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Autore: Struzzo    14/09/2011    0 recensioni
Gvar, un mercante di reperti preziosi ricavati dall'uccisione di mostri leggendari, si imbatte nella Belva di Vtuah, dando vita ad un, a dir poco, avvincente combattimento.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gvar tese lo spadone verso la bocca spalancata del mostro, stringendo il manico con le salde dita e un’impugnatura tutt’altro che debole. I muscoli delle braccia si erano ingrossati, pompandosi nel tenere alta la lama dell’arma. Una goccia di sudore cadde lungo la guancia dell’uomo, possente, di media statura, mentre tutt’attorno il tempo sembrava fermarsi.
Non era una bella situazione: quella belva di tonnellate di peso sbavava a destra e sinistra, mentre il liquido gocciolava sulle grosse piastrelle del pavimento. Aveva le sembianze di un lupo senza pelo, con le vene che spiovevano dalle zampe e il collo, tirato verso l’esterno, finiva con una testa urlante di un felino troppo grosso: la Belva di Vtuah.
Gvar era un mercante di merce rarissima che ricavava dalle sue vittime, creature leggendarie che andava a cercare in giro per il mondo; e ora, proprio davanti a lui, ce n’era una.
L’adrenalina divampò nel suo corpo, facendogli fare il primo passo: fece scivolare le braccia all’indietro, spostando lo spadone, mentre le gambe correvano verso il mostro.
Un urlo agghiacciante che rimbombò nella grotta diede via allo scontro.
Gvar fece leva con le gambe e saltò, dandosi uno slancio immenso verso la belva, che indietreggiò verso la parete rocciosa. Le braccia del soldato sembrarono muoversi da sole, disegnando un mezzo cerchio e lanciando un’onda di vento tagliente verso la creatura, che a contatto con il colpo aereo, alzò la testa e ruggì, mentre uno spruzzo di sangue rossastro colorò la parete.
Il mercante toccò terra e, come se avesse previsto l’attacco, rotolò a destra, quanto un artiglio della Belva di Vtuah si impiantò nel terreno, distruggendo le piastrelle circostanti; Gvar si alzò velocemente, mentre la sua spada cercò di colpire la zampa dell’essere, che lo buttò via con una pedata in pieno petto.
Il mostro tornò subito all’attacco, mentre l’uomo era steso contro la parete, sanguinante: colpì con una grandissima dose di forza, ma Gvar alzò l’arma e parò l’attacco, con le scintille che colorarono l’impatto.
“Non mi avrai, stupido cagnaccio!”.
La rabbia illuminò il suo animo, vampante, dandogli la forza di spingere via l’artiglio gigante e correre via da quella situazione, fermandosi dopo essersi allontanato abbastanza. Un altro ruggito risuonò nella tetra grotta, quando Gvar incastrò l’arma nel terreno e porse la mano verso il mostro; il calore iniziò ad invadere tutto il suo corpo, mentre l’arto si illuminava di una luce innaturale, splendente, fino a terminare con la mano aperta che tremava.
Il mostro fu accecato da cotanta luminosità e caricò verso l’uomo senza neanche sapere dove andare; Gvar strinse il bicipite destro con la mano sinistra, dosando tutta la forza verso la mano tesa: la luce si fece insopportabile per un secondo e poi, l’esplosione.
Dalla mano dell’uomo partì una sfera luminosa, come il sole, che si scagliò contro la fronte  della belva urlante, con la pelle che si consumava attorno all’esplosione sulla sua testa. Il mercante fu scagliato nuovamente contro la parete dalla forza dell’impatto, mentre le rocce cominciarono a tremare.
Il mostro rotolò per terra, mentre il fumo usciva caldo dalla sua testa.
Gvar aprì gli occhi appena riuscì, osservando il paesaggio attorno a lui; appena realizzò di essere nella grotta, si alzò di scatto, ma cadde sulle ginocchia appena si mise in posizione eretta, mentre una fitta al petto gli consumava i tessuti. Il suo sguardo si mosse da solo quando sentì un grattare di denti contro la roccia secca: la belva era ancora viva.
L’uomo strinse i pugni e fece qualche passo, finché non lasciò cadere il suo pesante corpo sul manico della spada conficcata nel terreno. Cinse il manico con le dita e facendo leva, la estrasse, mentre un rumore metallico si propagò.
All’improvviso ci fu un’esplosione e si alzò una fumera, tanto che Gvar dovette chiudere gli occhi; la zampa del mostro comparve da sotto le rocce, esplodendo in una forza da lanciarle via. Il mercante dovette rotolare a destra due volte per schivare le pietre che si frantumavano nel punto in cui si trovava.
Il cagnaccio uscì gridando, agitando la testa furiosamente, probabilmente per il dolore. Urlò come non mai, mostrando i denti affilati all’uomo, che fu assalito da una rabbia che iniziò a controllare i suoi movimenti, come la prima mossa che fece: lanciarsi all’attacco.
Il mostro caricò con la testa, ma Gvar non si fece colpire e saltò in alto, coprendo l’unico filo di luce che entrava nella buia conca di roccia; fece roteare lo spadone e scese in picchiata, raggiungendo la carne della belva. Esso iniziò a dimenarsi in tutte le direzioni, cercando di staccarsi quel microbo di dosso.
Infine andò a schiantarsi contro la parete, creando delle crepe troppo profonde e lunghe, che iniziarono ad allungarsi come radici di un albero. Un altro colpo del genere, e sarebbe crollato tutto.
Gvar tirò un calcio contro la lama della spada, conficcata nell’umida carne del bestione peloso, spostandola di un metro e aprendo uno squarcio dalla quale uscì un getto di sangue caldo e vapore, che si sprigionò contro l’uomo. L’arma si era sfilata dalla corpo della belva e Gvar la alzò con una grande dose di forza, ma appena fu senza un appoggio, l’animale fece uno scatto ed egli cadde, con il mostro che non aspettò ad attaccare.

