Videogiochi > Kingdom Hearts
Segui la storia  |       
Autore: Dark Roku     11/09/2011    3 recensioni
La vita di Ven è la normale vita di un adolescente, senza contare il senso di vuoto che lo accompagna e il fatto che sia innamorato dell'autista dell'autobus, Terra che è più confuso di un quadro di Picasso.
Suo fratello Sora cerca di scolpire la sua corazza di vetro, mentre Riku chiede solo che Sora ricambi il suo amore, così come Demyx, quasi analfabeta, ma che passa tutti i giorni in biblioteca solo per guardare il bibliotecario.
E poi c'è Kairi: riuscirà a far pace con sua zia? E cosa si nasconde dietro lo strano ritorno di suo fratello? E Naminè che spera solo nel principe azzurro.
Infine, distante dalle vite che si intrecciano sulle Destiny, la vita di Roxas, adolescente ricco e viziato è avvolta nella pioggia di Rain Town.
Però, forse il destino non è sempre prevedibile come sembra...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer: Tutto di Nomura e Mark Twain, sigh. Se avessi posseduto qualcosa non sarei stata qui a scrivere fan fiction...o forse sì. Ma comunque, purtroppo, non mi appartiene nulla. E non è a scopo di lucro, non ci guadagno niente...tranne se recensite. Se recensite ci guadagno una grande soddisfazione.
C'è anche da dire che se avessi posseduto Kingdom Hearts probabilmente sarebbe stato molto più yaoioso di quanto non lo sia già. E i tredici non sarebbero svaniti. E Xion sarebbe morta il giorno 1. Ma purtroppo non è mio quindi non c'è niente di questo (Kim, era un disclaimer, non un comizio, dovrebbe essere breve e conciso n.d.altra me). Buona lettura!

Il Principe e il Povero


Come passò il resto della settimana nessuno lo seppe: in quel giorno, un lunedì normale sul calendario, successero così tante cose, le vite di alcune persone furono cambiate così tanto che il resto della settimana passò in secondo piano, una strana scia del lunedì, giorni messi così solo per farli riprendere dallo shock.
Ven si dovette abituare alla presenza di Roxas che, pur non rivolgendogli né parola né sguardo, gravava continuamente sulla sua testa, come una grossa accetta pronta a decapitarlo.
E, pur essendo mangiato dalla curiosità di sapere una qualsiasi cosa di quel ragazzo, non chiese mai a nessuno di fare ricerche perché “Roxas era irrilevante e le loro vite dovevano continuare”.
Certo, e lui era Babbo Natale.
Dovette evitare Terra perché quel semplicissimo gesto, quella carezza sulla testa che molti gli facevano, lo turbò così tanto che spesso gli bastava toccarsi i capelli per arrossire miseramente.
Sì, insomma quella che prima era forse solo una leggera infatuazione divenne una cotta palese e spudorata, con tanto di sogni di baci e cuoricini disegnati distrattamente sul quaderno.
“ Allora, chi è la fortunata?” gli chiese Kairi quando lo vide con la testa  nelle nuvole e la pagina su cui avrebbe dovuto prendere appunti interamente ricoperta da cuoricini. E Ven balbettò “Nessuno” e strappò la pagina in pezzetti talmente piccoli che avrebbe potuto mangiarli (e se gli avessero chiesto il perché l’avesse sminuzzata, non avrebbe esitato a inghiottirli in un solo boccone).
Il ché non era del tutto falso perché non c’era nessuna “fortunata”, ma un ventitreenne che, almeno secondo Ven, se ne sarebbe infischiato altamente del sedicenne stracotto di lui.
Terra, al contrario, avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere se Ven lo amava (cosa che riteneva del tutto impossibile) e Aqua non si stupì quando il castano le chiese se poteva estorcere a Ven il suo parere sul “conducente dell’autobus”. Dopotutto era stato un suo consiglio.
Anche per lei e per la famiglia Aoi in generale le cose non andavano a meraviglia: combattevano con la papera quasi ogni sera, Zexion era praticamente esaurito dal sopportare Demyx 1, Demyx 2 (nomi per convenzione e, tanto per la cronaca, Demyx 1 era la papera), Aqua e Xion tutti insieme, così come lo era Riku.
Forse lui era quello messo peggio di tutti: c’era Xion che non lo lasciava un attimo, Zexion che si sfogava con lui (e lui con chi si sarebbe dovuto sfogare?), Sora felice comunque una Pasqua perché “a Ven non importa” Ven sempre più distratto, Kairi depressa, Naminè sospirante e tutta la tensione per quell’uscita tra amici, così simile, ma così diversa dalle altre.
La tensione a casa Flames invece era palpabile perché c’era Reno, diviso tra Axel e Kairi senza la minima idea di cosa fare; Axel “al lavoro”, com’era la risposta che otteneva chiunque chiedesse “Dov’è Axel?” e nessuno seppe se i doppi turni duravano davvero dalle sette a mezzanotte o se era solo una scusa per evitare lo sguardo ferito di Kairi, ogni volta che incontrava il suo; Elena, che quando aveva sposato Reno non si era di certo aspettata quella situazione, faceva buon viso a cattivo gioco e continuava a comportarsi come prima e Kairi che cercava conforto nei suoi amici.
E Roxas? Le sue ferite corporee erano completamente guarite (sono quelle dentro che non possono curarsi con bende e cerotti) e dopo l’accappatoio con la cacca, i lombrichi nel bicchiere, il fango sui vestiti e cose anche ben più complicate come il riempire il suo computer di virus, creati da lui stesso ovviamente, e bloccare il sistema di sicurezza della casa quando lei usciva fuori, aveva dato un piccola tregua a Tifa che, dal suo canto, si era arresa e sperava solo che prima o poi la smettesse.
Ma insomma, cosa voleva quel pazzo da lei?
Così, quando in quel soleggiato mattino di metà settimana, i sopracitati guardarono il calendario
dovettero sbattere più e più volte le palpebre per rendersi conto di quello che avevano appena scoperto. Perché no, era impossibile che fosse passato così tanto tempo. Che ne avevano fatto di quei giorni?

Tanto per prenderne uno in considerazione, Ven si fermò in mezzo al corridoio con la bocca piena di dentifricio e la mano ancora appoggiata al calendario della farmacia appeso al muro.
- Maffa? – chiese accigliato –Fe forfo è fofgi? – Aerith sbucò dalla cucina con una tazza di caffè in mano. – Come scusa? –
Ven andò velocemente a sputare il dentifricio in bagno: - Oggi che giorno è?- Lei sembrò pensarci su: - Giovedì. –
- Ma come? – la voce di Sora arrivò impastata di sonno. – Non è lunedì? –
Ven controllò per l’ennesima volta sul calendario: - No Sora. E’ proprio giovedì. –
Ma quant’è bello il sentirsi dei totali cretini quando si dice, con assoluta convinzione, che è lunedì, e poi si scopre che si sono persi tre giorni, magari anche importanti, a fare chissà cosa.
Peggio ancora se consideriamo che Ven era assolutamente certo che fosse sabato e difatti aveva preparato lo zaino con le materie che aveva il sabato, aveva messo le mutande del sabato (meglio non approfondire l’argomento) e quella mattina aveva pure detto a Sora “Che bello, domani è domenica!”, e lui l’aveva corretto “Veramente domani è martedì”, senza il minimo dubbio che potessero aver sbagliato entrambi.
Possibile che fossero passati già dieci giorni da quando Roxas era arrivato? Possibile che non parlasse a Terra da ben nove giorni?
Sì. Talmente possibile che era vero.
E, anche dopo aver scoperto che aveva perso duecentoquaranta ore della sua vita, l’unica cosa che riuscì a pensare fu era solo più tempo in cui non era riuscito a capire né Terra, né Roxas.

