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Autore: hellomelancholy    13/09/2011    2 recensioni
Hayley Williams, la cantante rosso fuoco dei Paramore, si risveglia in un posto che non conosce. Si guarda intorno, ma nulla di ciò che la circonda, le è familiare. Il letto, la finestra, i fiori. Solo poche ore prima era con i suoi amici e compagni di band Jeremy e Taylor. Dove sono?, si chiede, senza riuscire a darsi una risposta. Tutto ciò che deve fare è cercare di capire da sola cos'è successo, sconfiggendo il silenzio del luogo abbandonato in cui si ritrova.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hayley Williams, Jeremy Davis, Taylor York
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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; Infanzia
Era estate. Estate, ma non mi veniva in mente che anno fosse. Faceva molto caldo in giardino, tra le aiuole di fiori colorati e gli insetti che vagavano sonnolenti e silenziosi, come se si fossero appena svegliati. Il cielo era sereno, e nell'aria iniziavano a diffondersi i classici odori del mattino, caffè e brioche. Stringevo tra le mani le catene che facevano parte della mia altalena, che mio padre aveva costruito per me tanti anni prima, e su cui ero seduta. Ascoltavo il rumore cigolante di quell'altalena vecchia e mi dondolavo calma da sola, nonostante desiderassi che un alito di vento mi spingesse, su e giù, senza che dovessi fare alcun sforzo. Quella mattina, ero uscita di soppiatto dalla porta di casa, dopo essermi alzata e vestita cercando di non svegliare la mia sorellina. Ero stata svegliata da un vociare, nervoso e inquieto di chi cerca di calmare la voce per non farsi sentire, di chi sta per scoppiare e urlare. Ormai, riconoscevo quel tipo di interazione tra le persone, l'avrei riconosciuto in qualsiasi situazione. Non avevo neanche fatto colazione perché per me, la cucina era una zona in cui non dovevo entrare, come d'altronde accadeva altre mattine. Davanti alla cucina c'era una barriera che mi impediva di oltrepassare la soglia. Poteva succedere che quella barriera si spostasse anche in altre stanze, e allora dovevo passarci davanti lentamente e senza farmi vedere da chi era dentro. Dovevo far finta di non sentire. Dovevo far finta di non vedere. Dovevo far finta di essere forte, davanti alla situazione che avevo davanti agli occhi, che mi ritrovavo a fronteggiare ogni giorno, quando tutto iniziava a peggiorare.

