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Autore: Ariana_Silente    12/09/2011    1 recensioni
-Non sono Harry Potter, ma so combattere anche io. Li farò diventare pazzi.-
Scorcio su quanto è accaduto a Hogwarts mentre i tre vagavano per la Gran Bretagna.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neville Paciock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Un cuore grande, un cuore da leone.

 


Quello che si presentò nella Stanza delle Necessità non era quel ragazzo che sette anni prima era giunto a Hogwarts, varcando le porte del vetusto castello con passo incerto e tremante.
L'aspetto non era più quello goffo e buffo dei bambini: si era alzato e irrobustito, la tunica non cadeva più scompostamente sul corpo.
Il viso un tempo paffuto aveva assunto tratti decisi, dalla mascella lievemente colorita dalla prima barba agli zigomi un poco in evidenza, fino alla fronte ombreggiata dai capelli scompigliati. Non era molto ampia ma era segnata da numerose rughe. Il suo sguardo era intenso e inquietante, vi si leggevano molti tormenti.
Non appena fu notato, i ragazzi radunatisi si zittirono.
Ginny e Luna attesero che parlasse: di comune accordo avevano deciso di rifondare l'ES, ma era stato Neville il primo a parlarne.
Lui scrollò le spalle e in quel gesto che tradiva il nervosismo i più attenti osservatori rividero il ragazzo di un tempo, ma parlò con decisione.
«Sono contento di vedervi così numerosi, questa sera. Voglio che sia chiara una cosa: ho in mente di fare cose molto pericolose per cui ci puniranno, ci tortureranno e ci lasceranno anche ferite. Quindi se siete intenzionati a non farvi male, andatevene. Il primo che fa la spia però sarà punito.» nessuno si mosse, nessuno contestò.
Neville fece un profondo respiro e cercò il sostegno di Ginny e Luna che gli sorrisero di rimando.
Scrutò ancora per qualche attimo i compagni, cercando di tener a bada il cuore tamburellante.

Ma che cavolo stava facendo?
La nonna sarebbe andata su tutte le furie.
Eppure, stranamente, quella certezza gli diede convinzione.
La stessa convinzione per cui negli anni aveva conservato tutte le cartacce che la madre gli aveva donato.

«Bene, questo mi solleva molto. Dunque come me non tollerate ciò che sta succedendo. Non solo a Piton e ai Carrow, loro in fondo sono solo pedine. Ciò che vi propongo questa sera è di opporvi al Signore Oscuro. Qui, a scuola, dove vorrebbe convincerci che siamo superiori a chiunque non sia figlio di generazioni di maghi. Eppure noi stringiamo un ottimo esempio di quanto ciò che dice sia falso - fece brillare il falso galeone che portava la firma della magia di Hermione Granger –  Ricordate perché io stringo questo galeone?» si rivolse ai presenti.
«Lo fece la Grenger due anni fa per l'ES!» esclamò qualcuno.
«Esattamente. E lasciate che vi dica che i suoi genitori sono dentisti nel mondo babbano.» rispose annuendo Neville.
«E cos'è?» domandò qualcuno.
«Curano i denti.» spiegò sbrigativa Ginny.
«Stiamo parlando di opporci a criminali ed assassini.
Quando vi minacceranno o vi tenteranno, ricordate che Cedric Diggory era purosangue, ma questo non ha fermato la mano del Signore Oscuro quando l'ha ucciso.» tacque un attimo, sfregando la fronte con la mano. Sospirò.
«Sentite, sarà la cosa più pazza e pericolosa che abbiamo mai fatto. Ma per quanto mi riguarda sono pronto a tutto!»
«E sei anche pronto a subire tutti i colpi, Neville?» gli chiese qualcuno. Lui cercò con gli occhi l'interlocutore, un ragazzotto del quarto anno di Corvonero.
«Qualsiasi colpo.» asserì con una freddezza spaventosa e fissandolo serenamente. «Sono persino disposto a impazzire come i miei genitori se questo vuol dire riuscire a batterlo.» un silenzio tombale scese nella Stanza delle Necessità, tutti gli occhi erano puntati su di lui.
«Non permetterò che questo succeda, Neville.» gli disse Ginny, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Nemmeno io.» cinguettò con un sorriso Luna.
Lui le guardò ma riuscì a stento a fare un sorriso stiracchiato.
«Dunque, adesso, se le domande si sono esaurite incominciamo a darci da fare. Allenatevi, combattete!»
Mentre nella stanza scendeva un febbrile baccano, Neville, tremante, vi avvicinò a Ginny e Luna. Luna gli strinse la mano.
«Tutto bene Neville?» gli chiese.
«Sto bene, grazie.» ma non guardò niente e nessuno di preciso.
«Sei molto coraggioso. Che cosa facciamo ora?» gli sussurrò Ginny.
«Andiamo a cercare guai, cos'altro?» le disse di rimando lui con un mezzo sorrisetto.

