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Autore: Aesir    14/09/2011    2 recensioni
Questa è la precedente versione della fanfiction "Le Ombre sopra il Mondo Emerso - Il Sigillo della Morte"
Genere: Azione, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dubhe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sì... ecco cosa può fare l'amore...
Tutti: MALE!

Scena Quinta (V): IL VIAGGIO DI LEARCO
 

O what can ail thee, knight-at-arms,
Alone and palely loitering?
The sedge has withered from the lake,
And no birds sing.
- John Keats, La Belle Dame Sans Merci
 

 

Attraverso uno degli innumerevoli boschi della Terra dell'acqua, risuonava un rumore ritmato.
Un cavallo lanciato al galoppo. Un animale anonimo, marrone.
Il cavaliere indossava un mantello, da cui sbucavano ciocche di capelli biondi chiarissimi, quasi bianchi. I suoi occhi verdi trasmettevano uno  sguardo disperato.
Dubhe, dove sei?
Ma nessuno rispondeva alla sua voce, nessuna figura vestita di nero sbucava dalle piante per abbracciarlo. Il bosco, visto così, gli sembrava ostile, gli sembrava che si stia prendendo gioco di lui. Ma Learco non voleva rassegnarsi. Dubhe era la fuori da qualche parte, e lui l'avrebbe trovata, o sarebbe morto nel tentativo.
Era partito in fretta, non aveva preso nè provviste nè acqua. Il suo unico indizio era una vaga indicazione sulla direzione, verso est, verso la Terra della Notte.
Nei suoi occhi passavano immagini sconnesse, Dubhe ferita, Dubhe morente, Dubhe morta, Dubhe in preda alla maledizione che portava. Il terrore che le fosse accaduto qualcosa e di non poterla più vedere, non poterla più salutare, non poterle più dirle che la amava.
Queste immagini gli davano la forza di andare avanti, ma per quanto? Non lo sapeva.
Ad ogni momento qualcosa gli diceva che era un idiota, che si stava suicidando, che Dubhe non aveva bisogno di lui. Ma finchè non l'avesse vista, non l'avrebbe saputo.
Il cavallo era stremato, e, sebbene il principe avesse scelto un animale robusto, ormai non ce la faceva più. In altre occasioni si sarebbe pentito del suo gesto ma ora nella sua mente c'era posto per un solo pensiero.
Dubhe, dove sei?
 
Ripensava freneticamente a quando l'aveva conosciuta, al suo sguardo che l'aveva attirato in quel villaggio, quando ancora erano ragazzini. Due occhi scuri, due abissi in cui perdersi. Lo sguardo triste di una persona cresciuta in fretta. Troppo in fretta.
Degli occhi che trovava semplicemente stupendi. Quegli occhi, e il suo sorriso. I suoi capelli , la sua pelle pallida, delicata. Il ricordo di quelle notti, del suo corpo morbido schiacciato contro di lui, dei suoi baci, del piacere che avevano provato entrambi, allora. Ricordava la sorpresa che veva provato quando il filtro con cui si era cammuffata s'era esaurito e lui si era trovato davanti quella ragazza ancora più giovane, e con la chioma divenuta castana, il corpo snello e muscoloso; come aveva capito immediatamente che lei era sempre stata così, come gli era piaciuta, e come aveva sentito, anche se l'avrebbe creduto impossibile, di amarla ancora di più. Solo gli occhi, quegli occhi dove si leggeva tutta la tristezza del mondo, erano rimasti uguali. Sospirò. Avrebbe dato qualunque cosa pur di rivederla.
 
“Dubhe, dove sei? Esci fuori, dannazione!”
I suoi richiami si stavano spegnendo in lontananza quando una figura vestita di nero si lasciò cadere da un'albero, una mano premuta sul petto, come se le facesse fisicamente male.
Ed era così. Essere costretta a rinunciare, a far ancora del male alla persona che amava, quando invece avrebbe voluto abbracciarla, era stata una prova tremenda. Ma lei l'aveva fatto, come aveva affrontato tutte le altre prove che la vita le aveva messo davanti.
Fischiò, e un cavallo, anch'esso nero, si materializzò al suo fianco. Lei vi balzò in groppa e si allontanò nel folto.
Mi dispiace, amore mio, ma capirai. È meglio per entrambi.
 
Dubhe si fermò, davanti alla grotta. A parte le ragnatele, e diversi animaletti che si erano insidiati, era identica a come l'aveva lasciata. Sorrise, nel rivedere quel luogo che tanto aveva amato. Casa, pensò. Ma era una visita momentanea. Scostò alcune rocce, mettendo alla luce gli oggetti che erano lì celati.
Dubhe osservò le sue armi, una copia esatta di quelle che era stata costretta a distruggere. Le prese come se fosse stata la prima volta. Si mise i coltelli da lancio nelle guaine sul petto, l'arco a tracolla e, pro forma, estrasse e ringuainò il pugnale del Maestro nel fodero.
“Ci siamo”, mormorò.
Stai imboccando una via senza ritorno, le sussurrò la solita voce.
Oh, insomma? Cosa dovevo fare? Restare con Learco? Me l'avresti detto in ogni caso.
Sicura di non star sbagliando?
In che senso?
Nessuna risposta. Solo una risatina.  

   
 
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