Il sole continuava a perforare sempre più le colline
bolognesi, aprendo così una ferita dalla quale uscivano fiotti di sangue
rossastro che gocciolavano dalle nuvole, lacerandone la purezza. Osservavo il
tutto dall'abitacolo della mia auto. Lasciai cadere il mozzicone di sigaretta
dal finestrino, mi passai una mano sulla fronte appiccicaticcia poi sui
capelli. Mi venne in mente che mia madre mi faceva sempre notare, i capelli
neri, l'unico in famiglia che li aveva.
Sonnecchiai un poco, in attesa che il giorno morisse
definitivamente.
forse non verrà.
Pensai.
Mi girai da un lato.
Forse capirà tutto, saranno mesi di lavoro buttati al vento.
Mi girai dall'altro, stizzito perché non riuscivo a
rilassarmi.
Cosa può essere andato storto? Ripensai al sistema di
telecamere sparse per le vie. Gli appostamenti, le indagini. Magari se ne era
accorto.
Mi mandava in bestia l’idea che una “cosa” simile si potesse
aggirare per la città. Ci vorrebbe un bell’ergastolo… Ci vorrebbe una tortura,
tipo quelle del medioevo… Sto forse esagerando a pensare queste cose? Sì, una
tortura medievale è sicuramente esagerata. Non sono così matto.
Ma, in fondo, stiamo parlando di uno che rovina l’esistenza
delle altre persone per puro divertimento. Trova gusto nel male degli altri,
per contrappasso bisognerebbe rovinare la sua di esistenza.
Il perdono è per altri, per chi se lo può permettere, per i
cristiani.
Una volta scesa l'oscurità rientrai in paese e percorsi le
strade lentamente, tenendomi in seconda. Passai davanti ad un bar. In quel bar,
il Mohitos, il mostro incontrava le sue vittime. Lo immaginavo seduto a
sorseggiare una birra, intento a conoscere una povera donna, magari entrata
solo per trovare un attimo di pace dopo il lavoro.
Ci parlava, sorrideva e Dio solo sa quello che progettava di
fare intanto che ascoltava il “bersaglio”, strappando di tanto in tanto piccoli
sorsi di una Heineken o una Beck’s o
magari una Moretti. Ecco! Bravo! Bevi, bevi finché dura. Fa esplodere la tua
adrenalina finché sei libero. Perché la libertà è una cosa strana… è come
quella birra che tieni in mano, Heineken o Moretti che sia, se la spari giù
tutta di colpo finisce prima e ti farà solo male.
In quanto a me, sono astemio. Odio l’alcool, non lo reggo e
poi mi brucia la gola. Un fastidio.
Mio padre lo amava, forse più di me e della mamma, ma per
fortuna io ero diverso. Avevo i capelli neri.
Parcheggiai in via Matteotti, di fianco alla piazza.
Mi guardai la pancia. La divisa da poliziotto non si
distingueva bene. Avrò fatto bene a portarla? Sì, no, chi lo sa?
So solo che senza quella non potevo lavorare, faceva parte
del mio lavoro, un compagno di squadra, il più fedele poiché non si staccava
mai da me. Mi ricordava in ogni momento quello che ero.
Lasciai il cappello sul sedile e scesi dall’auto. La via
alberata era silenziosa, non una macchina, non un rumore. Lo svolazzare delle
falene attorno alle palle dei lampioni arancioni non fu disturbato dal mio
arrivo.
Un'ombra spuntò da una via laterale, mi infilai dietro un
pino senza neanche cercare di celare troppo la mia presenza. L'oscurità faceva
bene il suo dovere.
L'ombra mi passò davanti, non mi notò quindi rimasi fermo.
La luce del lampione smontò piano piano il gioco del buio,
rivelando così il volto, il corpo, le gambe di una donna. Procedeva
apparentemente sicura, precisa come un cecchino, sparata verso casa. Ma la
sveltezza dei passi, ritmati dal tacco, rivelava il timore del buio, della
solitudine, di quello che le poteva accadere. Non poteva fare altrimenti dopo
gli ultimi fattacci, avvenuti in questa stessa via.
La sconosciuta sparì divorando, famelica, grandi bocconi
d'asfalto.
Non accelerava, non si era accorta di me.
Uscii un poco dal mio nascondiglio e la osservai
attentamente. La donna mi dava le spalle e si allontanava ignara, un piede
avanti all’altro come perfettamente in equilibrio sul filo di una lama.
Le avrei voluto urlare, per dirle che era una sciocca, che
doveva andarsene da questo posto malsano che, prima o poi, avrebbe fatto
impazzire anche lei.
