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Autore: Cassandra Morgana    13/09/2011    1 recensioni
Sullo sfondo chiaroscurale di un'Accademia d'Arte Drammatica con troppe maschere da indossare e una posta in gioco che sale, tre ragazzi si incontrano.
Elena vince il proprio mal di vivere grazie a un'amicizia speciale, al ritrovato coraggio di gestire i conflitti e a un forte altruismo; si scontra con Isa, la sua nemesi, voce contraria e complementare che cerca di tessere una storia opposta.
Andrea, ragazzo ambiguo e dalla lingua affilata, vuole recuperare la stima di chi, troppo tardi, si è reso conto di amare.
Gabriele imbroglia la propria depressione fumando spinelli, nutre sentimenti ambivalenti verso Andrea e gioca da burattinaio.
Tra pettegolezzi sussurrati, volontà opposte in rotta di collisione, ambizioni frustrate, gelosie, complotti sotterranei, storie di ordinaria omofobia, dark enigmatici, musicisti irascibili, ex amanti, amicizie inossidabili e amori taciuti, in una storia in cui ognuno vuole far sentire la propria voce, resta solo stabilire chi sia Cleopatra e chi il serpente che le insidia il seno.
[Storia sesta classificata e vincitrice del premio "Stile e scrittura più originale" al contest Chi è normale non ha molta fantasia - La storia più originale su EFP, indetto da Butterphil]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
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Capitolo 27

Ineffabile

 

 

Il dileguamento tempestivo di Riccardi è stata una ventata di sollievo in pieno viso. Il vento canta tra le fronde degli alberi e sembra quasi scacciare il malumore. Se non fosse per Alberti che fa il finto tonto, trovando di incredibilmente interessante la propria immagine riflessa sulla porta a vetri.

- Posso sapere che vi è frullato in testa, stavolta? – Isa gli afferra un braccio, la voce improvvisamente acuta – Che razza di cretinate avete messo in giro?

È troppo tardi per tornare indietro, perché gli ha appena piantato le unghie nella maglia. Non vorrebbe sembrare apprensiva, ma è più forte di lei, perché una notizia dalla dubbia attendibilità è bastata a scalfirla più del necessario. E c’è qualcosa che continua a sfuggirle di mano con ostinazione.

- Ho detto qualcos’altro, che non va? – Alessandro sorride, il sorriso tirato di chi, quando trama qualcosa, ti fa l’onore di renderti partecipe.

- No, tranquillo, non hai detto niente! – Isa si morde il labbro con stizza – Niente di grave! Riccardi continua a fare lo stronzo e tu continui a dargli spago. Gli darai la tua benedizione?

- Oh, sta’ zitta! – Alberti sembra di nuovo serio, lo sguardo fermo dietro i Ray-Ban.

Non si scompone nemmeno per un istante, come un giudice super-partes. Mani ficcate nelle tasche.

- Gli ho solo dato il contentino come si fa coi deficienti.

Come volevasi dimostrare…

– Lo sai, Isa, quanto ho penato per convincerlo che non era il caso di strangolare Nicoletti? – soggiunge – Sai quanto ho penato per convincere il direttore a trovare una soluzione pacifica… che li faccia fessi e contenti? No, non lo sai. A me basta che Riccardi s’illuda di aver vinto e non rompa più i coglioni.

- Bravo, così farà semplicemente peggio – Isa si osserva intorno, disgustata – Si sentirà legittimato a fare lo stronzo, a sparare cattiverie inutili, a stuzzicare Andrea…

Solleva gli occhi al cielo. Ci vorrebbe una soluzione d’emergenza: contare fino a dieci, la prossima volta, prima di andare a includere nel proprio pacchetto di alleanze gente incontrollabile e fuori di testa.

- Preferisci illuderlo di aver umiliato l’avversario, di aver fatto la propria parte, al massimo rischiandoti qualche battutina razzista all’ora di pranzo, o vuoi lasciarlo a piede libero a far danni? – Alberti inarca un sopracciglio.

Isa si morde il labbro, stizzita.