Riku invece che era giovedì lo sapeva benissimo. Aveva aspettato, atteso impazientemente, ogni singolo minuto di quei nove giorni, che arrivasse.
Più precisamente aspettava che arrivasse quella sera, quando avrebbe chiarito le cose con Sora.
Era emozionato come non lo era da anni.
Sembrava una ragazzina al suo primo appuntamento. Patetico.
Soprattutto se si considera che probabilmente Sora non ricordava neppure “lo straordinario evento”.
Certo. Era troppo occupato ad essere felice per Ven, a preoccuparsi per Ven, a proteggere Ven, e a far ruotare la sua vita a quell’inutile individuo che si chiamava Ven.
Invece, al contrario di quanto aveva pensato quando lo aveva visto, Roxas non gli stava dando tanti problemi.
Si faceva i cazzi suoi. Ora, guardandolo meglio, si era chiesto perché lo avesse immediatamente etichettato come “assassino”, “malvagio” e “pericolo per Ven e di conseguenza per Sora”.
Fino a prova contraria non aveva ancora elargito minacce, non aveva fatto a botte con nessuno e non aveva neanche parlato. Ora sembrava uno di quegli emo taciturni che vivono in un mondo tutto loro e tuttavia questo non aveva diminuito l’interesse verso di lui. Le ragazze continuavano a corteggiarlo e a tartassarlo di domande (pur ricevendo rifiuti come “Scusate, credo siano cose private, magari ve le spiegherò quando ci conosceremo meglio” perché solo Roxas riusciva a mandarle a fanculo le persone così elegantemente) e i ragazzi continuavano a cercare di farlo integrare nel gruppo “portante”, chiedendogli il parere su partite, compiti in classe e ragazze.
Sarebbe anche potuto piacergli dopo l’inconsapevole favore che gli aveva fatto: aveva attirato su di sé l’attenzione delle ragazze e non aveva permesso loro di elaborare strane teorie su”Riku e Sora”.
Fino a quel momento aveva solo trovato nel suo armadietto un disegno sconcio che li raffigurava, tanti bigliettini di auguri e una cravatta da matrimonio.
Ma, quando il “caso Roxas” sarebbe scomparso del tutto lui sarebbe finito in un mare di cacca.
Poteva solo sperare di mettersi davvero con Sora (e magari quella sera ne avrebbe avuta la possibilità) o che quella situazione durasse abbastanza per fare dimenticare alle fan girls tutto.
Ma, si sa, le fan girls non dimenticano così facilmente.

Come scoprire qualcosa di più su Roxas senza farlo sapere a nessuno?
Ven si rigirò la penna tra i denti e guardò il foglio bianco sul quale avrebbe dovuto scrivere la relazione di scienze sulla formazione delle stelle. Avrebbe dovuto, appunto. Ma proprio non ce la faceva.
Lanciò un’occhiata a Roxas che scribacchiava freneticamente sul foglio tutto concentrato.
Anche lui aveva il vizio di mordere le penne.
Ma sembrano proprio gemelli! Aveva ribattuto Selphie dopo la fantastica spiegazione di Naminè su “Molte persone nascono per coincidenza uguali” che aveva sostenuto con tanto di spiegazioni scientifiche e articoli di giornale.
Quella ragazza era un genio assoluto: lo aveva salvato da tutti i perché e per come che affollavano le sue giornate con un “piccolissimo stratagemma”, come lo aveva definito lei.
Le sarebbe stato debitore a vita.
Ma Roxas non aveva negato. Forse anche a lui faceva comodo che si credesse che Ven non fosse il suo gemello.
Gemello. Gemelli. Queste parole hanno ancora senso dopo essere cresciuti a migliaia di kilometri di distanza, in condizioni opposte, con famiglie diversissime?
No. Lui e Roxas non avevano nulla in comune.
Sì. La simbiosi gemellare non può essere annullata da nulla.
Dopotutto, fino ad una settimana prima si chiedeva il perché della sensazione di incompletezza che lo attanagliava (Beata ignoranza!) e sentiva che c’era qualcosa che non quadrava nella sua vita.
E Roxas?Per il perfetto principe di Rain Town era stato così? Aveva cominciato a perseguitarlo perché voleva sapere come viveva? Oppure la sua era semplice cattiveria?
Ven non lo sapeva, ma doveva scoprirlo a tutti i costi perché … perché doveva scoprirlo?
Perché era il suo gemello.
Perché era Roxas Strife e la sua vita sembrava perfetta ma lui – forse proprio a causa del fatto che erano gemelli- sentiva che nel suo sguardo c’era qualcosa che non andava e voleva sapere cos’era.
Perché si sentiva come se la sofferenza di Roxas fosse in parte la sua e doveva saperlo qual’era questa sofferenza.
Ecco perché.
Avrebbe potuto chiederlo a sua madre. Certo, già immaginava la scena: Ehi mamy, mica ti sei tenuta in contatto con Cloud? No, perché vorrei sapere qualcosa sul gemello di cui non mi hai parlato.
Già, non gliene aveva mai parlato. Però forse Roxas avrebbe potuto dirgli…
Un lampo di genio gli attraversò la mente  e la penna gli cadde dalla bocca facendo cadere alcuni schizzi sul foglio immacolato.
Che stupido che era stato. Sarebbe bastato chiedere a Roxas e ne avrebbe saputo di più.
Sempre che fosse sopravvissuto…

Ma che bello che finalmente le cose si erano aggiustate!
Sora avrebbe voluto urlarlo al mondo che era tornato tutto alla normalità.
Ven aveva detto che Roxas non importava, Kairi aveva smesso di piangere, Naminè continuava a disegnare (ma lei non era mai cambiata) e Riku si era abbastanza normalizzato.
Che doveva fare quella sera? Ah, sì, doveva andare a fare una passeggiata tra amici.
Bah, poi chissà perché. Non avrebbe potuto dirgli a scuola quello che doveva chiedergli?
A meno che… Sora guardò Riku con gli occhi sbarrati: possibile che volesse riprendere quella faccenda di Natale? Ma…ma lui non aveva una risposta!
Cioè, da quando era arrivato Roxas aveva avuto così tanto da fare con Ven che non aveva proprio avuto il tempo di riflettere! Era diventato l’ultimo dei suoi pensieri!
Riku poteva aspettare perché…perché insomma era Riku! Si conoscevano da quando portavano ancora il pannolino e cosa importava se rimanevano amici per un altro po’.
Perché dentro di sé Sora sapeva che anche qualunque cosa avesse risposto le cose non sarebbero mai tornate come prima.
Gli avrebbe detto “Dammi un altro po’ di tempo” e lui gli voleva così tanto bene (Perché anche il solo pensare che Riku lo amava gli faceva troppo male) che avrebbe aspettato.
Sbirciò il libro da cui stava copiando e aggiunse un’altra frase alla sua relazione.
Relazione. Solo scritta e solo di scienze.
Guardò Ven alla sua sinistra che fissava il vuoto con un’espressione indecifrabile mentre la penna giaceva sul foglio bianco. Era completamente assente.
Ma, se Roxas non importava davvero, a cosa diamine pensava tutto il giorno?

Gli ci volle un sacco di coraggio per alzarsi da quella sedia. Più coraggio di quando si tuffava nel mare gelido e più coraggio di quello che ci voleva per rispondere al telefono dopo aver visto “The Ring”.
Gli altri giorni al suono della campanella della ricreazione tutti gli alunni scattavano in piedi come se ci fossero delle molle sulle sedie e si cominciava a vagare per l’aula scambiandosi i panini oppure ad uscire in corridoio per incontrare clandestinamente gli amici delle altre classi. Tranne Roxas che solitamente rimaneva seduto a studiare, nonostante tutte le proposte o spariva da qualche parte (a fumare, probabilmente) senza toccare cibo.
Eppure quel giorno anche Ven rimase seduto per tre minuti buoni senza ascoltare minimamente la discussione che Kairi e Sora stavano facendo sul fatto che era sempre distratto.
Era troppo occupato a raccogliere con un cucchiaino il coraggio che gli era rimasto per andare a fare una chiacchierata con Roxas.
E poi, si giustificava, doveva aspettare il momento giusto in cui Sora e Kairi fossero distratti perché aveva detto che Roxas non interessava, quindi non doveva parlarci per loro.
Poi l’occasione arrivò: Tidus piombò in classe dicendo che uno della III C stava mangiando un millepiedi e l’aula si svuotò. Rimasero solo loro due e qualcuno di quei ragazzi inutili che stanno sempre sulle loro e ormai sono parte integrante della tappezzeria.
Roxas alzò la testa quando Ven si sedette nel banco accanto al suo. Lo guardò  con disinteresse e tornò a fare un esercizio sul libro di grammatica.
- Roxas…- comincio prendendo un grande respiro. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Roxas non aveva mai parlato con lui. – Siccome tu sai tutto di me per par condicio non dovresti dirmi qualcosa di te? – che frase stupida. Come minimo gli avrebbe riso in faccia. Ma Roxas  si limitò a rispondere, con la sua voce fredda e controllata – Non esiste la par condicio Ven. –
Era stato completamente spiazzato.
- Ti invidio – sentì la sua voce parlare. Non era stato lui a pronunciare quelle parole, erano uscite da sole – Tu sei intelligente e hai tutto. – stava cercando di adularlo con le parole. Ma Roxas si limitò a chiudere gli occhi e a mordersi il labbro.
- Mi piacerebbe sapere cosa si prova ad essere te. – e fu con quelle parole che Ven ribaltò il mondo.