Per i primi tempi decisero che era meglio allenarsi e solo in un secondo momento avrebbero dato il via alla vera rivolta.
Riuscirono a lasciare scritte sui muri del castello, che invitavano gli studenti a unirsi all'ES, a liberare i ragazzi in punizione, a coinvolgere Pix e gli altri fantasmi negli atti di vandalismo che boicottassero le intenzioni dei Carrow. Trascorsero diverse settimane, che divennero mesi.

A Neville non pareva vero di stare portando avanti quella rivolta, di essere stato proprio lui a metterla in moto, non capiva come fosse possibile che i compagni si rivolgessero a lui quando avevano bisogno di qualcosa o solo di una rassicurazione, che gli chiedessero un parere.
Forse perché era il solo che non si rendeva conto che era sempre il primo a scendere in campo e l'ultimo a ritornare nel dormitorio, prima di essersi accertato che i compagni fossero al sicuro. Forse non si rendeva conto che era proprio la sua noncuranza delle punizioni e la sua continua sfida e ribellione ai Carrow a dare speranza ai compagni, a riscuoterli dalla paura e dalla rassegnazione e per questo i compagni lo guardavano con occhi nuovi. O forse lo sapeva perfettamente, ed era l'idea che lui avesse trovato, non si sa dove, il fegato per farlo a lasciarlo tanto sorpreso.

Quella notte, era l'inizio di febbraio, verso le due, Neville stava tornando al dormitorio con Ginny e stavano discutendo dell'impresa appena conclusa in Sala Grande, grazie all'aiuto di Dobby, erano riusciti a far disporre le candele a formare la frase:

“Il Signore Oscuro era cenere e presto tornerà ad esserlo. Stiamo preparando la sua tomba.”

Magari si erano lasciati un po' prendere la mano, ma morivano dalla voglia di vedere l'espressione dei Carrow la mattina seguente.
Fu con calma eccezionale che Neville entrò nella Sala Grande con i compagni Grifondoro, fingendosi stupito. Molti gridarono, i più coraggiosi applaudirono.
Più velocemente che poté, Neville prese posto davanti al tavolo dei professori, mentre Seamus gli sussurrava all'orecchio.
«Bel lavoro, guarda Piton.»
Svelto, Neville seguì lo sguardo dell'amico e vide il vecchio insegnate di pozioni: il volto cereo e gli occhi gelidi percorrevano lentamente ogni parola e più leggeva, più il suo colorito si faceva verdastro. Neville sogghignò.
«Dici che è di suo gradimento?» buttò lì con disinteresse.
«Eccome, non vedi come sprizza gioia da tutti i pori?» ridacchiò Ginny, facendogli l'occhiolino.
L'atmosfera in sala grande era tesa quasi che attendesse che si scatenasse la tempesta. In effetti fu quello che accadde.
«Chi è stato? Chi ha osato?» sibilò Piton, ma si sentì ugualmente in ogni anfratto più remoto del castello.
Molti studenti rimasero pietrificati, mentre la voce di Piton veniva sovrastata da quella dei Carrow che si erano precipitati minacciosi in mezzo alla Sala.
Neville più i Carrow si facevano minacciosi, più si sentiva calmo e tranquillo, assaporava quel successo con gioia vendicativa.
«Chi è stato, lurido branco di pezzenti schifosi?! Chi di voi ha osato insultare il proprio maestro e signore?!» gridavano, lanciando maledizioni a caso tra gli studenti.
Neville decise che lo spettacolo doveva terminare quando una maledizione sfiorò una studentessa del primo anno di Tassorosso. Si alzò dal suo tavolo, forte solo della sua libertà e andò a fronteggiare i suoi nemici.
«Lurido verme! Lo ammetti, allora sei stato tu!» gridò Alecto che si avvicinò a gran passi. Sullo sfondo Neville vide di sfuggita la professoressa McGranitt scuotere la testa inclinando il capo. Le sorrise grato.
Quindi riportò la sua attenzione alla donna che gli stava urlando in faccia. Scoppiò a ridere.
«Ammettere? Non ho nulla da ammettere. Voi avete fatto una domanda e io conosco la risposta. Un solo studente manderebbe un messaggio agli altri studenti, uno solo, e io conosco il suo nome.»
«E quale sarebbe questo nome, eh?» Amycus gli sputò addosso.
Neville passò lo sguardo dall'uno all'altra e poi lanciò un'occhiata velenosa a Piton che era seduto sul posto che era stato – che era – di Silente, quindi prese a parlare con calma, a voce alta in modo che tutti potessero sentirlo.
«E' stato uno studente molto amato, un amico sincero e fedele, ma è stato ammazzato brutalmente e non è bastato il fatto che fosse figlio di generazioni di maghi e streghe a salvarlo. Cedric Diggory!» scese un sonoro silenzio, Neville sollevò il mento in segno di disprezzo e si voltò per andarsene.
Fece pochi passi.

