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Autore: Midori_chan    15/09/2011    3 recensioni
Non era per niente come se lo erano immaginato.
La fama, il successo, il sesso, la droga, tutto quelle cazzate, quei sogni di una vita senza regole, senza freni, l’immagine bellissima di ricchezza, di un disco d’oro attaccato al muro di una villa con la piscina a forma di chitarra.[...]
Quella stanza di albergo puzzava di alcool, di sesso e di droga. La paga di una serata, di una rara serata di ingaggio, buttata, fumata e iniettata così.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Rock'n Roll'
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Facciamo delle precisazioni:La storia è stata scritta questa mattina alle 7, prima di scuola, nata da qualche mio sogno strano °-° Forse ho bisogno dello psicologo, ma capirete meglio leggendo. Non è molto nel mio stile, è più cruda, ecco. Chissà che non sia l’inizio di qualche raccolta legata al mio amatissimo Rock. E che altro? Nulla, godetevi la lettura, scusate eventuali errori che mi sono sfuggiti nella correzione. Sono in crisi con “Gatto per soldi”.
 Davvero, mi dispiace, non riesco a trovare il tempo di mettere insieme la trama e capire che cacchio far capitare. 
Alla prossima, Midori_chan :D

Partecipante al concorso: "Couples'War-Per dare senso agli errori.
 
Titolo: Sex, drugs and Rock'n Roll.
Avvertimenti: One-shot/Yaoi/AU
Raiting: Arancione
Pacchetto scelto: NUKENIN
Nda (eventuali): 
A dire la verità questa storia è stata scritta velocemente, ma dietro c'è una sofferenza, da parte mia, per quel mondo che noi vediamo bello e irraggiungibile.
Sarà perché i miei artisti preferiti sono tutti personaggi del mondo rock morti di droga, uccisi da malattia o da fan fuori di testa.
E li vedevo bene quei due persi in quel mondo, annaspando in cerca di aria dopo aver nuotato tra gli squali troppo a lungo.
L'idea poi è venuta da quella frase che poi Sasuke citerà alla fine della storia, quella frase che per me è l'emblema del senso della vita.

 




 