Se qualcuno glielo avesse raccontato, Naminè non ci avrebbe mai creduto. Se chiunque – che fosse uno sconosciuto o lo stesso Ven – gli avesse detto che Roxas era passato in corridoio trascinandosi dietro Ven stringendolo per il polso (o forse era Ven a trascinare Roxas perché quando erano insieme era impossibile distinguerli) lei avrebbe risposto “Ma non prendermi in giro!” perché era totalmente impossibile.
Ven e Roxas non si parlavano. Se lo avessero fatto sarebbe scoppiata una polemica nella scuola e tutta la balla che si era inventata (perché lei, Kairi e Riku erano gli unici ragazzi – oltre a Sora, Ven e Roxas, - a sapere che quei due erano davvero fratelli) sarebbe crollata come un castello di carte.
Fu per quello che quando si girò per non guardare quell’orrido spettacolo del tizio che mangiava i vermi e vide uno spettacolo ancora peggiore (Due gemelli omozigote passare in corridoio) dovette trattenere un urlo.
Roxas e Ven non avrebbero dovuto avere nulla da dirsi. Assolutamente nulla. Se gli altri lo avessero scoperto, se avesse detto a Kairi o a Sora che Ven e Roxas erano appena passati si sarebbe scatenato l’inferno.
Fu per questo che decise di tenere la bocca chiusa. Se parlavano era normale, era roba da gemelli.
E nessuno, nemmeno lei, poteva capire.

Quando Roxas lo aveva afferrato per il polso e lo aveva trascinato fuori dalla classe, Ven aveva davvero pensato che volesse ucciderlo. La sua espressione era fortemente ironica (non sapeva come facesse un’espressione facciale ad essere ironica però Ven era certo che lo fosse) e camminava a passo svelto, probabilmente per non farsi vedere da nessuno.
Era assolutamente convinto che lo stesse portando da qualche parte per fucilarlo come facevano gli ufficiali nazisti con gli ebrei, ma comunque non riusciva a fare altro che seguirlo docilmente e in silenzio perché morire per mano del suo gemello era sì spaventoso, ma troppo allettante.
Immediatamente dopo aver formulato questo pensiero Ven si diede del pazzo e provò a liberarsi dalla sua stretta. Non ci riuscì e Roxas continuò a trascinarlo per vari corridoi.
Si fermò quando arrivarono all’ultimo piano dell’istituto: una vecchia aula abbandonata con dei banchi rotti ammassati in un angolo, una pila di compiti in classe nell’armadietto con un’anta rotta e vari mozziconi di sigaretta per terra.
Ven era stato lì i primi giorni con Sora, quando si perdevano e invece di arrivare in bagno si trovavano lì. Roxas gli lasciò il polso e lo guardò negli occhi e l’altro dovette abbassare lo sguardo: non riusciva a reggerlo. In quegli occhi, così simili ai suoi, c’erano così tante cose che gli faceva male la testa quando li guardava.
- Davvero vuoi sapere cosa si prova ad essere me? – il suo tono era vagamente divertito. Ven non rispose e continuò a tenere lo sguardo basso.
Roxas cominciò a slacciarsi le scarpe. – Che numero porti? –
- Quaranta. – (E so che avrei dovuto scrivere tipo cinquantaquattro ma sembrava brutto xD n.d.a)  rispose quasi senza pensarci. Voleva fargli sapere cosa si provava ad essere Roxas facendogli mettere le sue scarpe? Ven ne rimase un tantino deluso.
- Togliti le scarpe. – ordinò Roxas rialzandosi.
Con le scarpe di Roxas si sarebbe potuto comprare almeno nove centinaia delle sue.
- Conosci la storia del Principe e il Povero, Ven?

Il colore della settimana al XIII era l’azzurro. Azzurro del mare, azzurro del cielo, azzurro che rilassava e azzurro cobalto. Tutto era diventato di quell’insopportabile azzurro che Axel aveva imparato ad odiare così tanto. Aveva anche provato a convincere Xemnas che siccome la settimana prima erano stati Blu sarebbe stato meglio mettere un bel rosso vivace o un giallo del Sole, ma lui non aveva voluto sentire ragioni e così gli toccava immergersi ogni giorno tra quei dannati tavoli azzurri, indossando una divisa azzurra per servire piatti azzurri.
Almeno il suo lavoro lo distraeva dal pensare a Kairi e  ai suoi ricordi. E poi c’erano Demyx e Larxene che lo avrebbero fatto sentire a casa se si fossero comportati normalmente e se lui stesso si fosse comportato normalmente.
Demyx sospirava perché pensava a Zexion, Axel stava sempre con una faccia afflitta e Larxene – anche se non lo avrebbe mai ammesso- non sopportava di vedere i suoi amici così ed era costantemente nervosa, peggio di quando aveva il ciclo.
Per cui neanche l’aria lì dentro era particolarmente allegra o felice, ben che meno quando arrivavano Sora e Ven che stavano sempre in silenzio.
L’unico ristorante delle Destiny era piombato nella tensione, come una nuvola grigia gonfia di acqua.
Chissà cosa sarebbe successo quando avrebbe cominciato a piovere…

Ormai Demyx 1 avrebbe potuto lavorare lì dentro, per quanto tempo ci passava. Lo accompagnava al lavoro tutti i giorni, poi dalle nove alle dieci e mezza distruggeva gli scaffali, mangiava, dormiva fino alle due e fino alle quattro mangiava.
Almeno, pensava Zexion, ora non passava più tutto il tempo da solo. Anche se non sapeva fino a che punto una papera si sarebbe potuta definire un animale da compagnia.
Forse avrebbe dovuto riprendere un cane. O magari un gatto.
O forse avrebbe potuto fare un piccolo sforzo e cercare di trovare la “persona giusta” , come dicevano sempre in quei film romantici che Xion e Aqua guardavano.
Zexion si era fidanzato solo quattro volte nella sua vita: la prima volta alle medie perché i ragazzi avevano iniziato a sospettare che lui fosse gay e, siccome sapeva che in prima c’era questa tizia che aveva una cotta per lui (Come si chiamava? Giren? Garen?) per non finire nella merda aveva accettato uno dei centinaia di bigliettini che gli mandava.
Poi in quinto ginnasio si era messo con una del primo: Ally gli piaceva davvero. Amava i classici, come lui, era taciturna, studiosa e parlava solo in casi estremi. Ma alle ragazze piacciono i duri e lo aveva mollato per un motociclista di dieci anni più grande e lui era caduto nelle braccia di Emme – o almeno era così che la chiamavano tutti – e passavano il giorno a tagliarsi e roba del genere.
Emme ed Ally avevano avuto la capacità di fargli passare la fiducia nelle donne e forse proprio per colpa loro era diventato omosessuale.
C’era stato un solo ragazzo nella sua vita, un’avventura estiva, di quelle che quando arriva l’autunno finisce tutto nonostante i “Verrò a trovarti”, “Ti scriverò” e quelle parole inutili che si dicono i fidanzati.
Mah, forse era davvero ora di farsi una vita sociale ed avere una relazione stabile.
- Qua qua. – la papera gli tirò la manica.
- Sì, ho capito, è ora di pranzo. – lanciò un’occhiata all’orologio: mezzogiorno e mezza.
Demyx non era andato neppure quel giorno. Ormai era una settimana che non lo tormentava più in biblioteca e a casa a malapena gli rivolgeva la parola. Sarebbe dovuto essere soddisfatto.
E allora perché sentiva un nodo alla gola ogni volta che pensava a lui?

Bravo Ven. Complimenti, Ven. Ti sei fottuto con le tue mani, Ven.
Cielo, avrebbe voluto piangere. Seduto al banco della prima volta, osservato da tutti, Ven (che sarebbe dovuto essere Roxas) aveva voglia di mettersi ad urlare e correre fuori. Aveva paura. Tanta, tanta paura.
Gli era venuta quando il suo gemello aveva pronunciato quel libro, “Il principe e il povero” che – ne era certo – sarebbe stata la sua condanna a morte. Ven non lo conosceva molto, aveva visto solo la versione di Barbie (quella con le tizie che cantano), ma qualcosa gli diceva che quell’esperienza gliele avrebbe fatte ricordare per sempre Erica e Annalisa.
“Bene. Guarda cosa si prova ad essere me. Oggi sarai me, Ven. Così potrai trarre le tue squallide conclusioni e spifferarle alla tua banda di sfigati per farvi sentire i bimbi di Detective Conan”
Se l’era quasi fatta addosso. Roxas sapeva perfettamente il perché di quello scambio e – la cosa che aveva stupito di più Ven – guardava i cartoni animati. Quindi non era totalmente sovrannaturale. Già il fatto che non volava e non solleva i camion gli dava conforto.
“Solo un paio di raccomandazioni: non sorridere come un ebete, anzi, non sorridere e basta. Non parlare a Cloud e non essere gentile con la servitù. E non dare confidenza a Marluxia”.
Ma perché, avrebbe voluto chiedere, cosa sarebbe successo se avesse fatto così? Cosa avrebbe fatto Marluxia? E poi chi diavolo era questa Marluxia?
- Immagino che tu invece sappia già come comportanti – aveva detto invece. E Roxas aveva riso soddisfatto – Ovvio. –
E si era visto: era un Ven perfetto, quasi meglio dell’originale.
Sorrideva allegramente (ma si vedeva lontano da un miglio che quel sorriso era finto, come faceva Sora a non accorgersene?), sbuffava, si distraeva, chiedeva ogni cinque minuti “Che ore sono?” e quando la prof. lo aveva interrogato aveva titubato.
Gli metteva i brividi. Era un vero e proprio furto d’identità ben riuscito. Non si sarebbe stupito se il suo vero gemello fosse morto e quel tizio magari si chiamava tipo Blake Killer ed era un latitante ricercato dalla polizia mondiale. Già, doveva essere sicuramente così.
Comunque questo non lo toglieva dal guaio in cui si era cacciato: essere Roxas per tutto un giorno.
Un tizio muto, sordo e depresso. Beh, sarebbe dovuto essere abbastanza facile.
Ma anche no.

