Capitolo
27
Ineffabile
Il dileguamento
tempestivo di Riccardi è stata una ventata di sollievo in pieno viso. Il vento
canta tra le fronde degli alberi e sembra quasi scacciare il malumore. Se non
fosse per Alberti che fa il finto tonto, trovando di incredibilmente
interessante la propria immagine riflessa sulla porta a
vetri.
- Posso sapere
che vi è frullato in testa, stavolta? – Isa gli afferra un braccio, la voce
improvvisamente acuta – Che razza di cretinate avete messo in
giro?
È troppo tardi
per tornare indietro, perché gli ha appena piantato le unghie nella maglia. Non
vorrebbe sembrare apprensiva, ma è più forte di lei, perché una notizia dalla
dubbia attendibilità è bastata a scalfirla più del necessario. E c’è qualcosa
che continua a sfuggirle di mano con ostinazione.
- Ho detto qualcos’altro, che non va? – Alessandro
sorride, il sorriso tirato di chi, quando trama qualcosa, ti fa l’onore di
renderti partecipe.
- No, tranquillo,
non hai detto niente! – Isa si morde il labbro con stizza – Niente di grave!
Riccardi continua a fare lo stronzo e tu continui a dargli spago. Gli darai la
tua benedizione?
- Oh, sta’ zitta!
– Alberti sembra di nuovo serio, lo sguardo fermo dietro i
Ray-Ban.
Non si scompone
nemmeno per un istante, come un giudice super-partes. Mani ficcate nelle
tasche.
- Gli ho solo
dato il contentino come si fa coi deficienti.
Come volevasi
dimostrare…
– Lo sai, Isa,
quanto ho penato per convincerlo che non era il caso di strangolare Nicoletti? –
soggiunge – Sai quanto ho penato per convincere il direttore a trovare una
soluzione pacifica… che li faccia fessi e contenti? No, non lo sai. A me basta
che Riccardi s’illuda di aver vinto e non rompa più i
coglioni.
- Bravo, così
farà semplicemente peggio – Isa si
osserva intorno, disgustata – Si sentirà legittimato a fare lo stronzo, a
sparare cattiverie inutili, a stuzzicare Andrea…
Solleva gli occhi
al cielo. Ci vorrebbe una soluzione d’emergenza: contare fino a dieci, la
prossima volta, prima di andare a includere nel proprio pacchetto di alleanze
gente incontrollabile e fuori di testa.
- Preferisci
illuderlo di aver umiliato l’avversario, di aver fatto la propria parte, al
massimo rischiandoti qualche battutina razzista all’ora di pranzo, o vuoi
lasciarlo a piede libero a far danni? – Alberti inarca un
sopracciglio.
Isa si morde il
labbro, stizzita.
- Secondo me, uno
così, prima lo scarichiamo meglio è. Non lo so, questa storia non mi piace per
niente – chiude gli occhi: qualche istante per riordinare i pensieri – Per il
momento è una palla al piede, più in là può diventare pericoloso. Sembra che
abbia come unico scopo cancellare Andrea dalla faccia della terra. Da quella
sera maledetta al pub, ciò che fa Andrea sotto le lenzuola è diventato un affare
di Stato. Io non lo reggo più, Giulia e gli altri poco – Isa riprende fiato;
ignora la vampata rovente che corre ad incendiarle le guance, perché non
saprebbe che nome darle, rabbia o imbarazzo – Ti fa così schifo l’idea di
levarcelo di torno? – soggiunge, acida – Basta non appoggiare più le sue
puttanate, e si troverà qualche altro compare.
- Non è così
semplice – Alberti distoglie il viso – Tocca tenercelo buono, controllarlo
perché non faccia cazzate – punta lo sguardo verso il cancello aperto, oltre
l’ingresso e la strada antistante, le palpebre socchiuse in solenne meditazione
– Penso sia un bene per quei due – prosegue – Nicoletti e Riccardi, che si illudano ognuno di aver vinto la propria
battaglia, e la piantino definitivamente.
Isa fa per
accendere la seconda sigaretta; quella di prima, fumata di malavoglia, non ha
fatto nulla per calmarle i nervi. Non potrebbe fare di meglio una stecca intera.
