pietro, che lavoro fai tu?” dissi sedendomi su una delle sedie imbottite
davanti alla scrivania di legno scuro, pronto per metterlo con le spalle al
muro.
Cass P.O.V.
Giulia mi stava raccontando una serie di aneddoti che
a lei sembravano assurdi, mentre a me sembravano dei normali disguidi che
potevano capitare mentre si organizza un matrimonio.
“Giuls, io
sono abituata a molto peggio” “Tipo?” “Tipo che ci siamo ritrovati a farci da
soli da fonici, farci i chilometri sotto
la pioggia perchè il tour manager si era dimenticato di chiamare la macchina,
microfoni che non funzionavano, concerti annullati quando eravamo dietro le
quinte, pronti per salire sul palco, oppure c’è stata una volta a Los Angeles,
quando facevamo da spalla ad un altro gruppo, in cui io, il mio cantante e il
mio batterista cercavamo il chitarrista e il bassista e loro cercavano noi,
solo che tutti e due avevamo delle macchine non nostre e abbiamo continuato a
girarci intorno per tipo due ore e alla fine ci siamo accorti che la macchina
che ci stava davanti da due ore erano loro perchè si sono fermati a fare
benzina al selfservice e li abbiamo visti. Oppure quando il mio batterista e
inciampato e si è rotto il polso, ma ha continuato il tour col polso rotto,
perchè non potevamo mollare l’altra band senza una spalla” “Wow!” “Si, ne abbiamo
passate davvero di tutti i colori…” a
quel punto entrarono i tre dispersi.
Pietro aveva una sorta di colorito
verdognolo, Brian aveva il suo sorrisetto soddisfatto e Mattia tratteneva a
stento le risate. “Che è successo?”
chiesi curiosa.
Brian venne a sedersi vicino a me e mi sussurrò “Ti
spiego dopo” in inglese.
Dopo più o meno venti minuti, salutammo e c’infilammo
in macchina.
“Allora? Che è successo?” chiesi curiosa “Brian ha
smerdato e distrutto Pietro” disse Mattia ridendo, mentre usciva dal parcheggio
in cui ci eravamo fermati “In che senso?” “Lui ha cominciato a fare domande
strane del tipo quanto guadagno o su Jimmy e io l’ho fatto sentire un coglione
e una merda, rigirando in modo intelligente le domande che provava a farmi e
facendogliene di peggiori” mi tuffai dietro “Ah bravo il mio amore!” “Grazie
tesoro” disse convinto mentre lo baciavo rapidamente.
Brian fu anche invitato al addio al celibato di Pietro
“Ti prego, vietami di andare” mi aveva quasi implorato, dopo la cena a casa dei
miei genitori “Come?” “Quel tizio è una palla!” “Lo metterai in riga come hai
fatto l’altra volta” “Dai usciamo solo noi due, eh?” “Bri, io devo andare
all’addio al nubilato. Vuoi venire con me?” “Si, scoprirò il mio lato gay
ritrovandomi davanti uno spogliarellista vestito da pompiere” “Allora mi
conviene che tu vada con Pietro. Dai ci sarà anche Mattia, non potrà essere
così male…” “Io credo di si….” “Bri, ti chiedo solo una cosa. Non ubriacarti”
lasciò cadere le spalle sconfitto “Si preannuncia una serata molto lunga…” “A
chi lo dici… preferisco te nudo ad un palestrato unto” dissi baciandolo “Oh
grazie…”.
Sorvoliamo sulla serata, che è meglio visto che Brian
tornò in albergo verso le quattro e mi chiamò, mentre io dormivo placidamente
nel mio letto.
“Mmm… Bri?” “Preferivo lo spogliarellista unto”
sorrisi “Mm.. te lo regalo a Natale” “Cass?” “Si, a Natale…” e mi addormentai
di nuovo, con il telefono vicino alla testa.
Brian P.O.V.
Ero davanti allo specchio che mi sistemavo il nodo
della cravatta. Mi ero vestito per bene e passavo quasi per una persona
normale. Avevo un completo nero gessato, la camicia bianca, con delle
sottilissime righe viola (l’avevo presa così per richiamare i capelli di Cass)
e la cravatta nera con degli strani motivi viola.