La sala era coperta da uno strato di strano calore, che faceva sudare il ragazzino dai capelli neri.
Egli era entrato nella stanza, dopo aver percorso un lungo corridoio, con suo padre, alto e con una cicatrice che percorreva tutto il petto.
Poco più avanti c’era un altare coperto da un telo blu, di seta.

Gvar fu travolto dalla forza devastante di quel mostro, che lo distrusse con una zampata in pieno petto; l’uomo non riuscì più a distinguere la fantasia dalla realtà, provò un dolore indescrivibile, amplificato quando iniziò a rimbalzare contro il pavimento, lasciando macchie di sangue, sue e della belva.
Strisciò per qualche metro e poi si fermò; la vista era annebbiata e sentiva il cuore frantumargli la cassa toracica, mentre il pum pum dei battiti rimbombavano ritmicamente nella sua testa.
Non poteva arrendersi, sapeva cosa fare.

Il padre prese l’angolo del telo e lo levò con un gesto teatrale, mostrando uno spadone meraviglioso, con una lama di qualche metro e dei disegni d’oro scavati dentro ad essa.
Il ragazzino era strabiliato dall’esistenza di una spada così magnifica.
“È tempo di diventare un uomo” gli disse suo padre.

Il pensiero della Belva di Vtuah che si avvicinava sanguinante, con la bocca spalancata, pronta ad uccidere, gli incuteva un terrore che si propagò in ogni singola cellula del suo corpo.
Mosse le braccia all’unisono, stringendole verso il suo petto: doveva avere ancora un po’ di forza, ne era sicuro. Fece leva, spingendo e alzò il suo corpo, fino a trovarsi in piedi, barcollante.
Lo sguardo finì sul suo petto, devastato dal colpo precedente: la maglia di cotta che nascondeva sotto i vestiti, gli si era distrutta e il sangue evadeva dal suo corpo, toccando il pavimento sotto i suoi piedi.
Alzò il gomito e mise il palmo della mano davanti alla ferita: tutte le sue fibre furono scosse da una dose di elettricità che raggiunse la mano e fuoriuscì come energia verde luccicante. Sospirò, sperando che la belva, che girava attorno a lui, non si innervosisse con quella luce abbagliante.
Sentiva il dolore passargli, quando il mostro caricò a testa bassa.
Gvar scattò senza pensarci due volte, schivando il primo colpo, facendo si che il cagnolone andò a schiantarsi contro la parete, mentre lui correva verso la spada. Una cosa che non poteva fare era curarsi in movimento; infatti provava ancora una fitta allucinante al petto, visto che non aveva finito l’intervento medico.
Il mostro caricò nuovamente alle sue spalle; fece in tempo ad afferrare il manico dello spadone, ma fu colpito furiosamente dalla testa della belva, facendolo saltare. Atterrò vicino all’arma, mentre il mostro iniziò a colpire velocemente il pavimento, cercando di colpire Gvar, che schivava ogni attacco.
La belva grattò via la spada dal terreno, avvicinandola per sbaglio al mercante, che la afferrò, scattante, e parando il colpo successivo, con una cascata di scintille arancioni. La grotta iniziò a colorarsi di lampi gialli, arancioni, rossi, provocati dal contatto degli artigli con le rifiniture della lama, giocando con spettacolari effetti ottici  simili a fuochi d’artificio. Schivò a destra e alzò l’arma verso la mascella inferiore del mostro, distruggendogli un qualche osso lì presente.
Fece roteare la lama e colpì nuovamente, ma con più dose di forza, frantumandogli direttamente tutta la mascella, che si staccò come nei cartoni animati, mentre un geyser di sangue si liberò dalla bocca della belva.

E dal quel giorno si esercitò per anni con suo padre, che continuava a incitarlo: “Colpisci! Colpisci ancora!”

Il sangue esplodeva come bombe rosse contro il corpo di Gvar, che era stato assalito da una furia omicida e adrenalina, tanto da farlo continuare a colpire come un titano, mentre il muso della belva si sbriciolava davanti ai suoi occhi mortali. Il suo spirito si era infiammato e sapeva che niente poteva fermarlo.
Allungò le braccia a destra e corse lungo il corpo del mostro, mentre la lama gli squarciava tutti i tessuti, liberando organi ancora pulsanti.
Un ultimo ululato e poi il mostro cadde come una foglia secca.
Ora, Gvar, poteva prendere ciò che gli serviva, mentre il dragone infuocato che si era acceso dentro di lui si spegneva lentamente, lasciando la possibilità al suo corpo di rilassarsi.

  
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