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Autore: Aesir    15/09/2011    1 recensioni
[Aliens/Predator]
Racconto che si svolge nell'universo fantascientifico di Alien e Predator, o rispettivamente come si chiamano xenomorfi e yaut'ja.
La storia segue il film Alien vs Predator, ma va a cancellare i vari Alien seguenti.
La storia comincia con un'oscura profezia.
E' il 2012.
E gli xenomorfi... stanno arrivando...
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Scena Ventitré (XXIII): PRESAGI DI MORTE
 
Zona un tempo conosciuta come ‘New Mexico’, Nordamerica, Terra.
 
Una notte senza stelle, la luna coperta.
La costruzione umana si presentava come un prisma a base quadra sorretto da una struttura a cubo e con vari parallelepipedi posti ai lati, probabilmente altri edifici minori.
Si innalzava sul terreno piatto occupando un’area di circa 100.000 metri quadrati, terreno circostante compreso.
Questo era l’orgoglio dell’esercito degli Stati Uniti prima dell’invasione.
Ora, era il covo di una banda di maledetti traditori…
 
Dall’alto del colle lo yaut’ja scrutava la pianura.
Vedeva una figura tracciare nel cielo dei segni che conosceva bene.
Vedeva la recinzione che circondava l’edificio e recava chiari segni di tecnologia non umana.
Vedeva ciò che avevano fatto gli iC ’jit per tenere lontani i kainde amedha.
Vedeva disonore.
Vedeva quelle strutture pulsare della vita di centinaia di umani: quasi riusciva a scorgerli, a individuarli mentre si credevano al sicuro.
Li vedeva e pensava che presto sarebbero morti…
 
I tre yaut’ja e l’umana si avvicinarono lentamente.
Sapevano che cosa c’era da fare.
Azzurro scintillò nella notte…
Ora il contenimento non esisteva più…
 
In un luogo non distante, in una grotta creata da resina nera, centinaia di xenomorfi alzarono il capo oblungo.
Qualcosa era cambiato.
Nuove prede ora erano disponibili…
I neri esseri attendevano da molto tempo un passo falso che sapevano sarebbe venuto.
Non avevano che da scegliere il momento propizio, ora.
Presto… molto presto…
 
L’entrata prescelta si diramava in tre lunghi condotti.
Vi erano umani lì e gli alieni lo sapevano.
Due in ciascuno di quelli laterali e tre nel principale.
Guardie… pericolosi… elementi da eliminare.
Una figura, la più alta, fece un cenno, e imbocco le due diramazioni assieme ad una di quelle più basse, anche se ciò aveva solo un significato relativo: tutti e tre gli esseri erano molto più grossi di un comune umano..
 
I due soldati, nella loro uniforme mimetica color oliva, marciavano avanti e indietro per i corridoi.
Non avevano mai conosciuto gli xenomorfi, era chiaro, ma i neri angeli della distruzione erano l’argomento del loro dialogo.
Come già era accaduto, la presunzione li induceva a credere che i mostri non fossero in fondo altro che strani animali, un’esotica minaccia, una specie di insetti che si sarebbero facilmente lasciati uccidere dai loro ‘avanzati’ armamenti.
Poveri illusi.
Avrebbero dovuto sperimentare sulla loro carne la fulminea letalità degli xeno, la loro forza, la loro fredda efficienza.
Ma non sarebbero stati i kjainde amedha a gloriarsi della morte di quegli umani.
Uno dei soldati si bloccò.
Il corpo ebbe uno spasmo involontario.
Lentamente venne sollevato a mezz’aria mentre un rantolo gli uscì dalla bocca.
L’altro si affrettò a fare luce con la torcia.
Dei sottilissimi fili gli fuoriuscivano dal petto, gli stessi che lo tenevano sospeso.
Uno scatto metallico e i fili si ritrassero… assieme a degli artigli che stringevano il cuore pulsante dell’uomo.
L’organo andò a collegarsi ad una mano uscita dalle ombre, un arto di metallo color bronzo.
L’altro preso dal terrore non fece a tempo ad urlare…
Una lama metallica gli entrò nella nuca.
 
Nel secondo condotto i soldati subirono un’analoga sorte… se non ancora peggiore.
Morirono senza mai sapere che cosa li avesse uccisi.
Trafitti da freddo metallo yaut’ja.
Come era stato deciso.
 
Le creature si alzarono dai cadaveri insanguinati dei quattro e digitarono qualcosa su dei dispositivi posti sul polso.
Il terzo yaut’ja visionò un momento gli ologrammi, poi fece un cenno all’umana per dirle di restare dov’era e si incamminò.
 