Che delusione sapere che lui aveva ereditato tutta l’intelligenza della famiglia. Avrebbe sperato che Ven fosse qualcosa di più di un cerebroleso talmente patetico da far invidia alla tizia di Beautiful e convinto di avere la famiglia del Mulino Bianco e invece era stato una delusione totale.
Ma davvero pensava che adulandolo Roxas gli avrebbe consegnato la sua biografia non autorizzata? Che illuso. Davvero stupido.
“Di certo” pensava Roxas “ ha ereditato l’intelletto di sua madre che poteva avere tutto e invece ha scelto di andare a fare l’eremita in mezzo all’oceano. Perché Cloud è un figlio di puttana ma almeno ha preso l’astuzia da me”. Che poi doveva essere lui a prendere l’astuzia da Cloud, per Roxas era una cosa assolutamente irrilevante.
Ven avrebbe dovuto soffrire per capire, anche solo in piccola parte, chi era Roxas Strife.
Doveva andare a casa, sentire le urla di suo padre, essere picchiato da Tifa e sgridato da Marluxia. Tanto anche se avesse scoperto tutta l’attività di Les noirs chats cosa avrebbe potuto farci? Dirlo al suo amato paparino poliziotto?
Comunque Roxas non faceva mai niente per niente. Anche lui aveva qualcosa da scoprire, come Ven. O meglio, qualcuno.
-Ehi…- Sora gli diede una gomitata. Quel tizio era così appiccicoso. Roxas lo avrebbe fatto arrestare se avesse potuto. Si voltò fingendosi sorridente: - Sì? –
- Sai che oggi la mamma ti conserva il tuo piatto preferito? –
Se Ven era cerebroleso, Sora l’encefalo l’aveva vomitato alla nascita. Mai avuta una discussione dal tasso intellettivo più basso. Neppure con quell’oca di Olette, la cui massima capacità di espressione era “E’ ingiusto che il cachemire costi più della lana. Sono entrambi tessuti”.
Ma Roxas avrebbe dovuto sopportare Sora per un sacco di tempo. Quindi meglio fare buon viso a cattivo gioco: - Come cucina lei non cucina nessuno. –
Lei.

- Devi dirgli addio, Demyx. Il mondo è pieno di pesci. –
- Ma io non voglio un pesce, Ax. A me il pesce neppure piace. Io voglio solo lui. –
Era questo che avrebbe dovuto rispondere ad Axel, quando vedendolo sospirare gli aveva letto nella mente. E invece, tanto per non sembrare patetico, si era limitato a dire “L’ho già fatto” ricevendo una pacca sulla spalla e un  “finalmente”.
Inutile dire che, forse per la prima volta, aveva mentito ad Axel. Lui non aveva affatto detto addio a Zexion, non l’aveva lasciato perdere.
Non lo perseguitava più solo perché i suoi impegni non glielo permettevano, ecco. Non perché ogni volta che Zexion lo vedeva sospirava. Non perché ogni volta che vedeva Zexion sospirare, Demyx avrebbe voluto piangere. Non perché magari cominciava a pensare che davvero a Zexion di lui non gliene fregava niente.
Solo perché era una persona molto occupata, ecco.
Che poi, si diceva tra sé e sé, Axel non era di certo la persona migliore per parlare, nelle condizioni in cui era.
Quando era arrivato al bar sembrava quasi normale e invece, man mano che passava il tempo, diventava sempre meno sorridente e più pensieroso. Come se la vita gli stesse scivolando tra le dita e lui, inerme, non faceva niente per fermarla.
L’ultima volta che l’aveva visto così era quando…mai. E neppure Larxene era tanto normale. Non lo picchiava neppure.
- Mio Dio…- mormorò – So di non essere stato un bravo bambino e magari ho fatto anche cose cattive… -
- E’ il Signore, Dem, non Babbo Natale. – Axel riapparì al suo fianco, guardandolo divertito – Ma continua, prego. –
Demyx s’imbronciò e strinse le labbra. Col cavolo che avrebbe detto a quella sottospecie di Axel cosa gli passava per la testa.
“…però se puoi, per favore, restituiscimi la mia vecchia vita”

Ven era strano. Assolutamente.
Anche se scherzava e rideva con Sora, Terra l’aveva capito subito che in lui c’era qualcosa che non andava.
In primis sembrava più magro e più pallido. Poi negli occhi non aveva quella strana luce che lui amava tanto e, ciliegina sulla torta, salendo sull’autobus gli aveva sorriso e gli aveva detto “Ciao”.
Non era stato tanto il “ciao” la cosa strana, quanto il sorriso: tutte le volte che Terra aveva visto Ven sorridere (mai con lui) aveva sentito il cuore riscaldarsi, mentre il sorriso di quel giorno era un brivido che gli aveva percorso la schiena.
Così, avrebbe voluto chiamare Aqua e dirle “Non chiedergli oggi se io gli piaccio. Oggi non è lui.” ma poi ci aveva pensato su e si era detto che magari era solo un’impressione e che era meglio non rimandare il verdetto finale. Avrebbe solo prolungato l’agonia.

- Devi smetterla di fare queste cose. – O Cielo, neanche era salito sulla limousine e già era stato richiamato. – Non puoi pretendere che le persone ci caschino ancora, dopo tanti anni. – Possibile che l’autista se ne fosse già accorto? Cos’aveva sbagliato? Era salito con il piede sbagliato?
Guardò il tizio cercando di capire a cosa si riferisse. Ma aveva i capelli rosa?
Il tizio si voltò a scrutarlo. Ven cercò di mantenere un’espressione fredda e reggere lo sguardo.
Sì, aveva proprio i capelli rosa. Represse una risata.
- Cos’hai da fissare? – chiese tentando di essere sprezzante. Fallì. Gli uscì una vocina strizzata e intimorita. Cavolo, se ne sarebbero accorti subito che non era Roxas. L’adulto sbuffò e tornò a guardare la strada: - Programmare i sistemi di sicurezza in modo da far spruzzare l’irrigatore ogni volta che la signora esce di casa non è una cosa carina, Roxas. –
Ven esultò dentro. Non se n’era accorto!
- Comunque l’ho controllato in tempo, quindi uno dei tuoi tanti piani malefici è andato a farsi friggere. – Ma di che stava parlando?
La macchina sobbalzò e Ven si accorse che stavano entrando in una strada sterrata tra alberi. Gli ci volle qualche secondo per capire dove stavano andando. Lui a casa di Aqua non c’era mai stato ma Terra aveva spiegato la strada a suo padre, mentre erano a tavola.
Già, Terra. Chissà se aveva capito che quel tizio era Roxas. Ven sperò vivamente di sì perché qualcosa gli diceva che il suo gemello sarebbe riuscito a rovinargli la vita, se gliene avesse dato la possibilità.
E lui gli aveva dato carta bianca per un intero giorno. Ancora complimenti vivissimi, signorino Leonhart.
- Sei strano. E’ successo qualcosa a scuola? – commentò il servo. Ven rabbrividì. Non dare confidenza a Marluxia. Probabilmente era quel tizio che si stava prendendo una familiarità che ai maggiordomi non spettava – o almeno secondo quanto dicevano i libri –.
- Marluxia? – mormorò per esserne sicuro. Il tizio gli scoccò un’occhiataccia: - Cosa c’è? –
Ven scosse la testa: - Niente. –
La macchina si fermò di botto. Erano di fronte ad un’imponente cancello verde e tra le inferriate s’intravedeva un prato all’inglese e una villetta color ocra. Rimase sbalordito: doveva essere almeno sei volte casa sua.
 - Wow. – si lasciò sfuggire. Mentre citofonava, Marluxia rise.
L’altro, eh?