- Secondo me, uno così, prima lo scarichiamo meglio è. Non lo so, questa storia non mi piace per niente – chiude gli occhi: qualche istante per riordinare i pensieri – Per il momento è una palla al piede, più in là può diventare pericoloso. Sembra che abbia come unico scopo cancellare Andrea dalla faccia della terra. Da quella sera maledetta al pub, ciò che fa Andrea sotto le lenzuola è diventato un affare di Stato. Io non lo reggo più, Giulia e gli altri poco – Isa riprende fiato; ignora la vampata rovente che corre ad incendiarle le guance, perché non saprebbe che nome darle, rabbia o imbarazzo – Ti fa così schifo l’idea di levarcelo di torno? – soggiunge, acida – Basta non appoggiare più le sue puttanate, e si troverà qualche altro compare.

- Non è così semplice – Alberti distoglie il viso – Tocca tenercelo buono, controllarlo perché non faccia cazzate – punta lo sguardo verso il cancello aperto, oltre l’ingresso e la strada antistante, le palpebre socchiuse in solenne meditazione – Penso sia un bene per quei due – prosegue – Nicoletti e Riccardi, che si illudano ognuno di aver vinto la propria battaglia, e la piantino definitivamente.

Isa fa per accendere la seconda sigaretta; quella di prima, fumata di malavoglia, non ha fatto nulla per calmarle i nervi. Non potrebbe fare di meglio una stecca intera. Alessandro invece è calmo, ha la faccia distesa di chi sa di avere la soluzione in tasca. Uno stratega di razza, con nervi d’acciaio – a prescindere dai margini di successo.

- Qual era la seconda brutta notizia? – sussurra Isa, a pochi millimetri dalla sua bocca.

Peggio di questo, dubito possa esserci altro.

- Oh, una cazzatina, in confronto. Hai presente il tizio nuovo? Capelli viola, occhi truccati, dark, emo o quello che è…? Pare che lui, Nicoletti e Derossi abbiano attaccato bottone in autobus. Un’allegra combriccola di sfigati sessualmente ambigui – e sorride, Alberti, le mani che indugiano sulle sue spalle.

Gli occhi luciferini.

- Un’associazione a delinquere, vorrai dire – lo precede Isa – Con Loria al vertice.

Il rigurgito di collera non può fare a meno di tramutarsi in veleno tra le parole. È più forte di lei, proprio non riesce a sopportarlo: un’inutile gattamorta a capo della fazione ribelle.

- Ma dai, stavo scherzando! – Alessandro si stringe nelle spalle – Cosa vuoi che me ne importi in che rapporti stanno quei tre, se si conoscono o altro…? Dai, siamo seri! – riprende, passandosi una mano tra i capelli – Si saranno scambiati due parole, ed è finita lì. Il resto è aria fritta e tutte le cazzate che ci hanno ricamato intorno.

Che ci avete ricamato intorno. Tu e il tuo dannatissimo asso nella manica.

Isa solleva gli occhi al cielo. Può immaginare la scena madre: tre perdenti che fraternizzano e un idiota qualunque che si fa i suoi film mentali. Riccardi avrebbe usato metafore più colorate. Tipo le icone del frociume riunite.

Forse Riccardi se ne tornerà dalla sua Angelica “the body”, le giurerà che lui non è assolutamente frocio, che toccherebbe Andrea al massimo per menargli. Forse avrà già qualcun’altra a scaldargli il letto, e abbandonerà una volta per sempre la sua crociata ridicola. Male che vada, se la cosa andrà avanti, otterrà solo di ritrovarsi tagliato fuori con un calcio nel sedere: lo può fare e non esiterà – per Alberti sarebbe un giochino da principianti.

Osserva Alessandro. Il suo carisma non è uscito troppo ridimensionato dalla polveriera inesplosa che fu lo sputtanamento di Neri e soci e la rivoluzione di Andrea, insulso cappone che ha rivoltato l’Accademia a testa in giù per niente.

- Mi piaci – sussurra, sfregando le labbra l’una contro l’altra.

- Eh? – Alberti solleva un sopracciglio.

Imprevisto a ore nove - puntare - fuoco!

- Mi piace come ragioni – Isa sorride, le labbra distese – Mi piace come li muovi, tipo burattini, e loro lì, prevedibili.

Alessandro scrolla le spalle.