I tre marines erano in preda al terrore.
Avevano perso il contatto con i loro compagni e la radio si ostinava a non rispondere.
Quando lungo il corridoio risuonarono dei passi pesanti, metallo contro metallo, il terrore ebbe il sopravvento sui loro nervi.
Ma non fecero a tempo a fuggire…
Un rumore metallico fendette l’aria.
Il corpo di uno dei tre ebbe uno spasmo, una scossa violenta che partiva dal torso per scaricarsi sulle altre membra, per poi cessare com’era cominciato.
Per un momento il corpo rimase fermo e in piedi.
Poi, venne sollevato per più di mezzo metro, con un’altra convulsione… mentre due lame retrattili yaut’ja gli uscivano dal diaframma, attraversandolo come un coltello fende il burro.
Le armi erano visibili solo per il sangue che le macchiava, dando l’impressione che fossero fatte di ghiaccio.
Bruscamente, le kti’pa furono ritratte all’interno del corpo, per poi scattare al doppio della loro lunghezza originaria, venire spinte verso l’alto con volontaria e deliberata crudeltà, attraversando i polmoni dell’uomo e fuoriuscendo dalla sua gola.
Dopo averlo per qualche secondo tenuto così, un monumento all’agonia, vennero strappate via, violentemente, lasciando cadere il marine rantolante al suolo.
I due soldati fecero ciò che la natura aveva insegnato agli uomini di fare in quei casi.
Fuggirono.
 
“Chrrrrhhhh”.
Lo yaut’ja, lentamente si mosse all’inseguimento, oltrepassando la sua prima vittima, le lame gocciolanti.
Il ferito non si accorse nemmeno del piede calzante uno stivale di metallo che gli calò sul torace, sfondandoglielo e ponendo fine alla sua esistenza…
 
“Ascolta… non ce la faccio più a scappare… io torno indietro!”
“Cosa?! Sei impazzito?!”
“Senti, quell’essere, qualunque cosa sia, un programma segreto dell’esercito o Dio sa cosa, quel f****** bastardo, ha ucciso Dieter.
Devo fargliela pagare.
Tu va avanti, avverti gli altri e digli…”
“Chrrrrhhhh…”
Il marine prese a correre mentre sentiva il suo compagno urlare: “Sono qui, maledetto figlio di p******! Vieni a prendermi! Avanti, f****** bastardo! Avan…”
Un ruggito.
Raffiche di mitra.
E poi un urlo, umano, terrificante.
Il soldato corse come non aveva mai corso, senza voltarsi indietro…
 
Lo yaut’ja guardò il miserabile che gli stava d’innanzi…
Disattivò l’invisibilità.
Era stanco di nascondersi.
Doveva vederlo…
Voleva che lo vedesse…
L’umano era lì a strillare, stupidamente.
Che armeggiassero con i loro inutili apparecchi di trasmissione.
Non sapevano che le comunicazioni erano state brutalmente troncate grazie alla tecnologia dell’astronave madre.
Ora gli umani erano davvero soli.
Soli e sperduti com’era giusto che fosse.
Finalmente.
Sentiva l’odio che provava per quella razza concretizzarsi in una gelida ira.
L’alieno aprì le braccia e ruggì la sua sfida.
E mentre l’umano sparava proiettili che si fermavano inermi contro la sua corazza gli fu addosso.
Mezza tonnellata di yaut’ja furibondo.
Polverizzò la sua arma…
Sollevò le lame e lo gettò innanzi a sé, guardandolo.
Prese a colpirlo.
Ogni volta era gratificato dall’espressione di dolore che compariva sugli occhi del debole pyode amedha, dalla sua sofferenza.
Lo ricoprì con centinaia di piccole ferite, lo riprese quando cercava di fuggire, gli spezzò le gambe così che cadesse in ginocchio davanti a lui, umiliato.
In tutto questo tempo l’umano non smise di urlare.
E quando fu stanco di quel macabro gioco, lo yaut’ja allungò la mano e con il pollice artigliato gli squarciò la trachea.
Lo lasciò lì a soffocare, respirando il proprio sangue spumeggiante.
Aveva ucciso quegli umani in maniera tremenda e lo sapeva.
Non provava il minimo rincrescimento.
Ringhiò, ticchettando con le zanne.
No, l’unica sensazione che provava era una macabra soddisfazione…
Osservò la traccia termica sul terreno e si accinse a seguirla.
L’avrebbe condotto dalla sua prossima preda….
 
Il terzo marine si guardò intorno, disperato.
Doveva aver sbagliato svolta da qualche parte.
Aveva gettato tutto, armi, munizioni, perfino la giubba per correre più in fretta e sfuggire al misterioso assassino invisibile.
Se ne sentiva ad ogni attimo il fiato sul collo.
Perché, perché la radio non rispondeva?
Cos’era successo?
Non lo avrebbe mai saputo.
Gli urli in lontananza erano cessati.
Provò ancora più paura perché ora sapeva che colui che ormai era convinto fosse Satana in persona stava venendo a prenderlo.
Si rannicchio.
Come un bimbo spaurito.
Paura…
Paura…
Una sensazione di freddo improvviso…
Il buio che sembrava materializzarsi davanti a lui…
Le ombre lo circondavano.
Cos’era che gli premeva sulla nuca?
E quel liquido che gli colava nel colletto?
Acqua?
O era…
CRACK! 
   
 
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