- Insomma, dimmi tu, se quel professore non è una palla! –
- Mh. –
- Mettere una nota solo perché stavo mangiando nella sua ora… -
- Già. –
- … e poi pretendeva pure che gli dessimo il numero di mamma. –
- Eh. –
- Secondo te sbaglio? –
- Sì. – Sora rimase confuso dalla risposta: - Ma come sì? Dovevo far chiamare mamma solo per un kinder cereali? –
- Mh. – Roxas non degnò Sora neppure di uno sguardo. Era da quando erano usciti che non faceva che parlare di quella storia. Non che Roxas lo avesse ascoltato, solo che – si era ritrovato a pensare – se avesse avuto un fratello del genere, questi non sarebbe arrivato a meno di dieci anni.
- Insomma, quel professore è proprio una palla! – A molto meno di dieci anni. Diciamo pure neanche a tre.
- Ma insomma cos’ha Naminè d’interessante? – Quindi lo sapeva che non stava ascoltando!
Roxas scosse la testa senza smettere di fissarla. La ragazza lo sapeva. Sapeva che lui non era Ven. Glielo leggeva negli occhi. Era spaventata e intimorita, ma lo sapeva.
- Sora… - sentì la sua voce flebile. Roxas sfoderò il sorriso più intimidatorio che avesse. Si portò lentamente l’indice alle labbra e la fissò dritto negli occhi. Naminè trasalì e abbassò lo sguardo.
- Che c’è Nami? –
- Niente. Lascia perdere. –

Gli era bastata un’occhiata veloce per capire che quel tizio di Ven aveva  a malapena l’aspetto.
Gli occhi azzurri erano una coltre di ghiaccio, l’espressione una maschera impassibile e il sorriso, il sorriso lucente che Ven ogni tanto mostrava, era una smorfia di cattiveria.
Quando poi lo aveva guardato negli occhi, le era arrivata la conferma: si era sentita trafiggere da uno sbuffo ghiacciato, peggio di Harry Potter con i dissennatori.
Roxas era rimasto a guardarla per un po’ , sapendo che lei sapeva. Ma quello era molto più che uno scambio di sguardi.
Ma brava piccola Naminè. L’hai capito subito, no? Io e te siamo così simili.
Bugiardo. Non ci assomigliamo per niente.
E invece sì. Perché non vuoi ammetterlo?
Tu sei cattivo, io no. Non ti permetterò di fare del male a Sora e Ven.
Devi solo provarci.
- Sora… - aveva chiamato. Roxas non l’avrebbe passata liscia. Poi qualcosa le aveva fatto cambiare idea: Roxas le aveva fatto segno di stare zitta e l’aveva uccisa con lo sguardo.
Se parli, mostrerò al mondo quanto io e te siamo simili.
- Che c’è Nami? – Lei aveva paura.
- Niente. – Scosse la testa. – Lascia perdere. –
Non l’hai ancora capito, piccola Naminé? Voi perdete. Io vinco sempre.
E, Naminé lo sapeva, questo non poteva essere cambiato.

Riku sentì il cellulare squillare una, due, tre volte. Lo ignorò.
Sapeva già che era Xion che, molto probabilmente, gli avrebbe urlato contro perché “dovevamo tornare a casa insieme e tu hai preso l’autobus!”.
Era vero, glielo aveva promesso, ma da quanto in qua manteneva le promesse fatte a Xion? Lei pretendeva sempre cose assurde, del tipo “Mi accompagnerai ogni volta che andrò in bagno?” e anche di peggiori.
E poi doveva trovare il momento giusto per ricordare a Sora dell’appuntamento perché sennò era certo che – preso com’era dallo spiegare ad un Ven particolarmente pallido la nota del prof. di chimica – se ne sarebbe dimenticato, dandogli il più fragoroso due di picche nella storia delle Destiny Island.
“No, Riku fermati” si bloccò “Non è un appuntamento. E’ una chiacchierata tra amici. E se se ne dimentica, non fa nulla. Tu non te la prenderai a morte. E non è che non gli rivolgerai più la parola. Quindi puoi anche non ricordarglielo e se si ricorda va bene, se non si ricorda non fa nulla.”
Sì, certo. Si era proprio rotto dei “Non fa nulla”. Non fa nulla se Sora non si ricorda mai di te e non fa nulla se sta sempre dietro a quell’idiota di suo fratello. Non fa nulla se ti dice sempre di no e non fa nulla se tu sei dannatamente  e perdutamente innamorato di lui.
- Sora…-

Cavolo, se era bella quella casa. Era meravigliosa.
Ven l’aveva adorata dal primo momento in cui l’aveva vista. E aveva adorato anche il fatto che, appena entrato, due camerieri erano arrivati a togliergli la giacca e la cartella. Si sentiva così coccolato.
Poi l’avevano fatto accomodare in una sala da pranzo gigantesca e fatto sedere ad un tavolo di un kilometro, imbandito con ogni genere di manicaretti. C’era di tutto: carne, pesce, caviale, verdure, dolci, pasta di ogni tipo e qualsiasi cosa potesse desiderare.
Aveva un’acquolina in bocca che non lo faceva neppure parlare.
- Cosa desiderate, signorino Strife? – gli chiese un cameriere con aria intimorita. Ma cosa faceva Roxas a quelle persone? Le frustava e se non si comportavano bene le dava in pasto ai piranha?
- Tutto. – mormorò con occhi luccicanti. – Voglio tutto. –

- Cosa voleva Riku? – chiese Roxas quando Sora tornò. Lui fece spallucce: - Mi ha ricordato che stasera usciamo… però, mi dispiace, ha detto che tu non puoi venire. –
- Ma davvero? – Ven sembrò particolarmente interessato. Stava per fare una domanda scomoda e a Sora non piacevano le domande scomode.
- E tu? – si affrettò a dire – Ho visto Aqua avvicinarsi. Cosa ti ha chiesto? –
“Se mi piaceva Terra” – Niente. – Il moro sbuffò:
- Uffa Ven. Io devo sempre dirti tutto e tu non vuoi mai dirmi niente. Cavolo! – incrociò le braccia al petto. Vide Ven trattenere una risata divertita. Certo che era proprio strano quel giorno, era come se lo prendesse in giro: - E adesso cos’hai da ridere? –
- Non sentivo “cavolo” da quando facevo l’asilo. –
Ok, quella non era affatto una domanda da Ven. E neppure il colorito era da Ven, neanche le affermazioni e tanto meno il sorriso.
Se quel tizio era Ven allora lui era Naminé.
Ma chi poteva essere? Chi poteva essere così malvagio da tentare di emulare suo fratello?
Poi arrivò il colpo di genio: Ven e Roxas erano rimasti soli durante la mensa. Poi quando era tornato, Ven era strano
- O Giusto Cielo! – urlò – Tu sei… - l’altro gli coprì la mano con la bocca: - Zitto. – gli sussurrò all’orecchio: - Vuoi che ci scoprano tutti? –
Sora si liberò della sua presa: - Ovvio. Così tutti sapranno quanto sei cattivo, Roxas. Dove hai messo mio fratello? – stava per mettersi a piangere. Roxas rise: - Idiota, io sono tuo fratello. –
Cosa che non era poi così falsa, pensò Sora. Lui e Roxas erano fratelli almeno quanto lo erano lui e Ven. Solo che Ven era bravo, gentile ed educato. Quello era uno stronzo, doppiogiochista e probabilmente picchiava la gente.
Oh, no! E se aveva picchiato anche Ven?
- Dov’è? Dove l’hai messo? – chiese disperato. Il biondo continuava a sorridere, calmissimo.
- A casa mia. E’ stato lui a proporre lo scambio. –
- Bugiardo. Lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere. –
- Come lo conosci poco. Ah, giusto, dopotutto sei solo il suo fratellastro. Perché avrebbe dovuto dirti una cosa che ha fatto con me che sono suo fratello? – Quelle parole colpirono Sora come un proiettile nel cuore. Roxas aveva ragione. Lui e Ven erano fratelli al 101%, pure gemelli, mentre Sora e Ven raggiungevano a malapena il 50%. Perché avrebbe dovuto confidarsi con lui, invece che con Roxas?
Sentì le lacrime salirgli agli occhi: - Che cosa devo fare?  - Il biondo si voltò a guardare il finestrino: - Tu niente. Devi solo coprirmi. E domani riavrai il tuo finto fratellino tutto per te. –
Finto fratellino. Sora sentì una parte del suo cuore andare in frantumi.