Cass mi aveva detto che sembravo un becchino, ma che
comunque ci stavo bene. Inizialmente avevo pensato di vestirmi del tutto di
nero, ma poi avevo declinato, visto che si preannunciava un periodo un po’
troppo caldo. Ma quant’è dolce la mia ragazza…
Per l’occasione non avevo nemmeno sparato i capelli,
cosa che invece ero abbastanza sicuro che avrebbe fatto Cass su i suoi. Quel
taglio era davvero strano, ma le stava d’incanto.
Vabbè, a lei sarebbe stato bene di tutto, almeno
secondo me.
Afferrai i miei solito occhiali da sole neri e mi
guardai allo specchio. Si, ero pronto.
Mattia venne a prendermi, già vestito di tutto punto
(quel tizio sembrava quasi una terza montagna Sanders, solo con i capelli neri
di natura) e andammo a casa sua.
Ci sedemmo sul divano e aspettammo che fossero pronti
anche gli altri.
I primi a scendere furono Antonio e Angie che aveva un
vestito crema e blu scuro. Parlammo per un po’ e sembrava intenzionata a non
ridarmi la mia chitarra che, a detta di Mattia, avrei dovuto riprendermi perchè gli
stava rendendo la vita impossibile “Domani vengo qui e suoniamo un po’ insieme,
ok?” dissi facendogli una mezza carezza. Quella bimba era davvero carina e cosa
assurda non mi odiava!
Tutti i bambini mi odiavano, per qualche strano
motivo. Vuoi i tatuaggi o chissà ché, il primo ad urlarmi addosso era stato
Blake appena nato. Tutto sorridente, guarda il fratello e comincia a piangere e
all’epoca ero anche io un bambino e senza tatuaggi o piercing.
È stato traumatizzante, perché Blake sorrideva a
tutti, tranne che a me. Idem con Mackenna.
E invece la piccola Shadow stravedeva per me, era una
piccola rivincita personale.
Mentre continuavamo a parlare arrivò anche Lucia in un
lungo abito nero con dei ricami di perline dorati e bronzo. Si voltò e urlò nel
corridoio “Cass! *qualcosa*!” “Si arrivo!” urlò la ragazza dal piano di
sopra. Dopo un paio di minuti scese le scale (facendo lo stesso rumore di un
cavallo imbizzarrito) e sbucò sorridente. Aveva rimesso lo spettacolare vestito
del matrimonio di Vee, solo che aveva un copri spalle viola con le rifiniture
nere che faceva molto Biancaneve viste le maniche a sbuffo e il colletto alto.
I capelli sparati in aria e gli occhi che brillano
solo per me.
“Sei bellissima” dissi offrendogli il mio braccio
“Nemmeno tu sei male…” mi disse con quel mezzo sorrisetto strafottente. “Andiamo?” disse Antonio aprendo la porta
e beccandomi quasi in faccia. “Antonio!
*qualcosa di alquanto incazzata*!” lo richiamò la moglie e lui rispose con
qualcosa d’incomprensibile.
Che schifo parlare un’altra lingua: per più della metà
del tempo non capivo cosa dicevano.
Cass P.O.V.
Per andare in chiesa non ci fu bisogno della macchina,
essendo molto vicina a casa nostra.
Ebbi un po’ di difficoltà con quei maledetti
sampietrini e più di una volta dovetti aggrapparmi al braccio di Brian per
tirare il tacco incastrato negli spazi.
“Ti porto in braccio?” disse alla settima volta
che m’incastravo. Sembrava serio “Sarebbe davvero molto teatrale…” dissi
tirando il tacco con una difficoltà non indifferente. A quel punto Brian non mi
diede il tempo di fare un altro passo che mi aveva già preso in braccio.