Alessandro invece è calmo, ha la faccia distesa di chi sa di avere la soluzione
in tasca. Uno stratega di razza, con nervi d’acciaio – a prescindere dai margini
di successo.
- Qual era la
seconda brutta notizia? – sussurra Isa, a pochi millimetri dalla sua
bocca.
Peggio di questo,
dubito possa esserci altro.
- Oh, una
cazzatina, in confronto. Hai presente il tizio nuovo? Capelli viola, occhi
truccati, dark, emo o quello che è…? Pare che lui, Nicoletti e Derossi abbiano
attaccato bottone in autobus. Un’allegra combriccola di sfigati sessualmente
ambigui – e sorride, Alberti, le mani che indugiano sulle sue
spalle.
Gli occhi
luciferini.
- Un’associazione
a delinquere, vorrai dire – lo precede Isa – Con Loria al
vertice.
Il rigurgito di
collera non può fare a meno di tramutarsi in veleno tra le parole. È più forte
di lei, proprio non riesce a sopportarlo: un’inutile gattamorta a capo della
fazione ribelle.
- Ma dai, stavo
scherzando! – Alessandro si stringe nelle spalle – Cosa vuoi che me ne importi
in che rapporti stanno quei tre, se si conoscono o altro…? Dai, siamo seri! –
riprende, passandosi una mano tra i capelli – Si saranno scambiati due parole,
ed è finita lì. Il resto è aria fritta e tutte le cazzate che ci hanno ricamato
intorno.
Che ci avete
ricamato intorno. Tu e il tuo dannatissimo asso nella
manica.
Isa solleva gli
occhi al cielo. Può immaginare la scena madre: tre perdenti che fraternizzano e
un idiota qualunque che si fa i suoi film mentali. Riccardi avrebbe usato
metafore più colorate. Tipo le icone del
frociume riunite.
Forse Riccardi se
ne tornerà dalla sua Angelica “the body”, le giurerà che lui non è assolutamente
frocio, che toccherebbe Andrea al massimo per menargli. Forse avrà già
qualcun’altra a scaldargli il letto, e abbandonerà una volta per sempre la sua
crociata ridicola. Male che vada, se la cosa andrà avanti, otterrà solo di
ritrovarsi tagliato fuori con un calcio nel sedere: lo può fare e non esiterà –
per Alberti sarebbe un giochino da principianti.
Osserva
Alessandro. Il suo carisma non è uscito troppo ridimensionato dalla polveriera
inesplosa che fu lo sputtanamento di Neri e soci e la rivoluzione di Andrea,
insulso cappone che ha rivoltato l’Accademia a testa in giù per
niente.
- Mi piaci –
sussurra, sfregando le labbra l’una contro l’altra.
- Eh? – Alberti
solleva un sopracciglio.
Imprevisto a ore
nove - puntare - fuoco!
- Mi piace come
ragioni – Isa sorride, le labbra distese – Mi piace come li muovi, tipo
burattini, e loro lì, prevedibili.
Alessandro
scrolla le spalle.
- Non ci vuole un
genio: basta fargli credere che hanno ottenuto quello che vogliono. Che ognuno
di loro ha la sua sacrosanta ragione – sogghigna – Con Riccardi funziona sempre.
È… scontato, vuole tutto e subito, il mondo gira intorno a lui e poche storie.
Ha un’unica idea bacata nella testa e quella porta avanti: è bianco o nero,
senza sfumature. Vuole la testa del nemico? Benissimo: facciamogli credere che
Andrea sia capitolato e sconfitto, che abbia scomodato tutti i santi per restare
a bocca asciutta. Non so se la cosa potrà funzionare con Andrea… – Alessandro
dischiude le labbra, e adesso quel generico sorriso è una risata trattenuta – Ma
possiamo lavorarci.
Isa sospira.
Andrea basterà prenderlo dal lato giusto, il lato del bambino che pesta ai piedi
e dà di matto. Non sarà difficile inquadrarlo: è uno che ha perso per strada il
suo neurone funzionante e si diverte a sposare ogni patetica battaglia persa.