Uno dei Carrow, o forse entrambi, lo colpì con la maledizione Cruciatus e lui non seppe più niente.
Era solo cosciente di quel dolore allucinante.

Un pensiero gli attraversò la mente: sarebbe finito come i suoi genitori.

Un altro pensiero lo fulminò: la stanza d'ospedale in cui giacevano il padre e la madre, ricordò gli occhi della donna che aveva imparato a chiamare madre.

Ira, odio.

Non c'era più dolore, o forse erano proprio quelli a fargli tanto male.

Rabbia. 

Solitudine.

Sue compagne in quei mesi in cui i suoi incubi erano diventati veri, gli occhi vacui di sua madre un monito e il sorriso assurdo di suo padre uno schiaffo doloroso.

Ricordò di avere un corpo e una volontà per muoverlo. Ricordò la sua arma, la bacchetta di betulla.
La sua mente era presente a se stessa, cosciente delle maledizioni che gli piovevano addosso da destra e manca, ma il dolore lo avvertiva come se fosse attutito, distaccato. Come se facesse parte di una porzione recondita della sua mente.
Fu scaraventato per l'ennesima volta a terra, con parecchie ossa rotte in più – dubitava in effetti che qualcuna fosse rimasta integra – ma la sua mano che non tremava raggiunse la sua tasca, e la paura ora era di non trovarvi niente, ma le sue dita si strinsero all'impugnatura levigata della bacchetta che fremette, pronta come chi la brandiva all'azione.
Non era mai stato abile nei combattimenti, lo sapeva bene, preferiva di gran lunga la botanica, ma ne andava del suo orgoglio, di quello del suo nome...

Era o non era il figlio di Frank e Alice Paciock?!

Un po' dell'istinto da Auror dei suoi genitori doveva pur essere nascosto in qualche anfratto della sua genetica, accidenti!
Ascoltò, cercando di riprendere fiato, i passi dei suoi aguzzini, avvertì il movimento delle bacchette nemiche che si muovevano nell'aria e all'ultimo rotolò verso sinistra e urlò il suo incantesimo.
«Expelliarmus!» il suo incantesimo colpì l'uomo la cui bacchetta gli volò in mano, quindi si rivolse repentino alla donna.
«Come ti permetti, moccioso insolente! Adesso ti sistemo io!» ma prima che la donna potesse anche solo riprendere fiato, Neville gridò ancora.
«Stupeficium!» l'incantesimo colpì Alecto in pieno petto e la fece volare parecchi metri più indietro.
Velocemente richiamò anche quella bacchetta e le spedì entrambe ai piedi di un pietrificato Piton.
«Hogwarts non vi vuole, professore. Non saranno le torture a impressionarla.» senza degnare di altra attenzione l'intera Sala, con quanto più auto controllo riuscì a imporsi, si avviò all'infermeria respirando a fatica.
Riuscì a raggiungerla per la sola forza di volontà e una volta a quella soglia crollò al suolo, privo di sensi.

Quando riprese i sensi fu accolto dal profumo di pulito e da un morbido materasso, si mosse cauto socchiudendo gli occhi perché aveva avvertito un movimento alla sua sinistra. La sua vista offuscata mise a fuoco prima la professoressa McGranitt poi il volto preoccupato di Ginny.
«Beh? Mi sa che avete mancato di grosso se siete qui per festeggiare il mio compleanno.» borbottò muovendosi un attimo.
La McGranitt si chinò su di lui, posandogli una mano sulla fronte, il ragazzo sussultò.
«Ma cosa diavolo ti è saltato in mente, sciocco ragazzo?» Neville la scrutò un attimo.
«Non mi venga a raccontare che non è d'accordo.»
«I morti non lasciano messaggi ai vivi, Paciock.»
«Sappiamo entrambi che non mi riferivo a quello.» l'espressione astiosa della donna si fece d'un tratto preoccupata.