Misi le braccia attorno al suo collo “Da quando sei
così romantico?” “Da quando tu ci metti mezz’ora per fare cento metri” “Oh che
dolce….” “Figurati” tutti ci guardavano, forse già camminando normalmente non
saremmo passati inosservati, ma in quelle condizione attirammo tutti gli
sguardi degli invitati. Brian mi portò in braccio fino alla striscia di marmo
prima dell’enorme scalinata.
“Quella con te in braccio non la faccio” disse
indicando i gradini di marmo. “Dici sempre che non peso niente” “Ma è vero,
solo che quella scalinata fa paura. Come fanno le vecchiette?” “Ah boh…”
Salimmo e raggiungemmo Mattia che ci aspettava fuori.
Per via dei miei intoppi eravamo rimasti indietro.
“Perché in chiesa?” “In Italia si usa così” “E la
festa?” “Si fa al ristorante” “Quindi dopo la messa tutti in macchina con
questo caldo? Ma siete masochisti!” scrollai le spalle “Hai voluto la
bicicletta? E allora pedala….” “Io ho voluto te, mica un matrimonio
all’italiana” “E’ compreso nel prezzo” “Bella merda…” disse divertito mentre
salivamo le scale.
Il vestito di mia cugina fu logicamente pomposo da
ricordare una torta, pieno di pizzi e merletti.
Le stava indubbiamente bene, col suo fisico atletico,
e la fasciava fino alla vita, dove si apriva l’ampia gonna. Era bianco candido
e il velo era lunghissimo, fissato in testa con un diadema.
Solita fissazione della principessa: mi sarei più
sorpresa se non avesse messo un diadema.
Tutte le bimbe da piccole sognano di essere
principesse, mia cugina aveva sempre provato anche dopo la tenera età,
apparendo alquanto ridicola.
Io e Brian eravamo già fra i banchi e ci vedemmo tutto
l’ingresso trionfale di Giulia a braccetto col padre che forse era alto quanto
Pietro, quindi non superava quella spilungona che per l’occasione si era anche
messa dei tacchi abominevoli. “E io che credevo che il vestito di Michelle
fosse stato esagerato” commentò Bri nel mio orecchio “Beh, Giuls è sempre stata
una fissata. Il velo sarà di una decina di metri” “Vedi di non prendere
esempio, sennò poi come ti sollevo con tutta quella gonna?” “Quando riuscirai a
convincermi a mettere un vestito del genere e l’anello al dito, non riuscirai
più a muoverti decentemente, figurati sollevarmi” “Quanto sei acida. Io ho
buone speranze” “Appunto, speranze” ero molto riluttante verso l’atto del
matrimonio. Fino a quando erano gli altri a sposarsi ero felice per loro, ma
quando si trattava di me era un’altra storia.
Nella chiesa si moriva di caldo e il prete non
accennava a muoversi.
Finalmente finì e Brian stava uscendo, quando lo
afferrai per un polso “Dove vuoi andare?” “A fumare?” “Ah ah” dissi scuotendo
la testa lentamente e con fare minaccioso “Perché? Gli invitati non possono
fumare?” “Tu sei il ragazzo della cugina della sposa, ti devi fare la foto”
alzò gli occhi al cielo “Oh merda. Qua dentro non si respira!” “Lo so” “Voglio
fumare” “Lo so” “Tua cugina mi sta sul cazzo” “E so anche questo” “Ma ti amo e
quindi facciamoci la foto in astinenza da nicotina” disse sorridendomi e
avvicinandosi all’altare per fare gli auguri agli sposi e mettersi in posa per
la foto.
“Posso fare una delle mie facce?” mi chiese prima di
salire il gradino e mettersi vicino a Giulia “Mi piacerebbe, ma meglio evitare”
dissi sorridendo “Va beeeeeeeeeene” e
fece una delle sue vocine coglione.
Facemmo la foto, poi una tutti insieme e poi ci
affrettammo ad uscire.
Quando gli piazzai il sacchetto con il riso mi guardò
interrogativo da dietro gli occhiali da sole.