- Non ci vuole un genio: basta fargli credere che hanno ottenuto quello che vogliono. Che ognuno di loro ha la sua sacrosanta ragione – sogghigna – Con Riccardi funziona sempre. È… scontato, vuole tutto e subito, il mondo gira intorno a lui e poche storie. Ha un’unica idea bacata nella testa e quella porta avanti: è bianco o nero, senza sfumature. Vuole la testa del nemico? Benissimo: facciamogli credere che Andrea sia capitolato e sconfitto, che abbia scomodato tutti i santi per restare a bocca asciutta. Non so se la cosa potrà funzionare con Andrea… – Alessandro dischiude le labbra, e adesso quel generico sorriso è una risata trattenuta – Ma possiamo lavorarci.

Isa sospira. Andrea basterà prenderlo dal lato giusto, il lato del bambino che pesta ai piedi e dà di matto. Non sarà difficile inquadrarlo: è uno che ha perso per strada il suo neurone funzionante e si diverte a sposare ogni patetica battaglia persa. Forse è sempre stato così, forse ha solo levato la maschera sullo sfigato attaccabrighe in cerca d’attenzioni che è sempre stato, e il gioco gli è tragicamente sfuggito di mano.

Fatto sta che, dal primo momento in cui ha messo piede al “Goldoni”, il suo miglior talento è stato rompere il cazzo a tutti e su tutti i fronti.

E Alberti non si accontenta delle briciole: li controlla a distanza di sicurezza. Tutti. Persino Andrea che si crede un dio e porta a spasso il suo ego ipertrofico su e giù per l’Accademia, il naso puntato in aria e Loria che gli soffia nelle orecchie la verità suprema.

- Te l’ho detto: mi piace – ripete Isa.

E lo fissa dritto in faccia, interrogativa. È meglio concentrarsi su di lui, ora. Su Alessandro che socchiude gli occhi sotto un raggio di sole impertinente.

- È un modo velato per chiedermi di uscire con te?

Isa annuisce. Un mezzo sorriso che le affiora sulle labbra senza che nemmeno se ne accorga. Osserva Alessandro, la pelle dorata sotto la luce viva.

È carino. Non è bello come Derossi o particolare come Andrea, ma lo sguardo buca come una lama: dà l’idea di uno che non si lascia sconvolgere da nulla, sempre con quella piega indolente sulle labbra. È convinto di sedere dalla parte della ragione, di poter carpire il nocciolo della questione sempre una frazione di secondo prima degli altri. Come se reputasse il resto del mondo indegno di lui, ineffabile maestro di inganni. Non tradisce incertezze neppure quando lei si solleva in punta di piedi e gli stampa un bacio sulle labbra. E sorride, vittoriosa.

 

* * *

 

Se Andrea dovesse elencare “le cose che ti hanno colpito di Alexander Thompson”, in quel mordi-e-fuggi dentro e fuori dall’autobus, direbbe l’ironia del cazzo. Prima dei gusti discutibili in fatto di look. Non che non gli doni, ma se uno ha come proprio obiettivo quello di uscire sano da una tana di belve, non è un buon biglietto da visita.

Si è mostrato gentile, per la seconda volta. Sin troppo – sempre che non faccia tutto parte di un machiavellico piano per introdursi pian piano nella sua cerchia e poi soffocarlo nel sonno.

Ha cavato fuori un paio di frasi di circostanza con voce strascicata, accennando alla loro comune fobia per i mezzi di trasporto. Fobia sua e di Gabriele. Ha tentato di sdrammatizzare con qualche battuta scema, ed è raro trovarti sorridente e bendisposto al dialogo, dopo che un affare di un metro e ottanta con borsone a tracolla ha appena tentato di ridurti allo status di sottiletta.

Andrea cerca di sorridere: se lui guida come un pirata con qualche cassa di rum in corpo, Gabriele è instabile pure sulle sue gambe. Accoppiata grandiosa.

L’impressione non è del tutto nera, eppure no, non riesce a separare il volto di Alex da quella prima sensazione di neutralità impersonale, da quella formalità fastidiosamente politically-correct decisamente artefatta. Niente da fare: forse non è giornata.

- Senti, per la macchina non c’è problema – gli sussurra Alex, spezzando il filo dei suoi pensieri.

Si è ravviato i capelli scuri che gli ricadevano sulla faccia e ha parlato.

