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Autore: sughero    14/09/2011    2 recensioni
Il sole continuava a perforare sempre più le colline bolognesi, aprendo così una ferita dalla quale uscivano fiotti di sangue rossastro che gocciolavano dalle nuvole, lacerandone la purezza. Osservavo il tutto dall'abitacolo della mia auto. Lasciai cadere il mozzicone di sigaretta dal finestrino, mi passai una mano sulla fronte appiccicaticcia poi sui capelli. Mi venne in mente che mia madre mi faceva sempre notare, i capelli neri, l'unico in famiglia che li aveva.
Sonnecchiai un poco, in attesa che il giorno morisse definitivamente.
forse non verrà.
Pensai.
Genere: Dark, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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la mia parte

LA MIA PARTE

 

Il sole continuava a perforare sempre più le colline bolognesi, aprendo così una ferita dalla quale uscivano fiotti di sangue rossastro che gocciolavano dalle nuvole, lacerandone la purezza. Osservavo il tutto dall'abitacolo della mia auto. Lasciai cadere il mozzicone di sigaretta dal finestrino, mi passai una mano sulla fronte appiccicaticcia poi sui capelli. Mi venne in mente che mia madre mi faceva sempre notare, i capelli neri, l'unico in famiglia che li aveva.

Sonnecchiai un poco, in attesa che il giorno morisse definitivamente.

forse non verrà.

Pensai.

Mi girai da un lato.

Forse capirà tutto, saranno mesi di lavoro buttati al vento.

Mi girai dall'altro, stizzito perché non riuscivo a rilassarmi.

Cosa può essere andato storto? Ripensai al sistema di telecamere sparse per le vie. Gli appostamenti, le indagini. Magari se ne era accorto.

Mi mandava in bestia l’idea che una “cosa” simile si potesse aggirare per la città. Ci vorrebbe un bell’ergastolo… Ci vorrebbe una tortura, tipo quelle del medioevo… Sto forse esagerando a pensare queste cose? Sì, una tortura medievale è sicuramente esagerata. Non sono così matto.

Ma, in fondo, stiamo parlando di uno che rovina l’esistenza delle altre persone per puro divertimento. Trova gusto nel male degli altri, per contrappasso bisognerebbe rovinare la sua di esistenza.

Il perdono è per altri, per chi se lo può permettere, per i cristiani.

Una volta scesa l'oscurità rientrai in paese e percorsi le strade lentamente, tenendomi in seconda. Passai davanti ad un bar. In quel bar, il Mohitos, il mostro incontrava le sue vittime. Lo immaginavo seduto a sorseggiare una birra, intento a conoscere una povera donna, magari entrata solo per trovare un attimo di pace dopo il lavoro.

Ci parlava, sorrideva e Dio solo sa quello che progettava di fare intanto che ascoltava il “bersaglio”, strappando di tanto in tanto piccoli sorsi di una Heineken  o una Beck’s o magari una Moretti. Ecco! Bravo! Bevi, bevi finché dura. Fa esplodere la tua adrenalina finché sei libero. Perché la libertà è una cosa strana… è come quella birra che tieni in mano, Heineken o Moretti che sia, se la spari giù tutta di colpo finisce prima e ti farà solo male.

In quanto a me, sono astemio. Odio l’alcool, non lo reggo e poi mi brucia la gola. Un fastidio.

Mio padre lo amava, forse più di me e della mamma, ma per fortuna io ero diverso. Avevo i capelli neri.

Parcheggiai in via Matteotti, di fianco alla piazza.

Mi guardai la pancia. La divisa da poliziotto non si distingueva bene. Avrò fatto bene a portarla? Sì, no, chi lo sa?

So solo che senza quella non potevo lavorare, faceva parte del mio lavoro, un compagno di squadra, il più fedele poiché non si staccava mai da me. Mi ricordava in ogni momento quello che ero.

Lasciai il cappello sul sedile e scesi dall’auto. La via alberata era silenziosa, non una macchina, non un rumore. Lo svolazzare delle falene attorno alle palle dei lampioni arancioni non fu disturbato dal mio arrivo.

Un'ombra spuntò da una via laterale, mi infilai dietro un pino senza neanche cercare di celare troppo la mia presenza. L'oscurità faceva bene il suo dovere.

L'ombra mi passò davanti, non mi notò quindi rimasi fermo.

La luce del lampione smontò piano piano il gioco del buio, rivelando così il volto, il corpo, le gambe di una donna. Procedeva apparentemente sicura, precisa come un cecchino, sparata verso casa. Ma la sveltezza dei passi, ritmati dal tacco, rivelava il timore del buio, della solitudine, di quello che le poteva accadere. Non poteva fare altrimenti dopo gli ultimi fattacci, avvenuti in questa stessa via.

La sconosciuta sparì divorando, famelica, grandi bocconi d'asfalto.