Forse è sempre stato così, forse ha solo levato la maschera sullo sfigato
attaccabrighe in cerca d’attenzioni che è sempre stato, e il gioco gli è
tragicamente sfuggito di mano.
Fatto sta che,
dal primo momento in cui ha messo piede al “Goldoni”, il suo miglior talento è
stato rompere il cazzo a tutti e su tutti i fronti.
E Alberti non si
accontenta delle briciole: li controlla a distanza di sicurezza. Tutti. Persino
Andrea che si crede un dio e porta a spasso il suo ego ipertrofico su e giù per
l’Accademia, il naso puntato in aria e Loria che gli soffia nelle orecchie la
verità suprema.
- Te l’ho detto:
mi piace – ripete Isa.
E lo fissa dritto
in faccia, interrogativa. È meglio concentrarsi su di lui, ora. Su Alessandro
che socchiude gli occhi sotto un raggio di sole
impertinente.
- È un modo
velato per chiedermi di uscire con te?
Isa annuisce. Un
mezzo sorriso che le affiora sulle labbra senza che nemmeno se ne accorga.
Osserva Alessandro, la pelle dorata sotto la luce viva.
È carino. Non è
bello come Derossi o particolare come Andrea, ma lo sguardo buca come una lama:
dà l’idea di uno che non si lascia sconvolgere da nulla, sempre con quella piega
indolente sulle labbra. È convinto di sedere dalla parte della ragione, di poter
carpire il nocciolo della questione sempre una frazione di secondo prima degli
altri. Come se reputasse il resto del mondo indegno di lui, ineffabile maestro
di inganni. Non tradisce incertezze neppure quando lei si solleva in punta di
piedi e gli stampa un bacio sulle labbra. E sorride,
vittoriosa.
* *
*
Se Andrea dovesse
elencare “le cose che ti hanno colpito di Alexander Thompson”, in quel
mordi-e-fuggi dentro e fuori dall’autobus, direbbe l’ironia del cazzo. Prima dei gusti
discutibili in fatto di look. Non che non gli doni, ma se uno ha come proprio
obiettivo quello di uscire sano da una tana di belve, non è un buon biglietto da
visita.
Si è mostrato
gentile, per la seconda volta. Sin troppo – sempre che non faccia tutto parte di
un machiavellico piano per introdursi pian piano nella sua cerchia e poi
soffocarlo nel sonno.
Ha cavato fuori
un paio di frasi di circostanza con voce strascicata, accennando alla loro
comune fobia per i mezzi di trasporto. Fobia sua e di Gabriele. Ha tentato di
sdrammatizzare con qualche battuta scema, ed è raro trovarti sorridente e
bendisposto al dialogo, dopo che un affare di un metro e ottanta con borsone
a tracolla ha appena tentato di ridurti allo status di
sottiletta.
Andrea cerca di
sorridere: se lui guida come un pirata con qualche cassa di rum in corpo,
Gabriele è instabile pure sulle sue gambe. Accoppiata
grandiosa.
L’impressione non
è del tutto nera, eppure no, non riesce a separare il volto di Alex da quella
prima sensazione di neutralità impersonale, da quella formalità fastidiosamente
politically-correct decisamente artefatta. Niente da fare: forse non è
giornata.
- Senti, per la
macchina non c’è problema – gli sussurra Alex, spezzando il filo dei suoi
pensieri.
Si è ravviato i
capelli scuri che gli ricadevano sulla faccia e ha
parlato.
Andrea scuote il
capo, sorprendendosi a fissare con inedita curiosità la mano ossuta che scorre
tra i capelli. Artigli laccati in verde petrolio e capelli palesemente troppo viola.
Se Riccardi, dopo
la blanda lavata di capo del direttore, avrà ancora voglia di imperversare con
le sue menate omofobiche, troverà il materiale che più si addice al suo
palato.
Tutto ciò che
puoi fare, quando sei a corto di parole, è annuire. Dall’altra parte c’è solo
Gabriele che non fa una piega, e di certo stasera si farà grasse risate per
quella momentanea defaillance.