Strinsi forte le mani attorno alle catene, che mi lasciavano sulla pelle alcuni pezzi di ruggine, e cercai di trattenere le lacrime. Nonostante questo, nonostante la forza che misi nel tentativo di resistere a qualsiasi azione che dimostrasse la mia debolezza, una lacrima cadde, scivolando per il viso e cadendomi in grembo, sul vestito nuovo e colorato che portavo quel giorno. Mi concessi di far scendere qualche altra lacrima, nel silenzio del giardino, dove i rumori della casa arrivavano a malapena. Lì, in quel posto, ero sola. E quando ero sola, forse potevo permettermi di essere debole. Per una volta, solo una volta.
Continuai a dondolarmi sull'altalena, una volta finite le lacrime, con i capelli lunghi e biondo scuro che mi ricadevano sulle spalle e si muovevano leggeri. Il vociare che sentivo prima lieve e ovattato dalle mura di casa era terminato, non si sentiva più niente arrivare dalla cucina; tuttavia, decisi di non rientrare, nonostante il mio stomaco stesse brontolando. Sapevo che non era ancora il momento giusto. Quella mattina, stava per succedere qualcosa. Ne ero consapevole. Sapevo che il punto di non ritorno era stato oltrepassato da molto tempo, e che da quel momento era iniziato il conto alla rovescia alla fine. Incredibile che da una frase, possa scatenarsi l'inferno, si possa raggiungere il precipizio. Le parole sono così dure, così taglienti da annullare interi progetti di vita, promesse, migliaia di decisioni prese con calma e a mente lucida. Le parole possono rovinare, ferire.
Io vado via da questa casa” avevo sentito urlare, una notte.
Era più facile stare lì, incollata a quell'altalena e aspettare che gli eventi mi raggiungessero, senza dover fare lo sforzo di raggiungerli io stessa per accelerarli, entrando nella casetta di mattoni che avevo davanti.
E qualcosa accadde. Qualche foglia cadde dall'albero sino a posarsi sopra i miei capelli, mentre la porta di casa si aprì all'improvviso e fu chiusa, violentemente. Vidi mio padre che teneva in mano una valigia e varie borse, e mia madre, dietro, che riaprì la porta che poco prima era stata chiusa con decisione. Mio padre si lasciò cadere dalle mani tutte le borse sul vialetto dopo essersi accorto della mia presenza davanti a lui. Non sapevo leggere l'espressione sul suo volto, però rimasi a guardarlo, cercando di convincermi che non stava per succedere ciò che avevo temuto. Lo vidi avvicinarsi a me, camminando sul tappeto di foglie fresche.
Te ne stai andando” mormorai. Non era una domanda, più che altro una constatazione. Stavo cercando di convincermi della realtà. Ero una bambina, e a quell'età si sa, i sentimenti sono amplificati, esagerati, ogni cosa che accade è più grave di quanto lo sia per una persona adulta. O forse, i bambini, tendono a nascondere di meno ciò che provano al mondo. Il fatto è che, la dipartita di qualcuno può trasformarsi in tragedia; anche se sai che quella persona esisterà ancora e ti vorrà bene.
Ti resterò sempre accanto” disse mio padre, stringendomi. Non ebbi la forza di aggiungere nient'altro a ciò che avevo detto, e non avevo bisogno di rispondergli. Così, mio padre, tornò indietro e prese le sue borse, la sua valigia e raggiunse la macchina alla fine del vialetto. Non lo guardai mentre guidava in retromarcia e si immetteva nella strada, per poi scomparire. Immaginai solo lo stesse facendo. Ripensandoci, non mi sarei dovuta stupire tanto del fatto che mio padre stesse andando via. Non sapevo i motivi, ma avevo capito che la nostra casa non era più il posto adatto per lui. Quel posto, non era più il luogo in cui si sentiva sicuro di se stesso, non era più ciò che voleva. Forse a quell'età non potevo capire bene la situazione, ma avevo la vaga sensazione, al di là del dolore e della mancanza della sua presenza nella casa, che avesse fatto la cosa giusta. Per me, per le mie sorelle, per la mamma. E nonostante tutto, la ferita che mi lasciò mi rimase sulla pelle, non si cancellò mai, come un ricordo mal digerito e pronto ad unirsi ad altri, che il tempo avrebbe portato.

Mi sentii risucchiare da un vortice. Dal mio corpo di bambina, poi, mi ritrovai ad avere un corpo da adolescente. Mi sentivo sbalzata da una dimensione all'altra, senza poter controllare ciò che stava accadendo. Ed ecco che mi ritrovavo in un altro luogo, un altro ricordo doloroso..
Quella volta accadde che..

Nota dell'autrice.
Questa volta, come non era ancora successo in questa storia, sono entrata nel personale del personaggio. Spesso è difficile farlo, inventando una situazione così intima, che molte persone possono provare, e costruendo ogni cosa su un personaggio che tutti conosco. Ho cercato di basarmi su ciò che conosco e le sensazioni che si provano nella vita, non potendomi basare su una situazione reale del personaggio che ho descritto, di cui si sapessero tutti i dettagli. In questo capitolo poi, voglio ringraziare tutte le persone che stanno seguendo la storia e, di volta in volta, mi fanno sapere cosa ne pensano; al prossimo capitolo!

  
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