- Sì. Un sacco. – Terra per poco non sbandò nel sentire la voce di Aqua, così all’improvviso.
- Un sacco di cosa? – chiese, tentando di rimanere concentrato sulla strada.
- Farina. – ma il tono ironico ad Aqua non riusciva proprio.
- E che dobbiamo fare con un sacco di farina? – domandò Terra stranito. Lui non aveva chiesto un bel niente ma, probabilmente, conoscendo Aqua avrebbe pure dovuto pagare.
Vuoi vedere che, pur di guadagnare soldi, voleva che si mettessero a fare i panettieri? No, no, no, lui non era affatto intenzionato a lasciare tutto perché quella tirchia aveva le voglie, peggio di una donna incinta.
- Non capisci proprio, Terra! – sbuffò – Ho chiesto a Ven quello che mi hai detto tu. E lui ha risposto “Sì, un sacco” –
“Ah” fu il primo pensiero del moro “Quindi niente panetteria”.
Poi quando qualche secondo dopo realizzò il concetto, cioè che lui a Ven piaceva un sacco (di farina), per poco – di nuovo – non sbandò.
Se gli uomini avessero avuto le ali, in quel momento lui avrebbe spiccato il volo. Ci pensò Aqua a riportarlo con i piedi per terra (ma anche molto, molto più in basso):
- Cinquanta munny, prego. Oppure la tua relazione clandestina verrà alla luce prima ancora di cominciare. –
E Terra pagò, quasi felicemente. Per Ven avrebbe dato anche tutti i soldi che aveva…che poi erano i cinquanta euro che aveva appena consegnato ad Aqua e qualche spicciolo nella tasca del suo unico pantalone.
Se avesse saputo che quel “Sì. Un sacco”, non era di Ven…

- Ma almeno sai lavare i piatti? Dovremmo andare al lavoro oggi. – Sora ormai si era rassegnato a sopportare quella specie di Ven sostitutivo, che di Ven non aveva proprio niente.
Roxas lo guardò disgustato: -Scherzi? Quello lo fanno i servi! –
Sora sospirò cacciando il cellulare: - Allora chiamo Axel e gli chiedo di coprirci. –
Quella frase sembrò attirare l’attenzione di Roxas: - Axel? –
- Oh, sì. – si affrettò a spiegare Sora – E’ un nostro collega, il fratello di Kairi. Infastidisce sempre Ven, ma penso che alla fine sia perché gli vuole molto bene. –
Roxas si fissò i piedi: - Ma non mi dire. – Axel, eh?
Sentì Sora farfugliare qualcosa del tipo che Ven non si sentiva bene, di spiegarlo a Xemnas e di dire che avrebbero fatto il doppio turno per essere perdonati.
- Grazie. Sei un vero… - Roxas gli rubò il cellulare da mano. – Ehi! – Cosa avrebbe dovuto chiedere a un tizio che neppure conosceva?
Eppure lui sorrideva come se sapesse già esattamente cosa dire. Si avvicinò il cellulare all’orecchio: - Ciao Axel. – salutò allegro, come se stesse parlando ad un vecchio amico. Poi un velo di qualcosa che Sora non riuscì a identificare passò nei suoi occhi e lui chiuse la telefonata.
- Ma che ha detto? – domandò confuso. Roxas sembrò soddisfatto: - Niente. Mi ha salutato. –
Lo sappiamo entrambi.

- Ciao Axel. –
Se la frase fosse stata “Crepa, Axel”, “Ti ucciderò, Axel” oppure “Tu morirai tra sette giorni, Axel” detto con la voce di Samara di The Ring, ecco, probabilmente Axel avrebbe avuto meno paura.
Ma non era la frase, una frase che aveva sentito ogni giorno, migliaia di volte nella sua vita, quanto il tono e la voce che lo aveva raggelato.
Non era affatto Ven, quello. E i fratelli Leonhart non potevano andare al lavoro non perché Ven aveva mal di stomaco come aveva detto Sora, ma bensì perché Ven non c’era.
Non era Ven, quello. Ven non sembrava un serial killer quando era allegro e non riusciva a far sembrare un “Ciao Axel” la peggiore minaccia di questo mondo.
La voce di Ven poteva essere paragonata di più all’abbattersi delle onde sulla spiaggia, oppure al frusciare del vento tra le foglie mentre quella era un ice-berg che si abbatteva su di lui o, ancora meglio, il ticchettio della pioggia che ti inzuppa fin nelle ossa.
Panico. Panico totale. Axel strinse il telefono, anche se avrebbe voluto lasciarlo andare.
Cazzo, avrebbe voluto lasciar andar tutto dei suoi ricordi. Avrebbe voluto dimenticare i tre anni a Rain Town, il suono della pioggia, la laurea, la lingua del posto.
Avrebbe voluto dimenticare tutte le persone che aveva conosciuto. Avrebbe voluto dimenticarlo.
Ma, glielo aveva detto tante volte, non si sfugge dal passato. “ E se ci provi” minacciava “quello ti cercherà e ti rincorrerà, fino a quando ti avrà trovato. E allora dovrai affrontarlo. E sarai fottuto, Axel”.
Affrontare il passato, eh? L’unica via da percorrere per arrivare chissà dove.
“E allora affrontiamo questo passato. Diamo inizio alle danze”
- Ciao Roxas. –

Ven pensava di non starsela cavando tanto male.
Sì, aveva avuto enormi problemi all’inizio perché non sapevo proprio dove infilarsele le sette forchette e gli altrettanti coltelli ma poi aveva optato per usarne uno per ogni portata e gli sembrava che i servi non sospettassero niente.
Mica l’aveva capito che stava usando la forchetta da dessert per tagliare il pesce e che i camerieri non parlavano perché sennò “Roxas” li avrebbe licenziati.
Anche se, a dire il vero, l’avevano capito tutti che nel signorino Strife c’era qualcosa che non andava quando aveva, incredibilmente, mangiato più di due forchettate di ogni cosa e aveva detto “grazie” quando gli avevano versato l’acqua.
Comunque dire che Ven stava da Dio sarebbe stato un eufemismo. Non mangiava così tante cose buone neppure a Natale e si chiedeva come facesse Roxas a rimanere così magro quando gli venivano servite tutte quelle prelibatezze.
Stava spolpando un’aragosta quando sentì il campanello. Non era il campanello della porta, ma una scampanellata come quella che sentiva quando passavano le capre davanti casa sua. Poi, in tono solenne, una voce annunciò: - Il signore e la signora Strife. –
Ven andò nel panico: era così occupato a mangiare che neppure si era curato che avrebbe rivisto suo padre. Si pulì in fretta la bocca e scattò in piedi.
Una donna dai capelli neri entrò a passo svelto. Lo guardò e non gli sorrise. Anzi, si sarebbe quasi potuto dire che lo stesse guardando con odio. Ven rimase un po’ deluso ma, si consolò, Cenerentola gli aveva insegnato che tutte le matrigne sono cattive.
- Tuo padre arriva tra poco. – disse freddamente.
Suo padre. Dopo sedici anni. Probabilmente se ne sarebbe accorto che non era Roxas perché…beh, perché un padre si accorge di certe cose. E magari avrebbe pianto abbracciandolo.
Come si vedeva che non conosceva Cloud Strife!

- O. Mio. Dio. Ma che schifo! – aveva commentato Roxas appena visto Casa Leonhart. Si era rivolto a Sora implorante: -Dimmi che questo è lo stanzino delle scope, ti prego. Dimmi che non abitate in questo pertugio. –
Sora rimase offeso dalle affermazioni: casa sua era bellissima! Ed era anche una delle più grandi delle Destiny…insomma, avevano pure il garage! Pochissime persone avevano il garage.
- Mi dispiace, regale sovrano d’America. Noi abitiamo qui. – rispose sprezzante. L’espressione che si dipinse sul volto di Roxas era di puro disgusto: - Ma che schifo! E tra l’altro, se fossi meno ottuso, sapresti che in America non c’è la monarchia. –
Sora non ebbe il tempo di ribattere perché la porta si aprì: ne uscì un uomo snello e castano, dagli occhi acquamarina e i lineamenti duri.
Sembrava burbero ma sorrise, vedendoli: - Non dovevate lavorare oggi? –. Quindi quello era un padre vero. Roxas si sentì quasi disgustato.
Sora era imbarazzato: - Sì, ma Ven non stava bene e… -
- Ho capito. – Squall sembrò divertito: - Venite dentro, dico ad Aerith di aggiungere più pasta. –
Aerith. La puttana che l’aveva messo al mondo. L’avrebbe rivista dopo sedici anni.
Sedici anni in cui l’aveva abbandonato all’inferno. Bene.