«Mi auguro che la tua soluzione non sia farti ammazzare.»
«No, per il momento nessuno mi ucciderà. Il sangue puro non va sprecato, giusto?» sorrise diabolico.
«Li sfiderai allora ogni giorno?» ribatté l'insegnate con una nota tesa nella voce.
«Non sono Harry Potter, ma so combattere anche io. Li farò diventare pazzi
Minerva McGranitt abbassò lo sguardo, stanca.
A Neville si strinse il cuore, a fatica si sollevò e le strinse una mano, l'espressione contrita per le fitte di dolore.
«Non è vendetta la mia, professoressa. Ma è giusto combattere, bisogna opporsi. Non farò finta che non stia succedendo niente. I miei genitori non lo farebbero e non lo farò nemmeno io.»

La donna lo guardò negli occhi e posò una mano sulla sua spalla con delicatezza, ma Neville sussultò ancora lo stesso.
«Il tuo cuore è grande ed è un cuore da leone. Sembra che solo tu non riesca a convincertene, Neville.» Neville sentì le lacrime salirgli agli occhi e si affrettò a cacciarle con nonchalances, mentre Ginny annuiva convinta.
«Non sarò più cauto in futuro, ma non gli permetterò più di divertirsi.» accondiscese dopo un lungo sguardo d'intesa con la professoressa.
«E ora, ragazzo, bada a rimetterti in piedi al più presto. Senza perdere tempo.» aggiunse come se far ricrescere, aggiustare ossa e riprendersi da Maledizioni Senza Perdono fosse una cosa da tutti i giorni.
Ginny tossicchiò, ma la McGranitt non la degnò di uno sguardo e se ne andò a grandi passi.
I ragazzi si guardarono.
«Senza perdere tempo?» ripeté Ginny scuotendo la testa.
«Più tempo passo qua, meno lo passo sui libri. È una perdita di tempo, no?» le sorrise.

«Allora vediamo bene di sfruttarlo al massimo.» Madama Chips era ricomparsa con l'espressione di chi ha pazientato fin troppo e Ginny la lasciò al suo paziente. L'infermiera si sedette sul bordo del letto di Neville.
«Ti hanno conciato per le feste, così ti passa la voglia di combinare guai.» lui annuì distrattamente.
«Ti rimetterò in sesto, ma sarà doloroso.» l'avvertì.
«L'importante è tornare in piedi al più presto.» la donna sorrise.
«Per tornare presto a far danni?» si guardarono con uno sguardo alquanto complice, Neville lasciò sospesa la sua risposta affermativa a vibrare nell'aria dell'infermeria.
Trascorse tre giorni a subire le dolorose cure di Madama Chips, ma a mezzogiorno del terzo si rese conto di poter respirare liberamente a pieni polmoni e di avere una fame vorace con cui divorò tutto il pranzo proposto dagli elfi domestici.
Quel pomeriggio, venne a trovarlo Ginny (Madama Chips fu irremovibile: lo avrebbe dimesso solo a sera per tenerlo ancora sott'occhio, ma Neville sospettava fortemente che volesse solo tenerlo lontano dai sui letali propositi ancora per qualche ora.).
«Quindi sei guarito? Pronto a ritornare?» le disse allegra. Ma nei suoi occhi Neville scorse una patina di lacrime.

«Certo! È solo questione di tempo.» si scambiarono uno sguardo d'intesa.
«Siete tutti pronti?» mormorò.
«Aspettiamo solo te.» si sorrisero.
«Notizie da tuo fratello?» le chiese. Lei scosse la testa e distolse lo sguardo, mordendosi il labbro.
«Ehi, sta bene! Nessuna nuova buona nuova, dice mia nonna. Stai tranquilla, tornerà.» Ginny tornò a guardarlo e gli sorrise, senza trovare parole per ringraziarlo, ma a Neville fu sufficiente.
A sera fu dimesso da una titubante Madama Chips che lo guardò uscire dall'infermeria con un moto di tristezza: il ragazzo camminava rigido ed eretto, il capo verso l'alto e il passo deciso, nonostante solo quarantott'ore prima non riuscisse nemmeno a respirare bene.
La donna scosse la testa.
Quello che se ne tornava alla vita di tutti i giorni non era un ragazzo di diciassette anni, ma un guerriero armato fino ai denti e disposto a morire piuttosto che cedere.

Eppure, in quel momento Neville non si sentiva affatto un guerriero.
A dir la verità non sentiva, pensava.
Pensava alla sua mamma che gli metteva in mano una cartaccia e a suo papà che gli sorrideva, appoggiato al davanzale della finestra.
E poi pensava ad alcune parole.
 

Un cuore grande, un cuore da leone.

  
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