Andrea scuote il capo, sorprendendosi a fissare con inedita curiosità la mano ossuta che scorre tra i capelli. Artigli laccati in verde petrolio e capelli palesemente troppo viola.

Se Riccardi, dopo la blanda lavata di capo del direttore, avrà ancora voglia di imperversare con le sue menate omofobiche, troverà il materiale che più si addice al suo palato.

Tutto ciò che puoi fare, quando sei a corto di parole, è annuire. Dall’altra parte c’è solo Gabriele che non fa una piega, e di certo stasera si farà grasse risate per quella momentanea defaillance.

- Devi scusarci, davvero – sussurra Andrea, più a se stesso che al resto della ciurma.

Sono appena sbarcati di fronte alla Casa dello Studente, sul marciapiede di cemento incendiato dal sole – e bianco come un miraggio.

Andrea socchiude gli occhi, evitando di respirare a pieni polmoni lungo il vialetto alberato che lo separa dall’ingresso. Tutto, adesso, ma non un attacco d’asma improvviso.

Si volta indietro. A un paio di passi da lui, c’è solo Gabriele che si accende una sigaretta. E Alex che continua a scostarsi i capelli dalla faccia.

C’è qualcosa di fastidiosamente sospeso che continua a rimestargli nella testa, a tenerlo in un costante stato d’allarme. Ignorando disperatamente il bruciore agli occhi, Andrea si concentra su Alex che procede ciondolando al suo fianco. Lo scruta di sottecchi. No, è inutile: è bastato il primo incontro a dirgli che la cosa non avrebbe preso una buona piega. Il tamponamento e qualche birra di troppo a ficcarlo nei guai, e ora Gabriele che gli piomba addosso e per poco non lo riduce in poltiglia.

Due incontri ravvicinati in circostanze sfigate non sono abbastanza per poter inserire il nuovo acquisto dentro la casella dei simpatici o degli antipatici. È stato gentile persino dopo l’ennesimo disguido, di una gentilezza ruvida, di circostanza.

Ma. È tutto dire: per quanto provi a imporsi di non affibbiare etichette sulla base del nulla, non riesce a trovarci nulla che non sia poco più che incolore: è come uno che ce la mette tutta a non lasciar capire ciò che pensa, neanche dopo due incontri-scontri su due.

Visto da lontano gli era sembrato piuttosto bello: ora che lo osserva bene, tolta la bardatura, non resta molto. La linea squadrata della mascella fa vagamente a pugni con le ciocche ribelli che gli spiovono sulla faccia, sugli zigomi appuntiti che gli conferiscono un’aria emaciata. La bocca, carnosa e vagamente larga, sembra sempre incurvata in un mezzo sorriso.

- Senti… – azzarda, dopo un intermezzo di silenzio imbarazzato - non che Gabriele, il traditore, abbia dato un gran contributo a trarlo d’impiccio – Ma sei proprio tu l’Andrea Nicoletti di cui parlano tutti?

Terra chiama Andrea. Puoi essere solo tu. Il tipo con i capelli lunghi e il viso da ragazza, la mimica facciale di chi ha appena ingoiato un limone acerbo.

Possibile che lo sputtanamento sia arrivato pure alle orecchie dell’ultima recluta?

Andrea scuote il capo, infastidito. E annuisce.

Era questo il problema?

- Non importa – si affretta a correggersi Alex, agitando la mano a vuoto – Puoi… prenderti tutto il tempo che ti serve. Per la macchina, dico – e riprende a osservarsi la punta delle scarpe.

Comuni anfibi neri – grazie al cielo…

- Eh?

- No, dicevo. C’è qualche graffio sulla carrozzeria e il paraurti un po’ ammaccato – sorride, Alex comecavolofadicognome, con l’anellino d’argento al labbro che luccica a ogni movimento – Pensavo peggio.

- Uhm… per me non c’è problema, allora – Andrea si sforza di ricambiare il sorriso, ma le sue parole somigliano a un’eco svogliata, come se tornare cento volte sullo stesso rassicurante concetto riuscisse a farlo sentire meglio – Cioè… ho fatto una cazzata. Poteva andarci di mezzo qualcuno…

E adesso, ti prego, non dirgli che eri mezzo ubriaco. Non dirglielo per amor del cielo. Almeno per i prossimi trecento anni.