Cloud entrò e corse ad abbracciarlo. Poi gli sorrise e accomodandosi vicino a lui gli chiese: - Come è andata a scuola? –
O almeno, questo era quello che avrebbe voluto raccontare Ven. E poi, ai suoi amici, avrebbe aggiunto che era un padre eccezionale e che si era scusato e aveva detto che era stato un errore tenere solo Roxas.
Ma niente di tutto ciò successe.
Entrò un uomo sulla trentina, biondo e con gli occhi color ghiaccio. Senza neppure guardarlo si sedette vicino alla donna, le diede un bacio a stampo e cominciò a mangiare.
Ven rimase in piedi, impalato e con le lacrime agli occhi. Gli sembrava di essere a casa di sconosciuti, cosa che sarebbe stata vera se lui fosse stato lì in veste di Ven, ma lui doveva essere Roxas. Doveva essere il figlio di quelle persone che lo trattavano con disprezzo.
Impossibile che il suo gemello avesse questo tipo di rapporto con suo padre. Nessun padre può trattare in questo modo un proprio figlio perché… è impossibile. Era suo  padre.
Se fino a quel momento aveva pensato che Squall lo trattava con freddezza, questo cambiò completamente il suo parere.
Cloud lo guardò. Ecco, pensò Ven, ora si scusa per non avermi visto e viene ad abbracciarmi.
- Cosa vuoi? – chiese freddamente. Ven avrebbe voluto mettersi a piangere e urlare “Ehi, io sono tuo figlio! Dovresti baciarmi e preoccuparti per me, non chiedere cosa voglio!”.
Ma qualcosa gli diceva che Roxas non l’avrebbe mai fatto.
- Marluxia – si limitò a dire – accompagnami in camera. –

- Tesori! Che sorpresa vedervi! – se Roxas avesse dovuto sentire qualcosa, se qualcosa in lui doveva urlare “Sì, questa è mia madre”, non lo fece affatto.
Più che altro sentì quasi la mancanza di Tifa e ringraziò il cielo che quella donna se n’era andata quando lui era nato.
Sua madre era una nana. Una nana hippie. Una nana hippie che si era persa lo sviluppo degli ultimi decenni. Una nana hippie che si era persa lo sviluppo degli ultimi decenni e con lo stesso stile di una puzzola selvaggia. O di una delle begonie che piacevano tanto a Marluxia.
- Ma cosa ci fate qui? Non dovevate essere al lavoro? – Ma sai che i fazzoletti in testa non si usano più dagli anni Sessanta?
- Sì, ma Ven non sta bene. E così… - O Mio Dio, quei cosi marroni che hai ai piedi dovrebbero essere scarpe?
­- Ma cos’hai? Effettivamente sei un po’ palliduccio. – Aerith gli si avvicinò.
Sta lontana da me, grande ornamento da giardino parlante!
Roxas indietreggiò, finendo spalle a muro. Poi accadde l’irreparabile: Aerith lo abbracciò e gli diede un bacio sulla fronte.
Il biondo sentì l’odore di sua madre entrargli nei polmoni e gli girò la testa. Era la prima volta che qualcuno lo abbracciava. La prima volta che qualcuno si comportava da genitore con lui. La prima volta che qualcuno lo faceva sentire amato.
Gli venne da vomitare.

Ven piangeva.
Se ne stava sdraiato sul letto di Roxas, che era davvero comodissimo, stringendo un cuscino ad acqua e lasciava che le lacrime gli scivolasse via dalle gote.
Piangeva per Roxas, per tutto l’amore che non aveva mai avuto, per tutte le volte in cui aveva avuto bisogno di una famiglia e quella non c’era stata.
Piangeva anche perché si sentiva in colpa: non aveva capito il perché dell’espressione confusa di Cloud quando,  nell’intervista, gli avevano chiesto di Roxas e perché Roxas fosse sempre così freddo e schivo quando si parlava della sua famiglia. Eccolo il perché.
La famiglia che lui credeva bellissima non esisteva. Il suo gemello era da solo.
Chissà come era invidioso di lui adesso che stava scoprendo cosa significava essere amati.

- Ven, tesoro, tutto ok? –
Tesoro. Roxas vomitò di nuovo. Ma che cazzo ti vomiti se sono giorni che non mangi?
Proprio forte e indipendente il suo stomaco. Non riusciva a reggerle tutte quelle smancerie.
Dunque quella era un’allegra famigliola felice? Questo era quello che trovava Ven quando tornava tutti i giorni? Una madre che lo baciava e un padre che lo accoglieva a braccia aperte?
Ma che schifo!
Non avrebbe mai più dato dello stronzo a Cloud. E mai più scherzi a Tifa, promesso.
…No, questo era impossibile. I genitori di Sora erano troppo zuccherosi ma Tifa e Cloud erano dolci come lo yogurt magro scaduto e ammuffito.
- Ehi… - la voce di Aerith era seriamente preoccupata – cos’hai? – Roxas si fece coraggio e aprì la porta del bagno: - Sto bene… -
Mamma. La parola non riuscì ad attraversare l’epiglottide. Rimase bloccata lì, tra la gola e la bocca e Roxas dovette vomitare di nuovo per farla uscire.
Perché chiamare mamma una persona che ti ha abbandonato alla nascita?
- Davvero? A me non sembra. Dai vieni, ti ho preparato il tuo piatto preferito. –
Puttana. Sedici anni da solo e vuoi farti perdonare con un abbraccio e del caviale?
Ma, a quanto scoprì Roxas, il piatto preferito di Ven non era affatto il caviale. Probabilmente il suo gemello non sapeva neanche cosa fosse il caviale.
Pasta e piselli? Quale coglione ha come piatto preferito la pasta e piselli?
Sospettoso guardò accanto al piatto: - Una? – chiese scettico prendendo in mano la forchetta.
Squall lo guardò aspro: - Quante ne volevi? Tre? – Sarebbe già un inizio, grazie.
- Non ho fame. – si alzò da tavola. Squall lo fulminò con lo sguardo - … ma rimango, comunque. – si affrettò ad aggiungere, sedendosi.
Neanche al centro di disintossicazione lo trattavano così male.

Probabilmente Roxas pensava di dover rimanere a Destiny solo qualche settimana perché, a quanto stava scoprendo Ven, non si era portato molto.
Erano più di dieci minuti che frugava tra i cassetti e fino a quel momento aveva trovato solo: cinque telefoni, sei computer portatili, una scatola di cioccolatini finita, una riserva di alcol pop e superalcolici dietro il comodino, una bustina di zucchero sottilissimo (“Beata ignoranza” avrebbe detto Roxas se fosse stato lì) una play station, una guida sulle opere impressioniste della seconda metà del ‘900 (e in copertina c’era proprio quel quadro di Monùt in cui Roxas lo aveva portato), sei o sette libri dal titolo complicato e tanti, tantissimi vestiti.
Davvero, Ven non aveva mai visto tanti capi d’abbigliamento, che dall’aspetto sembravano davvero costosi, tutti insieme. Alcuni avevano ancora il cartellino, altri erano macchiati di quello che sembrava sangue.
E, da tutta la sua ricerca, l’unica cosa che aveva potuto dedurre del suo gemello era che era un alcolizzato appassionato di elettronica e maniaco di vestiti, peggio di sua madre quando parlava con le vicine.
Ora, non che si aspettasse di trovare chissà ché nella stanza di un tizio che a malapena parlava, però sarebbe stato più emozionante sapere con chi usciva, com’erano i suoi amici o quantomeno se aveva amici.
Ma,  pensò Ven lanciando un’occhiata sprezzante alla bottiglia di Tequila mezza vuota, non dovevano essere proprio dei bravi ragazzi. Diciamo pure che erano quel tipo di persone che Squall avrebbe voluto arrestare. Ma tanto Squall voleva “sbattere dentro” ogni forma di vita, da Platinette al tizio che non puliva la cacca del cane.
Quasi sconfortato, si rassegnò al fatto che non avrebbe scoperto niente e che se ne sarebbe andato di lì a mani vuote. Gli era passato anche per la mente di rubare qualcosa, tanto Roxas aveva tanti di quei soldi che mica se ne sarebbe accorto.
Poi aveva pensato che già aveva un incredibile peso sulla coscienza perché era gay e (innamorato di Terra) un altro lo avrebbe portato al suicidio. O all’omicidio se suo padre lo avesse scoperto. Quindi sarebbe morto in entrambi i casi.
Suo padre. Suo padre che si chiamava Squall Leonhart e faceva il poliziotto.
Non Cloud Strife. Cloud probabilmente neppure si ricordava di avere due figli.
Forse neanche uno. Quel pensiero gli fece di nuovo salire le lacrime agli occhi. Aprì un cassetto per cercare un pacchetto di fazzoletti e fu allora che la notò: una foto, incastrata tra lo spigolo e la scrivania. Ven la prese con mani tremanti e quello che vide lo lasciò shoccato e confuso.
C’era Roxas in quello scatto però aveva qualcosa di diverso dall’antipatico adolescente che era arrivato allo Destiny: lo sguardo era sempre spento però l’espressione era come più rilassata e negli occhi, comunque freddi, c’era un piccolo frammento di speranza.
Ma, se il suo gemello fosse stato da solo in quella foto, probabilmente non l’avrebbe neppure calcolata più di tanto. Era un altro il “piccolissimo” particolare che gli aveva contorto le budella.
Un particolare fin troppo conosciuto, di un metro e ottanta, con gli occhi verdi e i capelli rossi.
Un particolare che sorrideva e che, guarda caso, era tornato a Destiny poco prima dell’arrivo di Roxas.
Un particolare che…insomma, che diavolo ci faceva Axel in una foto con Roxas?