Ma le parole non andarono mai oltre la mia immaginazione.
Sicuramente non aveva un altro posto dove poter stare, lei e la sua famiglia o
magari c’era un altro motivo che io non potevo sapere.
Poco male, ci sono qui io a proteggerti. Non disperare, non
accelerare il passo, non c'è bisogno che crivelli l'asfalto con il tuo tacco,
consumato dal nervosismo.
Lo riconobbi di primo acchito. Difficile non notare quelle
fattezze da mostro.
Accadde tutto in pochi istanti.
Si avvicinò alla donna intimorita e cercò di trascinarla via
per un braccio. Ma lei resisteva, urlava. Brava! Fai vendere cara la pelle. Arrivarono
in fretta i primi due pugni che per poco non frantumarono i suoi poveri zigomi.
Non volli assistere oltre a quell'ingiustizia. Iniziai a
correre in preda alla rabbia che si era scatenata come un fiammifero in una
tanica di benzina.
-
Ehi, tu!- Gridai. - Polizia, sei in arresto!-
Lui si voltò subito verso di me. Ora aveva paura.
Questo mi piaceva.
Quando fui a pochi metri da lui si decise a lasciare la
presa; poi iniziò a correre, disperato.
La donna scappò via e si rintanò in casa, non me ne curai.
Continuai a inseguire il mostro per diversi metri.
Stanco di giocare a “guardia e ladri”, tirai fuori la
pistola dalla fondina.
-
Fermo o sparo!-
Sapendo che stavo gettando le mie parole al vento, sparai
praticamente subito. Sparai diversi colpi e riuscii a beccargli le gambe.
Lui , il mostro, cadde a terra come un sacco di patate.
Il cuore mi batteva ancora, adrenalinico. Non riuscivo a
credere a quello che era appena successo. Forse il rimbombo dell’arma mi aveva
rintontito.
Mi avvicinai.
-
Hai voluto fare il furbo?! Adesso la sbronza te
la faccio passare io!
Che razza di mostro. Adesso provava a commuovermi esibendo
uno sguardo da bimbo impaurito.
Non attacca.
Gli sparai allo stomaco. Proprio così.
Avevo letto in un famoso libro di uno che muore in questo
modo: logorato dal proprio liquido gastro-intestinale.
Trovai interessante quel modo di morire. Chissà se era
doloroso.
Feci qualche altro passo indietro, non volevo sporcarmi le
scarpe. Per la verità io odio il sangue: si attacca, si raggruma ed è difficile
da levare.
Lo guardai un’ultima volta. Apriva la bocca come un pesce
fuor d’acqua, tentava di dirmi qualcosa, ottenendo però poco successo.
Macchi se ne frega.
Mi voltai, presi l’auto e me ne tornai a casa. Non saprò mai
se morire con un buco nello stomaco fosse doloroso o meno. Peccato!
Abitavo in un piccolo appartamento del centro. Un minuscolo
foro di pallottola in mezzo ai palazzi, praticamente. Era talmente piccolo che
sentivo le discussioni della coppia al piano di sopra come se stessero
litigando davanti a me.
Entrai, mi sfilai la divisa. Puzzava di sudore.
Aprii il guardaroba e l’agente Paolo Sartori si spiaccicò la
faccia ai miei piedi.
-
Agente Sartori! In piedi! Ma le sembra questo il
modo?! Quante storie per una giacca!
Non si mosse. Che tipo irritante, perché poi uno come lui
doveva diventare poliziotto lo stato me lo dovrà proprio spiegare.
Gli restituii la divisa. Giacca, pantaloni e pistola. Rimasi
in mutande e canottiera.
Mi dispiaceva usare la divisa di Paolo. Ma non ne avevo una
mia.
Dal pensile in cucina, recuperai una boccia di buon vecchio
San Giovese, ancora mezza piena.
Bevevo sempre qualcosa dopo il lavoro. Perché il mio è un
lavoro duro. Spreme ogni fibra del tuo essere, ti prosciuga la gola. Arrivi a
fine giornata con il cervello liquefatto. Non sai più chi sei, come ti chiami.
Hai solo bisogno di questo: forte e prodigioso San Giovese. Amo l’alcool, ti
risciacqua i sensi.
È faticosa, ma la recitazione è tutta la mia vita, passione
e abnegazione. Oggi sono fiero di aver eseguito alla perfezione la mia
performance di poliziotto vendicatore dal passato difficile. Domani potrei fare
la parte del mostro… Sì, mi va. È deciso!