Non era affatto come se lo erano immaginato: la fama, il successo, la gloria, la popolarità, tutte quelle cazzate, quei sogni di una vita senza regole, senza freni, l’immagine bellissima di ricchezza, di un disco d’oro attaccato al muro di una villa con la piscina a forma di chitarra.
Cazzate, solo sogni di due ragazzini con un po’ di talento, superiori a nessuno degli artisti che scalavano le classifiche, corrotti dai sogni che la televisione mostrava continuamente.
Quella stanza di albergo puzzava di alcool, di sesso e di droga, la paga di una serata, di una rara serata di ingaggio, buttata, fumata e iniettata così.
E certo che in quel momento, mentre lo vivono, mentre bevono, fumano, la droga che gli fa vedere unicorni neri e arcobaleni a scale mobili, con il cazzo in tiro e la chitarra che suona, armoniosa, sotto il loro tocco, in quel momento si sentono come divinità, come le leggende del rock o i divi di Hollywood: invincibili.
Ma prima o poi l’effetto dell’eroina che si sono versati nel braccio svanisce e ritornano a vedere la realtà, la carta da parati bruciata, la finestra sulla stazione di periferia, sporca, lurida, schifosa; tornano a sentire la puttana nella stanza accanto che si guadagna la sua di serata e sentono le urla in lontananza di qualche vittima che mai avrà giustizia.
Era un mondo di merda quello in cui erano finiti, in cui avevano scelto di finire.
La sbornia gli martellava la testa e alzarsi faceva male al suo corpo provato, ma con enorme sforzo si issò sulle braccia tempestate di buchi, il letto che scricchiolava pericoloso, per poi accasciarsi dal lato opposto con il viso premuto sull’addome, sporco di più amplessi consumati in una notte, del suo amico, del suo socio.
Sfregò il viso su quella pelle diafana e sentì una mano famigliare andare a premere sulla sua testa bionda.
Passò del tempo e forse si erano addormentati nuovamente entrambi, forse no, non se lo ricordava Sasuke quando allungando una mano andò ad afferrare la sua chitarra blu.
Quanta fatica e umiliazione era costata? Quel sogno, suo e di Naruto, li aveva costretti a tante prove, compromessi, imbarazzi, ma per un momento, per un effimero momento, quando la loro prima canzone era entrata nella top ten, il quel momento sentirono di aver fatto bene.
Non gli importava allora che entrambi si fossero abbassati agli ordini del loro discografico maniaco, soddisfacendo le sue perversioni, non gli importava che per produrre il loro video avevano dovuto vendere della droga, non gli importava di tutte quelle stronzate.
Ma dopo ogni serata, sempre meno successo, sempre meno fama e allora, lì e ora, in quella stanza d’albergo sudicia, il senso di colpa, il desiderio di tornare indietro, di poter essere nuovamente sani e puri gli attanagliava.
Naruto si era seduto vicino all’amico, la testa sulla sua spalla, le ciocche e la pelle che si univano in forte contrasto tra loro, la bocca carnosa che lasciava piccoli baci sul braccio dell’altro per incitarlo ad iniziare e si schiarì la gola a sua volta.
Sasuke cominciò a suonare, suonava per tornare puro, per tornare sano, suonava una melodia che era loro famigliare; erano ancora al liceo quando misero insieme quelle note, era una canzone sulla vita, sulla gioventù bruciata, sul desiderio di riscattarsi.
Gli scappò un sorriso forzato; quante volte avevano ripetuto a se stessi, a tutti quelli che cercavano di fermarli dall’intraprendere quella carriera, che loro, si proprio loro, non si sarebbero lasciati pervertire dal quel mondo?
Altre cazzate di una vita troppo lontana per solo ricordarsene di averla mai vissuta.
Sul secondo giro di note il biondo prese a cantare, la voce roca, assonnata, ma sempre bella che riportava entrambi ad un passato fatto di falò in spiaggia e feste in piscina, chitarra alla mano e al massimo una birra.
Una vita che non gli apparteneva più, una vita portata via dall’insano scellerato desiderio di essere sempre più popolari.
Naruto cantava una canzone, ma non ne conosceva più il significato, tutto era finito. Era inutile dirsi ogni giorno che quello seguente sarebbe andato meglio, che quella era l’ultima sigaretta, che era l’ultimo bicchiere, l’ultima pasticca.
Iniziò a piangere, quasi inconsapevole e piangeva lacrime al sapore di vodka e piscio; faceva tutto schifo, anche un pianto liberatorio era infetto.
Il moro smise di suonare, buttò la chitarra a terra tra i vestiti e le siringhe e abbracciò il suo amico, il suo socio, il suo compagno, il suo cantante, il suo amante con cui mai ricordava di aver fatto sesso senza l’uso di droghe, ma che sapeva di amare incondizionatamente, come un tempo, come la loro musica.
E abbracciati, stretti nei corpi sporchi dei loro semi, i topi a guardarli, la puttana come sfondo, si baciarono.
Le lingue si intrecciarono a lungo, si cercarono disperate aggrappandosi tra loro umide.
Era un addio che sapeva di morte, la morte di quella vita sbagliata, malata; sapeva di vomito e canne, sapeva di sesso e sangue.
Sasuke cullò il suo amico fino a farlo dormire e poi si alzò, si vestì e prese la chitarra che legò dietro la schiena, voltò un ultima volta lo sguardo verso il biondo che sembrava ancora innocente come una volta su quel letto sfatto e lasciò cadere sul tavolinetto vicino alla porta il biglietto che aveva scritto prima dello spettacolo.
“Si può scegliere di morire sani dopo aver vissuto una vita da malati?”*
 
*La frase è una citazione dalla “Coscienza di Zeno” di Italo Svevo, mi ha colpito profondamente, mi anche un po’ devastata.
   
 
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