Riku si guardò allo specchio: aveva optato per il look casual, quella sera.
Indossava una camicia nera abbottonata fin sotto il collo, un jeans scuro e le scarpe da ginnastica nere. Niente di sofisticato insomma, se non fosse stato che ci aveva messo due ore per prepararsi.
Dio, sembrava una ragazzina al primo appuntamento. Eppure lui di appuntamenti ne aveva avuti tanti e non si era mai curato molto del suo aspetto. Aveva sempre afferrato le prime cose che gli capitavano sotto mano e via, a baciare tipe super truccate che gli rovinavano le maglie con macchie di rossetto.
“Forse” si ritrovò a pensare “è sempre così quando si è innamorati. Forse ogni piccolo particolare diventa di vitale importanza e ci si sente come se ogni passo possa cambiare il corso della vita.”
O forse, a furia di sentire Xion sbraitare e piangere, attaccata al suo collo, si stava davvero rincoglionendo.
- Non è giusto che non vuoi portarmi con te. Se è vero che non mi nascondi niente, sono autorizzata a seguirti, ovunque tu vada. – sbuffò, stringendo la presa. Riku le afferrò le braccia per non rimanere soffocato.
- Te l’ho detto: è un’uscita tra uomini, ti sentiresti in imbarazzo. – la guardò negli occhi. Lei si asciugò le lacrime – Allora non hai nessuna fidanzata segreta? –
- No, Xion. – Non ora, almeno. E probabilmente neppure stasera.
Chissà se Sora aveva intuito il motivo di quell’appuntamento. Chissà se ci aveva pensato e se aveva preso una decisione riguardo loro due. Riku sperava vivamente di sì perché l’aspettare lo stava logorando dentro.
Ma, conoscendo Sora, quando avrebbe fatto la fatidica domanda “Hai deciso?”, egli confuso avrebbe risposto “Che intendi? Qualcosa di Ven?”. L’avrebbe ucciso quel Ven, se avesse potuto.
Zexion entrò nella stanza, cacciando – con molta dolcezza- Xion (“Va’ fuori, oppure Teddy deciderà di fare un bagno nella candeggina”) e si sedette sul letto a braccia incrociate. Scrutò Riku con un certo interesse.
- Allora? – chiese il minore girandosi – come sto? –
L’azzurro annuì: - Passabile. – Riku inarcò un sopracciglio:
- Ci ho messo due ore a prepararmi e l’unico commento che ricevo è “passabile”? Cazzo, Zex, un po’ più d’impegno, magari! –
Zexion controllò il cellulare e una fitta di sconforto si fece largo nella sua mente: Demyx non l’aveva chiamato neanche quel giorno.
- Cosa vuoi che ti dica, Rì? “Oh, stai benissimo. Sora ti salterà addosso e vivrete felici e contenti”. Sai che non andrà così. Non ti noterà neanche se ti vesti da Drag Queen e vai in giro con un casco di banane in testa e un pitone nelle mutande. –
L’altro divenne di mille colori solo al pensiero.
Zexion- Riku 1-0
- Piuttosto… sai dov’è Demyx? – Riku si aggiustò una ciocca ribelle: - Non so. Al lavoro, probabilmente. Ultimamente sono sempre tutti lì. – Poi il colpo di genio. Si voltò a guardare Zexion, sbalordito: - Aspetta… ti stai innamorando di lui? –
Le guance dell’altro si tinsero di un rosso acceso: - Ma no… cosa vai a pensare…era tanto per chiedere. –
Riku sorrise beffardo: - Fai tanto il duro, dici di non sopportarlo e poi sei innamorato di lui. –
Zexion- Riku 1-1
La sveglia, impostata da Riku per non dimenticare l’appuntamento (“Come se potessi dimenticarlo, poi” aveva commentato Zexion quando gliel’aveva detto) fece segno che era ora di andare.
Zexion scattò in piedi, si avvicinò a Riku e gli sbottonò il primo bottone della camicia, lasciando così intravedere i pettorali scolpiti. Gli fece l’occhiolino: - Vai, cugino. La tua bella dama ti aspetta. –
Riku arrossì vistosamente.
Zexion- Riku 2-1

Sora guardò Roxas di traverso: era davvero patetico.
Se ne stava sdraiato sul letto con una mano sulla pancia e l’altra sulla bocca e un’espressione di sofferenza dipinta sul volto. Ogni tanto deglutiva a vuoto e gli sembrava anche che sudasse.
“Trattengo il vomito” gli aveva risposto quando Sora, temendo che potesse spirare sotto i suoi occhi, gli aveva chiesto “Devo chiamare un’ambulanza?”. Poco importava se a pranzo non aveva toccato cibo.
- Sei ridicolo. – Sospirò sdraiandosi. Incrociò le mani dietro la testa. Alla fine Roxas non era poi tanto fastidioso, quando non parlava.
- Non è colpa mia. – borbottò l’altro. La voce era soffocata dalla mano – E’ il mio stomaco che non riesce a trattenere la roba. Semplicemente arriva giù e poi risale su. –
- E’ una malattia questa. – Sora si voltò a guardarlo: nella penombra era assolutamente identico a suo fratello. – Si chiama anoressia. Tu sei malato, Roxas. – Il biondo scoppiò a ridere:
- L’unica malattia che ho è che non riesco a sopportare una finta famiglia felice, basata sull’ipocrisia e sulla menzogna. –
Sora si mise sulla difensiva: - Perché dici questo? –
- Andiamo, “fratellino” – lo canzonò – Davvero credi che tuo padre sappia di me? Pensi che tua madre abbia raccontato tutta la verità sulla sua storia? Povero illuso! –
Sora scattò in piedi: -Sei tu che menti, Roxas. Quale sarebbe la verità, allora? –
- E’ che… - Ma Sora non poté scoprire qual’era la verità perché l’orologio rintoccò e Roxas cambiò discorso: - Non avevi un appuntamento con Riku, stasera? –
Sora sembrò risvegliarsi da un sogno: - Io… me n’ero dimenticato. – disse più a sé stesso che all’altro – E non è un appuntamento! – aggiunse poi, come ripensandoci.
Roxas rise: - Proprio non capisci Sora. Manderai tutto all’aria, come fai sempre. –
Sora strinse i pugni con le lacrime agli occhi: - Tu non sai niente di me. Non sai niente della mia famiglia e non sai niente di Ven. Sei solo un ragazzo cattivo che è piombato qui per rovinare tutto. Non ci riuscirai, Roxas. Io non te lo permetterò. –
Il biondo si alzò dal letto e gli si avvicinò, sorridendo: - Tu provaci, Sora. Ma è contro Roxas Strife che ti stai mettendo. E quando si gioca con me finisce in un solo modo: io vinco, voi perdete. – Gli accarezzò la guancia con due dita: erano fredde e lunghe. – Ora vai fratellino. Vai a rovinare tutto. Rimarrai da solo alla fine. –
Aerith entrò nella stanza e Sora uscì, con le lacrime agli occhi. Non gliel’avrebbe data vinta. Non così facilmente.
Roxas guardò fuori dalla finestra: era ormai il crepuscolo e i raggi del sole allungavano ombre nella luce dorata. Da casa Leonhart, in uno scorcio tra le due case di fronte, si poteva ammirare anche il mare che a quell’ora brillava come non mai. Avrebbe rovinato i suoi delicatissimi occhi, pensò Roxas.
- Ven… - cominciò sua madre – stai meglio adesso?  -
- Sì, grazie. – rispose freddo, senza neppure guardarla. Non ce la faceva proprio a scrutare i suoi occhi verdi. Non riusciva proprio a dire “mamma” senza che il suo stomaco non facesse un triplo salto mortale. Era intollerante alla famiglia, ecco tutto. Anche ai pomodori a dire il vero, ma in quel momento non contava più di tanto.
- Vieni qui…- la nana da giardino gli si avvicinò pericolosamente – fatti abbracciare tesoro. –
Lo strinse tra le sue malefiche braccia e Roxas aspettò di sentire la testa che gli girava e la bile salire in gola, ma non successe. Ci fu solo il cuore che gli scoppiava nel petto e un calore mai provato che gli pervadeva la pelle. Non ricambiò l’abbraccio, ovvio, quella per lui era una sconosciuta, solo chiuse gli occhi e rimase lì, al centro della stanza, abbracciato da sua madre.
Alla fine, pensò, essere amati non era poi tanto male.





Dalla tana dell'autrice (Sì, tana, come quella dei topi n.d.altra me):
...Boh. (-_-' n.d.altra me) Ho postato un altro capitolo (Capitan Ovvio n.d.altra me) e se non ha molto senso è perché è solo metà. L'ho diviso perché il capitolo originale era di tipo trenta pagine...ventinove e mezzo per essere precisi. E quando stasera l'ho finito mi sono messa a ballare la ola, il tango, il chachacha e tutte quelle altre robe strane che si ballano quando uno è contento. E' stato un parto: l'ho cominciato a scrivere esattamente nove mesi fa e, neanche me ne sono accorta, ne ho scritti due (Quello che dici non ha senso n.d.altra me).
Alle recensioni risponderò tramite quella bella funzione di EFP, se imparerò ad usarla (Idiota n.d.altra me)
E niente, spero che il capitolo sia di vostro gradimento. E che, nonostante il mio...ritardo è un eufemismo, spero tornerete a seguirmi. Ci vediamo presto.
Baci&Abbracci da Kim.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Dark Roku