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Autore: MilesAway    12/09/2011    0 recensioni
In sette giorni, Dio ha creato il mondo. Qualcuno, in sette giorni, si è divertito a distruggere il mio.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marta sedeva su una poltrona di poche pretese. La stoffa, ruvida ed infossata, le graffiava le gambe nude. Attorno a sé, nessuna faccia riconosciuta, nessuna rassicurante; un miscuglio di etnie ed espressioni, per di più di noia e irritazione, baluginavano tra le luci lampeggianti. Dalle finestre chiuse, coperte da spesse tende marrone scuro, non si riusciva a capire se fosse passata l’alba o meno. Ricordava la strada buia, i fari che sfrecciavano come treni in corsa. Ricordava tutto.
Aveva voluto credere al detto che il dolore si dimentica presto, per lasciar respirare il corpo. Invece, era tutto lì, compresso tra il cuore e la testa stanca, come le sue gambe schiacciate tra i due braccioli scomodi ed allungati.
Qualcosa, attorno, si era attenuato. Sentiva le voci più distanti, osservava i corpi sbiaditi senza rendersi conto se fosse la stanchezza, o qualcosa di più a togliere colori e frenesia a quel posto affollato.
Lo odiava.
Odiava il bianco sporco delle pareti, la finta pulizia, il marmo scuro che circondava le porte a vetri, le orme e le strisce scure sul pavimento.
Detestava la superficialità dei corpi e dei volti che la circondavano; avrebbe voluto premere forte le mani sporche sulle loro facce, fino ad incavarle e nasconderle.
A malapena sopportava l’odore di disinfettante e cibo rancido senza che l’acido nello stomaco le salisse alla gola, di nuovo, come una palla affogata nei flutti del mare che lotta contro la corrente per risalire.
Non sapeva da quanto tempo se ne stava seduta ad odiare, e a riflettere, unendo spesso le due cose in un solo, vivido ricordo. Sentiva il sedere pesante, e le gambe intorpidite, ma non osava muovere un muscolo per paura di risvegliare qualcosa dentro di sé che non era in grado di controllare.
Passò un altro interminabile minuto, prima che qualcuno le rivolgesse attenzione per la prima volta dal suo arrivo. Sentì l’odore di un corpo sconosciuto risvegliarle i sensi, prima ancora di vedere l’uomo che le sedeva accanto.
Stettero in silenzio senza dirsi una parola per qualche secondo. Il respiro debole dell’uomo si confondeva con il ronzio delle luci al neon, il suo odore penetrò a fondo  nelle narici di Marta fino a sparirvi dentro, così  che lei arrivò a pensare di esserselo immaginato. Catturata di nuovo nei suoi pensieri, finì per dimenticarsene. Fece un balzo sulla sedia quando, nell’accavallare le gambe, sfiorò quelle ossute dell’uomo- che parve solo allora ricomparire alla sua vista.
Osò lanciargli una rapida occhiata da sotto la frangia, prima di tornare a fissare le porte ciondolanti davanti a sé. Notò i suoi occhi azzurri, i capelli brizzolati, le rughe che gli punteggiavano il viso come striature di colore su una tela chiara, le mani piccole  raccolte all’altezza del pube, le sopracciglia fini. Si stupì di quanti dettagli potesse catturare in un solo sguardo. L’uomo, non battè ciglio. Passò ancora qualche secondo, immerso nel chiacchiericcio lontano e nello scalpiccio di qualche camice bianco che di tanto in tanto svolazzava nella sala d’attesa. Infine, Marta, si decise a parlare.
‘Così, è finita.’
‘E’ appena iniziata, Marta.’ Si stupì di quanto calore, quella voce, le avesse infuso in quattro sole parole. Non si chiese come mai sapeva il suo nome, seppe da una sensazione che le scosse il corpo come una scossa elettrica, che avrebbe dovuto alzarsi e seguirlo.
‘Farà male?’
Questa volta, l’uomo non rispose. Le porse una mano, e la sua espressione neutra ed indecifrabile cozzò violentemente con la dolcezza della voce che l’aveva spinta ad alzarsi in piedi. Tuttavia, non esitò a seguirlo tra i corridoi lugubremente illuminati dell’ospedale di San Valico. Dopo tutto, non aveva niente da perdere
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