- Devi scusarci,
davvero – sussurra Andrea, più a se stesso che al resto della
ciurma.
Sono appena
sbarcati di fronte alla Casa dello Studente, sul marciapiede di cemento
incendiato dal sole – e bianco come un miraggio.
Andrea socchiude
gli occhi, evitando di respirare a pieni polmoni lungo il vialetto alberato che
lo separa dall’ingresso. Tutto, adesso, ma non un attacco d’asma
improvviso.
Si volta
indietro. A un paio di passi da lui, c’è solo Gabriele che si accende una
sigaretta. E Alex che continua a scostarsi i capelli dalla
faccia.
C’è qualcosa di
fastidiosamente sospeso che continua a rimestargli nella testa, a tenerlo in un
costante stato d’allarme. Ignorando disperatamente il bruciore agli occhi,
Andrea si concentra su Alex che procede ciondolando al suo fianco. Lo scruta di
sottecchi. No, è inutile: è bastato il primo incontro a dirgli che la cosa non
avrebbe preso una buona piega. Il tamponamento e qualche birra di troppo a
ficcarlo nei guai, e ora Gabriele che gli piomba addosso e per poco non lo
riduce in poltiglia.
Due incontri
ravvicinati in circostanze sfigate non sono abbastanza per poter inserire il
nuovo acquisto dentro la casella dei simpatici o degli antipatici. È stato
gentile persino dopo l’ennesimo disguido, di una gentilezza ruvida, di
circostanza.
Ma. È tutto dire:
per quanto provi a imporsi di non affibbiare etichette sulla base del nulla, non
riesce a trovarci nulla che non sia poco più che incolore: è come uno che ce la
mette tutta a non lasciar capire ciò che pensa, neanche dopo due incontri-scontri su
due.
Visto da lontano
gli era sembrato piuttosto bello: ora che lo osserva bene, tolta la bardatura,
non resta molto. La linea squadrata della mascella fa vagamente a pugni con le
ciocche ribelli che gli spiovono sulla faccia, sugli zigomi appuntiti che gli
conferiscono un’aria emaciata. La bocca, carnosa e vagamente larga, sembra
sempre incurvata in un mezzo sorriso.
- Senti… –
azzarda, dopo un intermezzo di silenzio imbarazzato - non che Gabriele, il
traditore, abbia dato un gran contributo a trarlo d’impiccio – Ma sei proprio tu
l’Andrea Nicoletti di cui parlano tutti?
Terra chiama
Andrea. Puoi essere solo tu. Il tipo con i capelli lunghi e il viso da ragazza,
la mimica facciale di chi ha appena ingoiato un limone
acerbo.
Possibile che lo
sputtanamento sia arrivato pure alle orecchie dell’ultima
recluta?
Andrea scuote il
capo, infastidito. E annuisce.
Era questo il
problema?
- Non importa –
si affretta a correggersi Alex, agitando la mano a vuoto – Puoi… prenderti tutto
il tempo che ti serve. Per la macchina, dico – e riprende a osservarsi la punta
delle scarpe.
Comuni anfibi
neri – grazie al cielo…
-
Eh?
- No, dicevo. C’è
qualche graffio sulla carrozzeria e il paraurti un po’ ammaccato – sorride, Alex
comecavolofadicognome, con l’anellino d’argento al labbro che luccica a ogni
movimento – Pensavo peggio.
- Uhm… per me non
c’è problema, allora – Andrea si sforza di ricambiare il sorriso, ma le sue
parole somigliano a un’eco svogliata, come se tornare cento volte sullo stesso
rassicurante concetto riuscisse a farlo sentire meglio – Cioè… ho fatto una
cazzata. Poteva andarci di mezzo qualcuno…
E adesso, ti
prego, non dirgli che eri mezzo ubriaco. Non dirglielo per amor del cielo.
Almeno per i prossimi trecento anni.
Alex annuisce, lo
sguardo calamitato dal cucciolo addormentato nel trasportino. Poi vira verso la
porta a vetri che scorre al suo passaggio – Andrea scommetterebbe su ciò che ha
di più caro che stia cercando di controllare se ha la matita sbavata. O di
trovare un pretesto qualsiasi e darsi alla fuga.