Alex annuisce, lo sguardo calamitato dal cucciolo addormentato nel trasportino. Poi vira verso la porta a vetri che scorre al suo passaggio – Andrea scommetterebbe su ciò che ha di più caro che stia cercando di controllare se ha la matita sbavata. O di trovare un pretesto qualsiasi e darsi alla fuga.

- Okay. Restiamo d’accordo così…? – Alex ammicca.

Andrea annuisce di rimando, un mugugno appena comprensibile.

- Tanto ci vediamo più tardi – Andrea scrolla le spalle.

E ne riparliamo con calma. E ci mettiamo una bella pietra sopra, sopra questa storia assurda.

- Già… – Alex sposta lo sguardo verso l’angolo bar – Hai fatto domanda anche tu per lo stage?

Avevo. Andrea si stringe nelle spalle, una fitta remota in fondo al petto. Qualcosa che pizzica ancora, che stira la pelle come una vecchia cicatrice. Stringe i denti: è saltata fuori senza preavviso, ma non la farà riemergere adesso. Perché se non gli fosse mai importato nulla, dello stage e di tutto ciò che l’isteria collettiva ha mosso intorno a lui, concluderebbe con un “vacci tu, tesoro, se proprio ci tieni”.

Fatto sta che in cinque minuti scarsi di conversazione Alex ha avuto come un sesto senso, sfiorando tutti i punti dolenti.

- In realtà non mi sono neanche iscritto – Andrea ridacchia, e deve obbligarsi a mantenere fermo lo sguardo.

 

Bugiardo. Lo sai che stai mentendo – hai provato a tirarti indietro in quattro e quattr’otto, mentre stampavano il nuovo bando di selezione. Dopo che Neri ha ceduto lo scettro e dopo che hai rinunciato a qualcosa che avrebbe dovuto spettarti di diritto.

 

E allora rifate le cose come si deve, stavolta, pulite, senza di me, e non c’è trucco e non c’è inganno – nella misura in cui la presenza di Eleonora Balducci in commissione possa dirsi una garanzia.

 

Il suo nome è ancora lì tra quelli papabili, inserito nell’elenco come una beffa. Nicoletti Andrea classe 1989, nato a Cagliari un giorno qualunque di cui non importa niente a nessuno; professione, rompicazzo.

- Io mi sono iscritto all’ultimo momento – Alex si gratta la testa, pensoso – È stata la Balducci a darmi la dritta. Ma non ci spero molto. Voglio vedere che succede…

 

E allora, bravo o meno bravo, caro novellino, è il tuo rito d’iniziazione: pronto a farti fare marameo da un Alberti qualunque o da una Isa Cortesi che sgomita come un’invasata.

A meno che non sia proprio tu il raccomandato d’oro di Sua Maestà, anche se non ne hai la faccia.

 

Andrea solleva gli occhi al cielo. Così teso che il sopraggiungere di Gabriele, annunciato da una mano posata sulla spalla, è sufficiente a farlo trasalire.

- Sarà il caso di rientrare, che dici? – gli sussurra, abbrancandolo per un braccio.

Andrea annuisce, stordito. Ha gli occhi che ormai vanno a fuoco, e l’immagine di Gabriele ondeggia sfocata oltre il velo di lacrime che gli impiccia la visuale. La brezza rovente gli penetra fin nelle ossa – quel caldo prosciugante, feroce, che ignora le barriere dei vestiti. Come il braccio che Gabriele gli ha allacciato intorno alle spalle, spingendolo dentro al sicuro. Rovente contro la sua schiena.

E una volta dentro, col soffitto color ghiaccio sopra la testa, quattro pareti rassicuranti e l’aria condizionata sparata in faccia, di colpo sembra di nuovo tutto normale. Compreso Alex, che biascica qualcosa sullo stage, lui e la sua faccia da cucciolo smarrito che non sa come congedarsi, fa “ciao” e caracolla verso il bar.