“Dobbiamo
cucinarcelo da soli il pranzo?” “No, si tira
agli sposi” “Che?” “Si tira il riso agli
sposi” “Perché?” “Boh, dicono che
porta bene” “Non è un tantino blasfemo tirare del
riso perchè si dice che porti
bene?” “Senti, qua si fa così. Presti sto coso, e
quando escono tiraglielo”
scrollò le spalle “Ok”
Quando gli sposi uscirono, dalla mia destra partì
tutto il sacchetto e prese Pietro in pieno viso e tutti si voltarono verso di
noi a guardarci malissimo. Dopo i tre minuti più imbarazzanti della mia vita,
ricominciarono a tirare il riso e non fecero più caso a noi.
“Che diamine combini?” dissi mentre continuavo a
tirare pugni di riso “Tu mi hai detto di tirarlo!” “Ma non così!” “ E come?
Palleggio?” gli sorrisi “Te l’ho detto che ti amo?” “Forse qualche volta lo hai
accennato, non saprei…” disse sarcastico e lo baciai, mentre gli altri si
concentravano sugli sposi. Mi mise le mani in vita e mi tirò un po’ più in
disparte.
Quando mi separai da lui, mi sorrideva tranquillo e
divertito “Ti ho sporcato col rossetto” scrollò le spalle “Tanto sono figo pure
così” “Su questo non c’è dubbio” e ripresi a baciarlo, fregandomene degli
altri, del riso e della figura di merda di uscire nelle foto mentre limonavo
col mio ragazzo.
C’era Brian è questo bastava.
Presi un respiro profondo, strinsi un po’ di più la
sua mano e attraversammo l’arcata di marmo che delimitava l’ingresso. Camminavo
con calma, tenendo stretta la mano di Brian, c’era da perdersi là dentro.
Dopo un po’ arrivammo a destinazione e mi fermai “E’
questa” Brian alzò la testa e osservò la struttura, poi si voltò preoccupato
verso di me.
“Sicura di volerlo fare da sola?” annuii “Si, devo
farlo: è una promessa che devo mantenere e sai che sono di parola” mi sorrise e mi diede un bacio. Si poggiò al
cancello che era la porta e sorrise.
“Ok, io ti aspetto qua” “Socializza con un tuo simile”
sciolsi al mano dalla sua e diedi un colpetto sul metallo vicino alla sua
spalla e sorrise divertito, prima di tastarsi le tasche alla ricerca delle
sigarette.
Guardai di nuovo la struttura. Quanto tempo era
passato? Da quando ero stata lì per il suo funerale.
Presi un respiro profondo ed entrai.
Mi guardai un secondo attorno, ma non era cambiato
niente, stesse facce, nessuno di nuovo fortunatamente.
E Lui era lì, a livello del pavimento, la foto e la
scritta facevano quasi da pavimento.
M’inginocchiai per terra e sfiorai la foto. Quello
spettacolare sorriso che mi stava contagiando anche adesso, mentre mi si
riempivano gli occhi di lacrime.
Mi sedetti a gambe incrociate per terra.
Era diverso da quando ero tata lì l’ultima volta.
Brian aveva ricucito il mio cuore pezzo per pezzo, mi aveva aiutato ad andare
avanti e adesso ero lì per tener fede alla parola data.
“Ehi Attilio,
ne è passato di tempo dall’ultima volta, vero?”
Ed ecco qua!
Gente siamo arrivati alla fine.
Dopo due mesi e un totale di 22 capitoli, questa
storia è giunta al termine ç_____ç
Ringrazio quel tesoro di _diable_ che ha recensito tutti
(e dico tutti) e capitoli.
Ringrazio chiunque abbia lasciato una recensione:
Majesty (moglia *^*), _Emily (dai neuroni andati xD), JD Shadow (stVopicciuzza),
Black Is The New Black, SevenfoldistDoll, HelixDeath, Dear God, Blood_ e quel tesoro
di Fantasmina (che a quanto ho capito legge tutto quello che scrivo).
Grazie a tutti quelli che hanno letto che mi parei si
aggirino attorno ad una sessantina di persone ;)
Starei scrivendo il sequel, ma non so per quando
dovrei spicciarmi :D
Alla prossima!
The Cactus Incident