- Okay. Restiamo
d’accordo così…? – Alex ammicca.
Andrea annuisce
di rimando, un mugugno appena comprensibile.
- Tanto ci
vediamo più tardi – Andrea scrolla le spalle.
E ne riparliamo
con calma. E ci mettiamo una bella pietra sopra, sopra questa storia
assurda.
- Già… – Alex
sposta lo sguardo verso l’angolo bar – Hai fatto domanda anche tu per lo
stage?
Avevo. Andrea si
stringe nelle spalle, una fitta remota in fondo al petto. Qualcosa che pizzica
ancora, che stira la pelle come una vecchia cicatrice. Stringe i denti: è
saltata fuori senza preavviso, ma non la farà riemergere adesso. Perché se non
gli fosse mai importato nulla, dello stage e di tutto ciò che l’isteria
collettiva ha mosso intorno a lui, concluderebbe con un “vacci tu, tesoro, se
proprio ci tieni”.
Fatto sta che in
cinque minuti scarsi di conversazione Alex ha avuto come un sesto senso,
sfiorando tutti i punti dolenti.
- In realtà non
mi sono neanche iscritto – Andrea ridacchia, e deve obbligarsi a mantenere fermo
lo sguardo.
Bugiardo. Lo sai
che stai mentendo – hai provato a tirarti indietro in quattro e quattr’otto,
mentre stampavano il nuovo bando di selezione. Dopo che Neri ha ceduto lo
scettro e dopo che hai rinunciato a qualcosa che avrebbe dovuto spettarti di
diritto.
E allora rifate
le cose come si deve, stavolta, pulite, senza di me, e non c’è trucco e non c’è
inganno – nella misura in cui la presenza di Eleonora Balducci in commissione
possa dirsi una garanzia.
Il suo nome è
ancora lì tra quelli papabili, inserito nell’elenco come una beffa. Nicoletti
Andrea classe 1989, nato a Cagliari un giorno qualunque di cui non importa
niente a nessuno; professione, rompicazzo.
- Io mi sono
iscritto all’ultimo momento – Alex si gratta la testa, pensoso – È stata
E allora, bravo o
meno bravo, caro novellino, è il tuo rito d’iniziazione: pronto a farti fare
marameo da un Alberti qualunque o da una Isa Cortesi che sgomita come
un’invasata.
A meno che non
sia proprio tu il raccomandato d’oro di Sua Maestà, anche se non ne hai la
faccia.
Andrea solleva
gli occhi al cielo. Così teso che il sopraggiungere di Gabriele, annunciato da
una mano posata sulla spalla, è sufficiente a farlo
trasalire.
- Sarà il caso di
rientrare, che dici? – gli sussurra, abbrancandolo per un
braccio.
Andrea annuisce,
stordito. Ha gli occhi che ormai vanno a fuoco, e l’immagine di Gabriele
ondeggia sfocata oltre il velo di lacrime che gli impiccia la visuale. La brezza
rovente gli penetra fin nelle ossa – quel caldo prosciugante, feroce, che ignora
le barriere dei vestiti. Come il braccio che Gabriele gli ha allacciato intorno
alle spalle, spingendolo dentro al sicuro. Rovente contro la sua
schiena.
E una volta
dentro, col soffitto color ghiaccio sopra la testa, quattro pareti rassicuranti
e l’aria condizionata sparata in faccia, di colpo sembra di nuovo tutto normale. Compreso Alex, che biascica
qualcosa sullo stage, lui e la sua faccia da cucciolo smarrito che non sa come
congedarsi, fa “ciao” e caracolla verso il bar.
Resta Gabriele e
i suoi occhi indecifrabili. Non ha assistito all’ultima parte del discorso: è
troppo calmo e troppo a suo agio. Accendersi una sigaretta e fumarsela senza
guardare in faccia a nessuno, gli occhiali neri calati sul viso, è stato il suo
modo migliore per dire che non aveva nessuna voglia di fare da comitato
d’accoglienza e spiegare al nuovo arrivato da chi debba guardarsi le spalle –
per quello ci sarà tempo. Si è giusto ricordato di ruminare una specie di saluto
a scoppio ritardato, per poi dedicarsi completamente a lui e al suo hobby preferito: cuocerlo a
fuoco lento.