Resta Gabriele e i suoi occhi indecifrabili. Non ha assistito all’ultima parte del discorso: è troppo calmo e troppo a suo agio. Accendersi una sigaretta e fumarsela senza guardare in faccia a nessuno, gli occhiali neri calati sul viso, è stato il suo modo migliore per dire che non aveva nessuna voglia di fare da comitato d’accoglienza e spiegare al nuovo arrivato da chi debba guardarsi le spalle – per quello ci sarà tempo. Si è giusto ricordato di ruminare una specie di saluto a scoppio ritardato, per poi dedicarsi completamente a lui e al suo hobby preferito: cuocerlo a fuoco lento.

- Preferisci un colpo di sole o una crisi allergica? È una tua scelta… – arriccia il naso, altezzoso.

Un carro armato avrebbe maggior delicatezza.

- ‘fanculo, Gabri! – sbotta Andrea, raddrizzandosi gli occhiali – Non mi diverto a riempirmi di antistaminico e dormire mentre la Balducci fa lezione. Quasi quanto mi diverto di più a sorbirmi Alberti che fa il leccaculo…

Gabriele prorompe in una risatina discreta, di chi vuol godersi il suo disagio.

- Okay, okay. Giornata storta.

Andrea si ficca le mani in tasca, di scatto, il trasportino con Oscar abbandonato nello spazio libero tra i suoi piedi e la parete alle sue spalle. Forse riuscirà a passare inosservato. Lo sguardo puntato sulla parete di fronte – dove, malauguratamente, non c’è nulla di abbastanza insolito da meritare attenzione –, ostenta indifferenza.

- Storta? Non proprio. Finché non è arrivato quello lì… a ricordarmi che sono in debito con lui. E che sono un coglione e che poteva finire male. Ah, e il colpo di grazia dello stage che, non si sa come, ogni tanto torna a galla…

- Sull’incidente, in un certo senso ha ragione – Gabriele solleva gli occhi al cielo, pensoso – È stato anche troppo buono

Si osserva intorno con nonchalance, in attesa del “via libera”, per poi sollevare il trasportino e fargli strada su per le scale.

- E il micio, quanto pensi di poterlo tenere?

Eccolo, l’interrogativo di importanza immediata.

- Finché non trovo una sistemazione decente. Meno che posso – un improvviso brivido di orrore gli serpeggia lungo la schiena, un istante, ma subito cerca di scacciarlo via – Non ricordo se il regolamento preveda di potersi portare il proprio gatto, e non vorrei diventasse il pretesto per venirmi a rompere le scatole.

- Basta così, Andre! – Gabriele nasconde il trasportino dietro le spalle; si osserva intorno, circospetto, lo sguardo teso sotto le ciglia scure – Mi fai ridere.

- Ti faccio… ridere?

Speravo di suscitarti qualche sensazione più soddisfacente per la mia autostima, vorrebbe aggiungere. Ma preferisce morsicarsi la lingua a dovere.

- Ma sì, è come se fossi sempre lì sul chi va là. Come se stessi facendo qualcosa di male ogni volta che ti muovi…

Tante grazie, ma sai, qualcuno me l’aveva già detto. Tipo quando avevo tre anni. Sarà mica allora che ho cominciato a fare “qualcosa di male”?

Gabriele continua a sorridere – Andrea si domanda perché non se ne sia accorto prima. Ha un paio d’occhi d’ambra così ben incassati nelle palpebre sottili, così luminosi quando sorride, che pure quel canino vagamente vampiresco prende una luce tutta sua.

C’è un’intera costellazione di motivi per cui, sì, dovrebbe sorridere più spesso.

Non si limita a sorridere, Gabriele. Indugia sulle sue labbra in punta di dita, per poi sporgersi in avanti – una frazione di secondo – e sfiorargli la punta del naso. E scendere fino alla sua bocca e posarci la sua. Un singolo istante di vertigine, lontani da sguardi indiscreti. Un tripudio di brividi lungo la gola e la nuda parete come appiglio. Sospira, e ogni centimetro della sua pelle vibra in una carezza infinita, dalle sue labbra protese fino alla punta delle ciglia.

Si è lasciato andare, immerso nel suo sonno d’ovatta. La mano che trema sull’intonaco polveroso. E adesso potrebbe morire felice, con le labbra di Gabriele aperte e brucianti sulle sue, le palpebre socchiuse in quel sogno e qualche granello di luce impigliato alle ciglia.

 

   
 
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