Non accelerava, non si era accorta di me.

Uscii un poco dal mio nascondiglio e la osservai attentamente. La donna mi dava le spalle e si allontanava ignara, un piede avanti all’altro come perfettamente in equilibrio sul filo di una lama.

Le avrei voluto urlare, per dirle che era una sciocca, che doveva andarsene da questo posto malsano che, prima o poi, avrebbe fatto impazzire anche lei.

Ma le parole non andarono mai oltre la mia immaginazione. Sicuramente non aveva un altro posto dove poter stare, lei e la sua famiglia o magari c’era un altro motivo che io non potevo sapere.

Poco male, ci sono qui io a proteggerti. Non disperare, non accelerare il passo, non c'è bisogno che crivelli l'asfalto con il tuo tacco, consumato dal nervosismo.

Lo riconobbi di primo acchito. Difficile non notare quelle fattezze da mostro.

Accadde tutto in pochi istanti.

Si avvicinò alla donna intimorita e cercò di trascinarla via per un braccio. Ma lei resisteva, urlava. Brava! Fai vendere cara la pelle. Arrivarono in fretta i primi due pugni che per poco non frantumarono i suoi poveri zigomi.

Non volli assistere oltre a quell'ingiustizia. Iniziai a correre in preda alla rabbia che si era scatenata come un fiammifero in una tanica di benzina.

-         Ehi, tu!- Gridai. - Polizia, sei in arresto!-

Lui si voltò subito verso di me. Ora aveva paura.

Questo mi piaceva.

Quando fui a pochi metri da lui si decise a lasciare la presa; poi iniziò a correre, disperato.

La donna scappò via e si rintanò in casa, non me ne curai. Continuai a inseguire il mostro per diversi metri.

Stanco di giocare a “guardia e ladri”, tirai fuori la pistola dalla fondina.

-         Fermo o sparo!-

Sapendo che stavo gettando le mie parole al vento, sparai praticamente subito. Sparai diversi colpi e riuscii a beccargli le gambe.

Lui , il mostro, cadde a terra come un sacco di patate.

Il cuore mi batteva ancora, adrenalinico. Non riuscivo a credere a quello che era appena successo. Forse il rimbombo dell’arma mi aveva rintontito.

Mi avvicinai.

-         Hai voluto fare il furbo?! Adesso la sbronza te la faccio passare io!

Che razza di mostro. Adesso provava a commuovermi esibendo uno sguardo da bimbo impaurito.

Non attacca.

Gli sparai allo stomaco. Proprio così.

Avevo letto in un famoso libro di uno che muore in questo modo: logorato dal proprio liquido gastro-intestinale.

Trovai interessante quel modo di morire. Chissà se era doloroso.

Feci qualche altro passo indietro, non volevo sporcarmi le scarpe. Per la verità io odio il sangue: si attacca, si raggruma ed è difficile da levare.

Lo guardai un’ultima volta. Apriva la bocca come un pesce fuor d’acqua, tentava di dirmi qualcosa, ottenendo però poco successo.

Macchi se ne frega.

Mi voltai, presi l’auto e me ne tornai a casa. Non saprò mai se morire con un buco nello stomaco fosse doloroso o meno. Peccato!

Abitavo in un piccolo appartamento del centro. Un minuscolo foro di pallottola in mezzo ai palazzi, praticamente. Era talmente piccolo che sentivo le discussioni della coppia al piano di sopra come se stessero litigando davanti a me.

Entrai, mi sfilai la divisa. Puzzava di sudore.

Aprii il guardaroba e l’agente Paolo Sartori si spiaccicò la faccia ai miei piedi.

-         Agente Sartori! In piedi! Ma le sembra questo il modo?! Quante storie per una giacca!

Non si mosse. Che tipo irritante, perché poi uno come lui doveva diventare poliziotto lo stato me lo dovrà proprio spiegare.

Gli restituii la divisa. Giacca, pantaloni e pistola. Rimasi in mutande e canottiera.

Mi dispiaceva usare la divisa di Paolo. Ma non ne avevo una mia.

Dal pensile in cucina, recuperai una boccia di buon vecchio San Giovese, ancora mezza piena.

Bevevo sempre qualcosa dopo il lavoro. Perché il mio è un lavoro duro. Spreme ogni fibra del tuo essere, ti prosciuga la gola. Arrivi a fine giornata con il cervello liquefatto. Non sai più chi sei, come ti chiami. Hai solo bisogno di questo: forte e prodigioso San Giovese. Amo l’alcool, ti risciacqua i sensi.

È faticosa, ma la recitazione è tutta la mia vita, passione e abnegazione. Oggi sono fiero di aver eseguito alla perfezione la mia performance di poliziotto vendicatore dal passato difficile. Domani potrei fare la parte del mostro… Sì, mi va. È deciso!

  
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