- Preferisci un
colpo di sole o una crisi allergica? È una tua scelta… – arriccia il naso,
altezzoso.
Un carro armato
avrebbe maggior delicatezza.
- ‘fanculo,
Gabri! – sbotta Andrea, raddrizzandosi gli occhiali – Non mi diverto a riempirmi
di antistaminico e dormire mentre
Gabriele prorompe
in una risatina discreta, di chi vuol godersi il suo
disagio.
- Okay, okay.
Giornata storta.
Andrea si ficca
le mani in tasca, di scatto, il trasportino con Oscar abbandonato nello spazio
libero tra i suoi piedi e la parete alle sue spalle. Forse riuscirà a passare
inosservato. Lo sguardo puntato sulla parete di fronte – dove, malauguratamente,
non c’è nulla di abbastanza insolito da meritare attenzione –, ostenta
indifferenza.
- Storta? Non
proprio. Finché non è arrivato quello lì… a ricordarmi che sono in debito con
lui. E che sono un coglione e che poteva finire male. Ah, e il colpo di grazia
dello stage che, non si sa come, ogni tanto torna a galla…
- Sull’incidente,
in un certo senso ha ragione – Gabriele solleva gli occhi al cielo, pensoso – È
stato anche troppo buono
Si osserva
intorno con nonchalance, in attesa del “via libera”, per poi sollevare il
trasportino e fargli strada su per le scale.
- E il micio,
quanto pensi di poterlo tenere?
Eccolo,
l’interrogativo di importanza immediata.
- Finché non
trovo una sistemazione decente. Meno che posso – un improvviso brivido di orrore
gli serpeggia lungo la schiena, un istante, ma subito cerca di scacciarlo via –
Non ricordo se il regolamento preveda di potersi portare il proprio gatto, e non
vorrei diventasse il pretesto per venirmi a rompere le
scatole.
- Basta così,
Andre! – Gabriele nasconde il trasportino dietro le spalle; si osserva intorno,
circospetto, lo sguardo teso sotto le ciglia scure – Mi fai
ridere.
- Ti faccio…
ridere?
Speravo di
suscitarti qualche sensazione più soddisfacente per la mia
autostima, vorrebbe
aggiungere. Ma preferisce morsicarsi la lingua a dovere.
- Ma sì, è come
se fossi sempre lì sul chi va là. Come se stessi facendo qualcosa di male ogni
volta che ti muovi…
Tante grazie, ma
sai, qualcuno me l’aveva già detto. Tipo quando avevo tre anni. Sarà mica allora
che ho cominciato a fare “qualcosa di male”?
Gabriele continua
a sorridere – Andrea si domanda perché non se ne sia accorto prima. Ha un paio
d’occhi d’ambra così ben incassati nelle palpebre sottili, così luminosi quando
sorride, che pure quel canino vagamente vampiresco prende una luce tutta
sua.
C’è un’intera
costellazione di motivi per cui, sì, dovrebbe sorridere più
spesso.
Non si limita a
sorridere, Gabriele. Indugia sulle sue labbra in punta di dita, per poi
sporgersi in avanti – una frazione di secondo – e sfiorargli la punta del naso.
E scendere fino alla sua bocca e posarci la sua. Un singolo istante di
vertigine, lontani da sguardi indiscreti. Un tripudio di brividi lungo la gola e
la nuda parete come appiglio. Sospira, e ogni centimetro della sua pelle vibra
in una carezza infinita, dalle sue labbra protese fino alla punta delle
ciglia.
Si è lasciato
andare, immerso nel suo sonno d’ovatta. La mano che trema sull’intonaco
polveroso. E adesso potrebbe morire felice, con le labbra di Gabriele aperte e
brucianti sulle sue, le palpebre socchiuse in quel sogno e qualche granello di
luce impigliato alle ciglia.